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Non è normale

Tanto per scrivere qualcosa.

 

Sabato mi sono ritrovato – come sempre – a passeggiare con Frida, c’erano parecchie persone in giro.

E come sempre, la sensazione di isolamento, è viva.

Per usare una metafora, mi sono sentito come un’isola nel vuoto della vita, un vuoto anormale.

 

Ho scattato una foto giorni fa, una foto che si presta ad esser usata, in questo contesto, egregiamente.

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Una nuvola isolata in un cielo azzurro.

I più forse avranno osservato la bicicletta. È in primo piano, naturale che attiri l’attenzione, se andata oltre, però, la vedrete la nuvola.

 

Dettagli!

 

Mi ha sempre attirato l’isolamento. L’occhio (il mio) cade sempre su quell’oggetto o quella creatura isolata dal contesto. Un particolare, apparentemente isolato, che rende unico l’oggetto o la creatura.

Il pretesto dell’isolamento porta la riflessione ai particolari.

 

“I paranoici attribuiscono un’importanza enorme ai particolari più insignificanti del comportamento altrui, quelli che generalmente sfuggono alle persone normali.”

Sigmund Freud

 

In questi giorni, spesso, mi sono sentito dire che una persona normale ragiona o agisce in maniera diversa.

 

Persone normali!!!

 

Le sapreste riconoscere?

Sareste capaci di definirne l’essenza?

Il carattere?

Le peculiarità morali ed etiche?

 

Normalità!!!

Non è normale!!!

 

Nella mia lunga – ma non troppo – vita, mi è stata detta tante volte questa frase: Non è normale.

 

Non è normale che mi comporti così.

Non è normale che non ti relazioni con nessuno.

Non è normale che …. che …. che ….

 

Io osservo i dettagli, sono sempre un’artista, oso definirmi tale, e nascosto nel mio isolamento, ho sempre osservato la normalità che fluisce attorno a me.

 

“In natura non esiste nulla di così perfido, selvaggio e crudele come la gente normale.”

Herman Hesse

 

Potrei convenire senza rigurgiti di rimorso, con la frase di Hesse. L’esperienza e la storia mi testimoniano questo sinonimo.

Normalità = crudeltà.

 

Esiste un mito greco che s’incastra perfettamente con questa mia ultima riflessione

 

Zeus – padre degli Dei – adirato per l’offesa perpetrata da Prometeo che aveva osato rubare il fuoco dall’Olimpo per donarlo agli uomini. Decise di punire sia Prometeo che gli uomini.

Condannò Prometeo a essere incatenato per l’eternità a una roccia sulle montagne del Caucaso e ordinò che ogni giorno un’aquila gli divorasse il fegato. Ogni notte però il suo fegato ricresceva, così che l’aquila potesse tornare a divorarlo il giorno seguente.

Per punire gli uomini, invece, ordinò a Efesto, il dio del fuoco e fabbro degli dèi, di creare la prima donna mortale: una ragazza con bellezza, grazia e doti straordinarie. Efesto eseguì l’ordine e modellò una fanciulla con un impasto di creta e acqua. Poi, ciascuna divinità dell’Olimpo contribuì donando alla ragazza una virtù. Atena, le insegnò l’arte della tessitura; Afrodite la rese bella e desiderabile; Ermes la rese spudorata. La ragazza fu chiamata Pandora, che in greco significa colei che dona tutto.

Ermes, il dio alato messaggero degli dèi, portò Pandora tra gli uomini. Epimeteo, lo sprovveduto fratello di Prometeo, la vide, se ne innamorò e la sposò.

Zeus inviò come regalo di nozze un vaso, raccomandando di non aprirlo per nessun motivo. Pandora, invece, che aveva ricevuto da Ermes il dono della curiosità, lo aprì per vedere cosa contenesse.

