Emozioni Andaluse

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Zaini, sacchi a pelo, tenda e materiale da campeggio. C’è tutto e siamo pronti per partire. Andalusia, arriviamo!

Tutto è cominciato in una calda giornata di fine luglio nell’officina di Luigi, dove mi trovavo assieme a Luigino (tutti Luigi in questa avventura…) che ci informa che suo futuro cognato, parroco di un paesino vicino a Molinella, gli ha affidato un pulmino da utilizzare per le ferie.

Dove possiamo andare? Venite con me?”

Io, scherzando, la sparo grossa: “Tutti a Siviglia!”.

Si guardano, mi guardano, e in coro: “Perché no?”

Già, perché no!

Il pulmino è un Volkswagen 1200: il classico, mitico, bellissimo pulmino della New Age, dei Figli dei fiori. Ha visto tempi migliori e già vissuto tante avventure, ma è amore a prima vista. Smontiamo tutti i sedili superflui e ricaviamo un ampio spazio per la nostra attrezzatura.

Luigi, mago dei motori, controlla e verifica minuziosamente che tutto sia in ordine per la partenza (e stiva anche un po’ di attrezzi e pezzi di ricambio per garantire anche il ritorno). Ora tutto è pronto, mettiamo in moto, usciamo dal piazzale dell’officina e voltiamo a destra, sulla via Provinciale: è la strada giusta per andare a Siviglia. Da Bologna prendiamo l’autostrada fino alla Liguria per poi proseguire su quella “dei fiori”, fino al confine francese.

Chiaramente, non abbiamo il tempo per visitare la Francia, ci limitiamo a correre veloci attraverso Nizza, Marsiglia, Nimes, Montpellier, Bezier, Perpignan. Dalla Cote Vermeille (chiamata così per le sue rocce rosse) transitiamo fino a Cerbere e a Col des Bahistres c’è la dogana. Controllo passaporti, auto, tutto ok: entriamo finalmente in Spagna.

Passiamo per Port Bou, il primo villaggio spagnolo. Siamo sulla Costa Brava, in Catalogna. Dopo Palafrugell arriviamo a Calella, e qui ci dobbiamo arrendere. Salvo brevi soste tecniche abbiamo guidato, alternandoci, ininterrottamente per tutto il giorno. E’ buio ormai da diverse ore e parcheggiamo il pulmino su un prato, fuori dal paese. E’ tanto tardi che non montiamo nemmeno la tenda e decidiamo di dormire all’aperto, nei sacchi a pelo.

A metà della notte i miei due amici spostano i sacchi a pelo all’interno del pulmino, si sentono più tranquilli e protetti. Io preferisco rimanere fuori, all’aperto: il prato è soffice, il cielo è stellato, la brezza del mare è fresca e gentile.

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Ci alziamo presto e partiamo per Barcellona, città interessantissima e moderna.

Parcheggiamo alla Plaza Puerta de la Paz, con il monumento a Cristoforo Colombo. Passeggiamo lungo tutto il Paseo de Colon, che costeggia la Darsena Nacional e poi ci infiliamo nelle Ramblas che percorriamo fino a Plaza de Catalunya. Su questi grandiosi viali si affollano venditori di fiori, di piccoli animali domestici, di volatili e grandi edicole di libri e giornali. Palme ovunque, palazzi e monumenti in stile classico.

Barcellona è la capitale della Regione Autonoma della Catalogna e qui si parlano ufficialmente tre lingue: spagnolo, catalano, occitano.

Dopo Barcellona inizia la Costa Dorada. Da qui in avanti cerchiamo, per quanto possibile, di seguire la costa per tuffarci frequentemente in mare, perché il caldo è veramente notevole.

Passiamo per Tarragona, antica capitale romana ricca di monumenti, che domina il panorama dall’alto di uno sperone roccioso.

Attraversiamo Vinaroz e Castellon de la Plana con l’entroterra coltivato da vasti vigneti che producono vini eccellenti.

La costa è molto bella, anche perché non è sfruttata. Gli stabilimenti balneari sono pochi e le spiagge libere sono estese, lunghe chilometri e quasi selvagge.

