Il volo del gabbiano

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È una strana notte di una strana estate: sto tornando a casa guidando piano piano, avvolto da una nebbia fittissima, degna di Molinella, paese della “bassa” tra Bologna e Ferrara.

Dalla zona dello zuccherificio fino a casa ci sono pochi chilometri ma impiego parecchio tempo a causa della visibilità tanto scarsa. La fioca luce dei lampioni sfuma nella nebbia e crea aloni di mistero, sensazione di estraniamento.

Degli alberi che fiancheggiano la strada si vede solamente l’ombra nera dei tronchi; i rami e le chiome si sciolgono in un grigio impalpabile per poi fondersi definitivamente nel buio. Una notte così, comunque, ha un suo indubbio fascino.

Sono a bordo della mia nuova auto. Certo, chiamarla “nuova” è un azzardo: ha quasi vent’anni (ormai è maggiorenne), con le sue due portiere controvento, il motore che a volte parte bene e altre volte solo a tre cilindri, però scaldandosi si rimette in linea e, tutto sommato, non è poi così male. Il contachilometri è fermo da tempo immemore e nessuno saprà mai quanta strada ha già percorso questa veterana.

Purtroppo la mia Citroen Dyane 6, fedele compagna di un bellissimo viaggio fino a Istanbul, ha terminato la sua corsa centrata in pieno da un taxi che è passato frettolosamente con il semaforo rosso. Per fortuna, dietro a me c’era un autobus e l’autista è sceso prontamente con un estintore, ha spento l’inizio d’incendio e mi ha aiutato a uscire dalle lamiere. Ero, quindi, momentaneamente appiedato ma la mia amica Patrizia ha comperato un’auto nuova e siamo arrivati ad un accordo: per la somma di 10.000 lire ho acquistato io la sua auto da rottamare. Ed è proprio a bordo di questa Fiat 600 blu sbiadito dal sole, che sto rientrando a casa.

Fra qualche giorno sarò in ferie e mi farà comodo un automezzo per spostarmi. Prima della partenza acquisto le pedane nuove per l’auto. Il fondo della carrozzeria è corroso pesantemente in più punti: quando si è seduti si vede l’asfalto sotto di noi e quando piove entra l’acqua delle pozzanghere. Con le pedane tampono un po’ questo inconveniente.

Nel mio capiente zaino da Alpino metto la biancheria, un paio di taccuini con penne e matite, un paio di libri. Non viaggio mai senza qualche libro. Questa volta mi porto “Il vecchio e il mare” di Hemingway e “Sulla strada” di Kerouac. Aggiungo anche una cartina geografica, la borraccia e il coltellino “milleusi”. Non possono mancare le pinne e la maschera da sub con boccaglio. Deve stare tutto nello zaino perché se per caso l’auto mi abbandona durante il viaggio, svito le targhe, lascio l’auto in un parcheggio e ritorno in autostop. Inoltre a me piace viaggiare leggero, non ho bisogno di molte cose, il poco mi basta. Appesantirsi serve solo a intralciare il viaggio.

Mio cugino Pino mi ha telefonato per invitarmi ad andare a trovarlo. Sono già diverse volte che mi invita ma non mi è mai stato possibile farlo. I rapporti tra le nostre famiglie sono ottimi, molto affettuosi ed è venuto diverse volte a casa nostra assieme a sua moglie Elena. Anche in occasione del loro viaggio di nozze si sono fermati qualche giorno da noi e assieme abbiamo fatto un’allegra gita a Venezia.

Molto volentieri mi metto in marcia verso la Puglia.

Vado a Castel San Pietro dove incrocio la via Emilia e mi “lancio” verso la costa. A Rimini punto decisamente verso sud e rotolo lungo la sponda dell’Adriatico. Mi barcameno tra la Statale 16 e strade secondarie, mi piace stare più vicino possibile al mare. Piano piano sgrano chilometri su chilometri. Le località si avvicinano, le attraverso e restano un ricordo nello specchietto retrovisore.