Fu così che dal vaso aperto uscirono e si diffusero tutti i mali e le sciagure che affliggono l’umanità: la fatica, la malattia, l’odio, la vecchiaia, la pazzia, l’invidia, la passione, la violenza e la morte, cambiando per sempre l’esistenza del genere umano.

La vendetta di Zeus si era compiuta, ma non completamente perché sul fondo del vaso era rimasta la Speranza, che uscì per ultima per alleviare le lacrime e le sofferenze dell’umanità.

Esiodo – VII secolo a.C.

 

Nella quotidianità e nel lessico comune aprire il vaso di Pandora significa mettere alla luce tutta una seria di problemi che scatenano una sequela catastrofica di conseguenze inevitabili.

Di vasi ne ho aperti tanti. E anno dopo anno, hanno eretto una torre fatta di cocci che ha isolato la mia natura, deformando il vincolo che ogni umano ha innato, il vincolo della relazione, il vincolo della comunicazione.

Un risvolto positivo nel mito di Pandora, però, esiste: Pandora non condanna il mondo, ma lo fa rinascere con maggiore consapevolezza. La bolla che avvolgeva un’umanità che non conosceva il dolore viene fatta scoppiare e nonostante il primo impatto sia stato catastrofico, alla fine arriva la speranza.

 

L’ultimo volto del cuore.

La veste che l’amore indossa nel suo lungo cammino per riunirsi all’altra metà di sé stessa.

 

I particolari rendono la visione unica. Piccoli atti che nell’insieme non sono nulla, ma nel dettaglio di un gesto, una frase, possono aprire una porta o un vaso.

 

Da quella porta possono, certamente, uscire mostri e fantasmi, ma se si resiste l’ultima ad uscire sarà la speranza.

 

“Per essere veramente un grand’uomo bisogna saper resistere anche al buonsenso.”

Fëdor Michajlovič Dostoevskij

 

Resistere!!!

Ecco il secreto della vita.

Di certo della mia vita.

 

Resistere alla normalità, al suo sguardo, alle sue non pacate carezze, alle sue espressioni sanguinarie e al suo sorriso custode di una gelida ossessione.

Una riflessione dolce e contemporaneamente amara. Probabilmente, qualcuno cogliere la vitale e sfuggente speranza, altri l’inevitabilità della resistenza e la sua inconciliabile fatica.

 

Non avevo nulla da scrivere e nulla da dire, proprio per questo le parole si sono accodate e radunate.

 

Sapete!? Alla fine, la mente mi chiede di domandarmi.

Dove i miei occhi trovano la dolcezza?  E dove l’amara fatica?

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Brutte abitudini

Eccomi ancora una volta. Anche questo nuovo post sarà un po’ pesante, per lo meno dal mio punto vista.

 

Contenuto vietato ai minori di 14 anni.

 

Abitudini.

 

Di certo avrò già scritto in passato qualche riflessione sul tema, è abitudine tornare su pensieri già vissuti.

 

“L’enorme carico di tradizioni, abitudini e costumi che occupa la maggior parte del nostro cervello zavorra impietosamente le idee più brillanti e innovative.”

Josè Saramago

 

Vecchi e nuovi aforismi, perle gettate qui e lì. Un’altra mia abitudine.

Non è semplice percepire i nostri comportamenti e come un’espressione matematica, estrarli dalla formula. E da quella formula, tra gesti e parole, riconoscere le variabili e le costanti che ne incatenano la logica.

Stamattina mi è capitato di assistere ad una scenetta che non saprei definire.

Nelle ore che passeggio Frida, mi capita d’incrociare di continuo runner e ciclisti che corrono. Uomini e donne che, a passo di marcia, mi sorpassano a destra e a sinistra.

Oggi! arrivato in piazza, vedo una giovane ragazza, che fa piegamenti su una panchina. Esercizi, molto probabilmente per sciogliere l’acido lattico o mantenere i muscoli caldi dopo la corsa.

