Dicembre 2020: The Pop Group – Y (1979)

Y

 

Data di pubblicazione: 20 aprile 1979
Registrato a: Ridge Farm Studios (Surrey)
Produttore: Dennis Bovell & The Pop Group
Formazione: Mark Stewart (voce), Gareth Sager (chitarra, sassofono, piano), Bruce Smith (batteria, percussioni), Simon Underwood (basso), John Waddington (chitarra)

 

Lato A

 

                        Thief on fire
                        Snowgirl
                        Blood money
                        Savage sea
                        We are time
Lato B

 

                        Words disobey me
                        Don’t call me pain
                        The boys from Brazil
                        Don’t sell your dreams
 

Io non analizzo quello che faccio.
Lo faccio e basta
(Mark Stewart)

 

Qualcuno ha sostenuto che la musica dei Pop Group era una espressione polimorfica di funk e punk, astratta e propulsiva, costruita da elementi dub, capace di filtrare tra le sue trame il collasso e il caos generale. Ed in un certo senso questo è quello che meglio rappresenta la popolare espressione artistica della band di Bristol, che di certo si è dimostrata come uno dei fenomeni del post punk più interessanti e influenti di fine anni ’70. Impegno politico e disarmonie caotiche hanno posto le basi di una musica capace di aprire le fauci di un inferno sonoro impressionante. In questo inferno si mescolavano varietà di generi e di culture, oltre che mantra politici veementi e agit-prop.
Ideologia e primitivismo quindi diventano gli emblemi sonori di un’arte devastante, ma che non vuole rifugiarsi nel nichilismo punkettaro, ma diventare espressione di un impegno politico dalle ambizioni sinistre e paranoiche. Anche il nome stesso della band è in questo equivoco: si tratta di una band che col pop vero e proprio ha ben poco a che spartire. Semmai la sua proposta vira verso un tribalismo cannibale e disumano.
Manifesto sonoro dei Pop Group è senza dubbio alcuno il disco d’esordio Y, un vero e proprio viaggio nei gironi infernali, fatto di urla, deliri e liriche esplicitamente inquietanti. Particolarmente calzante la primitiva immagine di copertina.
Apre l’album l’inquietante Thief on fire, rievocante il mito di Prometeo. Infatti il funk furibondo e il suono del sassofono, angoscioso e assillante, rievocano esplicitamente la tortura subita per il furto del fuoco. Stilisticamente prende spunto dal blues malandato di Captain Beefheart e anticipa i gargarismi tribali dei Virgin Prunes. Segue una più astratta Snow girl, intrisa di rumori vari e un Mark Stewart capace di attraversare i registri più disparati del suo repertorio, dal parodistico al bestiale. Blood money invece raggiunge una astrazione sonora, se possibile, ancora più sconcertante: su un ritmo disco, si accaniscono cacofonie ed eventi sonori dissonanti, oltre che urla demenziali, per uno scenario surreale e bislacco. Alambicchi avanguardistici suggeriscono lo scenario disteso e surreale di Savage sea. Un momento di libera improvvisazione pianistica, corredati da effetti sonori e narrazioni. Facile intravedere parentele con i Pink Floyd di Ummagumma. A questo punto giunge il beat sixties malato di tribalismi sonori di We are time: oltre sei minuti di spasmi nervosi, e accuse lanciate verso la società occidentale, ritenuta una venditrice di luride bugie. Si chiude così una prima facciata densa di suoni poco rassicuranti e tensioni accese.
Il secondo lato si apre con l’art-funk di Words disobey me, travolgente e caotica, con le chitarre ritmiche e le linee di basso ossessive, e il resto degli strumenti che si perdono in una sorta di caos primordiale, nel nulla.  Un sassofono ipnotico e nevrotico apre le cantilene paranoiche di Don’t call me pain, dove si fanno convivere generi apparentemente inconciliabili tra di loro. E il viaggio nella giungla sonora prosegue con l’immersione negli echi torbidi di The boys from Brazil, dove si accanisce una violenza corrosiva e un tormento interiore di veemente prepotenza. E un viaggio dentro un incubo come quello proposto da Y non può che chiudersi col grido di dolore di Don’t sell your dreams.
Y è un disco enorme e feroce, scatenato ed espressivo, straordinario incrocio tra una seduta psicoanalitica e un rito pagana, riflette le inquietudini, le ansie e le insicurezze della vita moderna. E in questo è uno dei capolavori assoluti del rock di fine anni ’70, capace di riflettere la propria espressività a gente come Minutemen, Primal Scream, Sonic Youth e Nick Cave. L’edizione rimasterizzata del 2007 unì il singolo She is beyond good and evil.
A questo enorme capolavoro fece seguito un altrettanto grande album come For how much longer do we tolerate muss murder? per poi chiudere i battenti nel 1981, a causa delle divergenze interne. Ci sarà una reunion nel 2010, e la produzione di un nuovo album nel 2015: il dignitoso Citizen zombie. Poche tracce, ma capaci di trasformare una stanza o un palco in un inferno.

 

I Pop Group erano il segno di una band che poteva ancora accendere dei fuochi sotto i conservatori di musica di chiarra
(Malcolm Jack)

Dicembre 2020: The Pop Group – Y (1979)ultima modifica: 2020-12-24T13:32:10+01:00da pierrovox

Potrebbero interessarti anche...