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Lasciate ogni speranza, o voi ch’entrate.

Il 2024 è passato, come tanti altri prima di lui. È stato, quasi, naturale fare un bilancio. Mi sono chiesto, è da responsabili o da sciocchi far bilanci?

Perché questa domanda? Perché alla fine della trafila, non sono, poi, stato tanto felice del resoconto.  I bilanci positivi, sono certo, lasciano emozioni gioiose. Ma ad un comune e semplice mortale, quale sono io, poche volte si chiude un anno felicemente, per lo meno in ogni suo aspetto.

E ad ogni nuovo bilancio, si cambia. La base, probabilmente (anzi certamente), resta sempre quella, come una torta che ha sempre lo stesso impasto. Le guarnizioni, i decori e le farciture, invece, cambiano ogni volta.

Ho ascoltato tanti video di pseudo psicologi, che motivano con frasi confezionate. Irritanti.

 

“Lasciate ogni speranza, o voi ch’entrate.”

Dante Alighieri

 

Certo aprire l’anno con un post del genere, non è certo il massimo. Ma che volete farci, la falsità dei sorrisi, dei cordiali saluti, degli amichevoli auguri li lascio alla realtà. Qui ho sempre mostrato la (mia) verità. E l’unica – mia – verità è: esser sé stessi.

Come disse Sant’Agostino: “La speranza ha due bellissimi figli: lo sdegno e il coraggio. Lo sdegno per la realtà delle cose; il coraggio per cambiarle.”

Come ho scritto si cambia, purtroppo si cambia, per lo più non per coraggio. Il 2024 è passato, il 2025 è iniziato.

Cosa cambia? Se vogliamo essere cinici, nulla, non cambia nulla. In questa società abbiamo vissuto, in questa società continueremo a vivere. Per cui, c’è d’aspettarsi tutto quello che già abbiamo vissuto. Tasse che aumentano, file che si allungano, governi che legiferano per tornaconto personale, scontrini che spariscono, guerre che sputano all’improvvisto, donne che muoiono per la follia di un pazzo, cani che smerdano per l’inciviltà dei maleducati. La solita vita. Cosa cambia allora?

Di fatto solo due cose. Nei calendari ci sarà scritto 2025 e noi – poveri mortali – aggiungeremo un anno in più alla nostra età. L’unica certezza, vera, che abbiamo.

Care amiche e amici, mi dispiace, ma neanche tanto, avervi costretto a leggere questo delirio d’inizio anno. Magari chiudo con un po’ di dolcezza, giusto per non lasciare l’amaro in bocca.

 

Torta siciliana

 

Imburrate e infarinate uno stampo da 18/20 cm o rivestitelo di carta da forno.

Preparate il pan di spagna.

Con le fruste montate a lungo le uova con i 90 g di zucchero.

Continuate per circa 15 minuti fino a quando saranno chiare, spumose e facendole ricadere a nastro non sprofonderanno nel composto, ma resteranno in rilievo, come si dice “scrivono”.

Solo a questo punto aggiungete la farina setacciata, poco alla volta mescolando con un lecca pentole o un cucchiaio di legno, delicatamente dal basso verso l’alto per evitare che le uova si smontino.

Aggiungete altra farina quando quella precedente è stata già incorporata.

Infine, unite anche la scorza di limone grattugiata.

Versate il composto nella tortiera e infornate in forno caldo a 180 °C per mezz’ora circa. Sfornate e fate raffreddare.

Nel frattempo, setacciate la ricotta, quindi unitevi lo zucchero semolato.

Fate riposare in frigo coperta da pellicola.

Unite le gocce di cioccolata poco prima di farcire la torta, aggiungendole solo a una metà della crema.

Preparate lo sciroppo per la bagna della torta siciliana alla ricotta.

In un pentolino fate sciogliere lo zucchero nell’acqua, quindi fate bollire qualche minuto e spegnete.

Fate raffreddare e infine unite anche il liquore.

Dividete a metà il pan di spagna già freddo.

Bagnate il disco inferiore con abbondante sciroppo al liquore e farcite con metà circa della crema di ricotta alla quale avete già aggiunto le gocce di cioccolata.

Coprite con l’altra metà della torta, quindi bagnate anche questo abbondantemente con lo sciroppo.

Spalmate il resto della crema di ricotta sui bordi e sulla superficie della torta.