Ad una decina di metri, un gruppo di uomini, quattro per l’esattezza, la fissano ridendo, come si suol dire, sotto i baffi.

La ragazza in tenuta sportiva indossava una tuta molto aderente. Le temperature sono quasi primaverili dalle mie parti, è comune quindi vedere ragazze e ragazzi vestiti con tute aderenti – ideali per la corsa – sovente con braccia e gambe scoperte anche in questa stagione.

I movimenti della ragazza erano, se visti fuori dal contesto, abbastanza sexy, oserei dire erotici, si piegava a gambe divaricate, mostrando in tutta la sua tonicità il sedere.

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Non è la ragazza che ho visto, ho condiviso questo scatto preso dalla rete solo per far capire cosa quei quattro uomini vedono.

Un paio di volte ho visto due dei quattro uomini toccarsi i genitali, probabilmente in tutto questo non c’è nulla di male, un po’ d’imbarazzo io, però, l’avrei provato. Tante che i quattro ad un certo punto si sono avvicinati costringendo la ragazza accortasi del siparietto a riprendere la corsa, credo, un po’ infastidita.

 

Brutta abitudine, per l’uomo, questo comportamento. Il voyerismo è comune tra gli uomini, per molti potrebbe anche avere una logica e una sana utilità. Perché si sa! Guadare è sempre meglio che toccare.

 

L’uomo è attratto dalle forme della donna, è un fatto chimico. Le rotondità della donna sono una selezione naturale da parte dell’evoluzione. Lo scopo? Attrarre il maschio riproduttore che è in noi.

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A volte mi chiedo?

L’istinto a tradire è frutto dell’occasione che fa l’uomo ladro?

O è frutto della sua natura, frutto di quello sguardo intriso di libido e ormoni che non riesce a distogliersi da una scollatura o uno spacco?

Non sono perfetto, ho una moltitudine di difetti, il tradimento, per lo meno quello legato alla coppia, non mi è, però, mai appartenuto. Capita, sì, che l’occhio a volte cade, la moda attuale è troppo appariscente a volte. La mia natura riservata non mi ha, però, mai permesso di approcciarmi con altri esseri umani in maniera naturale, ho difficoltà già solo a trovare le parole per iniziare un dialogo, pensare a fare sesso con chi ho davanti non si è mai, neanche, palesato nell’anticamera dei miei pensieri. Triste? Per alcun teste di cazzo di certo. Ne conosce parecchi che mi considerano un fesso, per alcuni (umani legati dal sangue) persino un frocio. Ho visto stupore e sollievo anche nei miei parenti più stretti, il giorno che ho presentato la mia compagna. Abitudini che si percepiscono.

E devo scrivere da quel che ho vissuto e vivo, che era ed è ancora oggi, in certi ceti, un’abitudine per il siciliano essere maschio e virile.

Se c’è una donna o ragazza avvenente, con le forme ben in vetrina, è quasi un rito provarci, quasi un dovere guardarla come se mai donna avesse messo piede sulla terra. E alle donne piace tutto questo, magari non a tutte, ma a gran parte sì.

Da ragazzo, poi, non avevo un bel rapporto con il mio corpo, è questo frena nell’approcciarsi con l’altro sesso e mette davanti a noi a me in questo caso, tante inibizioni.

Le ha messe per lo meno. La maturità aiuta, l’esperienza aiuta, nel tempo qualche trucco s’impara.

Al di là di quel che si dice, di quel che diciamo noi timidi, noi sfortunati o sfigati, la solitudine non è mai una conquista, quando, invece, una eredità giunta per caso.

La brutta abitudine di sentici soli, non è poi così costante.

Aggiungo inoltre, che chi dice: “sto bene da solo o sola”, in realtà mistifica la verità e muta il vero significato della solitudine.

Perché di fatto non si è mai soli.

Siate onesti e oneste con voi stessi/e.

