Scarponi in marcia

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Finalmente arrivati!

Siamo partiti presto da Molinella ma il viaggio è lungo e solo ora, nel tardo pomeriggio, arriviamo a destinazione: Bormio, in Valtellina, dove abbiamo deciso di trascorrere due splendide settimane di ferie.

Sono con buoni amici: Giovanna, Gabriella, Renato e Pietro. Abbiamo viaggiato in carovana con due Fiat 500 cariche di valigie, zaini, scarponi e una damigiana di vino (per ogni evenienza). Abbiamo prenotato un appartamento a Cepina, a tre o quattro chilometri da Bormio, che ci servirà da campo base per le escursioni, ricovero notturno e poco altro, visto che l’intenzione è di vivere il più possibile all’aria aperta.

Passiamo la serata sistemando l’alloggio e organizzando la permanenza distribuendo compiti e mansioni.

All’alba del primo giorno mi alzo presto e, senza fare rumore, vado ad acquistare il pane fresco per la colazione. Poi propongo una passeggiata in montagna, poco impegnativa, giusto per prendere confidenza con l’ambiente e capire come impostare le giornate seguenti.

Bormio 2000

Con le auto andiamo a Bormio, fino all’inizio della salita per Bormio 2000, che dista una decina di chilometri. Zaino in spalla, ci mettiamo in marcia, tornante dopo tornante. Capisco che i tornanti possano risultare un po’ noiosi ma sono essenziali per attenuare la ripidità della salita. Gli amici si fanno trascinare da un travolgente entusiasmo che li porta a tagliare i tornanti e salire in linea retta, ignorando i miei avvertimenti. Un errore che pagano un po’ caro: a Bormio 2000 ci arriviamo ma loro hanno le gambe troncate dalla fatica e le esclamazioni più ricorrenti sono: “basta, basta, basta!”.

Ci riposiamo su un pascolo, all’ombra degli abeti, cercando di riprendere il controllo del respiro. Per il pranzo abbiamo portato nello zaino il fornelletto a gas, da campeggio, e una pentola dove far bollire l’acqua per la pasta. Ci accorgiamo ben presto di un inconveniente tecnico: a 2000 m. di altezza l’acqua bolle molto prima dei 100 gradi e la pasta non riesce a cuocere completamente. Accantoniamo quindi questa tecnica e da questo momento i pranzi all’aperto saranno a base di pane, salumi e formaggi locali. Oltre, naturalmente, al vino che ci siamo portati dietro e che non mancherà mai nei nostri menù.

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Dopo un adeguato riposo cominciamo a scendere a valle e questa volta tutti mi seguono lungo i tornanti, ma Giovanna e Gabriella, particolarmente provate, decidono di fare l’autostop e si fanno portare a valle da un’auto di passaggio.

Come primo giorno non è stato proprio un trionfo ma certamente avremo giornate migliori.

Per stemperare la fatica della montagna decidiamo di alternare giornate di camminate a gite più agevoli e riposanti.

Cepina e Bormio

Cepina è una frazione di Bormio, una piccola borgata lungo il corso del fiume Adda. Famoso è lo stabilimento della “Levissima”, l’acqua minerale che qui viene controllata, imbottigliata e spedita ovunque. Il direttore della fabbrica è di Molinella, amico del padre di Giovanna, e proprio con il suo interessamento ci è stato possibile affittare lo spazioso e ben tenuto appartamento che occupiamo.

Il direttore ci invita a visitare il suo regno, cosa che facciamo molto volentieri e con vero interesse. Ci accompagna in tutti i reparti e anche nella zona dove grosse tubature trasportano l’acqua minerale dalle sorgenti in quota, sulla Cima Bianca.

Al mattino visitiamo la fabbrica e al pomeriggio il paese di Bormio, che è proprio la capitale dell’Alta Valtellina, a 1225 m. di altezza.

Paese importante non solo turisticamente ma anche dal punto di vista storico per il transito di popolazioni e merci tra la Svizzera e l’Italia fin dall’antichità. E’ adagiato nella Valle dell’Adda e alla confluenza della Valfurva, Valle Cadolena e Valle del Braulio. A Nord si alza, imponente, la Cresta di Reit, a Est la Cima Bianca e ad Ovest il San Colombano.