Definite decorando con la granella di mandorle lungo il bordo e infine i pistacchi e il resto dei canditi sulla superficie della vostra torta siciliana alla ricotta.

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Parole

Rileggendo i commenti all’ultimo post, mi sono ritrovato a pensare, come, a volte, è facile confidare a sconosciuti, pensieri “interiori”. Pensieri che non diresti alla tua compagna o al tuo compagno.

La frequentazione epistolare, porta in modo quasi naturale ad avvicinarsi. Piano piano, ti ritrovi a considerare quell’essere umano, senza volto e voce, qualcosa di più che un semplice interlocutore, inizi a considerarlo un amico o un’amica.

Cosa riescono a fare le parole!

“Le parole hanno il potere di distruggere e di creare. Quando le parole sono sincere e gentili possono cambiare il mondo.” Buddha

Le parole possono cambiare le persone, cambiarle in meglio o cambiarle in peggio. Si parla o scrive, spesso, di silenzi, di indifferenza, un malessere sociale che a diversi gradi corrompe tutti, persino chi, in teoria, non ha anni sufficienti per sostenere una vita segnata da ferite e traumi, non avendo vissuto abbastanza. Eppure, basta così poco per rendere uno spazio vuoto, pieno.

Osservate questa stanza:

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Sfoglia, vissuta oltre l’usura, nessuno mobilio o oggetto comune, solo una piccola bicicletta così scontatamente infantile. Malinconica, forse anche triste e decisamente solitaria.

Un’allegoria perfetta dell’animo umano. Basterebbe aggiungere un computer è il cupo ambiente rifletterebbe la modernità dell’animo umano.

Quel computer o smartphone, oggi, basta a riempire quella stanza. Di cosa? Beh! Non spetta a me fare un elenco. Posso concludere di cose buone alcune volte, di cose brutte altre volte. Riflettendo sulle differenze tra queste due sfere, non ho potuto non constatare che alcuni aspetti sono legati ad un’esplicita emozione o azione.

In un post passato ho scritto: Resistere. La resistenza, per definizione, è una forza che si oppone ad un’altra forza contraria. Lo scopo? Rendere inefficace l’azione della forza contraria. Immaginate, due enormi energumeni che spingono, una porta, uno da un lato, l’altro dall’altro lato. La porta non si aprirà mai. A meno che una delle forze non ceda.

Solo un’altra parola ho usato – a parte l’onnipresente amore – per definire la vita. Ed è il cambiamento. Cambiare la natura delle forze che ci circondano o vivono dentro di noi è il modo, forse, più corretto per aprire le porte che resistono alla nostra volontà. Porte che sono la metafora, dei problemi, dei conflitti, delle scelte che viviamo quotidianamente.

Imparare!!! Questo è il secreto. Orazio fu il primo, poi tanti, tanti altri a ribadire un unico semplice concetto. Impara dalla vita.

 

Io ho imparato a disegnare.

 

Charlie Claplin

il mio Charlie Claplin.

 

Ho imparato a scrivere poesie.

Giunge portato dal vento afoso dell’estate,

respiro caldo alitato sulle fronde alberate.

Vedi le foglie da verdi mutare in gialle

e da gialle di rosso macchiare,

le vedi cadere sul manto erboso,

prima una poi tante.

Ciò che rimane un timido albero pronto a riposare,

l’autunno il malinconico, il silenzioso,

l’autunno vestito di rosso.

 

Ho imparato a programmare un computer, ho imparato a trasformare un ammasso di argilla in un vaso. Ho imparato a compilare una fattura. Ho imparato ad amare una piccola cagnolina come mai avrei pensato di poter esser capace di fare.

 

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Io e la mia piccola amica.

 

Si può imparare!!! Si può imparare a riconoscere un fungo non velenoso tra tanti funghi velenosi, si può imparare a giocare a scacchi, si può imparare una nuova lingua, si può imparare a correre come mai si è fatto prima, si può imparare a respirare come mai si è fatto prima, si può imparare ad aver coraggio. Il coraggio di non mentire a sé stessi. Il coraggio di accettarsi con tutti i difetti che dicono e diciamo di avere.

Ecco!!! Semplicemente imparare qualcosa. Forse? Quel qualcosa è e sarà sufficiente per cambiare. Perché non è mai troppo tardi.