Le volte che si dice: “io sto bene da solo o sono sempre stato bene da solo o da sola”, in realtà non si vive la solitudine, ma una sorta di evasione da uno scorcio di vita, che vuoi o non vuoi, ci ha segnato e continua a segnarci.

Ritagliarsi un paio d’ore di solitudine, o un giorno, o persino una settimana, non basta a dare forma alla solitudine e alle sue profonde inquietudini.

Il mal di vivere, invece, è una costante e un’abitudine, una brutta abitudine.

 

“Qualsiasi essere amato – anzi, in una certa misura qualsiasi essere – è per noi simile a Giano: se ci abbandona, ci presenta la faccia che ci attira; se lo sappiamo a nostra perpetua disposizione, la faccia che ci annoia.”

Marcel Proust

 

Che frase triste e sconsolata, degna del più disilluso decadentismo.

Chissà!!! Visto i tempi, se mai fine abbia avuto questa corrente?

Il senso della frase sembra chiaro: Qualunque cosa facciamo non ci rende felice, non ci rende soddisfatti. È il mal di vivere.

 

Brutta abitudine.

 

Com’è che da tette e culi sono arrivato al mal di vivere?

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Sono onesto, in queste ragazze più che libertà, vedo un profondo mal di vivere.

Forse è questa la natura dello stupro. Fottersi la vita, fottersi il cervello.

Lo sappiamo cosa succede quando siamo in prende all’eros, al brivido che per pochi minuti ci rende illogici e incapaci di fermarci.

Uno, due, forse tre uomini su venti riuscirebbero a tirare fuori il loro pene quando dentro la donna lei dice: NO, BASTA.

Non so!!! Per la donna è lo stesso? Ho avete più controllo?

L’orgasmo è una bella abitudine, anche la verginità era una bella abitudine.

Oggi però è, per questa società, questo il modo di percepire l’amore:

 

Fottersi.

Fottersi.

Fottersi.

 

Nel pronunciare questa parola, non avvertite un disagio e al tempo stesso un perverso compiacimento.

Fottersi la vita, ha un senso.

Fottersi il cervello, ne ha un altro.

Ciò che è sempre lo stesso è il linguaggio che lega i comportamenti. Che siano di rivalsa o di disfatta, l’atto che prevale sulla morale è lo stesso che descrive la violenza della vita e con essa la sua fine.

Un lungo atto sessuale che può generare, vita o morte, piacere o dolore.

La riflessione di fatto è diventata un po’ a luci rosse.

Ma convengo in questo con Freud. Per il celebre analista, l’amore o è narciso o è nostalgico, in entrambi i casi doloroso e perverso e per naturale evoluzione sessuale.

Al solito esondo i miei limiti e vado oltre quel che avevo intenzione di descrivere.

A volte mi chiedo se non sarebbe meglio limitarmi a condividere un semplice aforisma e una canzone, invece di mettermi a vaneggiare come un folle.

Per ritrovarmi, alla fine, anello dopo anello, incatenato alle parole e all’ossessione.

Si scrive per tanti motivi, in linea di massima tutti giusti.

Un cantastorie tramanda vite, un poeta la denuda, la vita. Io che non sono né l’uno, né l’altro racconto il vuoto dell’anima.

 

Oh me, oh vita!

Domande come queste mi perseguitano,

infiniti cortei d’infedeli,

città gremite di stolti,

che vi è di nuovo in tutto questo,

oh me, oh vita!

Risposta: Che tu sei qui,

che la vita esiste e l’identità,

Che il potente spettacolo continui,

e che tu puoi contribuire con un verso.

Walt Whitman

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Questa è tra le più belle poesie di Whitman, tra le più belle della letteratura.

Il mal di vivere è un vuoto, un vuoto insostenibile.

Nel raccontarlo si può forse riempierlo.

Persino forse dare una descrizione dei suoi limiti, dare forma alle pareti e al suo fondo.

