Anima Fiammeggiante

Luglio 2023: The Funeral Warehouse - HOURS & DAYS (2021)


  Data di pubblicazione: 12 novembre 2021 Registrato a: Parigi Produttore: The Funeral Warehouse Formazione: Sébastyén Defiolle (voce, chitarre, tastiere), Aurélien Jobard (basso, tastiere, effetti sonori), Rodolphe Goujet (batteria, campane, tastiere, cori), Nana (flauto)   Tracklist                           It’s a black-black miracle                         Stop                         Miles away                         Put in (for indecisions)                         Absinthe                         Long way out                         Can’t see why                         Almost there                         The wretched                         In love    

Un'accattivante miscela di rock gotico e suoni shoegaze” (dal sito Hypno5)

 

Chi dice che il rock è morto e che non ha più nulla da dire di nuovo, probabilmente ha le sue valide ragioni, ma forse non ha mai prestato attenzione a gente come i Funeral Warehouse. La band parigina, attiva dal 2010, è un fenomeno sicuramente derivativo, ma non per questo poco originale, o manchevole di talento e visione. Il gruppo si è fatto le ossa con una intensa attività live, una manciata di singoli, ed è giunto al suo debutto su LP verso la fine del 2021, a oltre dieci anni dalla sua formazione. Hours & days è un album vecchia maniera, costruito su una serie di canzoni dalla miscela scoppiettante di post punk, garage rock, echi psichedelici e sonorità shoegaze, mettendo in fila epoche ed influenze del tutto diverse. Si parte dall’incalzante It’s a black-black miracle, con un giro di basso che rievoca i Joy Division di New fades dawn, atmosfere dilatate e una chitarra melodica scintillante. Stop invece si sposta sul versante Smiths primi anni ’80, con quell’effetto eco che da sfondo al pezzo, e una chitarra che ricorda molto da vicino lo stile di Johnny Marr. E anche il cantato non si discosta di molto da quello di Morrissey. Il punk sporco di sonorità shoegaze di Miles away ricorda molto quello dei Green Day, anche per una certa somiglianza della voce del cantante con quella di Billie Joe Armstrong. La variopinta Put in (for indecision) si staglia nuovamente sullo stile di Johnny Marr da solista (starebbe bene su un disco come The messanger), ma non disegna alcune affinità con la dance dei New Order di metà anni ’80. Absinthe è un gioiello vero e proprio, una ballata mid-tempo affasciante e atmosferica come se ne fanno poche, con qualche eco alla Radiohead o addirittura alla U2 di metà anni ’80. Long way out ha una intro che ricorda un po’ quella di Atmosphere di Joy Division, e una progressione tipica dei Sister of Mercy. Can’t see why invece dal canto suo si riannoda con i Cure di Disintegration che amoreggiano con i My Bloody Valentine. Almost there è una canzone retta da una chitarra sporca, presa in prestito forse dalle tracce berlinesi rubate agli U2 nel 1990. The wratched ci porta in territori molto cari ai Jesus & Mary Chain, mentre la conclusiva In love ci fa pensare vagamente ai Primal Scream di Screamadelica. Derivativi, si, ma con una personalità che può permettersi un confronto così variegato eppure denso di grande forza ed emozione. Un disco bello come pochi, che sostanzialmente però è rimasto nel circuito underground. Segno comunque che il rock non è morto, e che non morirà mai!