Ritorno nei Balcani

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Tra i minareti di Sarajevo e i campanili di Medjugorje

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Nuove ferie, nuovo viaggio, nuovo equipaggio: mia moglie Raffaella, con Sirio e Andrea, due suoi giovani nipoti. Partiamo a bordo della mia Fiat 131, stipata all’inverosimile (ma quante cose si portano dietro! Io sono abituato al mio semplice zaino da alpino!) con una destinazione a me cara: ritorno nei Balcani. Per entrare in Jugoslavia dall’Italia è obbligatorio avere il passaporto e Sirio, purtroppo, non è riuscito ad ottenerlo in tempo utile per il viaggio. Decido, quindi, di passare dall’Austria, dove è sufficiente la carta d’identità. A Tarvisio mi fermo un attimo a rimirare, silenziosamente, il centro del paese. Qui ci sono venuto tante volte durante il servizio militare negli Alpini, svolto proprio tra queste montagne del Friuli.

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Passiamo il confine austriaco a Villach e ci dirigiamo verso Klagenfurt, capoluogo della Carinzia. Dopo il ponte sulla Drava la strada sale tra pascoli e pinete fino al Loiblpass, a 1369 metri, dove troviamo la frontiera con la Jugoslavia, che anche Sirio può attraversare con i suoi documenti. Questo, per me, è un gradito ritorno. Avevo già visitato la Jugoslavia nel 1972 quando, con i miei amici Renato e Roberto siamo andati prima ad Atene e poi fino ad Istanbul. Un meraviglioso viaggio con la mia Dyane 6.

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Dopo i controlli doganali, piuttosto veloci, scendiamo fino al piccolo villaggio di Ljubelj e poi proseguiamo verso Kranj, centro industriale nella valle della Sava. Per non perdere troppo tempo aggiriamo Lubiana, capitale della Slovenia, e dirigiamo a sud-est. Passiamo Novo Mesto, fondata dagli Asburgo nel 1365, sul fiume Krka, ai piedi del monte Gorjanci. Bella strada tra estesi vigneti. Verso sera arriviamo a Karlovac, in Croazia, alla confluenza dei fiumi Kupa e Korana. Anche qui troviamo una fortezza degli Asburgo e, per fortuna, anche un modesto albergo con due camere libere ed una sala ristorante. Siamo su una piazzetta polverosa e un po’ trafficata perché vi è anche il capolinea di numerose corriere. Vista l‘ora, bisognerà adattarsi.

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Al mattino ricarichiamo i numerosi bagagli e ripartiamo verso Rijeka (la cara “Fiume” italiana) dove desideriamo incontrare il mare. La strada si dipana tra spuntoni calcarei e macchie di pini, con innumerevoli curve e forti dislivelli. Arriviamo, infine, a Rijeka. È la città più importante della costa Dalmata, nel golfo del Quarnaro. Non abbiamo molto tempo per fermarci, ma comunque diamo un’occhiata rapida al quartiere centrale di Stari Grad e al porto, dove c’è un piccolo mercato. Ai due giovani compagni di viaggio raccomando la massima attenzione per non farsi raggirare. Tornano poco dopo e in appena mezz’ora Sirio è riuscito a farsi appioppare una voluminosa scacchiera, con gli scacchi rudemente intagliati in legno. Non ha mai confessato quanto gli è costata! Aggiungiamo anche questa ai numerosi bagagli e ci avviamo lungo la strada costiera, verso Senj. Alla nostra destra il mare, veramente molto bello, è punteggiato di isolette di ogni dimensione. Tra queste spiccano Veglia e Cherso. Oltrepassiamo il paesino medioevale di Buccari, antico porto militare.

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La strada segue le continue rientranze della costa e obbliga a una guida molto attenta, in un paesaggio brullo ma con scorci veramente incantevoli.

Senj è una bellissima cittadina della costa Morlacca, ma dobbiamo abbandonare il mare e dirigere verso l’interno. Dopo Otocac arriviamo, finalmente, a Plitvice. È una delle bellezze naturali più famose e importanti non solo della Croazia ma di tutti i Balcani.