Mi fermo spesso per tuffarmi in mare e farmi poi asciugare dal sole. I pranzi sono frugali, su spiaggia libera e possibilmente deserta. In ogni località che attraverso trovo chioschi che vendono pesce e molluschi fritti. Di solito mangio un bel cartoccio di fritto misto, una pagnotta e bevo buona birra da bottigliette fresche e gocciolanti. Alla sera mi concedo una cena più robusta e un buon bicchiere di vino in piccole locande dove spesso trovo anche una branda per dormire, altrimenti dormo in auto o sulla spiaggia. Inizio a leggere “Sulla Strada” di Kerouac, spacciato come la bibbia della “beat generation”. Dovrebbe essere un po’ il manifesto di questi anni inquieti e ribelli. Lo leggo nelle mie soste notturne ma, francamente, mi sarei aspettato qualche cosa di più e di meglio. In fin dei conti la vita che vivo io è ben più inquieta e ribelle. Nel primo paese che attraverso acquisto una busta capiente, ci infilo dentro il libro e dall’ufficio postale me lo rispedisco a casa. È inutile trasportare pesi superflui.

Mi piace viaggiare lentamente e mi fa piacere la solitudine. È il mio modo per osservare, capire, conoscere e mi prendo il tempo per pensare e riflettere. Viaggiare non è solamente raggiungere una meta ma gustarsi il percorso passo dopo passo.

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Quando sono arrivato a Savignano mi sono fermato un attimo al ponte sul Rubicone, che Giulio Cesare duemila anni fa’ attraversò con le legioni in armi, sfidando il Senato di Roma. Da quel gesto ebbe origine il grande impero romano. Anch’io attraverso il ponte e come lui grido: “Alea iacta est”!

A Senigallia visito la splendida Rocca voluta dai Della Rovere e ampliata dai Malatesta. Poderosa costruzione rimaneggiata a lungo tra il 1300 e il 1400.

Ad Ancona vorrei tanto visitare il Duomo, dedicato a S. Ciriaco. Passando lungo la costa lo vedo appollaiato sulla collina che domina il mare. È una bellissima chiesa medievale, forse tra le più belle d’Italia. Purtroppo la città è praticamente fuori portata a causa del tremendo terremoto dello scorso anno.

A Pescara visito il porto, con il suo mercato del pesce. Mi piacciono moltissimo i porti, con la loro attività frenetica, con imbarcazioni che partono, altre che attraccano, con le banchine ingombre di reti che anziani pescatori, dalla pelle color cuoio e la sigaretta all’angolo della bocca, rammendano pazientemente. Mi piace osservare i pescherecci che rientrano lentamente in porto. Sono sempre inseguiti da nuvole di gabbiani frenetici che sperano di predare qualche buon boccone. Mi aggiro con piacere nei mercati, soprattutto quelli del pesce e di frutta e verdura: le bancarelle sono come tavolozze dove tutti i colori sono presenti in tutte le loro sfumature. Osservo le persone che vi lavorano: le donne con ampi grembiuli e con fazzolettoni colorati annodati in testa. Uomini maturi con il viso duramente segnato da una vita di lavoro all’aria aperta. In tutte queste persone semplici noto occhi buoni e sereni.

Seduto a fumare un sigaro su uno scoglio, mi incanto a guardare una nave che esce dal porto. Punta verso il mare aperto, verso l’orizzonte, verso quella linea di confine che non si può mai raggiungere, che si sposta sempre più in là mano a mano che si cerca di raggiungerla. Mi piacerebbe essere a bordo di quella nave.

