MASSE E MANIPOLAZIONE

 

Perché la CoViD-19 è così difficile da trattare? - Focus.it

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L’ARTICOLO CHE VI PROPONIAMO LO POTRETE TROVARE COMPLETO DELLA BIOGRAFIA DELL’AUTORE E DELLA BIBLIOGRAFIA SULLA RIVISTA: NEXUS Dicembre2020-Gennaio 2021 N° 146 VOL.6 COVID – 19: MASSE E MANIPOLAZIONE

 

 

La manipolazione e il suicidio assistito di libertà e democrazia. Se dovessimo sintetizzare in due sole keywords (parole – concetti –chiave, Ndr) l’epopea del Coronavirus, le più appropriate sarebbero senz’altro: “massa” e “manipolazione”. Nel senso che la cifra più autentica ed “espressiva” del Covid – 19 non è solo – o tanto – di natura sanitaria, quanto piuttosto attinente alla dimensione sociologica e delle scienze della comunicazione. Più precisamente, essa: 1) pertiene alla misura in cui il virus è servito – serve e servirà – come strumento a – politico (o apparentemente tale) di “governance delle masse”, da un lato 2) è relativa, altresì, ai modi, ai tempi, alle forme, ai canali, attraverso i quali lo stesso agente patogeno è stato “comunicato” – cioè venduto, raccontato, propinato – alle masse. E anche alla strategia con la quale il morbo si accinge a tramutarsi in uno straordinario vettore di rinnovati valori in vista di una nuova, erigenda, civiltà. Si badi bene: i due aspetti di cui in premessa non sono affatto disgiunti l’uno dall’altro, giacché il primo non sarebbe possibile senza un’oculata gestione del secondo. Ed entrambi sono stati “contaminati” dal virus. Nessun pastore può pascolare un gregge, grande o piccolo che sia, senza l’ausilio indispensabile di un nodoso bastone. E anche senza il supporto di uno o più cani da guardia. Fuor di metafora, il virus ha rappresentato, rappresenta e continuerà a rappresentare – quantomeno fino alla sua (allo stato, impronosticabile) scomparsa – un formidabile strumento di disciplina. Efficace quanto la robusta verga, e più del cane fedele, di un proverbiale pastore. Il “pastore”, invece, non è il Covid: sono i mass media. Stando, perlomeno, all’evidenza di quanto appare e non può essere negato. Sono loro a fare la differenza. Come avrete notato, questo approccio prescinde completamente, e volutamente, da due altre questioni: in primo luogo, quella relativa alla naturalità o artificiosità del virus, e in secondo luogo, quella relativa all’identità, e al ruolo, di eventuali registi dietro le quinte in grado di dettare la linea dei media di massa o – addirittura – capaci di sintetizzare un agente patogeno in laboratorio. In ogni caso, non approfondire tali faccende (la vera natura del virus e l’identità dei manovratori del “vapore televisivo”) non toglie nulla all’importanza dell’altro paio di fattori su cui abbiamo deciso qui di soffermarci: “massa” e “manipolazione”. Infatti, a differenza delle due questioni suaccennate (in odore di “complottismo”), costituisce circostanza non smentibile che il Covid – 19 rappresenti un’eccellente occasione (e un insuperabile “regolo”) per “mettere in riga” un mondo troppo affollato. Così come non può essere ignorato l’impegno indefesso profuso da moltissimi dei (se non da tutti i) gangli vitali dell’informazione cosiddetta “attendibile” e sedicente “affidabile” al fine di drogare, in modo ansiogeno, le notizie sul virus. Le considerazioni seguenti, dunque, conserveranno il loro valore anche nel caso in cui la sorgente del Coronavirus non dovesse mai essere individuata con certezza. E pure nel caso in cui i mandanti occulti delle strategie mediatiche di cui ci accingiamo a dar conto restassero – come quasi sempre accade – celati alla nostra vista. Infatti, non è necessario conoscere l’identità dei “pupari” per capire di trovarsi di fronte a uno spettacolo di “pupi”. Ovvero, è bastevole il palesarsi di un disegno