Maggio 2024: Grian Chatten – CHAOS FOR THE FLY (2023)
Data di pubblicazione: 30 giugno 2023
Registrato a: Dublino
Produttore: Dan Carey & Grian Chatten
Formazione: Grian Chatten (voce, chitarre, batteria, xilofono, basso, cembalo), Dan Carey (basso, chitarra, sintetizzatore, drum machine), Violeta Vicci (violino), Tom Coll (batteria), Hinako Omori (sintetizzatore, piano), Freddy Wordsworth (tromba), Georgie Jesson (cori)
Tracklist
The score
Last time every time forever
Fairlies
Bob’s casino
All of the people
East Coast bed
Salt throwers off a truck
I am so far
Season for pain
Dopo tre album con i Fontaines D.C., Grian Chatten si cimenta col suo primo album da solista. Sin dalle primissime note del pezzo di apertura, si sente che ci troviamo di fronte ad un’opera del tutto diversa rispetto ai tre album fatti con la band. In quest’album Grian predilige l’aspetto cantautorale, spaziando in lungo e in largo attraverso tutta una serie di riferimenti musicali. Si parte, come già detto, dall’acquerello folk nordico di The score, con quella deliziosa chitarra arpeggiata e puntelli sintentici, in sospensione tra Nick Drake e Bon Iver. Last time every time forever predilige il pop orchestrale in salsa Burt Bacharach o al limite Scott Walker del periodo Walker Brothers. Fairlies è uno dei momenti migliori dell’album, imbastito su un arrangiamento che ammicca al più canonico folk irlandese o scozzese; in diversi punti mi pare il frutto di una straordinaria fusione tra Leonard Cohen, Pogues e Waterboys. Bob’s casino è un altro esperimento pop barocco, forse un tantino lezioso, ma sicuramente interessante; mi ricorda qualcosa dei Lambchop di Kurt Wagner, anche per via dell’interpretazione un tantino “fumosa” della voce di Grian. All of the people è un’altra perla del disco, una ballata notturna intensa e struggente, con un mood malinconico e dolceamaro che ricorda il Nick Cave più intimista. East Coast Bed è una di quelle che pur piacendomi, mi ha preso di meno. Nelle trame elettrofolk vagamente anni ’80 (chessò, Suzanne Vega tra i possibili riferimenti? Forse…) si aprono quegli echi enfatici. Salt throwers off a truck invece mi fa venire in mente i Go-Beetweens addirittura, se non addirittura alcune cose del magnifico gioiellino sconosciuto The evangelist di Robert Forster, pur conservando le evidente radici sonore irlandesi. Molto belle le due canzoni finali: I am so far mi ricorda alcune cose di Neil Young, mentre Season for pain, con quell’andatura sbilenca e le atmosfere spettrali, che poi incedono in quel bridge elettrico, direi che mi fanno pensare addirittura alle cose più intimiste dei Nirvana (quelli dell’Unplugged…). L’album, vario dal punto di vista stilistico, mette in luce tutto lo straordinario talento di un ragazzo incredibilmente dotato, ribadendo che non è una semplice meteora del panorama del rock odierno, ma un artista che da una promessa sta diventando sempre più una realtà