Il nucleo vecchio del paese è percorso da stradine strette e tortuose che si insinuano tra case e palazzi antichi e decorati, esternamente, con affreschi del XV e XVI secolo.

Nella piazza principale troviamo una strana costruzione: una tettoia, di massiccio legno, sotto la quale sono disposti sedili di pietra. E’ il “Kuerc”, il luogo dove anticamente si riuniva il Consiglio degli Anziani per deliberare e amministrare la giustizia.

Sopra l’abitato, sulla montagna, vi sono le grotte dei Bagni Vecchi, dove sgorgano acque termali e leggermente radioattive, famose fin dall’antichità. Anche Plinio il Giovane frequentava queste terme.

Passeggiamo a lungo e piacevolmente per il paese.

Rifugio Branca

Raggiungiamo in auto S. Caterina Valfurva e poi imbocchiamo la strada stretta e sterrata che percorre la Valle del Forno. Dopo le baite di Ressamoga, Cerena e Campec, arriviamo alla Baita del Forno (2300 m.) dove lasciamo le auto e ci prepariamo a camminare. Siamo nel cuore del Parco Nazionale dello Stelvio e nel cuore della Valtellina.

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Partiamo in fila indiana, zaino in spalla, e dopo un poco risento con piacere un suono conosciuto e amato da tempo: scarponi in marcia!

Fino a un anno fa, o poco più, questo suono era la colonna sonora delle mie giornate quando, da Caporal Maggiore degli Alpini, portavo la mia squadra sui sentieri del Friuli oppure, durante la notte, la portavo di pattuglia sul confine tra Italia, Austria e Jugoslavia.

Mi volto e guardo con affetto questa nuova squadra: cari amici allegri e indisciplinati. Applico, al nostro andare, il ritmo alpino: cinquanta minuti di marcia a passo lento e cadenzato, e dieci minuti di sosta in piedi. Questo ritmo fino alla meta. E’ una strategia collaudata da tempo e che fornisce buone garanzie di arrivare al traguardo senza sfiancarsi troppo.

Il sentiero, abbastanza facile, sale lungo il corso del torrente Rosole, tra rocce e prati e dopo circa quattro chilometri raggiungiamo il Rifugio Branca, a 2433 m.

E’ in una posizione bellissima: un balcone con vista mozzafiato sul ghiacciaio del Forno che si staglia, bianchissimo, sullo scuro delle rocce vicine. Il ghiaccio è percorso da crepacci dove, a tratti, assume una colorazione azzurra.

Attorno è tutta una selva di cime molto belle: il Vioz, il Tresero, il S. Giacomo, il Palon de la Mare. Tutte ben oltre i tremila metri di altezza.

Sostiamo per riposarci, rifocillarci e immortalarci in qualche foto.

Contempliamo questa natura bella e incontaminata e nel pomeriggio ci rimettiamo in marcia e ridiscendiamo il sentiero con passo svelto e deciso.

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Cima Bianca

Questa volta a Bormio 2000 saliamo con le auto, che lasciamo nel parcheggio del rifugio, per prendere la funivia che ci porterà a Bormio 3000, sulla Cima Bianca (3012 m.). Una volta saliti ci appare un panorama superbo: dal nevaio candido si domina tutta la Valdisotto, la Valle dell’Adda, del Sobretta e la cima del Vallecetta.

All’interno del nevaio c’è la stazione di prelievo delle acque minerali.

Sostiamo a lungo per ammirare il panorama, poi la funivia ci riporta dolcemente a valle.

Rifugi Pizzini e Casati

Ripercorriamo in auto l’ormai nota strada per la Valfurva e lo sterrato fino a Baita del Forno. Lasciamo le auto e ci prepariamo a una lunga escursione. A causa di problemi a un piede sono costretto a sostituire gli scarponi con pedule più leggere. Gli scarponi li appendo allo zaino, per ogni evenienza, e questo mio nuovo equipaggiamento sarà oggetto di battute ironiche per i secoli che verranno.