Perché è ancor peggio, non sapere.

 

Io tocco i miei nemici col naso e con la spada

Ma in questa vita oggi non trovo più la strada

Non voglio rassegnarmi ad essere cattivo

Tu sola puoi salvarmi, tu sola e te lo scrivo:

Dev’esserci, lo sento, in terra o in cielo

Un posto dove non soffriremo e tutto sarà giusto

Non ridere, ti prego, di queste mie parole

Io sono solo un’ombra e tu, Rossana, il sole

Ma tu, lo so, non ridi, dolcissima signora

Ed io non mi nascondo sotto la tua dimora

Perché oramai lo sento, non ho sofferto invano

Se mi ami come sono, per sempre tuo

Per sempre tuo, per sempre tuo Cyrano

Francesco Guccini “Cirano”

 

Riempitevi l’anima di poesia e bellezza e verrà da sé,

che!!!

 l’amore che vive nell’atto

verrà declamato con le forma della virtù.

Allora accadrà!

Quel verso cercato sarà trovato.

Quel vuoto, riempito.

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Scusate il lungo post e il suo contenuto.

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La solitudine del diverso

In questi giorni la mia compagna, con estremo piacere, ha recuperato dei giorni di ferie. Ieri siamo usciti insieme a Frida, ci siamo ritirati alle 23:30.

Sono le 07:10 in questo momento, di solito sono in strada con Frida per i bisogni. Stamattina come di consueto ho aperto la porta e sono uscito, di norma Frida mi segue ed esce, puntualmente, subito dopo, oggi si è avvicinata mi ha guardato uscire e dopo è tornata in cuccia 😀 ancora stanca per la passeggiata di ieri 😀

Dopo la montagna è toccato al mare. Ieri, lungo il tragitto per andare in un piccolo paese dove era stato organizzato uno street food, abbiamo attraversato tutto il litorale etneo: Giardini Naxos, Taormina, Letojanni, Sant’Alessio Siculo ecc. ecc. tutte bellissime località di mare. Potevamo non fermarci per presentare il mare a Frida?

Eccola in spiaggia.

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Non c’era, quasi, nessuno solo qualche famiglia, tra queste una mamma con un bambino di 10 anni che ha, subito, fatto amicizia con Frida.
La mamma del bambino ha raccontato alla mia compagna che il piccolo era affetto da un forma leggera di autismo, una forma che lo rendeva incapace di distinguere il bene dal male e di conseguenza incapace d’essere diffidente, si vedeva chiaramente la sua diversità, perché si comportava come Frida, mostrando una spontaneità e un affetto uniche e Frida non è stata da meno. I cani, come molte altre creature diverse dall’uomo, sono capaci di capire chi gli si pare davanti, si è comportata con molta tenerezza e dolcezza facendosi toccare e strapazzare come mai prima o come solo io e la mia compagna facciamo. I cani capiscono e riconoscono le disabilità, capiscono quando la loro guida sta male e a loro modo se ne prendono cura.

L’autismo.
L’autismo non è una malattia, è un disturbo e riguarda la sfera del neurosviluppo che coinvolge linguaggio, socialità e comunicazione. Il disturbo è caratterizzato da interessi ristretti e comportamenti ripetitivi, nelle forme più gravi. Sono in tanti ad esserne affetti, tanti piccoli mondi che vivono nel silenzio e la maggioranza non riesce ad avere accesso ad una appropriata valutazione. Per questo motivo, vivere nello spettro è una condizione complessa sia per chi ne soffre che per i famigliari.

Personalmente ne so qualcosa, la sindrome di asperger, una forma particolare di autismo, molto difficile da diagnosticare.

“Sono strano, è quello che dicono tutti. A volte non capisco di cosa parlano le persone e questo mi fa sentire solo anche se c’è altra gente intorno a me.”
Keir Gilchrist 

La solitudine del diverso, c’è differenza tra sentirsi soli ed esser soli.

