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L’insostenibile leggerezza del cuore

L’insostenibile leggerezza del cuore, forse, ho osato troppo. Parafrasare Kundera, è troppo per chiunque.
Chi ha letto il libro, sa che in quel titolo c’è l’essenza dei personaggi, incapaci di sostenere il peso delle loro scelte.
In tutto quello che si fa, in linea di massima c’è sempre una motivazione che pesa nelle nostre scelte.
Alcune sono palesi è chiare: Andare a lavoro, far l’amore.
Altre sono meno chiare, alcune persino inspiegabili, metafisiche.

Ho nel tempo acquisito la consapevolezza, che siamo anime camaleontiche, che indossiamo una veste in base a quel che ci circonda e capita. Un certo gusto personale rimane sempre in superficiale e rappresenta le nostre peculiarità, che sono uniche e non possono essere nascoste, perché non sono un modo di comportarsi, ma un inconscia esternazione del nostro carattere.
E questa natura camaleontica, è un bisogno radicato, un bisogno di approvazione.
Cercare l’approvazione degli altri significa evitare di impegnarsi.

A fare cosa? A fare cose che possono migliorarci! Perché per migliorare si deve prendere consapevolezza di ciò che non va.
Comportandoci come gli altri si aspettano, ci evita ansie e fallimenti.
Si rimane all’interno di quella famosa zona comfort, che ci protegge ma allo steso tempo ci isola.
In questo mondo, la nostra zona comfort è: L’anonimo. Che qui non assume l’esternazione di privacy, ossia tutela della nostra identità, ma di scudo contro gli attacchi amici e nemici. Perché si cerca il confronto, ed è euforico, perché, qui, non c’è pericolo.
E molto spesso siamo noi stessi a creare le dinamiche per lo scontro, perché fuori nella realtà, si è vili e si fugge, ma non chiamiamola viltà: è educazione, la stessa che ti fa lanciare la pietra e ritirare la mano al momento della responsabilità.

Essere responsabili.

Responsabili di quel che si scrive e si fa.
Stamane in un commento ho scritto:
Che non mene frego e che faccio e scrivo quel che voglio e come voglio.
Non è il massimo della posizione, perché poi è logica, chiedersi perché si è qui?
Quando ci si mette in difesa: è perché c’è un problema, una paura latente.
Anche creare una realtà fittizia è frutto di un’insoddisfazione, che è sempre una forma latente di paura.

La conclusione.
Che si è qui, perché si ha paura delle realtà.
Ed io queste paure le voglio scrivere, identificare e se necessario discuterci.

 

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