per dedurne l’esistenza di un disegnatore. Insomma, nel caso in esame, l’auto–evidenza di una strategia concepita, elaborata e dispiegata – innanzi agli occhi attenti di chi “sa” come funziona il mondo della comunicazione – presuppone necessariamente degli strateghi. Che tali strateghi, poi, rimangono innominati, o addirittura “innominabili”, è un risvolto francamente inessenziale rispetto all’ impostazione del nostro discorso. Fatte queste premesse, andiamo a incominciare. Ortega y Gasset e Guglielmo Marconi La questione delle “masse” e quella della “manipolazione” non sono ovviamente nate oggi. C’è un preciso momento in cui entrambe fanno il loro ingresso in grande stile nella storia umana. Tanto per stare all’ Occidente, e al contesto europeo, il filosofo Ortega y Gasset, nel suo profetico lavoro del 1929, “La ribellione delle masse”, aveva notato: “Il dato è il seguente: da quando, nel VI secolo, comincia la storia europea e fino all’anno 1800 dunque, nell’estensione di dodici secoli l’Europa non giunge a una popolazione di 180 milioni di abitanti. Ebbene: dal 1800 al 1914, vale a dire in poco più di un secolo, la popolazione europea sale da 180 a 460 milioni”. E il discorso vale, pari pari, a livello mondiale. Ma c’è una data, precedente a quella di uscita del libro del filosofo spagnolo, che potrebbe essere considerata come l’inizio di tutto, quantomeno dal punto di vista simbolico: il 1895. In quell’anno, Guglielmo Marconi inizia i suoi esperimenti destinati a sfociare nell’ invenzione di uno strumento divenuto insostituibile compagno nelle case, nelle macchine (e delle vite) di tutti noi: la radio. L’apparecchio radiofonico rappresenta un punto di rottura epocale nel campo delle comunicazioni di massa, paragonabile alla rivoluzione digitale della “Rete” di un secolo dopo. E’ grazie alla radio che inizia a diventare concepibile, calibrabile, attuabile, una modalità comunicativa rivolta al (e persuasiva del) grande pubblico. Una modalità fino ad allora neppure immaginabile. Per intenderci, il sinistro slogan di Goebbels (“Ripetete una bugia cento, mille, un milione di volte, e diventerà una verità”) non avrebbe mai avuto lo stesso “senso” profondo e la stessa diabolica efficacia senza la radio, epigona della tv e di tutto il resto. Gustave Le Bon, Freud, Hamilton Ma sempre nel 1895, il medico francese nonché intellettuale a tutto tondo Gustave Le Bon dava alle stampe uno dei libri più importanti del secolo successivo: “La psicologia delle folle”. Perché Le Bon scrisse quel testo? Perché aveva intuito, con largo anticipo su molti altri, che le folle non potevano più essere marginalizzate e trascurate nella comprensione, e specialmente nella fattiva gestione, dei processi storici. Esse esigevano più “credito” e più rispetto e reclamavano, addirittura, il Potere. Soprattutto, Le Bon aveva compreso che le masse – che stavano avviandosi ad ottenere, non a caso, sempre più importanza e sempre più diritti (in primis quelli di voto) – dovevano necessariamente essere “pilotate” dalle tradizionali classi dirigenti, abbienti e alto – borghesi. Pena il tracollo di queste ultime. E nessuno può manovrare qualsiasi “meccanismo” (animale, artificiale o umano) se non ne conosce a fondo le necessità, le potenzialità e – più di ogni altra cosa – i punti deboli. Le Bon, con il suo lavoro, lanciò un allarme: “Oggi le rivendicazioni delle folle divengono sempre più chiare, e non spariranno fino a quando non avranno distrutto da cima a fondo la società attuale”. Ma – da bravo dottore – una volta fatta la diagnosi egli prescrisse anche, per così dire, la ricetta contro il rischio di una degenerazione incontrollata della società. E contro la pressione, apparentemente irrefrenabile, delle masse: una spinta esercitata proprio sui cedevoli cardini dei bastioni