A Termoli mi concedo una breve sosta nel quartiere antico, molto caratteristico, e poi via a inseguire il sud. Nel parabrezza mi viene incontro Lesina col suo caratteristico lago. Abbandono la costa e mi dirigo all’interno, verso San Severo e Foggia. Devo per forza tralasciare il Gargano, seppure splendido, perché mi porterebbe via troppo tempo. Per lo stesso motivo aggiro Foggia, punto su Cerignola e poi mi ricollego alla costa a Margherita di Savoia. Voglio visitare le sue famose saline e vedere i “campi” di sale che luccicano al sole.

Poi è tutta una corsa lungo la costa tra Barletta, Trani, dove mi fermo a visitare la sua famosa e bellissima Cattedrale romanica sul mare, e Bari, Monopoli, Brindisi. Un susseguirsi di bellissime località, splendido mare, caldo sole, voli di gabbiani. Lungo tutto questo percorso viaggio con i finestrini spalancati e l’auto si riempie del profumo salmastro del mare: una brezza che inebria. Entro nel Salento e dopo Lecce arrivo finalmente a Cavallino.

Buoni amici mi attendono.

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Pino ed Elena abitano in una bella villetta e hanno due simpatici figli: Antonio, di circa otto anni, e Valerio, più giovane. Pino è sottufficiale dell’Aeronautica Militare, con base a Galatina, e al mattino è spesso impegnato in servizio. Sono i ragazzi che si incaricano di farmi da guida per tutto il Salento. Con loro è tutto sole, mare, bagni, sabbia e scogli. Tutti assieme visitiamo San Cataldo, San Foca, Gallipoli, Santa Cesarea, Porto Cesareo, Torre dell’Orso. Sono tutti paesi molto belli e meriterebbero più tempo per gustare appieno le loro caratteristiche. Vengo anche a conoscere tantissime persone gentili: sono parenti e amici di Pino ed Elena, che vengono spesso a trovarci.

Bella la Grotta della Zinzulusa, molto interessante e con uno spettacolare ingresso dal mare, tra gli scogli.

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Non si poteva non visitare Lecce, la capitale del Salento.

Ammiro l’antica Cattedrale di S. Maria Assunta e la Basilica di S. Croce, del 1600, dove trionfa l’inconfondibile stile del Barocco Leccese. Poi la vivacissima Piazza Sant’Oronzo, piena di vita.

Nella campagna di Cavallino, Pino mi fa notare un campo che aveva acquistato tempo addietro e dove voleva costruire la sua casa. Al primo colpo di piccone sono emerse le possenti mura megalitiche di un’antichissima città. Naturalmente tutto si è bloccato ed è stato necessario cambiare progetti e zona. Con mio cugino ci sono lunghe chiacchierate a qualsiasi ora e su ogni argomento: dalla politica al lavoro e, soprattutto, di progetti per il futuro sia nostro, sia dei suoi figli. Elena sembra si sia assunta l’incarico di farmi assaggiare tutte le specialità gastronomiche del Salento. Ai fornelli è veramente imbattibile.

Mi concedo solamente due escursioni “in solitaria”. La prima è a Leuca, dove visito il Santuario, in una posizione formidabile. Seduto su uno scoglio, proprio qui al “finibus terrae”, dove tutte le terre finiscono e c’è solo acqua, mi fumo uno dei miei prediletti sigari mentre osservo le acque dei due mari, Ionio e Adriatico, che fondendosi danno origine a tutte le tonalità dei colori tra il verde, l’azzurro, il blu e contemplo il volo dei gabbiani, liberi nel cielo.

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La seconda escursione è a Otranto, dove ammiro la Cattedrale con il suo originalissimo pavimento a mosaico del 1165, con l’Albero della Vita, l’Albero della Storia dell’uomo.

Al ritorno mi spingo fino a Torre S. Andrea, una spiaggia da favola e un mare splendido e ricco di scogli e faraglioni. Calzo le pinne, mi calo sul viso la maschera con il boccaglio, lego ad un polso una leggera e piccola rete nel caso ci fosse qualche cosa di interessante da raccogliere, e mi affido all’abbraccio del mare. Nuoto a lungo, pinneggio lentamente tra i faraglioni godendo di una fantastica visione dei fondali. È tutto un susseguirsi di scogli sommersi, ingressi a grotte sottomarine e anfratti.

