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Le Scelte dei Pochi

Ritorno dopo un piccolo malessere stagionale. Avevo iniziato a scrivere questo pensiero una settimana fa, mi sono, poi, dovuto bloccare per via del malessere. Riprendo da dove avevo lasciato.

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Ieri la mia compagna è tornata dal lavoro un po’ musona. Le sue non sono quasi mai giornate leggere.

Ho chiesto cosa fosse successo.

Dopo un po’ di tentennamenti e giretti di parole si è lasciata andare, ed ha spiegato la situazione.

Alla fine, si confida sempre.

 

Quello che scriverò di seguito potrebbe esser pesante da leggere, per contenuti e parole usate. È però la vita della mia compagna e indirettamente la mia.

Ed è, anche, questo un mio modo di esprimermi, non mi sono mai censurato, nell’arte così come nel pensiero.

 

Settimane fa lei e le sue colleghe avevano ricevuto la notizia che alcune ospiti – due sorelline – sarebbero state trasferite in un luogo più sicuro insieme alla madre. Causa? Il rischio di ripercussioni da parte del padre e marito resosi latitante.

La notizia era stata accolta da parte del gruppo di lavoro, da un lato, con sollievo. Le bambine in questione sono, infatti, estremamente problematiche e da quando sono arrivate hanno rotto gli equilibri del gruppo già, molto, molto fragile.

La notizia che ha cambiato gli umori e la comunicazione che la partenza è stata annullata.

La madre non ha accettato di accogliere con sé le figlie e trasferirsi in un luogo protetto.

Troppe limitazioni a detta sua: niente telefono, proibizione di uscire dopo le 20:00, ecc. ecc.

Un prezzo troppo alto per questa donna rinunciare alle uscite, al telefonino e ai divertimenti, più facile, invece, rinunciare alle figlie e rischiare la sua e la loro sicurezza.

 

Per la mia campagna è sempre, comunque, positivo il ricongiungimento di minori con le famiglie, ascoltare, quindi, le futili motivazioni di quella madre l’ha irritata. Sempre più si convince che per esser madri, per esser genitori, non basta una fica e un cazzo.

Mettere al mondo un figlio o una figlia non basta, anzi, non significa nulla.

Sono d’accordo con questa sua considerazione. Chiunque può fare un figlio o una figlia.

Pochi sono destinati a diventare genitori.

 

Il fatto è che la società di oggi è fatta di ipocriti, cinici e narcisisti figli di puttana, che mangiano, scopano e sporcano, senza badare allo schifo che lasciano, guadando magari dell’alto al basso chi sceglie di ripulire, chi lavora per mettere ordine.

E sono tanti, gli uomini e le donne, che per dedizione, vocazione o caso, si ritrovano a curare, accudire, ripulire i mali che la società crea e sputa.

 

Per una società che si diverte.

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Ce n’è una che cura – a volte bene a volte male (sempre essere umani siamo).

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“Vivi per te stesso e vivrai invano; vivi per gli altri, e ritornerai a vivere.”

Bob Marley

 

Dopo più di vent’anni la mia compagna è stanca, chi non lo sarebbe, se avesse la possibilità molerebbe tutto. Quel che la fa soffrire è l’ingratitudine, ma ancor più la consapevolezza che non c’è speranza per la maggior parte di queste bambine.

Una volta uscite, sono destinata a tornare nello stesso ambiente e commettere gli stessi errori.

Un cliché triste che sembra non possa essere cambiato o fermato.

 

“Se tutti gli esseri umani capissero la storia, forse la smetterebbero di fare continuamente gli stessi stupidi errori.”

Isaac Asimov

 

Frase scontata e banale.

Anche un bambino riuscirebbe a capirla.

Di fatto però, siamo coronati di banalità, Re e Regine di una società omologata.

 

La banalità!!! Chi non la odia?! Scommetto che tra chi legge c’è (e credo di sapere chi è) chi non riesce a sopportarla?

 

 

Il leone e il topo

C’era una volta, nella grande foresta, un maestoso leone, che si riposava all’ombra di un grande albero.

Stava controllando se in lontananza c’erano delle prede da poter cacciare, ma in quel momento non vedeva niente di interessante.

Così il pomeriggio passava lento. All’orizzonte non c’era nessuna preda da poter prendere e la pancia iniziava a brontolare dalla fame.

 

– Forse è meglio se mi sposto da qui e vado a cacciare in un’altra zona – si disse, abbastanza infastidito al pensiero di doversi alzare.

Ma proprio quando ormai aveva deciso di alzarsi ed andare via, ecco un piccolo topolino corrergli proprio davanti alle zampe.

 

Il leone colse al balzo l’occasione e, con uno scatto felino, bloccò la coda del topino con la zampa.

Il topino, che sperava di non essere visto, iniziò ad urlare disperato quando sentì di essere bloccato.

Il leone già pregustava il piccolo bocconcino come antipasto e si stava leccando i baffi.

 

Ma il topino, con le lacrime agli occhi iniziò a supplicarlo.

– Non mi mangiare, signor leone, ti prego non mi mangiare!

Il leone sorrise e iniziò a tirare con la zampa il topino verso di sé.

– Non mi mangiare, signor leone – continuò il topino – non ti sazierei che per pochi minuti da tanto sono piccolo.

 

Il leone pensò che questo era vero: quel topolino gli avrebbe placato la fame giusto per il tempo di alzarsi da lì.

– E poi le mie piccole ossicine rischierebbero di andarti di traverso in gola.

Anche questo era vero, pensò il leone, che smise di trascinare verso di sé il topolino.

– Se mi lascerai andare ti sarò riconoscente per tutta la vita! – disse infine il topo.

