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Ramingo

Ieri un viaggiatore, mi ha domandato se mi interesso di spiritualità?

Sì! Un viaggiatore. Perché anche qui, la natura degli utenti si manifesta e identifica dal tipo di cammino che si intraprende.
Un viaggiatore, raccoglie esperienze ed ha sempre una strada in mente. Sono, di solito, ottimi compagni di riflessione. Gli utenti migliori qui dentro, i più interessanti e ricchi in un certo senso, perché condividono esperienza, il problema al massimo può esser la forma di condivisione che può in alcuni casi (pochi) esser criptica.
Ci sono poi: gli osservatori e i disturbatori o molestatori (la piaga di questo comunità, perché nella maggioranza sono sciacalli travestiti da pecore).

Se devo usare questa logica per definirmi, userei il termine: Ramingo.
Dall’antico ramenc: “che va di ramo in ramo”, ossia che va errando senza meta.
Ed io come un ramingo, per sorte, per irrequietezza, per una sorta di spiritualità avversa, mi ritrovo ad errare senza volerlo, senza un luogo preciso da visitare.

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Ramingo nella mia terra.

Per rispondere all’amico viaggiatore.
Chi non ha mai puntato gli occhi verso la spiritualità?
Primo o poi tutti si trovano dinanzi ad un’altare, a d’espiare un dolore.
Perché è il dolore che richiama lo spirito e quando si rimette tra le mani, un’anima sofferente, si ci ritrova a mani giunte a pregare.

La preghiera. Vero simbolo di spiritualità.

Non ho avuto da bambino un buon rapporto con le figure religiose, sia mio padre, che mia madre non hanno mai fatto cenno agli insegnamenti religiosi. Mio padre nelle poche volte che ha accennato il discorso, ha palesato un marcato scetticismo, mentre mia madre ha dimostrato di avere fede, ma quella fede dottrinale che si accetta per cosa fatta, senza un’intima comprensione dei reali valori che nascondono le parole.

Le scuole primarie le ho frequentate presso un istituto religioso, un oratorio per esser precisi, dedicato a San Giuseppe, oggi non più esistente (per fortuna) e quello che ricordo di quelli anni, sono le sberle del prete e preside della scuola, i ceci sulle ginocchia e un cupo e inquietante Cristo intrappolato in una buia stanza, poi scoperto esser la cappella della scuola.

Mia nonna, finché era in vita ha provato con i propri mezzi a insegnarmi che significa credere, non aver fede, ma che significava per lei esser cattolica e credente.
Ed ho trovato, una consapevolezza postuma, grande saggezza nel suo avvicinarmi alla fede, perché non ha imposto, né detto: così si fa.
Questo! Mi ha lasciato il cuore libero. Quando poi gli studi mi hanno avvicinato alla filosofia e alla storia, leggendo e approfondendo, sono riuscito a costruire una mia comprensione della fede e dell’amore.
Questo, oggi, mi porta ad affermare che c’è spiritualità in tutte quelle confessioni (per restare in tema) che servono alla nostra anima per comprendersi.
In un certo modo e qui, spero di non esser blasfemo e non urtare nessuna sensibilità, si vive una trinità terrena che trova luce in tre parole: Fede, Amore e Vita. Se ami qualcuno e vivi la vita con la fede verso il legame tra te stesso e l’altra o l’altro, sei in spirito, mente e corpo, vicino a Dio, indipendentemente da qualunque volto o nome sia dato a quel Dio.

La spiritualità intesa come interesse verso la natura divina della cose, invece, è ben diversa e racchiude secondo me un’interesse intellettuale delle persone, che trascende la curiosità verso un senso di scoperta che è più mentale, empirico in alcuni casi, che passionale ed emotivo.
Vivo questo aspetto, più come una ricerca del buono c’è in giro o c’è stato.

In questo i testi sacri sono miniere d’oro, ma anche molti esempi di vita comune e non comune, che sono trascrizioni su cuore di gesti e atti d’incommensurabile amore.

Chissà, se sono riuscito a dare una risposta alla domanda dell’amico viaggiatore?

poca-fede