Con capriole e colpi di reni mi immergo fino al fondale, in un’acqua cristallina vissuta allegramente da moltitudini di pesci colorati e vivaci che sembrano contenti di accogliermi e mi sorridono. Sulle rocce del fondale, a 5 o 6 metri, vi sono folti banchi di ricci di mare e mi immergo più e più volte per raccoglierli e riporli nella rete che ho portato. Quando è piena ritorno sulla costa. A casa consegno i ricci a Elena che ne fa un uso sapiente per la cena: una pasta dall’intenso profumo di mare.

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Purtroppo la mia permanenza qui è giunta al termine, è l’ora dei saluti. Abbraccio Pino ed Elena e i due cari ragazzi Antonio e Valerio.

Parto alle prime luci dell’alba. Parto avvolto in una nuvola di ringraziamenti, di promesse, di raccomandazioni, e con addosso quel senso di malinconia che è inevitabile quando si lasciano persone amiche, sincere, leali.

Ma è arrivato il momento di tornare, di macinare altri chilometri. Per l’ennesima volta vado a S. Cataldo e da lì dirigo la prua decisamente a nord.

Lascio il Salento che mi ha veramente affascinato coi suoi mari: l’azzurro dell’Adriatico, il blu dello Ionio, il verde intenso del mare di ulivi, queste piante antiche, patriarcali, col tronco contorto e le braccia nodose alzate al cielo. Dopo aver aggirato Brindisi arrivo a Ostuni: bella, bianchissima, incantevole, distesa sulla collina. Mi aggiro tra le vie strette e tortuose, in mezzo al bianco abbacinante delle case interrotto solo dal colore vivido dei fiori sui davanzali e dalle bouganvillee che si arrampicano sui muri. Arrivo in cima alla collina e visito la Cattedrale, in stile tardo-gotico. Ridiscendo ammirando le numerose botteghe di pregiato artigianato locale: lavorazione dei pellami, delle pietre di tufo, del legno di ulivo. In particolare mi piacciono moltissimo le ceramiche, molto originali e coloratissime, che avevo già notato anche a Lecce. Dopo pochi chilometri arrivo ad Alberobello, dove visito la zona più antica, quella dei famosi trulli. Sembra un paese delle favole, con quelle abitazioni particolari, su strade strette e scoscese. È molto interessante, anche se troppo turistico.

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Con un’altra manciata di chilometri mi infilo nello zoo-safari di Fasano. Un ampio territorio visitabile soltanto in auto, con percorsi che attraversano varie zone dove gli animali vivono in libertà. Ammiro giraffe e dromedari, elefanti, orsi e leoni che passeggiano indisturbati o si riposano all’ombra. Le auto, per sicurezza, procedono in carovana, con i finestrini chiusi. Nella zona delle scimmie c’è l’assalto alle auto. A gruppi salgono sul tetto e il cofano delle vetture. Davanti a me, e per mia fortuna, procede una bella auto nuova, rossa fiammante e dalle cromature lucidissime e sfavillanti. Le scimmie snobbano la mia auto, vecchia e sbiadita, e si precipitano su quel bel giochino luccicante: dopo cinque minuti hanno già smontato i tergicristalli e l’antenna. Ne esco sano e salvo e mi dirigo verso Bari lungo la costa e poi attraverso tutto il Tavoliere, con i suoi estesi campi di stoppie giallo-oro: il grano è già stato trebbiato e i preziosi chicchi sono al sicuro.

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A Termoli mi riporto sul mare e seguo la costa. Giungo, la sera molto tardi, a Senigallia. Movimento un po’ le gambe sul viale del lungomare e mangio qualcosa in un piccolo locale scelto tra quelli meno infestati dai turisti. Altra passeggiata, un buon sigaro, e poi parcheggio l’auto vicino alla spiaggia e dormo qualche ora sul sedile. L’alba arriva presto, con la sua luce limpida, e mi offre lo spettacolo del sole che esce dall’acqua e si incammina volenteroso in cielo.