Un Parco Nazionale che si estende per circa 8 chilometri, ad una altezza che varia tra i 450 e i 650 metri. Un complesso di 16 laghi alimentati dai fiumi Crna, Brjela, Rjecica e dal torrente Plitvice. I laghi sono collegati tra loro da una novantina di cascate, alcune alte anche 80 metri, tra rocce, boschi di pini, abeti e faggi. Fortunatamente troviamo due camere proprio all’hotel Plitvice. Depositiamo i bagagli e procediamo a una breve escursione, almeno per avere una prima impressione del posto. È veramente una bellezza naturalistica incredibile.

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L’hotel dispone anche di un ottimo ristorante con buone specialità locali e dove un’orchestrina suona gradevoli musiche balcaniche. 

L’arrivo di un Generale dell’Armata Rossa crea un po’ di apprensione tra il personale. Anche lui cena e poi si ritira in camera per la notte, proprio sullo stesso corridoio dove sono situate le nostre camere. Un giovane militare, il suo attendente, siede in corridoio tutta la notte, a vegliare. Di sicuro possiamo dormire tranquilli anche noi.

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Restiamo due giorni a Plitvice, camminando continuamente su sentieri che si inoltrano tra i boschi, aggirano cascate, contornano laghetti, sorpassano ponticelli. Sui laghi più ampi c’è anche un servizio di navigazione fluviale: piccoli battelli portano i visitatori negli angoli più nascosti e non raggiungibili a piedi. Naturalmente ne approfittiamo anche noi.

Arriva il momento di lasciare il Parco Nazionale e scendiamo fino a Bihac, piccola cittadina della Bosnia, dominata dai resti di un’imponente fortezza turca del XVI secolo e dalla Moschea della Vittoria. Visitiamo alcuni caratteristici negozietti di artigianato raggruppati in un quartiere decisamente orientale.

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Passiamo Obrovac, piccolo villaggio situato sull’ansa del fiume Zrmanja. Su quasi tutti i corsi d’acqua che incontriamo troviamo una discreta affluenza di persone di ogni età, molti naturalmente i ragazzi, che si bagnano, si ristorano, giocano con l’acqua, cercano refrigerio in questa calda estate. Ora costeggiamo i resti di castelli veneziani. In queste zone si trovano reperti di varie popolazioni: turchi, veneti, austriaci, ungheresi. Gli edifici religiosi ne sono una testimonianza ben visibile: chiese cattoliche, chiese ortodosse, moschee islamiche. Da Obrovac passiamo a Maslenica, villaggio sul canale Nausiko Zdrilo che unisce al mare il lago di Novigradsko. Un ponte, molto alto sull’acqua, consente di oltrepassare il fiordo e di iniziare la discesa verso Zadar.

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Continuiamo a scendere verso il mare che ritroviamo, poco dopo, proprio a Zadar. Bella cittadina croata, di impronta veneziana, importante centro della costa Dalmata. Ha una storia antica (fin dal IV secolo a.C.), ricca di monumenti e resti che attestano la sua grande importanza. Tantissime le chiese dai classici campanili veneziani con bifore. È difesa, dalla parte del mare, da un triplice cordone di isole. Ma tutto il mare è costellato di tantissimi isolotti, di tutte le dimensioni, e la costa è molto frastagliata e ricca di strapiombi rocciosi.

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Il susseguirsi di incontri e allontanamenti col mare si riflette anche sulla nostra alimentazione. Nelle numerosissime trattorie troviamo buoni piatti di carne nei territori dell’interno e, naturalmente, ottimo pesce sulla costa. Comunque, quasi ovunque, scopriamo una cucina molto buona e a prezzi contenuti.

A forza di curve e tornanti la strada ci porta a Sibenik, cittadina alla foce del fiume Krka, patria dello scrittore Nicolò Tommaseo. Ci sgranchiamo un po’ le gambe passeggiando nelle strette, tortuose e aggrovigliate stradine del borgo marinaro. In alto, a dominare la città, la poderosa fortezza di S. Anna. Veloce visita alla Piazza della Repubblica, cuore pulsante della vita cittadina, e poi di nuovo in marcia sempre lungo una strada costiera tormentata ma che ci regala notevoli scorci su un mare sempre bello e affollato di scogli.