“È molto facile accettare e amare chi è uguale a noi, ma con qualcuno che è diverso è molto difficile, e tu ci hai aiutato a farlo.” Verso tratto dalla favola: Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare di Luis Sepúlveda.

È importate questa distinzione, perché esser soli, vivere l’isolamento con la natura della propria mente, non è sentirti soli, soffrire di solitudine, sentire il disagio sgorgare dalla pelle, le mani tremare e il cuore cercare disperatamente una fuga, è ben diverso, è un sentirsi diverso da chi ci sta accanto.
Qualcuno dirà: siamo tutti diversi.
Ed è vero! Tutti siamo diversi. La differenza è nel modo in cui la società, l’individuo ci guarda.

“La differenza genetica più importante tra le nevrosi e le psicosi: la nevrosi sarebbe l’effetto di un conflitto tra l’Io e il suo Es, mentre la psicosi rappresenterebbe l’analogo esito di un perturbamento simile nei rapporti tra Io e mondo esterno.” Sigmund Freud.

Osservando il mondo, i suoi comportamenti, i nostri comportamenti, non posso non pensare che la nostra società sia pervasa nella sua diversità, quella che ci distingue, da una paura intrinseca, una psicosi che ci rende, indifferenti e al tempo stesso generosi, paurosi e al tempo stesso violenti.

Gli occhi di un cane, vedono in modo diverso, perché diverso è il suo cuore.

«Ho paura! Mamma!» stridette Fortunata.
Zorba saltò sulla balaustra che girava attorno al campanile. In basso le auto sembravano insetti dagli occhi brillanti. L’umano prese la gabbiana tra le mani.
«No! Ho paura! Zorba! Zorba!» stridette Fortunata beccando le mani dell’umano.
«Aspetta. Posala sulla balaustra» miagolò Zorba.
«Non avevo intenzione di buttarla giù» disse l’umano.
«Ora volerai, Fortunata. Respira. Senti la pioggia. È acqua. Nella tua vita avrai molti motivi per essere felice, uno di questi si chiama acqua, un altro si chiama vento, un altro ancora si chiama sole e arriva sempre come una ricompensa dopo la pioggia. Senti la pioggia. Apri le ali» miagolò Zorba.
La gabbianella spiegò le ali. I riflettori la inondavano di luce e la pioggia le copriva di perle le piume. L’umano e il gatto la videro sollevare la testa con gli occhi chiusi.
«La pioggia. L’acqua. Mi piace!» stridette.
«Ora volerai» miagolò Zorba.
«Ti voglio bene. Sei un gatto molto buono» stridette Fortunata avvicinandosi al bordo della balaustra.
«Ora volerai. Il cielo sarà tutto tuo» miagolò Zorba.
«Non ti dimenticherò mai. E neppure gli altri gatti» stridette lei già con metà delle zampe fuori dalla balaustra, perché come dicevano i versi di Atxaga, il suo piccolo cuore era lo stesso degli equilibristi.
«Vola!» miagolò Zorba allungando una zampa e toccandola appena.
Fortunata scomparve alla vista, e l’umano e il gatto temettero il peggio. Era caduta giù come un sasso. Col fiato sospeso si affacciarono alla balaustra, e allora la videro che batteva le ali sorvolando il parcheggio, e poi seguirono il suo volo in alto, molto più in alto della banderuola dorata che corona la singolare bellezza di San Michele.
Fortunata volava solitaria nella notte amburghese. Si allontanava battendo le ali con energia fino a sorvolare le gru del porto, gli alberi delle barche, e subito dopo tornava indietro planando, girando più volte attorno al campanile della chiesa.
«Volo! Zorba! So volare!» strideva euforica dal vasto cielo grigio.
L’umano accarezzò il dorso del gatto.
«Bene, gatto. Ci siamo riusciti» disse sospirando.
Da: Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare di Luis Sepúlveda

Chi comprende questa differenza è sulla buona strada. Qual è strada? 🙂

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Seni e coseni

La riflessione che intendo condividere, oggi, potrebbe sembrare strana, ma considerando che tutto è ispirazione e tutto può esser fonte per costruire un racconto, anche questo argomento potrebbe offrire qualcosa o donare qualcosa.

