Tag : cura

post image

Piccione

Ieri sera ho letto due notizie, due brutte notizie, troppe per rimanere impassibile e non condividere un pensiero.

Maestra muore in ospedale a Lecce dopo 10 giorni di attesa per una gastroscopia: indagati due medici
e poi:
Morto nel parcheggio dell’ospedale di Sora dopo un’ischemia: per il 73enne non c’era posto in reparto.

Leggendole mi è venuto l’istinto di fare gli scongiuri, anche se non credo a queste antiche superstizioni, la speranza di non trovarmi mai dentro un ospedale, si è fatta forte nella mia mente.
Speranza ovviamente che verrà disillusa dalla realtà e del tempo che avanza.

Ho scritto di attese ieri, ecco questo tipo di attese non sono né ispiratrice, né auspicabili.
E fan perdere fiducia, quel poco di fiducia che si ha.
Ci sono colpe, da dividere, equamente, tra medici e pazienti.
È un fatto che i pronto soccorso sono in emergenza, medici e infermieri si rifiutano di lavorarci, per due motivi.
Primo: strutture non sostenute dallo Stato, che taglia e taglia invece di rinforzare.
Secondo e più rilevante motivo: per le percosse e le ingiurie subite da medici e infermieri.
Il problema è che, dietro un medico, un infermiere e un paziente, c’è, sempre, un essere umano e l’essere umano poche volte è lungimirante, saggio e volenteroso, al contrario spesso è ottuso, opportunista ed egoista.

“Non è tanto dell’aiuto degli amici che noi abbiamo bisogno, quanto della fiducia che essi ci aiuterebbero nel caso ne avessimo bisogno.”
Epicuro

La logica di Epicuro lo spingeva a cercare un equilibrio che forse oggi non è così facile da raggiungere. La cura si manifesta nel momento che si ha bisogno, questo dà senso alla medicina, ma la cura andrebbe estesa al rispetto reciproco, quel rispetto che ci porta ad aver fiducia nell’altro.

Mi vengono in mente le parole cantate da Noemi: Sono solo parole.
E in effetti sono solo parole.

Si deve avere fiducia nei medici e tutto sommato ne ho.
Ma non tanta nella sanità.

Nei Tg e nei programmi sento spesso l’associazione, falchi e colombe, per identificare le due principali linee di condotta della società che comanda.

Che società è questa? Una società di falchi o di colombe?
E quale identità vorremo?

Io scelgo il piccione. 🙂

Wr_yankee

Buon fine settimana.

post image

Rose

Ieri ho accennato le difficoltà della mia compagna nell’affrontare l’attuale influenza stagionale, soffermandomi sulla cura e l’affetto che essa (la cura) genera tra chi si dà l’uno per l’altra, tra chi si ama e cresce insieme nel bene e nel male.

Gli atti d‘amore che ho, sommariamente, descritto con la frase:
“Io le cucino, io l’accudisco, io le cambio il pigiama, io l’aiuto in questo momento di difficoltà.”
Sono forme alternative, strutture emotive che nascono su quel t’amo che sussuriamo nei momenti d’intima confessione, è sono la nostra forza, la mia forza.
Dire t’amo, sistemare un giaciglio o un tavolino per ristorare le sue esigenze, sono però atti che scorrono come l’acqua, facili sospiri che lasciano in bocca il sapore della primavera.
Ma non è sempre così. Oggi voglio scrivere una frase che è, nei momenti di difficoltà, nelle labbra di tutti noi: “essere forti.”
Esser forti per lei o lui.

“Dimostriamo compatimento per le sofferenze degli amici non con le lamentazioni, ma prendendoci cura di loro.”
Epicuro.

È vero a volte mi lamento, quasi, egoisticamente (purtroppo non sono perfetto) di non esser apprezzato per quel che con amore faccio e dico.
Chi è, sofferente, provato nel corpo e nella mente da un malessere, è sottoposto ad uno stress che porta inevitabilmente ed esser (temporaneamente) depressa o depresso, irascibile e al momento incapace di mostrare gratitudine.
Il malato o comunque chi soffre per un motivo o un altro è, inevitabilmente concentrato su di sé, il dolore lo richiama a sé, gli spasmi lo costringono a piegarsi su di sé. E questo porta a volte a rispondere, magari, male ad un atto che per noi è spinto dall’amore.
Bisogna esser forti anche quando e sopratutto ci si sente respinti.

È facile mettersi in dubbio e mettere in dubbio chi amiamo, soprattutto nei momenti di difficoltà, è nella natura umana complicarsi la vita sia fisica, che emotiva. Il perché? Ancora non l’ho compreso.
La mia compagna come ho avuto modo di scrivere in passato ha un carattere tosto, con un arsenale di frecce appuntite nella sua Santa Barbara. Dal suo arco scoccano frasi piene di ironia e sarcasmo, che sanno pungere e intaccare l’orgoglio, anche il meno irascibile.

Il buon Gibran scisse che esser generosi significa dare più di quello che puoi, e l’orgoglio sta nel prendere meno di ciò di cui hai bisogno, che può (in negativo) significare anche dare di meno.

Ed è vero! L’orgoglio, se poi è ferito, ti porta a dare di meno ed è in questi momenti che ci si deve dar forza e dare di più, quell’attenzione in più che fa la differenza nel momento del bisogno o cambiare le cose nel momento che non si ha bisogno.

Tutto questo per dire solo che a volte prendersi cura di qualcuno non è rose e fiori, ma può esserlo se si ricorda che le rose sono i tanti t’amo concessi e ricevuti. Quel mazzo di rose non appassisce mai, e la bellezza che vive in esso, può rendere luminosa anche una brutta giornata.

sole-155227.660x368