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Singolarità

Sento la spinta emotiva a ringraziare chi ha commentato le mie riflessioni, chi ha donato con umiltà e saggezza la sua opinione a volte dal sapore confidenziale.
Un denominatore comune è stata la risposta alla domanda che, spesso, ho sollevato nelle mie osservazioni personali:
Perché sono qui?

Tutti rispondono sapientemente: Per comunicare, per confrontarsi.
Ed è vero!

A volte i miei pensieri si espandono e nella generalizzazione, risucchiano tutto e tutti, costruendo pensieri che sono insiemi di emozioni ed esperienze, in parole povere, si fa di tutta l’erba un fascio.
Se analizzo il pensiero arrivo, però, alla conclusione, che questa realtà descrittiva, pecca di logica. Perché le mie emozioni e la mia esperienza, sono per declinazione, MIE e solo per fortuita coincidenza possono richiamare emozioni ed esperienze altrui.
Uno dei problemi del confronto è la generalizzazione, che se da un lato, ha il pregio di creare una stanza comune, in cui ognuno ha un posto a sedere, uno spazio in un unico spartito armonico.
Dall’altro lascia indietro le nostre singolarità.
Sapete come la scienza definisce una singolarità gravitazionale: come un punto in cui la curvatura dello spazio-tempo tende a un valore infinito.

Infinito.

Le nostre singolarità sono i nostri infiniti, i nostri assolutismi, quei comportamenti, quei pensieri radicati, che sono frutto, non di un insegnamento, ma di una curvatura di crescita che pensiero, dopo pensiero, trasforma l’astrazione delle realtà, in valori assoluti, in simboli emozionali che tendenzialmente cercano di decifrare, ciò che non capiamo, non riusciamo ad accettare o assimiliamo come un reiterato comportamento distintivo.
E nel confronto l’assolutismo per natura, non si piega, non si modella alle circostanze, può solo spezzarsi, creando frammenti, che io chiamo ferite interiori.
Generalizzando, si è tolleranti e intolleranti allo stesso tempo, ed è l’equilibrio tra questi due comportamenti, che permette di trovare la cifra del nostro modo di comunicare e confrontarci.
Ecco, che torniamo alla comunicazione e al confronto.
Al motivo per cui si è qui.

Qui, tendenzialmente potrei confidare sensazioni ed emozioni che nella realtà, non confiderei mai.
Perché?
Perché non confidare il mio malessere o le mie sensazioni, per come sono realmente, ad esempio alla mia compagna? Perché cifrarlo e sperare che venga intuito?
Quante volte si è nella vita detto: Non mi capisci?
Fateci caso, quando si riesce a dire quello che si pensa o sente veramente a chi hai davanti, face to face, faccia a faccia?
Non convenite con me, che quel momento nella maggior parte dei casi è: Quando si è in preda all’ira o oppressi dalla disperazione.
Chiedetevi cosa hanno in comune queste due emozioni?
Credo di sapere perché sono qui.
A volte mi chiedo, però, perché quel che sono, qui o tra le righe di un foglio, no lo sono nella realtà quotidiana?

 

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