Lo spinta non è, stavolta, legata al mio passato, ma agli utenti di Libero, ad una categoria in particolare. Non me ne vogliano le donne, ma ad un particolare gruppo di utenti femminili.
Che per varie ragioni, molte, a me purtroppo chiare, altre, invece, più ambigue, si mostrano alla comunità mettendo in risalto una particolare parte del corpo.

Il seno! Grande o piccolo, in posa o intravisto, coperto o scoperto, semplicemente, seni. Ne ho colto alcuni fra i tanti e fra tutti i meno spudorati, i più timidi.

2🙂 Eh no!!! Ovviamente, non li mostro per rispetto, non spetta a me esibirli.

Non farò una critica alle sopracitate utenti, nonostante non condivida l’improprio utilizzato di questa, bellissima, parte anatomica come identificato o carta d’identità.
Mostrerò, invece, come l’arte ha saputo descrivere il seno, trasformandone il significato da mero oggetto di seduzione a simbolo di vita e riscatto verso una libertà che lontana è, ancora, dall’essere raggiunta ed emancipata.

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Giovanni Lanfranco, Sant’Agata visitata da San Pietro in carcere – 1613 – Parma Galleria nazionale

L’arte e in generale la storia, ha sempre rappresentano il seno nelle sue virtù più riconoscibili, virtù celebrate dall’uomo e poco, forse, dalla donna. Queste virtù, tanto sospirate, elogiavano a volte l’erotismo del seno, altre la sua materna simbologia.

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Guido Cagnacci – Morte Di Cleopatra – 1660/1663

Erotismo e maternità, ecco, cosa è stato il seno, ecco, come è stato rappresentato per secoli. In entrambi i casi, sottoposto a censura oppure esibito senza riguardi e pudore, secondo le necessità e le più puerili esigenze.

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Andrea Solario – La Madonna dal cuscino verde” – 1507 – Museo del Louvre

Al di là delle concezioni personali o sociali, la cosa più bella che una donna può arrivare a sentire, a percepire, è che il seno sia qualcosa che appartiene a lei prima che agli altri, più e oltre il suo stesso simbolismo.

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Artemisia Gentileschi – Lucrezia – 1593-1654 – Getty Museum (Los Angeles)

Per l’artista l’anatomia umana, è energia, è, appunto, simbolismo, ed in ogni opera, il corpo è, un mezzo per definire un’idea, costruire un pensiero che è, sempre, al servizio di un atto d’amore, verso la libertà, verso la comprensione e verso l’emancipazione, sia essa mentale o sociale.

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Marina Abramovic – performance “Rhytm 0” – Napoli nel 1974

Questa ultima immagine è emblematica e significativa per comprendere come, oggi, viene concepito il corpo e come l’arte contemporanea lo rappresenti. Credo valga la pena spendere due parole in più su questa ultima immagine. La foto ritrae una performance svolta in una stanza della Galleria Studio Morra di Napoli. 72 oggetti vennero disposti su un tavolo insieme ad delle istruzioni per i partecipanti della performance, queste le indicazioni:
1) Ci sono 72 oggetti sul tavolo che possono essere usati su di me nel modo in cui desiderate
2) Io sono l’oggetto
3) Mi assumo completamente la responsabilità di quello che faccio
4) Durata: 6 ore (dalle 20:00 alle 2:00)
All’inizio non successe nulla, poi, gli oggetti iniziarono piano, piano ad esser impugnati, prima una piuma, poi una rosa coperta di spine, poi una catena, una lama, ed infine una pistola carica. Nonostante la tensione e la paura, l’artista rimase immobile per tutta la durata dell’evento, il cui scopo era mettere a nudo la relazione tra abbandono e controllo. L’arte viene messa alla prova, per descrivere un confine e mostrare la natura del nostro rispetto per il corpo umano. Fin dove può arrivare un essere umano a cui è concesso il potere di agire indiscriminatamente?