Una sorsata di caffè forte, una boccata di fumo, giro di chiavetta, rombo di motori e via verso casa. Questa volta senza più soste.

A casa mi fermo un paio di giorni, il tempo necessario per cambiare la biancheria nello zaino, prendere altri taccuini e due nuovi libri: questa volta porto con me “Le notti bianche” di Dostoevskij e “La bella estate” di Pavese. Sono sicuro che saranno una buona compagnia nelle ore serali. Aggiungo la giacca a vento, il sacco a pelo e i robusti scarponi da Alpino. La nuova alba mi vede già in marcia verso la via Emilia, che questa volta imbocco nella direzione contraria, verso nord-ovest: le Alpi mi stanno invitando.

Dopo aver superato Modena è la volta di Reggio Emilia, Parma, Piacenza, sempre aggirando le città su strade secondarie per perdere meno tempo. Imbocco il ponte sul Po, il mitico fiume Eridano dove precipitò e si inabissò il carro alato di Fetonte. Attraverso la zona del Lodigiano, riesco a schivare Milano e mi dirigo verso Lecco.

Quando arrivo è ormai sera e io mi sento già a casa. Da qui fino alla Svizzera è tutta terra da me ben conosciuta e percorsa innumerevoli volte. Mi fermo sul lungolago e mi sgranchisco le gambe. Sono in piena terra manzoniana e tutto qui richiama “I promessi sposi”. Nel piccolo porto vi sono un paio di caratteristiche barche lariane. Sono le “batèl”, imbarcazioni usate per la pesca, con tre cerchi in legno che sormontano lo scafo e sui quali si può stendere un telo cerato in caso di maltempo. Sono anche chiamate “barche di Lucia” perché è su una di queste che, nel romanzo del Manzoni, la protagonista riesce a fuggire.

Mangio qualche cosa in una osteria vicino al porto, fumo con calma un sigaro in riva al lago mentre osservo il via vai dei vaporetti che attraccano, poi rimetto in moto l’auto. Nel cielo notturno ormai la luna si è già arrampicata al suo posto e ha raggiunto le stelle che mi fanno l’occhiolino. Proseguo lentamente sulla stretta e tortuosa strada costiera che attraversa tanti piccoli borghi silenziosi e deserti in queste ore notturne: Lierna, Varenna, Bellano, Dervio e arrivo a Colico.

Parcheggio nella piazzola del porticciolo, di fronte a una casa con il portone grande e il balconcino in ferro battuto. È una notte speciale, fantastica. L’aria è tiepida, il cielo è pieno di stelle e la luce della luna disegna una lunga scia d’argento sull’acqua del lago.

Dal finestrino aperto entra l’odore caratteristico di terre bagnate dall’acqua unito al profumo dei fiori. La sponda a settentrione è chiusa da una bella corona di monti che si stagliano, scuri, a chiudere l’orizzonte. È proprio per la bellezza e la magia di notti come queste che 25 anni fa’ scelsi di nascere proprio qui e proprio in quella casa con il portone grande e il balconcino in ferro battuto che sto ora contemplando.

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Seduto, penso e rifletto nel silenzio. Amo e ho sempre cercato il silenzio perché così posso guardare meglio dentro me stesso, conoscermi, capirmi e capire.

Mi riposo in auto, per queste poche ore che appartengono ancora alla notte.

L’alba giunge velocemente, con il sole che sorge dietro il Legnone, il monte che con i suoi 2600 metri protegge Colico.

Questa montagna è stata la mia prima, vera, escursione. Mi accompagnò fino in cima mio padre con alcuni suoi amici, anche loro della Guardia di Finanza, nella notte di S. Giovanni, la notte dove sulla montagna tradizionalmente si accendevano i falò propiziatori. Avevo sei anni e fu il mio “battesimo delle cime”.