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Poco oltre Castellon è proprio su una bella spiaggia sabbiosa e solitaria che piantiamo la tenda per la notte. Ormai siamo al crepuscolo e ci ristoriamo con una lunga nuotata. Quando torniamo a riva, troviamo due persone ad attenderci vicino alla tenda: Guardie Civil, col fucile in spalla e in testa lo strano e caratteristico cappello di cuoio.

All’inizio sono un po’ truci, dopo aver visto i passaporti diventano più affabili e si dichiarano amici dell’Italia. Ci comunicano, però, che in Spagna è proibito campeggiare sulla spiaggia e ci invitano con fermezza a traslocare. Assicuriamo che smonteremo subito il campo e per celebrare la fratellanza italo-iberica stappo una bottiglia di vino e incominciamo a offrire numerosi brindisi e sigarette. L’atmosfera si fa rilassata e parliamo a lungo di città da visitare, di donne, di sport, continuando a fumare e brindare. Quando le guardie ripartono ci scambiamo lunghe strette di mano, pacche sulle spalle e ci autorizzano a dormire sulla spiaggia e ripartire con comodo all’alba. Al mattino ci rituffiamo nell’acqua fresca e poi ripartiamo verso sud, verso Valencia.

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Il nostro pulmino è alimentato sia a benzina che a gas liquido. Anzi, Luigi ha montato una seconda bombola per avere un’autonomia più lunga. Dobbiamo fare rifornimento di GPL ma non riusciamo a trovare distributori. Chiediamo e finalmente ci spiegano che il gas per auto è venduto solamente ai taxisti spagnoli e alle auto dei turisti stranieri e il rifornimento viene fatto solamente presso le raffinerie. Fortunatamente ne abbiamo una vicina e ci presentiano all’ingresso. Documenti e controlli come se fossimo in dogana e poi dobbiamo affidare il pulmino ai tecnici della raffineria che lo postano proprio sotto un immenso serbatoio sferico. Lo collegano direttamente al serbatoio e riempiono una bombola solamente, l’altra no perché non è regolamentare. In tutta l’area pattugliano guardie armate ed è proibito scattare fotografie.

Siamo perplessi, è tutto troppo pericoloso e decidiamo che una volta terminato questo pieno, viaggeremo solo a benzina.

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Dopo Sagunto, arriviamo a Valencia, nella huerta (pianura) del Rio Turia.

Valencia è una città molto antica e, naturalmente, risente della lunga dominazione araba. La parte moderna si rivela con larghe vie, ampie piazze, viali ben alberati. La parte più storica, con bellissimi monumenti: la Cattedrale, del 1262, e il Miguelete, una torre del 1381, alta 65 metri.

Ammiriamo la Lonjia, la gotica sede della Borsa, e il mercato centrale.

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In ogni città non manca mai la Plaza de Toros, dove si svolgono le corride. Sono costruzioni molto belle e caratteristiche anche se io, personalmente, non approvo questo spettacolo.

Alla sera ci rifugiamo sulla riva del mare dove, in una buona osteria, ci viene servita un’enorme paella alla valenciana, con riso, verdura e pesce, cucinata in maniera sublime e che accompagnamo con una bottiglia di buon, fresco vino bianco adatto a questa sera di calda estate.

Usciamo a passeggiare e fumare e nel nostro deambulare notturno capitiamo davanti a un Tablao de flamenco. Non possiamo lasciarci sfuggire una simile occasione. Entriamo, ci sediamo a un tavolo e ordiniamo una caraffa di sangria e ci godiamo lo spettacolo.

E’ un ballo molto antico, basato su tre aspetti: il canto, la chitarra, il movimento. Il tablao è un tavolato di legno che amplifica il suono dei passi di danza. Chi, come me, pratica arti marziali, è abituato ad allenarsi su qualche cosa di molto simile: il tatami. Il flamenco è una strana esperienza, difficile da spiegare ma che affascina. Siamo in presenza di pratiche molto antiche e culturalmente interessanti. Bellissimi sono i colorati ed elaborati costumi gitani delle ballerine. Questo ballo è tipico della cultura gitana dell’Andalusia ed è ormai diffuso, in Spagna, a livello nazionale. Suscita emozioni particolari.