Il sentiero che prendiamo va diritto verso Nord e segue il corso del torrente Cedec. E’ un sentiero discretamente ampio, in costante salita, e ci conduce tra le cime Forno e Manzina a sinistra e Monte Pasquale e il Cevedale a destra. Saliamo tra una vegetazione bassa che piano piano si dirada per lasciare posto a rocce coperte di licheni. Poi sono solo rocce e massi erratici.

Dopo circa cinque chilometri arriviamo al Rifugio Pizzini (2706 m.) generalmente molto frequentato perché campo base per numerose scalate ed escursioni in alta quota. Breve sosta per riposarci un poco, pur senza allentare troppo la guardia perché siamo solo a metà strada. Quella più facile.

Si riparte su un sentiero che si è fatto più stretto e ripido, che ci porta a sfiorare i laghetti Cedec per terminare, dopo un chilometro, contro una parete di rossa roccia inclinata. E’ su questa parete che dobbiamo salire, ed è necessario individuare il passaggio che è appena accennato e che sale a zig-zag.

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Questa è la parete Sud-Ovest tra il Passo del Cevedale e Cima Solda. Saliamo molto lentamente, con cautela, aggirando massi di varia grandezza, per un’ora buona. Alzando lo sguardo vediamo che la cresta sulla quale dobbiamo arrivare è ancora lontana e sembra non abbia alcuna intenzione di avvicinarsi. Ma procedendo con costanza ci accorgiamo che ad un certo momento non riusciamo più ad andare oltre, perché non c’è più un “oltre”: il sentiero è terminato, siamo arrivati in vetta.

E’ sempre esaltante arrivare in cima. Quando, chi va per mare, arriva alla meta grida “Terra!”, quando io arrampico e arrivo in cima grido “Cielo!”. Perché per un istante la terra non esiste più, perché sono in cima e sono solo nel Cielo, nel Sole, nel Vento.

Quando ci fermiamo sul crinale abbiamo una visione che ci ripaga di tutta la fatica: dietro a noi la lunga valle di rocce rosse che abbiamo appena risalito; davanti a noi la distesa bianca, abbagliante, immacolata, vasta, del ghiacciaio del Cevedale. Siamo arrivati al Rifugio Casati (3269 m.) e porto subito i miei amici all’interno del rifugio perché a questa altezza è necessario fermarsi per acclimatarsi.

Ci sediamo o ordiniamo un the forte, caldo e ben zuccherato. Servirà per ridare tonicità e calorie, oltre che a recuperare un po’ di fiato e abituarci all’altitudine.

Siamo sul Gruppo Ortles-Cevedale, contornati da cime bellissime unite dalla distesa di diversi ghiacciai che arrivano a intrecciarsi per formare un’unica meraviglia. Questo è il ghiacciaio più vasto d’Europa e interessa le vallate tra Solda, la Valle Martello e la Valtellina. Qui confluiscono e si fondono le vedrette dello Zebrù, del Cedec, del Rosole, della Forcola, del Cevedale e quella de La Mare.

Alla nostra sinistra spicca, inconfondibile, il Gran Zebrù e a destra si alza, imponente, il Cevedale. All’orizzonte lo sguardo si perde su una distesa ininterrotta di cime innevate e picchi rocciosi.

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Dopo doverose esclamazioni di stupore, azzardiamo una passeggiata sul ghiaccio e la neve. Il tempo passa in fretta e giunge anche il momento di ritornare a valle, anche se a malincuore. La strada è lunga e da qui alle auto abbiamo un dislivello di oltre mille metri, non è poco.

Cominciamo a scendere con cautela sull’invisibile tracciato percorso alcune ore prima. Arriviamo a casa stanchi e sudati ma contenti perché abbiamo portato a termine una impresa importante.

Ponchiera

Non si può dire di conoscere bene la Valtellina senza aver gustato il suo piatto principale: la polenta taragna, cucinata usando farina di mais, farina di grano saraceno, tanto burro e formaggio di malga.