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Nei pressi di Primosten la strada si allontana dalla costa e ci porta, tra campagne e vigneti, fino a raggiungere Split, l’antica e gloriosa città romana di Spalato. Decidiamo di evitare questa grossa città che ci porterebbe via troppo tempo per essere visitata. Certamente ha notevoli e interessanti monumenti storici da mostrarci ma è anche una città molto industrializzata e già da lontano si notano grosse ciminiere che sporcano il cielo con dense colonne di fumo. La superiamo con un ampio semicerchio e ritorniamo sulla costa a Omis, cittadina rimasta famosa perché dal XII al XIV secolo è stata la base di temuti e feroci pirati.

La strada prosegue alta sul mare e ci porta alla bellissima cittadina di Makarska, con la sua lunga spiaggia di sabbia, il lungomare con tanti negozi e locali e alle spalle una serie di colline di roccia liscia e brulla.

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Ci fermiamo un paio di giorni e il moderno e confortevole Hotel Dalmacija ci fornisce due comode camere e pasti a base di buon pesce. Le cene, generalmente, sono allietate da un gruppo di suonatori che ci intrattengono con tipiche musiche balcaniche.

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Mentre l’allegra compagnia si riposa un po’ in albergo, io vado in esplorazione. Quando sono in viaggio cerco sempre di visitare, osservare tutto il possibile, per abitudine limito al minimo le soste in albergo. Le ritengo tempo sprecato e preferisco camminare, capire, rendermi conto. Alle spalle del lungomare trovo piazzette appartate con mercatini che offrono prodotti della campagna e piccoli manufatti, sempre legati al mondo agricolo.

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Mentre la parte turistica è linda e ordinata, qui l’aspetto è polveroso e un po’ desolante. È questa la parte più nascosta ma più vera della popolazione. Osservo i volti tristi e rassegnati di questi contadini, sguardi dove è presente soltanto la rassegnazione.

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Girovago a lungo tra queste stradine, approfittando anche per fumare un buon sigaro e rilassarmi dalle tante ore di guida. Ritorno, infine, in albergo dove mi attendono per la cena che consumiamo assieme a una numerosa e chiassosa comitiva tedesca. Poi si gironzola visitando il paese. 

La parte turistica offre belle stradine con numerosi negozi di artigianato locale. Con piacere trovo anche un paio di laboratori di grafica che espongono opere interessanti. Spesse volte incrociamo pattuglie di militari che camminano tra la folla, con lunghi sfollagente appesi alla cintura.

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File di abitanti si creano davanti alle numerose cabine telefoniche pubbliche, segno che poche famiglie posseggono un apparecchio telefonico in casa. In compenso le cabine sono tenute molto bene, pulite e in perfetto ordine. Le nostre, in Italia, sono quasi sempre sporche e vandalizzate. Probabilmente il lungo sfollagente dei militari aiuta a mantenere ordine e disciplina.

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Passeggiamo piacevolmente sul lungomare e poi rientriamo in albergo attraversando un folto boschetto di grosse ed alte piante di bambù. Al mattino ci concediamo un fresco bagno nella bellissima acqua dell’Adriatico e poi ripartiamo. Ci dirigiamo a sud, seguendo la costa fino a Ploce, piccolo villaggio dove la Neretva sfocia nell’Adriatico con un largo estuario a tratti anche paludoso. Ancora una volta lasciamo il mare e dirigiamo verso l’interno, proprio sulla strada che costeggia la Neretva.

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Dopo Opuzen possiamo osservare ancora resti di fortezze turche e veneziane. Questo, infatti, è stato il confine della Repubblica Veneta nel periodo della sua massima espansione. Dopo pochi chilometri arriviamo a Mostar, una delle più belle città turche dei Balcani, capoluogo della Erzegovina, circondata da alte montagne selvagge e boscose. C’è qualche importante manifestazione o festival in città e non troviamo camere libere negli alberghi. Riusciamo, però, ad affittare un camerone al pian terreno di una villetta privata. Situazione d’emergenza, ma va bene così.