di privilegi dietro i quali si riparavano, sempre più spaurite, le èlites. Quella ricetta o, se preferite, quella “medicina” si chiamava “manipolazione”. Le Bon, nel suo lavoro, parla con grande preoccupazione delle “masse” e, con altrettanta speranza (con ottimistica partecipazione emotiva, diciamo) della possibilità di imbrigliarle, di contenerle, di indirizzarle attraverso un sapiente, e studiato, impiego della comunicazione. Parla ai suoi pari per spiegare loro come addomesticare la belva, e soprattutto per addestrarli all’uso dell’unica “frusta” idonea alla bisogna: ancora una volta, la manipolazione. Egli infatti spiegava come una sterminata mandria di bovini può essere incanalata verso il destino prestabilito (sia esso la stalla piuttosto che il mattatoio) da un affiatato manipolo di cowboy munito di cani e bastoni. L’analogia tra le masse e le greggi, del resto, è abusata, ma adeguatissima al tema in oggetto se sol pensiamo che ne fece uso l’inventore stesso della psicanalisi, Sigmund Freud: “La massa è un gregge docile che non può vivere senza un padrone. E’ talmente assetata di obbedienza da sottomettersi istintivamente a chiunque se ne proclami padrone”. Già prima di lui, Alexander Hamilton parlava della massa come della “Grande bestia che deve essere domata”. Walter Lippman e Edward Bernays Ad ogni buon conto, l’allarme di Le Bon sarà poi ripreso e amplificato da altri autori ugualmente fondamentali nella storia della persuasione di massa: Walter Lippman ed Edward Bernays. Il primo con il libro “Public opinion” del 1922 e il secondo con il testo “Propaganda” del 1929. Per entrambi, il grido disperato di Le Bon non doveva rimanere inascoltato. Ed ambedue avevano altresì compreso che la cosiddetta democrazia è solo più un simulacro necessario a occultare – dietro un paravento di comodo – le vere centrali dell’autentico comando. Ciò – si badi bene – non costituiva per gli “allievi” di Le Bon un problema, anzi. Proprio perché le masse hanno un bisogno freudiano di dominio, sarebbe un peccato mortale, un errore imperdonabile (per le classi dominanti), non esercitarlo. Anche con forme subdole, manipolatorie e surrettizie. Qui, più che in ogni altro settore della vita insomma, il fine doveva – machiavellicamente – giustificare i mezzi. A tal proposito, Bernays (nipote di Sigmund Freud) spiegava: “le masse devono essere manipolate da un governo invisibile per assicurare la sopravvivenza della democrazia. Coloro che manipolano questo meccanismo invisibile della società costituiscono un governo invisibile, che è il vero potere dominante del nostro Paese. Noi siamo governati, le nostre menti sono modellate, i nostri gusti plasmati, le nostre idee suggerite in gran parte da uomini di cui non abbiamo mai sentito parlare”. Il Covid 19, crisi e opportunità… Veniamo ora al Covid 19. Una epidemia che “cade” a distanza di centoventicinque anni dall’opera di Le Bon e dagli esordi della radio di Guglielmo Marconi. In un momento storico in cui i problemi della sovrappopolazione mondiale si sono fatti incommensurabilmente più grandi, gravi ed evidenti rispetto a quella sorta di “preistoria” (se confrontata all’oggi) che è la fine del secolo XIX. Sia per quanto riguarda l’assembramento di folle sterminate in spazi e in agglomerati urbani sempre più caotici, sia per l’aumento esponenziale dei residenti nei più diversi Stati del pianeta, sia per il flusso inarrestabile dei migranti da una nazione all’altra e dall’uno all’altro continente. Nel contempo, si sono fatti infinitamente più potenti, efficaci, intrusivi, i sistemi di comunicazione (e – quindi – di manipolazione) di massa. Detto altrimenti: mai come ora le élites che dominano il mondo hanno avuto paura dell’eccesso (e della “eccedenza”, se così si può dire) delle folle, delle masse, dei popoli. E