Decido di portare i miei amici nel posto dove si mangia la migliore “taragna” di tutta la valle: a casa di mio nonno Luigi.

Una mattina prendo una delle auto e scendo fino a Sondrio, risalgo la Valle del Mallero fino a Ponchiera e arrivo a casa dei nonni per organizzare l’incontro.

Vengo sempre accolto con gioia, come il figliol prodigo che finalmente ritrova il cammino di casa. Mi fermo qualche ora e in casa trovo anche mia madre e le sue sorelle: Romilde, Speranza ed Anna. Tutta la famiglia è felicemente riunita e organizziamo la giornata da trascorrere assieme al mio gruppo.

Puntualmente, dopo un paio di giorni, arriviamo tutti per pranzo. Nel cortiletto davanti alla casa è stata preparata una lunga tavolata, il nonno ha già acceso il fuoco nell’orto e sta mescolando con lena la polenta nel grande paiolo di ghisa. Fra poco una gustosa e fumante “taragna” sarà pronta da portare in tavola.

Prendo in consegna le chiavi della cantina: un antro scavato nella viva roccia, dove al centro troneggia una solenne damigiana di fresco vino. Spillo due fiaschi di buon Rosso Valtellina che daranno il giusto tocco alla polenta e ai formaggi e salumi che seguiranno.

Facciamo felici i nonni spazzolando amorevolmente il tutto.

Dopo pranzo tutti assieme, amici e parenti, facciamo una lunga passeggiata fino a Caparé, piccolo villaggio sul torrente Mallero, dove l’acqua scende veloce e spumeggiante dal ghiacciaio Forno e porta con sé una fresca brezza che ristora e tonifica. Verso sera, dopo abbracci e saluti, ripartiamo per Bormio.

Qui, comunque, io tornerò presto perché questa è la mia terra e qui c’è una parte importante delle mie radici.

Rifugio V Alpini

E’ l’alba quando ci inoltriamo nella Valfurva. Dopo S. Antonio saliamo a Madonna dei Monti (1500 m.) piccolo e silenzioso borgo tra il verde dei pascoli.

Lasciamo le auto e ci incamminiamo lungo il sentiero della Valle dello Zebrù.

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Il percorso è agevole e segue il torrente Zebrù. La meta è il Rifugio V Alpini (2877 m.) sul ghiacciaio dell’onnipresente Gruppo Ortles-Cevedale.

Il sentiero descrive un ampio semicerchio lungo la valle e sale costantemente ma in maniera non troppo esasperata, tra pascoli e abetaie. Diverse volte dobbiamo attraversare il torrente, saltellando tra i massi.

Dopo circa sei chilometri raggiungiamo Baita Pastore (2168 m.) dove ci riposiamo un po’ e cerco di convincere gli amici a non sedersi, ma alcuni sono troppo stanchi e torna a farsi sentire l’invocazione “basta, basta, basta!” di altre occasioni. E’ un ammutinamento generale. Ci si siede, ci si rilassa e dopo poco dagli zaini cominciano a spuntare i panini imbottiti del pranzo.

Tengo per me la certezza che al rifugio non ci arriveremo mai. Almeno non questa volta.

Dopo esserci riposati e dopo aver dato fondo alle riserve alimentari e al bottiglione di vino, tra chiacchiere e risate, ci rimettiamo in marcia. Dalla Baita Pastore prendiamo a sinistra, verso la valletta del Rio Mare, che sale molto ripida. Al fondo della valle, in alto su una cresta rocciosa, si può già vedere il tetto del rifugio. Ma il pranzo e la lunga sosta ci hanno tagliato le gambe. Quel tetto così in alto e ancora così lontano assume il valore di un miraggio tibetano, di distanze himalaiane, e toglie le ultime energie.

Decidiamo di tornare sui nostri passi, di far marciare i nostri scarponi in discesa, verso la valle. C’è una leggera tristezza per la meta mancata ma è presto fugata da battute, commenti e allegre risate.

Abbiamo comunque camminato a lungo tra boschi e prati, torrenti e cime, stiamo bene assieme e non cerchiamo nulla di più.

