Dicembre 2020: Tracy Chapman – TRACY CHAPMAN (1988)
Data di pubblicazione: 15 aprile 1988
Registrato a: Powertrax (Hollywood)
Produttore: David Kershenbaum
Formazione: Tracy Chapman (voce, chitarra acustica, chitarra ritmica, percussioni), Ed Black (steel guitar), Paulinho Da Costa (percussioni), Denny Fongheiser (batteria, percussioni), Jack Holder (organo, sitar, chitarra elettrica, piano), Steve Kaplan (armonica, tastiere), Larry Klein (basso), David LaFlamme (violino elettrico), Bob Marlette (tastiere)
Tracklist
Talkin’ ‘bout the revolution
Fast car
Across the lines
Behind the wall
Baby I can hold you
Mountains o’things
She’s got her ticket
Why
For my lover
If not now
For you
“Parlando della rivoluzione”
Gli anni ’80 non sono stati solo edonismo e consumismo, plastica e televisione. Gli anni ’80 sono stati anche lo scenario della rivoluzione politica e culturale che ha portato all’abbattimento di confini ideologici e razziali, che fino ad allora erano molto marcati. Dalla caduta del muro di Berlino a Nelson Mandela, gli anni ’80 hanno rappresentato lo sgretolarsi di vecchie ideologie, e il sorgere di una nuova speranza per l’umanità, dove le differenze non erano più viste come un ostacolo, ma come un’opportunità, una ricchezza. E anche la musica seppe dare il suo enorme contributo, rivelandosi non solo come un fenomeno di costume, ma come portatrice di ideali molto grandi, attraverso l’impegno fattivo degli artisti, che non volevano essere solo spettatori, ma protagonisti del cambiamento. Dai grandi eventi come il Live Aid, all’impegno personale di alcuni di loro, sorse un nuovo linguaggio che portava a questa rivoluzione sempre più indispensabile per coniugare il nuovo linguaggio della pace e della fraternità. Esattamente come vent’anni prima, la musica rappresentò una grande rivoluzione culturale senza precedenti.
Ed è in quest’ottica che entra la grande portata poetica e rivoluzionaria di un’artista come Tracy Chapman, cantante folk rock, contaminato di blues, country e gospel. Attraverso uno stile molto semplice, e una voce molto calda, a volte vellutata, a volte profonda, a volte trascinante, Tracy Chapman nei suoi testi ha spesso affrontato tematiche sociali di una certa importanza, legati soprattutto alla condizione di povertà e di marginalità dei neri d’America. Il suo era un linguaggio universale, che partiva da tematiche legate alle propria terra, ma sapeva parlare a tutti, indistintamente. Le sue canzoni hanno saputo infondere una forte carica emozionale, fondendo determinazione politica e grazia poetica, impegno sociale e spontaneità, protesta e delicatezza, semplici melodie e testi impegnati. In tutti questi elementi emerge la ferma determinazione di rivendicare i propri diritti, ma che non eccede nella rabbia, semmai nell’invito a cambiare mentalità, a trovare una strada comune, esattamente secondo il sogno di Martin Luther King o l’azione politica di Nelson Mandela.
E tutti questi sentimenti sono espressi nel celeberrimo inno Talkin’ ‘bout the revolution, denso di rivendicazioni sociali ma di sentimenti di fratellanza. La sua rivoluzione non era quella delle armi, ma quella delle idee, delle opportunità. È solo così che si sconfigge la povertà, l’odio, la disuguaglianza. La canzone, semplice ed efficace, era l’inno perfetto dell’abbattimento di barriere misere come quelle dell’apartheid in Sudafrica, o dei ghetti americani. Uniti si vince, e questo era il suo messaggio. Messaggio ben custodito tra i solchi del suo omonimo primo disco, di cui Talkin’ ‘bout the revolution si prendeva l’onore e l’onere di aprire le danze.
Il disco prosegue con la delicatezza languida di Fast car. Tracy Chapman incarna la quintessenza del cantautorato folk americano, ponendosi come la novella Joni Mithcell, toccando universi sonori romantici ed emotivamente profondi. Across the lines è un meraviglioso pezzo, addolorato e toccante, che riflette sulla delicata situazione delle differenze razziali in America. Mentre nel canto a cappella di Behind the wall ci si sofferma sulla violenza domestica, nel soul emotivo di Baby I can hold you alterna la delicatezza dei sentimenti e del romanticismo. Mountains o’things invece si colora di umori etnici, guardando all’Africa come terra carica di vitalità e bellezza, riecheggiando artisti impegnati come Youssou N’Dour. In She’s got her ticket invece ci si avventura tra le trame della musica reggae, in Why in un più canonico pop rock, senza dimenticarsi di porre domande e questioni pregnanti agli oggetti della sua accusa. For my lover è un denso country rock romantico, e si prosegue con il soul pregnante di sentimento di It not now, per chiudere con la dedica struggente di For you.
Il linguaggio di Tracy Chapman è semplice e profondo, capace di farsi portatore di sentimenti importanti, e di tematiche altrettanto importanti. Linguaggio che ha saputo mantenere per tutto il resto della sua carriera, magari non con la stessa densità di questo favoloso primo album, ma sempre efficace e importante. E questo linguaggio resterà sempre rivoluzionario!