Guardando verso il lago vedo che sui pali di attracco, in mezzo all’acqua, è appollaiato un bel gabbiano. Chissà, forse mi ha seguito fin qui dal Salento. Ci guardiamo, gli sorrido, e lui apre le ali e si lancia in un nuovo volo.

Riparto da Colico e inforco la Statale 38 che mi porta nella bella Valtellina costeggiando il corso del fiume Adda. Passo i paesi di Morbegno, Berbenno, Colorina, Castione e finalmente arrivo a Sondrio, adagiata sul piano e contornata da alte montagne. Attraverso il torrente Mallero e mi inerpico fino alla frazione di Ponchiera, dove parcheggio l’auto vicino al lavatoio pubblico e finalmente posso abbracciare i miei carissimi nonni.

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Mi fermo tranquillo per alcuni giorni e aiuto i nonni in piccole incombenze: qualche riparazione, qualche lavoretto nell’orto e cose del genere e chiacchieriamo a lungo. Come sempre il nonno mi prepara una sontuosa polenta taragna rimestata nel paiolo di ghisa e cotta su fuoco di legna, proprio come si conviene. Alla sera lo accompagno all’osteria di Carla, dove guarda giocare a carte e parla con gli amici, e io mi rilasso chiacchierando con i figli di Carla, che conosco da tanto tempo, sorseggiando un bicchiere di vino rosso e fumando in tranquillità.

Tra i tanti parenti si sparge la notizia del mio arrivo e chi può viene a trovarmi: tanta gente che mi dona il suo affetto, naturalmente ricambiata profondamente.

Una giornata la dedico a passeggiare per Sondrio, che conosco molto bene. Fin da piccolo ho calcato queste strade belle, pulite, larghe e ordinate. È molto piacevole camminare qui, tra la “Piazza Vegia”, la piazza Garibaldi, i corsi principali e il Lungo Mallero, e visito la bella chiesa parrocchiale.

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Pochi chilometri fuori città, sulla strada per Tirano, mi fermo all’osteria del Grumello, dove pranzo con buoni formaggi di baita, pane di segale e salumi misti locali, il tutto annaffiato proprio con dell’ottimo Grumello, rosso e robusto. Torno in città dove ricomincio a passeggiare fumando il sigaro e cercando di smaltire il pranzo. Vicino alla stazione ferroviaria c’è una bella libreria che non manco mai di visitare, anche perché è specializzata in carte topografiche dei sentieri e rifugi della zona e che io utilizzo per le mie escursioni.

Con le cugine Alda e Lucia organizziamo una gita all’Abbazia di Piona. È vicina a Colico, in una bellissima posizione sul lago: un antico monastero cluniacense, con una chiesa del XI secolo e affreschi che risalgono al XIII secolo. Il chiostro, quadrato, ha un portico in stile tardo-gotico ed è ornato da tante colonnine dai capitelli ben lavorati. Come in ogni abbazia che si rispetti, anche qui i monaci lavorano sapientemente le erbe e riescono a preparare buoni prodotti naturali e gradevoli distillati.

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Durante il ritorno sento Alda che prima urla e poi si mette a ridere divertita: nel salire in auto si è spostata la pedana che ricopre il fondo e ora sta ammirando, stupita, l’asfalto che scorre sotto di noi.

Rimetto tutto a posto e continuiamo a ridere fino a casa.

Lucia è in partenza per Campo Franscia, piccola borgata della Valmalenco, dove gli zii hanno affittato una casa per le vacanze, e mi invita ad andare a trovarla.

Il giorno dopo parto anch’io per la Valmalenco e da Sondrio vado a Chiesa, Lanzada e poi arrivo a Campo Franscia, a 1500 metri di altezza. Arrivo nel tardo pomeriggio e dormo nel mio sacco a pelo, su una branda nella loro casa.