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Il quartiere più interessante è quello meridionale: tante belle casette turche del XVI secolo, con i caratteristici negozi e caffè. Ritrovo l’ambiente, i sapori, i profumi e le sensazioni di quando, dieci anni fa, passeggiavo per le vie di Istanbul. 

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Visitiamo il famoso Stari Most, il Ponte Vecchio, che attraversa la Neretva. Costruito nel 1566 dall’architetto turco Hajradin. La due teste del ponte sono difese da torrioni fortificati. Disseminate qua e là, tante piccole moschee con bei minareti, alcuni più arditi, altri più bassi e timidi.

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Tra le montagne nelle vicinanze di Mostar si trova il piccolo villaggio di Medjugorje. Da alcuni mesi sembra siano iniziate delle miracolose apparizioni della Vergine Maria a sei giovanissimi veggenti. Con Raffaella, e i suoi nipoti, siamo interessati a questo evento e, dal momento che siamo n zona, vorremmo farci un’idea della situazione. Il villaggio non è segnalato né sulle carte geografiche, né sui cartelli stradali. Comunque, a forza di chiedere alle persone del posto, riusciamo ad arrivarci. Una manciata di case, qualche negozietto, una piccola pensione, una piazzetta polverosa, una chiesa con due campanili a lato della facciata: questo è il villaggio di Medjugorje.

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Attorno alla chiesa notiamo un discreto movimento di fedeli. Diversi gruppi sono convenuti qui, richiamati dalla notizia delle apparizioni. Nella piccola piazza alcuni sacerdoti, accoccolati su sgabelli, sono intenti a confessare. In chiesa si celebrano diverse S. Messe in varie lingue e abbiamo la fortuna di capitare proprio nel momento di una celebrazione in lingua italiana.

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Durante il momento liturgico i giovani veggenti hanno una nuova apparizione ed entrano in estasi, uno stato particolare che va oltre un qualsiasi fenomeno naturale. Dopo la funzione religiosa riusciamo a incontrare Vicka, una delle giovani veggenti. Parla bene l’italiano e ci spiega il fenomeno che sta succedendo proprio a loro e proprio lì, tra gli sperduti boschi dell’Erzegovina. Ci racconta dei messaggi che la Vergine affida loro perché siano divulgati in tutto il mondo. Messaggi che invitano alla preghiera e alla conversione. Francamente non so cosa pensare di questa situazione, sono anche avvenimenti molto recenti e non ancora analizzati a fondo. Comunque, osservo che qui confluisce molta gente che prega, si confessa e riparte più serena. E questo è bello.

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Torniamo A Mostar e riprendiamo a risalire il corso della Neretva. La strada ora si snoda attraverso una gola selvaggia e serrata tra alte cime boscose. Dopo Jablanica costeggiamo un lungo bacino idrico artificiale. A Lanjic la Neretva, che ci aveva tenuto compagnia per un lungo tratto, ci abbandona e la strada sale sempre più in un percorso tortuoso che ci conduce fino a mille metri di altezza. Poco alla volta, curva dopo curva, ridiscendiamo fino a 523 metri, dove troviamo la capitale della Bosnia-Erzegovina: Sarajevo. Ci tenevo a visitare questa città. Purtroppo non ero riuscito a farlo durante il mio precedente viaggio nei Balcani, al ritorno da Istanbul.

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È una delle città più belle e interessanti dei Balcani, situata tra alte cime e lungo le rive del fiume Miljacka. Si dice siano cento i minareti che la ornano. Le tante moschee testimoniano del suo lungo passato turco. I tanti palazzi “liberty” testimoniano del suo lungo passato austriaco. Naturalmente la sua storia è ancora più antica: già nella preistoria era abitata dalle tribù illiriche.

Troviamo un paio di camere all’Holiday Inn, un grattacielo che domina tutta la città, e dove restiamo un paio di giorni che dedichiamo all’esplorazione di questa magnifica località. La parte moderna è trafficata e dinamica, con alti palazzi dove ancora campeggiano grandi ritratti del Maresciallo Tito, il Padre della Patria.