mai come oggi hanno avuto a portata di mano – anzi, di mouse – armi “nucleari” sul piano dell’efficacia di condizionamento distruttivo, ma anche “ricostruttivo”, delle coscienze individuali e collettive, della psiche dei singoli come dell’inconscio collettivo di interi popoli. Ebbene: il Coronavirus – benché possa apparire (solo) un’immane tragedia sul piano sanitario ed economico (perlomeno stando a come viene raccontato dai media di massa) – rappresenta (anche) una straordinaria opportunità per disciplinare le “masse” attraverso la “manipolazione”. Ecco perché siamo partiti da questi due termini, e dai relativi concetti, definendoli alla stregua di keywords in grado di restituirci il significato più profondo di tutta questa storia. Il virus è una “crisi” in tutti i sensi. Soprattutto nel senso spurio di “opportunità”. Avete presente quella storiella tanto in voga nei corsi aziendali, motivazionali, di self help? Quella secondo cui il termine “crisi” in cinese “weji” significherebbe sia “momento cruciale” sia “opportunità” secondo i linguisti non è vero o è, comunque, altamente opinabile (esempio di paretimologia, NdR). Eppure, la cosa era talmente “suggestiva” (e affascinante) da essere diventata verosimile, e quindi “vera”. Il primo a usare questo artificio dialettico, e a verificarne l’impatto retorico, fu John F. Kennedy durante un discorso a Indianapolis nel 1959, ma non è quel che qui importa. E’ molto più rilevante sottolineare che il Covid – 19 è esattamente questo: una crisi per molti, forse moltissimi, probabilmente troppi. Ma anche una straordinaria opportunità per pochi, forse pochissimi, sicuramente “selezionati”. E’ ancora più sorprendente – “sincronicamente“ perfetto da un punto di vista junghiano – il fatto che lo pseudo – aforisma di cui sopra (“Scritta in cinese la parola crisi è composta di due caratteri. Uno rappresenta il pericolo e l’altro rappresenta l’opportunità”): A) tragga linfa da un ideogramma cinese, come cinese è la patria di origine del virus B) sia un fake, come molte notizie sul virus C) sia stato proposto per la prima volta da JFK. Mentre il nipote di quest’ultimo (Robert Kennedy Jr) ha tenuto a Berlino, nel giugno 2020, un memorabile discorso contro la strumentalizzazione manipolatoria della epidemia per fini di governo dei popoli. Ma torniamo a noi, e a come siano state effettivamente impiegate sul piano pratico le “potenzialità” del Covid – 19 a livello di controllo delle masse e di manipolazione persuasiva delle stesse. Quanto al primo aspetto, una delle caratteristiche “migliori” del morbo – dalla prospettiva che ci interessa indagare – è proprio la sua scarsa letalità. Il virus, stando ad alcuni calcoli, avrebbe un tasso di mortalità dello 0,05% nella cittadinanza under 70. Esso, quindi, non ha il potere di sterminare la popolazione (come la peste nera del ‘300). Se fosse davvero una nuova peste bubbonica il problema cui ci siamo riferiti all’inizio – della “ridondanza” di esseri umani sul pianeta – sarebbe “risolto” in tutto, o in parte, alla radice. Ciò non di meno, il Covid (a quanto pare) ha un’altra, ma non meno temibile, caratteristica: quella di spedire in terapia intensiva una percentuale delle vittime piccola, ma sufficiente (se rapportata ai grandi numeri di un contagio fuori controllo) a mandare a carte quarantotto il sistema sanitario di qualsiasi Stato. Insomma, il morbo non è abbastanza cattivo da uccidere un elevatissimo numero di individui, ma lo è a sufficienza per far collassare (ove non controllato) la rete dei presidi ospedalieri, e sanitari in genere, di una nazione. Sotto un certo aspetto – e al netto delle conseguenze sanitarie ed economiche – si potrebbe addirittura dire che il Coronavirus rappresenta la malattia “ideale” per qualsiasi Governo (stavamo per dire: per qualsiasi “Regime”) angosciato – anzi ossessionato – dal dilemma di conciliare due scopi apparentemente antietici e irriducibilmente incompatibili: 1) sovrintendere con il più arcigno rigore alle attività delle “masse”, stringendo così un giogo sulla “grande bestia che deve essere domata” 2) salvare la faccia alla società globalizzata e “liberale” dei “diritti” e della “democrazia” Perché, in effetti, comprimere gli spazi di agibilità democratica e di esercitabilità dei diritti più elementari è un problema mica da ridere per chi si vanta di rappresentare la parte “buona” della storia: la punta di lancia degli ideali del 1789, diciamo. Mentre è molto più semplice, per chi non ha certe ascendenze troppo democratiche cui conformarsi. Non è un caso che – ad oggi – il Paese più pronto a rispondere alla sfida sia stato anche quello (per ora) più simile, nell’organizzazione, al “sistema” orwelliano del Grande Fratello del celebre romanzo “1984”: la Cina. Esaminata la questione “masse”, passiamo ora alla questione della “comunicazione manipolativa”. Se il Covid – 19 ha offerto il pretesto, da molte parti atteso (anche nell’Occidente sedicente “liberale” e “democratico”), per un giro di vite liberticida nella “governance” degli individui, ciò è peraltro avvenuto grazie alla collaborazione sinergica e micidiale dei mass – media più importanti. “Mass–media” è una efficacissima locuzione anglo–latina in cui sono uniti (agganciati) i due vocaboli indagati nel presente articolo: “massa” e “mezzi di comunicazione (manipolazione)”. Orbene, mai come oggi abbiamo avuto la palmare, plastica evidenza, di come essi – in realtà – non esistano. O, per meglio dire, la prova che essi non esistono come sostantivo plurale. Non ci sono “tanti” mass – media (così suggerirebbe il termine in oggetto): c’è un unico “medium” destinato alla “massa” e rappresentato dagli innumerevoli canali – onnipervasivi, tenaci e viscosi come i tentacoli di una piovra – della Informazione cosiddetta mainstream. La quale trasmette – praticamente a reti unificate, e ad ogni ora del giorno e della notte –la medesima versione della stessa onnipresente “realtà”, scritto con tutte le virgolette del mondo. Infatti, questo ultramoderno mostro tecno – digitale non “racconta” la realtà, ma le dà addirittura forma. Non si limita a “narrare” fatti, ma li plasma. In attuazione del principale postulato della programmazione neurolinguistica (“la mappa non è il territorio” di Korzybski, NdR), tale “Golem” crea la “mappa del mondo” di milioni, anzi di miliardi di persone. Spiega la situazione, traccia la rotta, indica la via. E mai come in occasione dell’esperienza Covid – 19, gli abitanti di ogni angolo della Terra sono stati bombardati dalle medesime “notizie” e imboniti dalle stesse “raccomandazioni”, a quasi ogni latitudine e senza praticamente eccezioni. Si è trattato del più colossale esperimento di manipolazione psicologica e sociale della storia dell’umanità. Ne siamo usciti tutti più impoveriti in termini di diritti fondamentali, come già visto. Anche semplicemente rimanendo in Italia, e quindi facendo riferimento alla nostra suprema Carta, abbiamo dovuto registrare: meno lavoro (articolo 1 della Costituzione), meno libertà di circolazione (articolo 16), di associazione (articolo 17), di manifestazione del pensiero (articolo 21), di cura (articolo 32), di studio (articolo 33), di iniziativa economica (articolo 41), eccetera eccetera. Eppure, nello stesso tempo e allo stesso modo – un “modo” singolarmente simile e sovrapponibile da popolo a popolo, da classe a classe, da singolo a singolo – abbiamo anche appreso una serie di doveri nuovi, non scritti, ma quasi più granitici, inscalfibili (e certamente più “sanzionabili”) dei diritti perduti: parliamo innanzitutto dei già citati doveri di adottare “nuove