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Al mattino ci mettiamo in cammino: escursione al rifugio Capanna Marinelli. Scarponi, giacca a vento, zaino in spalla e ancora una volta la bellezza di rimettermi in marcia. Lucia è una brava scalatrice, io sono ben allenato e insieme riusciamo a tenere un passo sostenuto. Prima tappa: Campo Moro (1990 m.) poi, oltre la diga, scarpiniamo lungo il Vallone di Scerscen, tra rocce e alberi, fino al Lago Forbici, sotto l’imponente Pizzo Scalino. Continuiamo a salire spediti tra rocce e massi e arriviamo infine al rifugio Capanna Marinelli (2813 m.) col suo bel piazzale e l’altarino della Madonna della Montagna. Il sentiero è stato buono, anche se ripido, e il dislivello di 1300 metri si è fatto sentire, ma la visione è spettacolare: di fronte a noi si erge il Gruppo del Bernina, con i suoi 4040 m. e gli splendidi ghiacciai.

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Ridiscendiamo a Campo Franscia e dopo un caloroso saluto a Lucia rientro a Ponchiera.

Il giorno dopo devo fare un po’ di rifornimenti e parto per Tirano. Alla frontiera le solite pratiche: patente, carta d’identità, libretto auto e carta assicurazione, ecc. e finalmente entro in Svizzera.

Supero Campocologno e arrivo a Poschiavo, con il suo gradevole lago. Su questa strada bisogna fare molta attenzione perché il treno passa sulla carreggiata delle auto ed è facile essere affiancati da un convoglio ferroviario in marcia. Sono venuto fin qui perché la benzina, i tabacchi e molti altri prodotti costano quasi la metà non avendo tutte le tasse imposte dal nostro esoso governo.

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Faccio il pieno di benzina e compero qualche confezione di sigari, tabacco da pipa e una stecca delle favolose Turmac. Sono sigarette turche non commercializzate in Italia, sono ovali, con filtro e confezionate in scatolette piatte, bianche ed anche eleganti. Buon tabacco che posso fumare solo quando vengo in Valtellina.

Naturalmente prendo qualche cosa anche per i miei nonni e poi faccio un giretto attorno al lago. Scatto anche una foto alla mia “600” parcheggiata sotto il pennone con la bandiera svizzera. Se lo merita, non pensavo mi potesse portare fin qui dalle lontane terre del Salento.

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Lascio, sul sedile accanto a me, un sacchetto con i prodotti consentiti per il passaggio in dogana e nascondo l’eccedenza di tabacco nella imbottitura dello schienale dei sedili posteriori. Rientro in Italia senza problemi.

Ultima notte coi miei cari e parto al mattino presto dopo lunghi e affettuosi saluti. Riprendo la strada verso Tirano e a Tresenda mi dirigo verso il Passo dell’Aprica. Salgo lentamente tra prati e boschi. Dal Passo inizia una lunga discesa verso Edolo e la Valle Camonica. Proprio di fronte, dall’altra parte della vallata, s’innalza maestoso e bellissimo l’Adamello. Mi infilo sulla Statale 42 e dirigo verso Capo di Ponte dove trovo l’ingresso al “Parco delle incisioni rupestri”, che da tempo desideravo visitare.