Al mattino, dopo aver aggirato Cabo de la Nao, continuiamo sulla Costa Blanca e superata la moderna Benidorm, arriviamo ad Alicante.

La cittadina si presenta con un bel lungomare dove è possibile passeggiare all’ombra delle palme. Mi restano impressi soprattutto la fontana di Plaza Puerta del Mar e il faro. Amo in modo particolare i fari, se ne avessi la possibilità ci vivrei stabilmente.

La città è dominata dal Castello di Santa Barbara, alto sul colle. Passeggiamo nel Parque de Canaleyas, tra platani e palme.

Riprendiamo la marcia e viriamo verso l’interno per raggiungere Elche, sul fiume Vinalajo. E’ famosa per le migliaia di palme amorevolmente coltivate da secoli.

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Continuiamo verso l’interno fino a raggiungere Mursia, sul fiume Segura. Cittadina molto importante sotto la dominazione araba e più volte sede del loro regno. La visitiamo ammirando la Cattedrale di Santa Maria, in stile gotico, del 1394. Una curiosità: qui in Spagna tutte le chiese importanti, dal punto di vista storico e artistico, fanno pagare un biglietto di ingresso come fossero musei o gallerie d’arte. Francamente non mi è mai capitato altrove.

Lasciata Mursia, passiamo per Lorca e Puerto Lambreras. Siamo tra la Sierra de Almagro e la Sierra de Bedar. Il percorso è piuttosto accidentato, su strade difficili e in un ambiente brullo, ricco di calanchi e miniere abbandonate. Il caldo è sempre più intenso, più cupo, avvolge come un sudario, crea angoscia.

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Questa è la Sierra de los Filabres, terra di pianure brulle che poco alla volta si innalzano in colline desolate e bruciate da un caldo implacabile, che urla. Nel nostro vagare incontriamo solo un villaggio di casette bianche, semideserto, e tra queste costruzioni abbiamo la fortuna di trovare uno spaccio di alimentari. Sta chiudendo ma ci catapultiamo per poter acquistare qualsiasi cosa per il pranzo. Facciamo appena in tempo a comperare le ultime cose rimaste: mezza pagnotta, un piccolo pollo arrosto, una bottiglia di vino tinto. Siamo felici, in mezzo a tanta desolazione ci cembrerà un pranzo di capodanno.

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Riprendiamo il pulmino fedele e ci immergiamo nel nulla di questa natura selvaggia. Non c’è un albero nemmeno a pagarlo. Ci fermiamo all’ombra di alcune rocce roventi e ci dividiamo il pranzo. Il calore è assordande, il silenzio è totale. Non c’è un essere umano, non c’è un animale, non ci sono insetti, non c’è la presenza di alcun volatile, tranne quello arrosto che abbiamo nel piatto. Mangiamo senza parlare, in un silenzio e un abbandono che scoraggiano.

Poco alla volta il nostro pulmino ci riporta verso la costa, verso un ambiente più vivibile e ci conduce finalmente a incontrare il nostro grande amico: il mare!

Lo incontriamo vicino a Motril, sulla Costa del Sol, dove non sprechiamo tempo prezioso: su una baia deserta abbandoniamo il pulmino, i vestiti, tutte le nostre cose, non ci importa di nulla e ci precipitiamo in mare. Non abbiamo la forza di nuotare ma galleggiamo nell’acqua fresca, con la mente vuota, sotto un sole che sta tramontando e che finalmente ci è amico. Restiamo a lungo in acqua, fino a recuperare un briciolo di saggezza.

Poi, in piedi su uno scoglio, fumo un piccolo sigaro consolatorio, in attesa che il sole asciughi le perle d’acqua sulla mia pelle. Vedo davanti a me, nel tramonto, la mia ombra allungata a dismisura e mi torna in mente il ricordo di “L’ombra della sera”, la splendida statuetta etrusca, del III secolo a.C., ritrovata a Velathi, l’antica Volterra, che raffigura un giovinetto lungo lungo come la mia ombra. Opera bellissima che ho avuto la fortuna di vedere e che mi ha affascinato e il suo ricordo mi lascia un vago senso di malinconia.