abitudini”, e di rispettare le “regole”. E poi parliamo anche del “senso” da attribuire agli eventi. Le masse e il XXI Secolo… E così, arriviamo alla fine. Che poi è il futuro alle porte. Grazie all’esperienza Covid – 19, siamo tutti più pronti, oltre che più “proni”, ad accettare un crudo dato di fatto: le masse del ventunesimo secolo non sono governabili. Se non alle seguenti condizioni: 1) esse devono essere composte da individui il più possibile “uguali” 2) l’uguaglianza non deve essere intesa in senso classico e progressista come parità di accesso alle opportunità, ma in senso nuovo e regressivo come livellamento dei gusti, delle idee, dei pensieri, dei redditi e soprattutto della “identità” (icasticamente occultata dalle mascherine) 3) i cittadini devono muoversi, come giudiziosi scolari, secondo prassi e “regole” rigidamente e minutamente codificate in anticipo da persone “competenti” e da comitati “scientifici” 4) la vita fisica, da “contatto”, non è più tollerabile secondo il modello anarchico e novecentesco del face – to – face, del vis – a – vis, perché idoneo a generare disordine e indisciplina, oltre che contagio 5) la vita fisica va sostituita da una vita “intermediata” per via digitale e catodica e “amministrata” da porte di accesso, corsie di percorrenza, tornelli, lasciapassare, auto – certificazioni 6) sia i momenti del lavoro, sia quelli della ricreazione, sia quelli dello studio, debbono essere esperiti preferenzialmente in modalità “da remoto”: si studia e si lavora da casa, si mangia e ci si diverte a domicilio 7) i diritti non sono inviolabili e stabiliti una volta per tutte, ma labili, transeunti, intermittenti e sempre sottoposti alla condizione di non mettere a rischio la “salute pubblica” 8) la verità (intesa nel senso tradizionale di “corrispondenza” di ciò che è riferito a ciò che è “davvero” accaduto) è una faccenda troppo seria per essere lasciata nelle mani dei dilettanti e va quindi monopolizzata dai canali dell’Informazione (manipolazione) “ufficiale”. Possiamo concludere, portando a dama il nostro ragionamento, affermando che non è il Covid – 19 ad essere “rivoluzionario”. Nel senso che non è il morbo ad aver rivoluzionato in modo impensabile le nostre vite, come può accadere, ed è accaduto, in occasione di qualsiasi catastrofe o cataclisma o evento globale del passato. Piuttosto, esso ha costituito il meccanismo di innesco – il “grilletto dello sparo” per così dire – di una rivoluzionaria (questa sì) recrudescenza di autoritarismo oramai matura. Da anni, il Sistema ne avvertiva la necessità, ma gli mancava l’occasione. Il Coronavirus l’ha fornita su un piatto d’argento. E ha consentito così al problema (le “masse”) di sposare la sua soluzione (la “manipolazione”). Una manipolazione impeccabile nel raggiungere uno scopo universale: più disciplina e ordine per tutti. In questo senso, la Cina – una delle più spietate, ma anche efficienti, dittature del mondo – non è mai stata così vicina. La democrazia e la legge ferrea dell’oligarchia “di Michels E’ come se venissero finalmente a definitiva stagionatura le profetiche parole pronunciate, anzi messe per iscritto, dal filosofo “elitista” Roberto Michels nel suo saggio “La democrazia e la legge ferrea dell’oligarchia” del 1911, laddove egli certifica come meramente illusorie le convinzioni delle anime belle della democrazia roussoviana, dei puristi della volontà popolare, dei feticisti del suffragio universale, intorno alla “effettività” della democrazia moderna. Più precisamente, il nostro riteneva che non esistesse alcun dominio della massa (intenso, per l’appunto, come Governo del Popolo tramite gli eletti del Popolo): “Tutte le parole usuali per esprimere il dominio della massa o della maggioranza popolare, partito ecc., indicano soltanto un principio