Follia e logica

Luci e ombre


Sono passati parecchi giorni dall’ultimo post, nel mezzo un lungo ponte che ha cavalcato il 2 giugno, festa della Repubblica. Siamo, io, la mia compagna e Frida, usciti in questi giorni. Sarò sincero, come sempre al dire il vero e non userò delicatezze per esprimere il mio pensiero. Da quando c’è Frida le uscite sono inevitabili, anzi, la scusa di portarla fuori crea situazioni per passeggiare gioiosamente in città. Gli incontri con altre persone e altri cani sono come le uscite inevitabili. L’iter è quello in ogni incontro, ci si ferma, gli occhi si incrociano, piano piano si fa un passo avanti, il guinzaglio tende e tutto inizia, i due cuccioli (più o meno) iniziano le loro danze di amicizia, si annusano e si rincorrano in una festa di salti e capriole. In questa gioiosa situazione è altrettanto inevitabile che i padroni interagiscono, ed ecco che ci si stampa un bel sorriso e si iniziano a scambiare quattro chiacchiere, la mia compagna - alquanto felice - si carica per le lodi ricevute, la vedo gongolare e brillare per quella cucciola che così tante attenzioni riesce a strappare. Senza difficoltà conversa amichevolmente con tutti. Io cerco di partecipare, provo a interagire, dico la mia e sorrido, cercando di stare attento ai due cuccioli che si mordicchiano. Ma la verità è che m’infastidisce quell’interazione. A volte mi chiedo, chissà se s’accorgono che il sorriso è forzato? Che vorrei non aver nessuno attorno? Perché non è l’uscita a infastidirmi, mi piace uscire con Frida, soprattutto la mattina presto quando non c’è nessuno per le strade e l’unica compagnia è il cielo, il mare e la bellezza di un paese che segue l’assurda regola che solo nel centro storico la pulizia e il decoro è degno di regole e vigilanza. Non è l'uscita dunque a infastidirmi, cos'è allora? La mia natura non riesce a esser solidare con altri esser umani, l’apparenza è sempre gentile, la spiccata riservatezza l’unica attitudine che l’interlocutore può percepire, il resto è nascosto, non può e non deve uscire fuori, neanche qui forse dovrei palesare la mia reale percezione. La mia compagna dopo tanti anni ha intuito la mia natura e spesso mi dice: “è la tua sindrome a non permetterti di fare o dire quella cosa.” L’essere umano è un essere sociale, nessuna ombra di dubbio su ciò, le prove sono tutte attorno a noi, in questi 40 anni nella mia città natale i locali si sono letteralmente moltiplicatati per dieci, ogni via del centro storico e pervasa da persone che beatamente mangiano e bevano. E in questo caotico contesto, io mi sento fuori posto. In verità mi sento peggio.

“Solo gli inquieti sanno com'è difficile sopravvivere alla tempesta e non poter vivere senza.” Emily Jane Bronte

È mai possibile? Non poter vivere senza la tempesta? Se è vero significa che il male che vive dentro di noi, l’oscurità che inquietamente riposa dentro di me non può esser scacciata, perché senza non sopravviverei. La mia è un’oscurità di pensiero, come incese Goya nella sua acquaforte, un’oscurità che genere mostri. Sapete, a volte quando si esce c’è il rischio d’incontrare un maleducato, soprattutto la sera nel mezzo della folla, in una giornata di festa, a volte è un bicchiere lasciato sopra l’auto o un parcheggio fuori posto che obbliga a suonare quel clacson che diventa inesorabilmente fastidioso dopo il quarto tocco. Qualcuno arriva a mandarti a fanculo, qualcun altro fa peggio e osa minacciarti, sono ragazzi per lo più ubriachi. Che fai? Lasci perdere. Ogni tanto rispondo con un cortese va fanculo, di più non posso, sono un pacifista, un’individuo che non crede alla violenza. Sarà vero? A volte mi sento come quel bambino, oggi lontano, che incapace di reagire alla violenza, si chinava, chiudeva gli occhi e aspettava che tutto finisse, oggi quel bambino è adulto e aspetta ancora che tutto finisca senza reagire a volte però, il mostro che quietamente dorme all’ombra del cuore vorrebbe uscire e mangiare, mangiare chiunque osi fargli del male. La mia compagna in certe situazioni mi dice che sono un codardo ed ho paura. È vero non reagisco, ma non per paura di farmi male, ma per paura di farne agli altri. Il bello della scrittura, così come dell’arte è questo, liberare le inquietudini e con loro attraverso il colore o l’inchiostro dare forma alla violenza che vorremmo elargire senza tanta parsimonia, ma non possiamo, né dobbiamo, perché è immorale ed'eticamente sbagliato. Che dire di questi giorni trascorsi? Non posso dire, certo, che non ci siamo divertiti, io, la mia compagna e Frida. Ci siamo divertiti, questa, forse, è l'unica cosa che realmente conta. Alla fine la vita è questa, un susseguirsi di momenti che viviamo senza una reale emozione, se non quella che indossiamo per l’occorrenza. Pubblico o no? Stavo per non pubblicare, rileggendo mi è parso tutto un pò troppo cupo oltre che un pò cinico, tante parole, per dire cosa poi? Faccio prima a scrivere: la società fa schivo e basta. Evito tutta questa tiritera. Ma chi mi legge da un pò credo abbia capito che scrivo quel che mi passa per la testa senza tanto riguardo alla forma e alla lunghezza del contenuto. Scrivere come dipingere conduce all’anima, potrei scrivere del nulla o del vuoto e scandagliare ugualmente confini della mia anima. Avete mai provato a disegnare o descrivere il mostro che riposa all’ombra del vostro cuore? Avete mai pensato chi si nasconde in quell’ombra? Che forma ha? Di cosa ha fame? Una cosa ho imparate con l’età, tutto quel che l’ombra nasconde alla luce ha un altro aspetto.

“In una figura, cercate la grande luce e la grande ombra, il resto verrà da sé.” Èdouard Manet