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Decidiamo di pernottare qui e piantiamo la tenda sulla spiaggia, in barba a tutti i divieti e alle Guardie Civil.

Qui a Motril si sta sviluppando una certa attività balneare e ricettiva: qualche bar, qualche albergo, un po’ di trattorie e osterie. Ancora pochi i negozi. E’ un timido inizio. Decidiamo di premiarci con una cena in una trattoria sul mare: grande insalatona mista, abbondante grigliata di pesce, buona bottiglia di vino. Per recuperare le forze ci facciamo portare buona frutta fresca sotto forma di una grossa caraffa di sangria.

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Siamo su una terrazza all’aperto, finalmente esposti alla brezza del mare, non c’è quasi più nessuno e ci concediamo anche il lusso di una buona fumata rilassante, mentre discutiamo e programmiamo le giornate future. Io accendo uno dei miei sigari e Luigino una delle sue potenti “Gauloises” senza filtro: le zanzare imparano velocemente a starci alla larga.

Al mattino torniamo verso l’interno. La prossima tappa è la splendida Granada, ai piedi della Sierra Nevada. E’ una delle città più prestigiose e suggestive di Spagna, una parte si estende nella pianura e una parte si arrampica sulle colline dell’Alhambra e di Albacin.

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Città elegantissima, con una lunga dominazione araba che ha lasciato splendidi palazzi e monumenti di grande fascino. La visita verte soprattutto sull’Alhambra, uno dei complessi architettonici più celebri, uno dei capolavori mondiali dell’arte. Era già fortezza nel IX secolo, ma trovò il suo massimo splendore nel secolo XIII, sotto il dominio di Mohamed I Alahmar.

Riusciamo a visitare l’Alcazar, con la sala del Mexuar, antica Sala del Consiglio, il Cuarto de Comares, il Patio de los Arrayanes.

Varie sale si susseguono da ogni parte, il Patio de los Leones, e poi torri, giardini, porticati, fontane. Ciò che stupisce è l’ornamento generale di tutte queste costruzioni: ogni parete, pietra, colonna, architrave è finemente cesellata, intarsiata. E’ tutto un immenso, prezioso, bellissimo lavoro di merletto su pietra.

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Attraverso vari giardini si raggiunge il Generalife, il palazzo estivo del Sultano, altra fortezza elegante e piena di fascino.

Passiamo all’Albaicin, il quartiere dei falconieri, con le belle case arabe. Stupisce la grande quantità di acqua che arriva dalla Sierra Nevada e che serve a irrigare, impreziosire giardini e fontane con zampilli e giochi d’acqua. Un sapiente lavoro di ingegneria idraulica. Una visita veramente emozionante.

Torniamo sulla costa e proseguiamo verso Malaga, capitale della Costa del Sol, divisa in due dal torrente Guadalmedina. Sulla collina domina il castello di Gibralfaro. Passeggiamo lungo il Paseo del Parque e osserviamo la bella Plaza de Toros e la cattedrale del 1528, in stile rinascimento andaluso.

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Rientriamo verso Antequera, nella Sierra de Tarcal e dirigiamo su Siviglia dopo aver attraversato la piana di Osuna.

Finalmente arriviamo a Siviglia, la capitale dell’Andalusia, adagiata nella fertile pianura del Guadalquivir che nasce qui, in questa terra, ma sfocia nell’Oceano Atlantico, oltre le Colonne d’Ercole. Avevo promesso ai miei amici di portarli a Siviglia ed ora, finalmente, eccoci qui.

Siviglia è chiamata “città della grazia” per i raffinati monumenti, sia arabi che cristiani, accumulati durante tutta la sua storia millenaria, a partire dai Fenici che la fondarono. Il centro è racchiuso tra il Paseo de Colon, Calle S. Fernando e l’Avenida de Menendez. Qui troviamo la Plaza del Triunfo, con la Casa Lonja (la Borsa) del 1583, in stile rinascimentale.

