Anima Fiammeggiante

Ottobre 2020: Interpol - TURN ON THE BRIGHT LIGHTS (2002)


  Data di pubblicazione: 20 agosto 2002 Registrato a: Tarquin Studios (Bridgeport) Produttore: Gareth Jones & Pater Katis Formazione: Paul Banks (voce, chitarra ritmica), Daniel Kessler (chitarre, cori), Carlos D (basso, tastiere), Samuel Fogarino (batteria, percussioni)   Tracklist                                       Untitled                                     Obstacle 1                                     NYC                                     PDA                                     Say hello to the angels                                     Hands away                                     Obstalce 2                                     Stella was a driver and she was always down                                     Roland                                     The new                                     Leif Erikson    

Non puoi semplicemente imitare o continuare a inventare idee. Devi attingere a qualcosa che è puro e inconscio in te stesso o non avrai carriera” (Paul Banks)

 

La retromania è una caratteristica della musica del nuovo millennio. Spesso si sente dire in giro che il rock è morto, che le idee migliori sono state già tutte espresse, che non c’è più nulla da scoprire, e tanto altro. Non sappiamo quanto ci sia di vero in queste affermazioni laconiche, ma di certo non si può non considerare quanto la new wave (o meglio la nu-new wave sia stata un fermento per il rock del nuovo millennio). Basti pensare a tutta una serie di band come gli Strokes, Arctic Monkey, Arcade Fire, Franz Ferdinand… E tra questi ci sono i newyorkesi Interpol. La loro musica è fortemente influenzata dalla dark wave di fine anni ’90, dai Joy Division ai Chameleons, dai Television ai Cure, con accenti per la melodia piuttosto marcati. Il loro primo viaggio nel Regno Unito gli apre le porte dell’ispirazione per realizzare il loro primo album, Turn on the bright lights, da molti considerato uno dei dischi cardine del nuovo rock. Propagandante un rock a bassa voce, fatto di atmosfere create da gentili riff di chitarra mai sbattuti in faccia, gli strumenti risultano come sovrapposti l'uno all'altr, l'album cresce traccia dopo traccia, passando per i singoli Obstacle 1, PDA e Say hello to the angels, tutti concentrati nella prima metà del disco, per poi passare alla parte più intimista ed echeggiante dei Joy Division e dei Cure di Seventeen seconds, con Hands away, Stella was a driver and she was always down e la finale Leif Erikson, che proietta in nebbiose atmosfere vichinghe (Leif Erikson fu infatti l'esploratore che si crede abbia scoperto l'America settentrionale nell'XI secolo). Le prove successive si riveleranno di buona fattura, ma la band non ripeterà più i fasti di questo scoppiettante disco d’esordio.