St. Moritz

Splendida notizia: il nostro amico Roberto arriva da Molinella e per qualche giorno si aggrega alla nostra compagnia.

Organizziamo una gita in treno fino a St. Moritz, in Svizzera.

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Scendiamo a Tirano e alla stazione ferroviaria saliamo sul famoso “Bernina Express”, il treno più lento d’Europa, sulla rete ferroviaria più alta d’Europa, con un percorso che affronta un dislivello di 1800 m.

Partiamo da Tirano (429 m.) e dopo poco arriviamo a Campocologno, stazione di confine e controllo documenti: si entra in Svizzera, nel Cantone dei Grigioni.

A Campascio i binari cominciano impennarsi e la salita diventa laboriosa. A Brusio possiamo osservare il famoso viadotto elicoidale, dove il treno sembra quasi girare in tondo, come in una giostra, per prendere lo slancio per salire più in alto.

Passiamo da Le Prese e arriviamo al lago di Poschiavo. Con la stazione di Alp Gruum, siamo già a 2000 m. di altezza, con un bellissimo scorcio sul Piz Palù. Poco dopo tocchiamo il punto più alto del viaggio: l’Ospizio Bernina. Siamo a 2253 m. e questo è praticamente lo spartiacque delle nostre Alpi. Qui abbiamo tre laghetti: due di origine glaciale ed uno creato da una diga. L’acqua di quest’ultimo scende fino al mare Adriatico, quella dei laghetti glaciali raggiunge il Mar Nero.

Da qui la vista è spettacolare: una bellissima visione dei ghiacciai del Diavolezza e del Piz Bernina che si fondono in un unico manto bianco.

Il treno riparte e comincia a scendere nell’Alta Engadina, lungo la vallata del fiume Inn.

Dopo Pontresina il treno entra trionfante nella stazione di St. Moritz (1856 m.).

Questo è un antico villaggio, diventato famoso nel periodo de La Belle Epoque per le sue acque termali ed è oggi un rinomato centro turistico di alto livello.

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Passeggiamo un po’ per il Dorf, le vie del centro, ma è tutto un susseguirsi di hotel, ristoranti e negozi di lusso. Ci spostiamo a passeggiare nel Bad, la zona del lago circondato da prati ben curati.

Nel pomeriggio è necessario tornare in stazione e risalire sul treno per Tirano. Un viaggio molto interessante soprattutto per la spettacolarità dei ghiacciai sfiorati dal treno.

Rifugi Pirovano e Livrio, allo Stelvio

Decidiamo di portare Roberto al Passo dello Stelvio e visitare i rifugi della zona.

In auto ci dirigiamo nella Valle del Braulio e iniziamo una salita piuttosto ripida. Questa strada sembra disegnata da un cartografo ubriaco: è una serie infinita e continua di tornanti. Naturalmente non sarebbe possibile fare diversamente per smorzare la ripidità della strada, però mette a dura prova l’abilità degli autisti.

Arriviamo al Passo dello Stelvio (2760 m.), parcheggiamo e dopo una breve passeggiata per il villaggio, prendiamo la funivia per il Rifugio Pirovano (3050 m.) costruito sulla vedretta Piana, sotto cima Negler. L’altezza e la posizione ne fanno una buona scuola estiva di sci.

Riprendiamo la funivia e raggiungiamo il Rifugio Livrio (3174 m.) sul bellissimo ghiacciaio del Madaccio, sotto il monte Livrio e, sullo sfondo, il monte Cristallo con la vedretta dei Vitelli. Anche questa è una famosa scuola estiva di alpinismo.

Ci sediamo, a riposare e per acclimatarci, sul grande terrazzo del rifugio. Poi scendiamo con cautela sul ghiacciaio per una passeggiata e ammiriamo un panorama unico: cime di roccia e ghiaccio, il manto candido delle vedrette e l’azzurro dei crepacci nel ghiaccio. Dopo la passeggiata, verso sera, dobbiamo per forza riprendere le funivie e rientrare.