La cattedrale, la più grande della Spagna, in stile tardo gotico del 1400, è ricca di opere d’arte distribuite nelle varie cappelle e navate, un vero tesoro.

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Visitiamo la Capilla Real, grandiosa opera del 1552, con una grande cancellata, che ospita le tombe di diversi regnanti di Spagna.

Passiamo in rassegna l’Alcazar, il Palazzo Reale, con le costruzioni e gli incantevoli giardini. Ma su tutto questo svetta, solenne ed elegante, l’alta torre della Giralda. E’ il simbolo della città, uno dei minareti più grandi ed eleganti che gli arabi ci hanno lasciato e che dopo la reconquista è diventato campanile cristiano. I quasi cento metri di altezza sono ornati da delicati arabeschi, archi incrociati, bifore. Saliamo fino in cima, dove la vista spazia su tutta la città e si perde nella visione suggestiva delle campagne e delle colline dell’Andalusia.

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Passeggiando ci infiliamo nel Barrio de Santa Cruz, un quartiere veramente caratteristico. Di impianto arabo, è una intricata rete di vie strette, orientate in modo tale da non far mai filtrare il sole e mantenere così un po’ di frescura. Tutto è di un abbagliante bianco-calce sul quale esplodono i colori vivaci dei fiori che ornano le case. In queste stradine, chiuse al traffico veicolare, il silenzio è profondo, totale, quasi meditativo.

Leggermente spostata dal centro vero e proprio, troviamo la Plaza de la Falange Espanola e li vicino percorriamo con calma la famosa Calle de los Sierpes, pedonalizzata, ricca di caffè, ristoranti e negozi. Si passeggia bene anche perché, in giornate torride come questa, la strada viene coperta dai “toldos”, teloni che vengono tirati da una casa all’altra e che la riparano dal sole.

Ci rifugiamo in un fresco e ombroso caffè, dove ci riposiamo un po’ e ordiniamo una fresca e corroborante sangria. Il ragazzo che ce la prepara mostra, appeso al muro, un diploma che lo qualifica come migliore maestro di sangria del mondo. In effetti la caraffa che ci porta è piena di fresco e delizioso nettare. A nostro giudizio il diploma è ben meritato.

Dobbiamo lasciare questa bella ed emozionante città, altre mete sono in attesa dei nostri passi. Puntiamo su Cordova, passando per le cittadine di Carmona ed Ecija, di stile moresco e distese nella pianura ben coltivata.

Anche Cordova è una città molto antica, fondata dai Fenici, per lungo tempo passata ai Romani, poi caduta in mano agli Arabi fino alla reconquista. Siamo nella Sierra Morena, sulle rive del Guadalquivir. Oltre a grosso centro agricolo, questa città è importante per la lavorazione di preziose filigrane in argento.

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Visitiamo la cattedrale, un edificio veramente suggestivo. Al tempo degli Arabi fu la moschea più grande al mondo dopo quella della Mecca. Non ha una facciata vera e propria, in effetti è molto simile a una fortezza. All’interno è tutta una selva di colonne con volte e capitelli. Si parla di 19 navate per un totale di più di 800 colonne: un edificio unico.

Di fronte alla cattedrale, attraversando il Paseo, scopriamo un ponte romano. Voluto da Augusto, è lungo 240 metri e scavalca il fiume con poderosa eleganza.

Il nostro cammino ha già abbandonato il mare da tempo e ora ce ne allontaneremo ancora di più perché la nosra intenzione è quella di puntare al centro geografico della Spagna: Madrid.

Lasciamo quindi l’Andalusia, questa regione veramente speciale, ricca di storia, cultura, opere d’arte eleganti e frutto di civiltà diverse che qui hanno trovato il modo di amalgamarsi, integrarsi. Una regione con città e popolazioni che non possono non affascinare ed emozionare.

Il nostro pulmino si dirige, decisamente, verso nord.

Il traffico è scarsissimo, per non dire inesistente, e il terreno è sempre molto ondulato. In questa zona viaggiamo in mezzo ad ulivi. A El Carpio vediamo, in lontananza, il castello dei Duchi d’Alba. Proseguiamo, in salita, verso Fuencaliente ed entriamo nella Sierra de Alcudia. Saliamo fin quasi a 900 m. di altezza, arrivando a Puerto de Niefla e ridiscendendo lentamente.