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Ma la zona che più mi interessa visitare è il centro storico della Bascarsija, attraversato dalla via principale Ferhadija. È l’antico quartiere turco del 1500 dove sembra che il tempo si sia dimenticato di scorrere. Nelle stradine attorno alla moschea si susseguono tante basse costruzioni, molte in legno, con botteghe pittoresche dove bravi artigiani lavorano rame, vetro, tessuti e dove si trovano anche piccoli caffè, trattorie, magazzini.

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Al centro del quartiere, in una piccola piazza, c’è la Sebilj, una bellissima fontana in stile moresco. È stata scelta proprio come simbolo della città.

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Sul lato sud della piazza c’è anche un mercato coperto costruito nel 1550 per raccogliere e vendere i pregiati tessuti provenienti dall’Asia Minore, in particolare dalla regione di Brusa. Nel suo piccolo mi ricorda un poco il Gran Bazar di Istanbul. Attraversiamo il fiume Miljacka sul ponte Principov e andiamo a visitare la Moschea Imperiale, costruita nel 1556 in onore di Solimano il Magnifico. Per la verità, non è che nelle moschee si possa entrare. L’ingresso è riservato solo ai musulmani, noi “infedeli” possiamo solo affacciarci alla porta principale e ammirare il grande salone della preghiera dal pavimento ricoperto di folti e colorati tappeti e vedere la parete dove è inserita la Mihrab, la nicchia che indica la direzione della Mecca. Naturalmente si può visitare tutta la parte esterna: il minareto e il grande cortile con le fontane per le abluzioni rituali.

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Il ponte che abbiamo da poco attraversato è chiamato anche Ponte Latino perché collegava la zona turca con il quartiere degli occidentali e degli ortodossi. Ma è famoso anche perché, proprio qui vicino, il 28 giugno del 1914 il bosniaco Gavrillo Princip uccise l’Arciduca Francesco Ferdinando e sua moglie. Questo tragico attentato innescò la scintilla che portò alla Prima Guerra Mondiale. Camminare nell’antico centro della città, tra moschee e minareti, è come un tuffo nel Medio Oriente e riprovo, con piacere e un po’ di nostalgia, le stesse sensazioni gustate nelle calde giornate trascorse sul Bosforo.

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Dobbiamo, per forza, salutare i bei minareti di Sarajevo e ci incamminiamo verso nord-ovest. La strada ci porta tra colline, monti, pianure, torrenti e fitti boschi di querce e larici. Qui in Bosnia incontriamo, sulla strada, carretti trainati da stanchi muli che trasportano famiglie nomadi con le loro scarse masserizie.

Spesse volte dietro al carro, assicurato con una robusta catena, commina un grosso orso bruno. È facile trovare accampamenti, di queste famiglie nomadi, dove tengono orsi in cattività per esibirli al pubblico e raggranellare qualche soldo.

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Dopo Travnik la strada sale fino ai mille metri di altezza del Colle di Komar, per poi ridiscendere lentamente verso la cittadella di Jajce. Anche qui troviamo un pittoresco ambiente orientale in mezzo ai folti e selvaggi boschi della Bosnia. Entriamo nella gola della Vrabas, un canyon roccioso, stretto e sinuoso. La strada corre tra alte pareti rocciose, lungo il corso dell’omonimo fiume. Sulla sommità delle rocce si notano gli onnipresenti resti di fortezze turche e medievali. È un luogo veramente selvaggio, che avevo già avuto occasione di percorrere.

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Oltrepassato il canyon arriviamo a Banja Luka, grosso centro culturale e industriale bosniaco. Pur transitando velocemente, notiamo come la città sia divisa in due anime: la parte antica è turca, ricca di hammam, moschee, minareti e madrasse. La parte moderna risente della dominazione austriaca e mostra palazzi, chiese e campanili chiaramente mitteleuropei.