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In un’ampia zona verde, incastonata tra le montagne, vi sono innumerevoli massi sui quali sono stati incisi simboli tribali, religiosi, scene di caccia e di vita comunitaria. Le incisioni più recenti sono datate al I millennio a.C., le più antiche all’VIII millennio, sono state realizzate dalla popolazione locale: i Camuni. Questi massi, levigati dai ghiacciai, sono diventati un’ottima lavagna sulla quale i nostri antichi progenitori hanno lasciato un messaggio alle generazioni future. Si calcola che le incisioni siano più di 200 mila. Mi aggiro a lungo tra questi massi, osservando con attenzione figure così ben stilizzate da ritenerle ben più interessanti ed attuali di tanta nostra arte moderna. Penso a quanta Storia sia racchiusa tra questi monti e raccontata da queste pietre. Mi vien quasi da ridere pensando alla stupidità di credere in un’unica e pura razza italiana (o “italica” come era di moda dire tempo addietro). In questa mia scorribanda estiva ho attraversato le terre di Villanoviani, Longobardi, Celti, Retii, Etruschi, Piceni, Osci, Umbri, Dauni, Iapigi, Messapi, Sanniti, Apuli, e ora questi bravi Camuni. Se l’Italia è così interessante dal punto di vista culturale, storico, artistico, è proprio perché alla sua origine vi è una insalata mista dei geni più diversi, un DNA speciale, frutto di sapiente e forsennata mescolanza.

Riparto verso Sud, all’appuntamento con il Lago d’Iseo, che costeggio sulla sua sponda orientale.

Dopo i paesi di Darfo e Pisogne, arrivo a Iseo. È un bel paesotto di lago, piacevole da visitare e mi gusto ancora un poco l’aria del lago e delle montagne, già qui molto più basse, e mi attardo ad osservare le ultime vele che ancora scivolano sulle acque in queste ore del crepuscolo.

Qui a Iseo sono sempre finite le mie vacanze vere e proprie. Da qui in giù è tutta una tundra anonima che ruba le acque e le montagne che mi sono care. Per carità, le città della Padania sono interessanti e quando posso le visito spesso e volentieri ma non possono certo competere con il Bernina, l’Ortles, il Cevedale, il Gran Zebrù, lo Stelvio e tutto quanto trovo sulle Alpi.

Mi sono attardato tra le incisioni rupestri ed ormai è quasi buio. Piuttosto che fermarmi in pianura preferisco sostare qui sul lungolago e godermi, ancora per un po’, questa bella brezza che scende dai monti.

Una semplice e gustosa cena in un’osteria del porto e poi una passeggiata sulle rive.

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Dormo in auto, col profumo del lago che entra dai finestrini e si mescola con l’aroma del mio buon tabacco.

Alla mattina presto riparto, lascio il lago, lascio le montagne e mi incammino verso la pianura. Aggiro Brescia, punto su Castiglione delle Stiviere, circumnavigo Mantova e veleggio verso Ostiglia dove trovo il ponte sul Po. Ormai sono nel pieno della pianura Padana e il caldo, l’umidità, l’afa intensa mi avvolgono come un sudario. Dopo Bondeno arrivo a Ferrara e da lì ormai il passo per arrivare a casa è breve e concludo questo lungo girovagare nella forte calura di un pomeriggio estivo.

Il viaggio è terminato, le giornate di ferie sono terminate, ciò che non termina è il desiderio di ripartire, di sgranare chilometri per vedere, capire. Ma prima di poterlo rifare sono necessari nuovi lunghi mesi di lavoro, di studio, di impegno.

Ma anche questo è bello, mi piace il mio lavoro e domani, puntualmente, sarò al mio posto.

Con impegno. Come sempre.

Ma nel mio cuore, non posso negarlo, c’è un posto segreto dove un gabbiano è sempre pronto a sorridere, dispiegare le ali e partire per un nuovo volo.

Tra Puglia e Valtellina, agosto 1973

Il volo del gabbianoultima modifica: 2020-07-20T19:30:53+02:00da Francesco.saldi

1 commento


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    Ciao Francesco, sei un nuovo amico di Facebook, ma ci conosciamo da ….i conti li farai tu ! Ho letto il tuo blog per la prima volta e l’ho letto tutto d’un fiato , è bellissimo !!! Con un ritmo veloce ma esaustivo e velato di … romanticismo !?!?! Basta , lo scrittore sei tu ! E per me , veramente bravo ! Da ora hai una nuova “fan”?!!!!!

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