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Il territorio ora è molto più desolato: vaste aree steppose, desertiche, sembrano completamente abbandonate. Rarissimi contadini passano lenti con qualche mulo carico di fieno. Non capisco da dove provengano e dove possano andare, dal momento che siamo nel bel mezzo del nulla.

Per fortuna abbiamo preso l’abitudine di viaggiare sempre con il pieno di benzina e con scorte di viveri, acqua e tabacco di riserva: rimanere bloccati qui sarebbe veramente un guaio serio.

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Il caldo è sempre molto intenso, siamo costretti a cucinarci i pasti sul posto, dal momento che non vi è nulla a portata di mano. Un fatto positivo è che incontriamo spesso dei pozzi da dove possiamo pompare e attingere acqua per lavarci e rinfrescarci. Il sottosuolo deve essere molto ricco di buona acqua fresca.

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Scendiamo fino a Purtollano, una cittadina abbastanza grande, dove possiamo fare acquisti per integrare le nostre scorte.

Proseguiamo fino a Ciudad Real, siamo nella regione della Mancha, dove nel 1605 Miguel de Cervantes Saavedra ambientò le gesta di Alonzo Chisciano (Don Chisciotte) e del suo scudiero Sancho Panza. E’ la città più importante della regione e anche qui troviamo una bella cattedrale gotica del XV secolo.

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Si continua su questa strada solitaria, diritta, ondulata dalle colline, perennemente costeggiata da vecchi e malmessi pali della luce in legno, monotona e arsa dal sole. Passato Los Yebenes, arriviamo a Orgaz, poi attraversiamo la Sierra de Nambroca, con il villaggio di Sonseca.

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Finalmente, dopo tanta solitudine, arriviamo a Toledo, sul fiume Tago. Il fiume circonda la città su tre lati, quasi un tenero abbraccio, e noi lo attraversiamo sul Ponte de Alcantara. Siamo nella regione della Nuova Castiglia, a 500 m. di alteza, in una delle città più importanti di Spagna sia da una punto di vista storico che artistico e culturale.

Toledo occupa l’intera collina e la sua sagoma è inconfondibile, con l’Alcazar che domina tutta la piana. I punti interessanti sono innumerevoli e cerchiamo di visitare almeno quelli più importanti e caratteristici.

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La cattedrale è grandiosa, gotica, del 1227. E’ ricchissima di opere d’arte, lei stessa è un’opera d’arte di primo piano. Possiamo ammirare la Cappella Mozarabica, la Sala Capitolare, il Coro e gli Stalli, la Capilla Mayor.

Le tele presenti sono un manuale di belle arti: Tiziano, Guercino, Velasquez, Guido Reni, Zurbaran, El Greco, solo per citarne alcuni.

Dopo l’arte sacra, passiamo a quella civile: l’Alcazar è il castello voluto da Alfonso VI durante la reconquista. Una fortezza poderosa che domina e disegna il panorama della città. Passeggiamo per Plaza de Zocodover, ampia e porticata, ricca di caffè, ristoranti e negozi moderni. E’ la zona del buon passeggio cittadino. Nella Calle del Comercio possiamo ammirare tante botteghe di buon artigianato. Abbiamo anche la possibilità di visitare un laboratorio che fabbrica le famose “lame di Toledo”.

Percorrendo la Calle del Angel, ripida e rettilinea, arriviamo a San Juan de los Reyes, chiesa del 1476. Molto bello il chiostro e l’interno ricco di colonne, capitelli ornati, navate, stucchi dorati a profusione.

Breve visita anche alla casa-museo del grande El Greco, con molti dipinti non solo suoi ma anche di altri importanti artisti.

Torniamo alla Plaza Zacodover e troviamo un buon locale dove sperimentiamo l’ottima cucina della zona e assaggiamo buoni vini. Chiudiamo con una necessaria lunga passeggiata e un buon sigaro. Lasciamo questa piacevole città e ci dirigiamo verso Madrid, che dista pochi chilometri.