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Questa continua mescolanza di etnie, religioni, culture, tradizioni è frutto di storie diverse e non sempre facilmente conciliabili tra loro, di un equilibrio estremamente difficile da mantenere. Il grande carisma, prestigio e potere del Maresciallo Tito era un forte collante che riusciva ad amalgamare, a tenere unito questi mondi diversi. Ora, però, i suoi successori non posseggono né il carisma, né la forza per fare altrettanto e temo che questo equilibrio sia destinato, in qualche modo, ad infrangersi. È come un grande puzzle dove ci si rende conto che tante tessere non sono compatibili tra loro. Proseguiamo verso Zagabria passando tra campi coltivati e villaggi rurali. I giorni a disposizione cominciano a scarseggiare, quindi aggiriamo Zagabria e corriamo in Slovenia, verso Lubiana. Vorrei fermarmi a visitare il monastero cluniacense di Kostanjevika, del 1234, ma non mi è possibile. Forse ci sarà un’altra occasione.

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Attraversiamo una bella campagna coltivata a vigneti e scendiamo fino a Postojna. Troviamo due camere in albergo e ci rilassiamo un attimo. Nelle vicinanze visitiamo il castello di Lueghi, una costruzione pittoresca del XV secolo, incastonata per metà dentro una lunga e ampia caverna naturale. Qui, dal 1488 operò Erasmo Luegher: avventuriero, cavaliere, bandito.

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Scendiamo un po’ più a sud, fino a Lipiza dove riusciamo a visitare un piccolo allevamento dei famosissimi cavalli lipizzani, tanto amati alla corte degli Asburgo. In questo momento, qui all’allevamento, ci sono solamente animali molto giovani. Nascono col manto pezzato ma crescendo diventano splendidi e imponenti cavalli bianchi.

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Il giorno dopo, di buonora, ci presentiamo all’ingresso delle famose Grotte di Postojna. La visita viene fatta comodamente seduti sui piccoli vagoni aperti di un trenino panoramico. Corre nelle grotte per circa cinque chilometri attraversando saloni, cunicoli, canyon di grande bellezza e ricchissimi di stalattiti, stalagmiti e concrezioni calcaree di varie forme e colore.

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Le grotte sono un ambiente che conosco bene. Per diversi anni ho fatto parte del Gruppo Speleologico del CAI, esplorando le numerose e importanti grotte dell’Appennino Bolognese ed effettuando esplorazioni anche nelle Alpi Apuane.

Ero abituato a strisciare nei cunicoli, a salire e scendere profondi e oscuri pozzi e crepacci utilizzando corde da alpinismo e moschettoni, sempre con l’odore acre del carburo delle nostre lampade sul casco. Adesso mi sembra piuttosto strano viaggiare in queste cavità comodamente seduto a bordo di un trenino che si ferma nei punti più interessanti e particolari.

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Uno di questi è un bel laghetto dal-l’acqua purissima. Sul fondo nuotano piccoli e strani pesciolini: i Proteus, una razza che si è evoluta qui nel buio perenne. Sono senza occhi (qui certo non servirebbero) e sono quasi trasparenti, senza pigmentazione. Lentamente i vagoncini risalgono alla superficie e ci depositano all’uscita, al caldo sole del pomeriggio.

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Restiamo ancora una notte in albergo e al mattino presto ripartiamo verso il confine. Il posto più vicino sarebbe la dogana di Ferneti, che porta a Trieste. So, però, che è un valico di confine dai controlli piuttosto rigidi e severi. Visto che Sirio è senza passaporto decido di passare da Nova Gorica. Questo non è altro che il settore della città di Gorizia assegnato alla Jugoslavia dal trattato di pace. Il solito stupido confine tracciato sulla carta, senza tener conto che avrebbe diviso una città, tante famiglie, amici, affetti. Qui, comunque, il passaggio doganale in entrata verso l’Italia è più mite e tutto procede per il meglio.

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Siamo in Italia e il ritorno a casa è ormai solo una corsa nel caldo e nel sole e con l’allegria che sempre ha accompagnato questa avventura.

Jugoslavia, luglio 1981

Ritorno nei Balcaniultima modifica: 2021-08-28T13:20:34+02:00da Francesco.saldi

2 commenti


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    Stupenda ed emozio9nante lettura di un viaggio straordinario. L’ ho letta tutto d’ un fiato. Bravo Francesco

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