legale, soltanto un ideale, uno scopo ma non un fatto reale ed esistente. Alle masse tale differenza sostanziale è ancora del tutto ignota (…). La scienza ha il dovere di strappar questa benda dagli occhi delle masse” La soluzione finale. E gli uomini di buona volontà. Ecco, potremmo tranquillamente concludere dicendo che la “scienza”, nel senso di “metodologia tecno – scientifica del controllo”, ce l’ha fatta. Essa ha concluso la sua marcia di avvicinamento al Potere occupandone le casematte e le stanze dei bottoni: oramai tutte le decisioni realmente importanti sono prese da consessi non eletti, authority le più diverse, immancabilmente senza delega popolare, comitati tecnico – scientifici e tutti gli altri organismi in cui si esplicita la tecnocrazia oligarchica oggi imperante a livello mondiale. Di più: è stata finalmente strappata la benda dagli occhi delle masse. Di tal ché, oggi solo chi non vuole vedere non vede una circostanza così solare da risultare persino abbagliante. Non solo il dominio “della” massa – come aveva intuito Michels – è una finzione, ma la verità è esattamente opposta. E cioè ci troviamo in presenza di un dominio “sulla” massa sempre più soffocante, spietato, non sovvertibile. Che è poi la “casella” di un gioco di “ruoli” da cui la storia dell’uomo era partita e dalla quale, solo in sporadiche e felicissime occasioni, l’umanità era riuscita ad evadere. In definitiva, il Covid – 19, come volevasi dimostrare, costituisce l’anello di congiunzione perfetto tra massa e manipolazione. O, più precisamente, tra esigenza ineludibile e non più rinviabile di “trattamento sanitario obbligatorio” delle masse (finalizzato alla gestione da regime di polizia delle stesse) da un lato, e sistema di comunicazione manipolativa (id est: cinghia di trasmissione) di un intero, rinnovato format di abitudini, doveri, valori, priorità, credenze, dall’altro. La democrazia intesa in senso classico è stata felicemente rottamata, e con essa sono stati accartocciati e cestinati diritti che si credevano iscritti in caratteri d’oro nelle costituzioni socialdemocratiche dei Paesi dell’occidente europeo post – fascisti, post nazisti, post comunisti. Senza il Covid – 19 questa gigantesca “soluzione finale” del problema legato alla governance delle “masse” attraverso un efficace uso della “manipolazione” non sarebbe stata possibile. O, comunque, non lo sarebbe stata ancora e in tempi così rapidi. Il Coronavirus ha offerto al grosso del grande pubblico – ed eccettuata una nicchia di riottosi facilmente sorvegliabili e disinnescabili – una valida e consolante motivazione per accettare tutte le misure contenitive ritenute necessarie. Una motivazione senza data di scadenza che varrà anche per l’avvenire. Anzi, soprattutto per l’avvenire. Il morbo ha sdoganato definitivamente un bene supremo (la “Salute”) più potente, condiviso e persuasivo di qualsiasi altro valore simbolico delle più feroci dittature del secolo breve: dalla “Classe” alla “Razza”, dal “Sangue” al “Lavoro”. Che l’umanità, un domani, sia destinata ad essere inglobata in un micidiale meccanismo automatizzato, simbiotico, e trans umano, di super vigilanza in cui la sicurezza, la salute e la sopravvivenza meramente materiali soppianteranno la libertà personale, morale e spirituale degli individui – lo si era capito. Che ciò sarebbe avvenuto con il pieno consenso, benché manipolato, degli individui stessi era un punto su cui potevano nutrire dubbi. Il Covid – 19 li ha spazzati via. Resta – per chi non si rassegna – la speranza che il futuro possa essere cambiato, come assicurano talune tradizioni, dalle mani (e dai cuori e dalle menti) degli uomini di buona volontà.

Francesco Carraro Avvocato, Giornalista, Scrittore www.francescocarraro.com

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