E’ a 650 m. di altezza, sull’antichissima Meseta arida e ondulata, sulla riva del Manzanares che nasce nella Sierra de Guadarrama e che dopo aver baciato la capitale si getta nel Tago.

Pur avendo una lunghissima storia alle spalle, la città non conserva molto della sua antichità. E’ decisamente una città moderna, caratterizzata da strade e viali molto larghi, ampi, grandi piazze, estesi parchi.

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Nel nostro peregrinare per la città tocchiamo la Puerta del Sol, con le sue fontane moderne e alcuni palazzi dell’amministrazione pubblica. La Calle dell’Alcalà è una delle vie principali del centro, con banche, alberghi, l’Accademia delle Belle Arti e un piccolo museo con opere pregievoli.

Il Paseo del Prado è uno dei grandiosi viali alberati. A parte la fontana di Apollo, del 1777, è tutto troppo moderno. Riusciamo a intravedere il Cason del Buen Retiro, del XVII secolo, però chiuso per restauro.

Sarebbe interessante poter visitare il Museo del Prado, ricchissimo di opere, ma purtroppo ci vorrebbero troppi giorni a disposizione. A Madrid non c’è ancora nemmeno la cattedrale. E’ in costruzione e al momento ne fa le veci la chiesa di San Isidro, del 1626.

Pittoresca è la Calle de Toledo, dove si può passeggiare per un bel mercato e tra botteghe artigianali. Vasta è anche la Plaza Mayor, completamente circondata da palazzi porticati, del 1619. Nelle viuzze che confluiscono nella piazza si trovano vecchi caffè e bistrot molto caratteristici. Ci sono anche strane friggitorie: cuociono e servono solamente gamberi. Si mangia seduti su alti sgabelli, si sgusciano i gamberi con le mani e si gettano i gusci sotto al tavolo. Da bere: solo vino rosso, tra l’altro abbastanza buono. Si esce calpestando un pavimento pieno di gusci, di carapaci, resti di crostacei. Pittoresco, anche se alquanto strano.

Passeggiamo per la Calle Mayor, per l’Avenida Jose Antonio, passiamo davanti al Palazzo Reale. Cerchiamo di farci un’idea precisa di questa bella, moderna città.

Riprendiamo il pulmino e, dopo una cinquantina di chilometri, arriviamo al Monastero Reale di S. Lorenzo dell’Escorial.

Siamo nella Sierra de Guadarrama e visitiamo questa grandiosa costruzione del 1585. Una struttura che ci presenta 4000 stanze, 16 cortili interni, 15 chiostri, 88 fontane. Possiamo ammirare la Basilica, il Panteon sotterraneo con le sepolture di alcuni reali, le Sale Capitolari, gli alloggi reali ed i giardini.

Al ritorno abbiamo l’opportunità di visitare una tenuta agricola con un piccolo allevamento di tori da corrida. Sono animali molto belli, ancora giovani ma già nervosetti e temibili. Il personale è molto gentile, ci illustrano le varie fasi dell’allevamento e dell’allenamento di questi animali, ma ci è proibito scattare fotografie.

Ci rimettiamo in marcia verso est e la strada scende fino all’antica cittadina di Alcalà de Henares, patria di Miguel de Cervantes, poi risale lentamente per arrivare a Guadalajara, a 679 m., nella valle del fiume Henares. Proseguiamo sulla strada che continua a salire sulla Sierra Ministra, fino ai 1200 m. di Alcolea del Pinar, per poi raggiungere Medinaceli. Anche in queste remote regioni troviamo un arco romano del III secolo.

Scendiamo a S. Maria della Huerta, sul fiume Jalon e raggiungiamo Alhama de Aragorn dopo aver attraversato un paesaggio di rocce rosse. Passiamo Calatayud, l’antica Bilbilis, patria del poeta latino Marziale. Dopo La Almunia di Dona Godina, arriviamo finalmente a Saragozza, capitale dell’Aragona, sul fiume Ebro.