Durante gli anni di Accademia, ho ritratto, per mero esercizio il corpo umano (nudo), sia maschile che femminili. In quegli anni, hanno posato, per me e i miei collegi, ragazze e donne, che senza volgarità, hanno mostrato la bellezza del loro corpo per quella che è, non un oggetto da cui attingere bramosia, lussuria o violenza, ma un riflesso di quello che è la nostra intimità e libertà.

So che le buone intenzione hanno, sempre, un contraltare nella realtà, che molte e molti leggeranno retorica in questo pensiero. E lo è, retorico, come è retorica l’arte e la poesia. E come allo stesso modo è retorico il male e la violenza.
La comunicazione ha sempre avuto insito nel suo retaggio, l’arte della persuasione.
L’intero mondo si fonda su questo concetto, su questo subdolo comportamento. Regni, imperi e, poi, democrazie, hanno costruito il loro potere e il loro seguito sulla capacità, più o meno forzata, di persuadere un individuo o un popolo a seguirlo o sottomettersi. Questo è il confine tra bellezza e mostruosità, lo stesso confine che separa il seno dall’essere un simbolo di erotismo e maternità o un simbolo di appartenenza e libertà per ogni donna e uomo.

Cosa si rispetta?
Cosa vediamo quando davanti ai nostri occhi si materializza un seno?
So cosa potrebbe aver pensare Freud, quale pulsione lui assocerebbe prima al bambino e poi all’adulto. Uno spettro di percezioni che radicalizzano l’ossessione, trasformando la sessualità in un lotta per la sopravvivenza di un’interiorità in bilico tra desiderio e rassegnazione.

Lo stesso sangue, lo stesso respiro, lo stesso corpo, cioè appartenenza, l’appartenenza definita dalla diversità che ogni singolo pensiero, ogni singolo cuore, ogni singola anima ha nel suo essere unica e libera, nel loro essere unici e liberi.

Cosa si deve rispettare quando si ha davanti un seno?
Non la donna, né l’uomo, ma entrambi, solo quando un uomo vedrà nel corpo di una donna sé stesso e una donna vedrà nel corpo di un uomo sé stessa, si avrà rispetto e libertà.

Posso comprendere le vostre perplessità, la mia logica non è mai stata allineata e forse mai, totalmente, comprensibile o sensata.
L’uomo e la donna, raggiornano per luoghi comuni, per convenzione e precetti, lasciandosi da questi plasmare e indottrinare, la libertà di pensiero è una conquista ardua e prescinde ogni subornazione.

La mia compagna mi accusa (mi affido all’idea che sia amichevole questa accusa) di esser, sempre, sopra le righe, di elevare (senza mai riuscirci) troppo i miei discorsi e perdermi al loro interno, e con loro perdere la concretezza del loro impatto, senza, non si ha un fine, non si ha scopo.
Ho passato metà della mia vita in silenzio e l’altra metà cercando, disperatamente, di farmi capire, ed ho così trasformato la mia comunicazione che essa è diventata una linea infinita che non riesce a trovare sbocco.
Scrivo i miei pensieri e scrivendoli a volte sembra di naufragare in un oceano di parole.
Ma anche questo è parte di me, questo sono, un uomo che cerca di distillare i pensieri, un uomo che parte della bellezza del seno per esaltare la libertà dell’essere umano.
Perché questo dev’essere il compito dell’arte, della poesia e della filosofia, indicare la strada, anche se poi il mondo non la segue o non la vuole seguire.