Il leone, mosso più dalla fatica di ingoiare quel piccolo pasto che dalla pietà per il topolino, lo lasciò andare.

 

– Vai topolino, forse un giorno ci rivedremo…

Il topolino ringraziò solennemente con grandi inchini e bacia-zampe, e poi scomparve tra le sterpaglie della foresta.

 

Il leone si decise infine ad andare in cerca di altre prede. Si incamminò dentro la foresta, ma dopo essere avanzato un po’ ecco che all’improvviso un legaccio fatto di corda lo intrappolò.

Il leone capì subito che quella era la trappola costruita da qualche cacciatore, e sapeva benissimo che da quel tipo di trappole non c’era scampo.

 

Il leone tirò con tutte le forze per cercare di liberarsi, ma più tirava, più il legaccio gli si stringeva alle zampe e gli faceva male. Dopo molti tentativi il leone si rassegnò, e si mise ad attendere il proprio destino.

Ma ad un tratto sentì qualcosa che stava lavorando sulla corda.

Guardò meglio e si accorse che il topolino di prima stava cercando di tagliare il legaccio con i suoi denti aguzzi.

 

– Non preoccuparti, signor leone, tra poco sarai di nuovo libero.

Il leone fu sorpreso dal gesto del topolino. Non si sarebbe mai aspettato che un animaletto così piccolo avrebbe potuto salvargli la vita.

– Topolino mio, io ti ho risparmiato la vita, e ora tu salvi la mia, questo ti fa grande onore!

Il topolino intanto lavorava veloce, e in pochi attimi il leone fu libero.

 

– Signor leone, quando si dà la parola d’onore, la si mantiene!

– Certo topolino mio e io ti ringrazio moltissimo per avermi liberato da questa trappola terribile. Ora siamo pari, e per tutta la vita anche io ti sarò riconoscente.

 

I due si salutarono, e andarono ognuno per la propria strada.

Ma il leone aveva imparato una lezione importantissima: bisogna essere gentili con tutti, anche con il più piccolo degli esseri viventi, perché l’aiuto più importante della vita potrebbe arrivare proprio da lì.

 

Morale: anche i più piccoli possono essere di grande aiuto, e chi è grande e forte non deve fare il prepotente.

 

Esopo, autore di questa favola, mori il 564 a.C. sono trascorsi da allora 2.584 anni.

Quanto poco si è imparato.

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Lamentarsi

Ieri sera, io, la mia compagna e Frida, siamo uscita per andare in un vicino paesino dove era stata organizzata la “Sagra dei Fritti.

In macchina, dopo uno scambio d’opinioni, ho esclamato: “Non ti accontenterai mai così!”
La mia compagna deve, ha bisogno di sapere dove va. Passeggiare senza una meta è, per lei, qualcosa di inconcepibile. Non scendo nei dettagli del battibecco, aggiungo solo che la frase, che ho esclamato, è frutto della sua insofferenza nell’accettare la mia, a suo dire, superficialità nell’uscire, soprattutto, nell’organizzare le uscite (quasi mai) e gestirle.

Questo discorso, questo pensiero, l’avevo già sviscerato in questo mio spazio. La considerazione che mi nasce ora è: Perché continuo, o meglio continuiamo a imbatterci sempre negli stessi argomenti? Le stesse discussioni?
Sepulveda diceva; “Gli umani dedicano la loro vita a ripetere cose, gesti e comportamenti che chiamano abitudini.”
Far diventare le liti abitudini è qualcosa che col tempo diventa logorante. Non per la lite in sé, avere diversi punti di vista è naturale e auspicabile, per imparare l’uno dall’altro. Il problema è la reiterazione dei contenuti, che invece può essere un problema per la crescere individuale e di coppia. La cosa che tengo a scrivere ora è, che comincio a non dare più peso e valore a quel che diciamo o meglio dico io (devo per correttezza parlare per me). Tanto finita la discussione si torna alla routine quotidiana e fino al prossimo risveglio tutto è come se non fosse mai stato discusso e argomentato. La superficialità di cui mi si accusa la vedo, invece, in questo processo ripetitivo.

Se vedi per lungo tempo e costantemente film dell’orrore, alla fine ti abitui e non fai più caso, al sangue che scorre, alle teste decapitate e alla violenza senza riguardo. Credo che stia accadendo questo nella mia vita.
Non so se è un male o un bene?
Di questi tempi tutto è confuso e in un perenne stato d’emergenza, la cosa triste è che confusione ed emergenza sono diventate la regola.

Devo dire che superata una certa età, non sono solo gli anni ad aggiungersi, ma anche una certa masochistica abitudine a piangersi a dorso o lamentarsi.
Non tutti lo fanno allo stesso modo, però. C’è chi non ha consapevolezza d’esser pessimista, perché a detta loro: “lo sono gli altri”.

“Soffrire senza lamentarci è l’unica lezione che dobbiamo imparare in questa vita.”
Vincent van Gogh

(Ne approffito per condividere un’opera di Vincent):

Senza titolo

Notte stellata – Vincent van Gogh – 1889 – Olio su tela – 73,7×92,1 cm – Metropolitan Museum of Art, New York

Soffrire e neanche potersi lamentare!!! Non sarà un pò troppo?
C’è un breve racconto di Esopo, oggi diventato universale, che enuncia questo:
“Due buoi tiravano il carro. E siccome l’asse del carro cigolava, voltandosi col capo, così gli dissero: «Amico, e che? noi portiamo tutto il peso, e tu ti lamenti?». Così anche alcuni uomini, mentre altri faticano, loro fanno finta di essere sfiniti.”

Due facce per lo stesso volto. Non so se, a voi, è chiaro il concetto che ho scritto? Rileggendomi non posso che prendere atto che sono ancora fermo in un lontano passato e che continua a puntare il dito.

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