Visitiamo la Plaza de Pilar, con la cattedrale dell’ XI secolo e rifatta in stile gotico. Poco oltre, vicino al fiume, c’è il famoso Santuario di Nuestra Senora del Pilar, che sembra sia stato fondato nell’anno 40 dall’Apostolo San Giacomo.

La città è moderna e vivacissima ma con una lunghissima storia. Possiamo ammiare le testimonianze dei romani, iberici, arabi, andalusi. Una miscela che ne fa un luogo interessante culturalmente e artisticamente.

Una trattoria del centro provvede sollecitamente a confortarci con alcune specialità: prosciutto di Teruel, ternasco con patate (agnello arrosto) e formaggio Tronchon, e naturalmente una bottiglia di Garnacha. Dopo aver stretto la cinghia in tante terre vuote e solitarie, ci siamo meritati un pranzo come si deve.

Lasciamo Saragozza e ci inoltriamo nella valle dell’Ebro, tra colline grigiastre, fino a Bujalaroz e proseguiamo per Fraga e Lerida. Siamo tornati in Catalogna ma ora risaliamo il corso del fiume Segre che ci porterà nel cuore dei Pirenei, nello Stato di Andorra, piccolo Principato indipendente tra Spagna e Francia.

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La capitale è Andorra La Vella, a 1000 m. di altezza, in mezzo a un panorama decisamente alpino: vaste abetaie, picchi molto alti, tanti laghi di ogni forma e dimensione. Per noi che veniamo dalle roventi regioni dell’Andalusia è anche piuttosto fresco.

Nella capitale passeggiamo per Meritxell Avenue, l’arteria principale, ricca di negozi, alberghi, ristoranti e una infinità di banche. Questo è uno dei “paradisi fiscali” dove trovano sicuro rifugio i capitali illegali della malavita e quelli fuggiti dalla tassazione dei propri paesi.

Interessante è la chiesa romanica di Santa Coloma, con il suo campanile stranamente circolare. Siamo nel quartiere storico di Barri Antic.

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Dopo aver visitato un po’ la città ci dirigiamo decisamente verso il confine francese. Una volta superato, scendiamo fino alla cittadina di Foix, piccolo comune del dipartimento dell’Ariège.

Scendiamo ancora verso la costa, che raggiungiamo a Perpignan. Ci siamo ricollegati al percorso iniziale del nostro viaggio. Naturalmente non abbiamo il tempo necessario da dedicare alla Francia, ma pobabilmente sarà la protagonista di una mia prossima avventura.

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Voliamo lungo tutto l’arco della costa meridionale di questo bel Paese, costeggiando un mare fantastico dove, seppur velocemente, troviamo modo di tuffarci volentieri.

Arriviamo al confine con l’Italia e riprendiamo l’autostrada dei Fiori. A questo punto la nostra avventura è praticamente conclusa e appoggio un bacio sulla fronte del nostro fantastico pulmino. E’ stato bravissimo.

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Si ritorna a casa, anche se io, personalmente, concordo con il leggendario viaggiatore Bruce Chatwin: “La vera casa dell’uomo non è una casa, è la strada. La vita stessa è un viaggio”.

E’ stato un percorso di migliaia di chilometri, interessantissimo soprattutto per le emozioni e le suggestioni suscitate dalle città, dalle persone, dal territorio dell’Andalusia. Percorsi estremamente vari tra città molto moderne e stimolanti, bellissimi e raffinati centri ricchi di storia e cultura. E poi le zone steppose, desertiche, a tratti anche desolate e ostili ma di indubbio fascino. Anche perché è in mezzo a spazi silenziosi, vasti e vuoti che, in fin dei conti, si può compiere il viaggio più vero e importante: il viaggio nell’anima, alla scoperta di se stessi.

Spagna, agosto 1975

PS. Purtroppo le diapositive che illustrano questa avventura sono veramente pessime. Ma si sono salvate solo queste: i rullini hanno ceduto al troppo caldo di questo viaggio e si sono deteriorati. Pazienza, il ricordo resta comunque intatto.

Emozioni Andaluseultima modifica: 2020-10-02T21:25:44+02:00da Francesco.saldi