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Livigno

Chi viene in Valtellina non può non recarsi, almeno una volta, a Livigno, la zona extradoganale dove si possono fare acquisti (generalmente benzina per le auto, liquori e tabacchi) a prezzi quasi dimezzati per via di una tassazione particolarmente ridotta.

Con le auto ci portiamo nella Valdidentro verso Semogo. La strada porta inizialmente verso la Val Viola fino ad Arnoga poi, con una serie di curve e controcurve, ritorna saggiamente indietro e si infila finalmente nella Valle del Foscagno, continuando a salire in quota. Mano a mano che si sale si lasciano le abetaie e restano solo pascoli verdi dove numerose mucche brucano allegramente al suono dei campanacci appesi al collo. Poi è il momento delle rocce e dei massi tra i quali crescono solo licheni e rododendri. Molti tratti della strada sono coperti da tettoie paravalanghe.

Al Passo del Foscagno (2291 m.) c’è la caserma della Guardia di Finanza, con il posto di controllo doganale. Da qui si entra nella zona extradoganale e scendiamo lentamente verso il paese di Trepalle (2250 m.) che è anche il paese europeo più alto abitato perennemente sia in estate che d’inverno.

Si scende fino al Passo Eira (2210 m.), sempre in mezzo a cespugli di rododendri e finalmente possiamo già scorgere, giù in basso, Livigno, stretto e lungo quasi cinque chilometri, adagiato nella Valle dello Spol, affluente dell’Inn.

Scendiamo fino al paese (1816 m.) e per prima cosa facciamo il pieno di carburante alle auto, che qui costa quasi la metà. Poi passeggiamo osservando i tantissimi negozi che vendono materiale fotografico e piccoli elettrodomestici, liquori e tabacchi e tante profumerie. Tutti articoli a prezzo agevolato e che in misura ridotta si possono acquistare e portare a casa. Naturalmente vi sono quantitativi da rispettare, pena la confisca della merce e multe salatissime.

Ognuno compera ciò che crede, io mi dedico al tabacco e acquisto sigarette, sigari e tabacco da pipa, pur nei limiti consentiti. Di solito sono meno ligio e so come fare uscire un po’ di merci in eccedenza, ma questa volta mi attengo alle regole. Non voglio creare problemi ai miei amici.

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Dopo una lunga passeggiata e sosta al bar, ci sdraiamo sui prati e contempliamo la bellezza di questa verde vallata, le sue cime e l’attività incessante delle seggiovie che portano turisti in quota.

Nel tardo pomeriggio iniziamo le operazioni di rientro. Alla dogana va tutto bene e con calma ridiscendiamo verso Bormio.

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Nella clessidra che misura il tempo delle ferie la sabbia è ormai arrivata alla fine e fatalmente giunge l’ora di rifare i bagagli, di caricare in auto scarponi, zaini, valigie e una damigiana desolatamente vuota.

Si torna a casa.

Assieme abbiamo fatto risuonare i sentieri con i nostri scarponi in marcia, abbiamo visitato paesi, percorso valli, ci siamo arrampicati verso cime e rifugi in quota.

Abbiamo riempito gli occhi e l’anima di colori: il verde chiaro dei pascoli, il verde scuro delle abetaie, il bianco abbagliante dei nevai e dei ghiacciai, il marrone e il rosso delle rocce, il blu intenso del cielo.

Vivere assieme ad amici sinceri e leali, simpatici e spumeggianti, è stata una bella e felice esperienza.

Tutti noi, con i nostri scarponi, continueremo a marciare sul sentiero che la Vita ci ha tracciato. Non sappiamo se i cammini che siamo chiamati a percorrere si snoderanno affiancati, si incroceranno ancora o se ci porteranno altrove, verso mete ancora ignote.

Comunque vadano le cose sono sicuro che tutti noi ricorderemo con molto piacere queste giornate. Le ricorderemo con affetto e con un pizzico di nostalgia.

Alta Valtellina, agosto 1971

Scarponi in marciaultima modifica: 2020-08-22T12:06:48+02:00da Francesco.saldi