Qualche cosa resterà

Colori

Questo, per me, è il momento più bello della giornata. Il buio è sceso da tempo, la mia comunità ha cenato, ha chiacchierato attorno al fuoco e ora tutti si sono sdraiati sui loro giacigli di foglie e si sono addormentati, ricoperti da morbide pelli ben lavorate.

Tutti riposano tranne le due sentinelle che vegliano all’ingresso, con le lance in mano, e la donna incaricata di custodire il fuoco, acceso nel vasto centro della grotta, perché non si spenga mai.

Io sono il più anziano e sono il responsabile di questa comunità.

Quando tornerà la luce del nuovo giorno, porterò i miei uomini a caccia per procurare cibo fresco e nuovo pellame a tutto il gruppo.

Le donne, invece, percorreranno la foresta e la savana per raccogliere erbe, semi, bacche e frutti per la mensa comune. Lavorano alacremente tra le grandi foglie ancora bagnate dalle lacrime della notte.

Naturalmente le faccio accompagnare da due robusti guerrieri per proteggerle.

I pericoli sono sempre in agguato: l’alta erba delle pianure può nascondere grossi e feroci predatori dagli artigli acuminati e dalle zanne micidiali. Nella foresta invece il nemico può celarsi sia sul terreno, nascosto tra le grandi felci verdi, sia accovacciato sui rami e tra le folte fronde.

Questa comunità, nel tempo, è diventata sempre più numerosa e con il contributo di tutti abbiamo apportato notevoli migliorie al nostro stile di vita. Ad esempio, la lavorazione delle pietre: quelle piatte, sapientemente scheggiate e affilate su un lato, ci consentono di tagliare facilmente la carne degli animali abbattuti e raschiarne con cura le pelli.

Pellame che poi le donne percuotono a lungo con i sassi arrotondati e levigati dall’acqua del fiume, rendendole adatte per coperte e indumenti caldi, morbidi e confortevoli.

Altre pietre servono per realizzare le buone punte delle lance e delle potenti frecce che ci consentono di cacciare gli animali e di difenderci dai nemici.

In questa grande caverna ci sentiamo al sicuro, al riparo dalle intemperie e dai numerosi pericoli dell’ambiente esterno, ma quando usciamo diventiamo noi stessi prede.

Nella foresta e nella savana si aggirano animali possenti e pericolosissimi e vi sono crudeli uomini di altre tribù che possono ghermirci.

La nostra vita non è per nulla facile.

In fondo alla caverna scorre un piccolo fiume sotterraneo con buona e abbondante acqua fresca e pulita: è la nostra ricchezza e la nostra fortuna. Le donne della nostra comunità non hanno bisogno di uscire per procurare l’acqua.

Vicino all’ingresso della grotta ho scoperto un burrone con, sul fondo, uno spesso strato di ossa. Sono i resti di antichi uomini, donne e bambini che ci hanno preceduto in questo luogo, che hanno vissuto qui, proprio come noi ora.

Questo mi ha dato molto da pensare e ha suscitato in me una grande apprensione e anche un senso di malinconia. Non sappiamo nulla di loro: chi erano, cosa facevano, come vivevano?

Avevano anche loro scoperto l’uso prezioso del fuoco e delle pietre lavorate? Come cacciavano e che strumenti usavano?

Nessuno lo potrà mai sapere e da giorni penso, con tristezza, che tutto questo un domani potrà capitare anche alla nostra comunità.

Anche noi spariremo nel nulla, senza lasciare una seppur debole traccia della nostra vita se non alcuni mucchietti di ossa levigate dalla pioggia e sbiancate dal sole.

Trovo tutto ciò triste, sconsolante, ingiusto e da quel momento non faccio altro che arrovellarmi per trovare una soluzione.

Ne ho parlato anche con lo Sciamano. È una persona un po’ strana, a volte mette soggezione anche a me.

Nelle sue cerimonie usa fumare certe erbe che solo lui sa dove cercare e raccogliere nella foresta. Il loro fumo è acre e a me fa girare la testa solo a sentirlo a distanza.

Lo Sciamano mi ha confidato che durante una sua fumata, seduto davanti al fuoco, ha visto questo nostro territorio abitato da uomini coperti da strani indumenti, che entravano e uscivano da abitazioni fantastiche e che usavano misteriosi strumenti per spostarsi.

Credo che tutto quel fumare erbe strane non gli faccia tanto bene.

Devo escogitare un modo perché le generazioni future, che erediteranno la nostra spaziosa grotta, si ricordino di noi. Non posso assolutamente pensare che di noi non resti nulla, nulla della nostra vita, nulla delle nostre usanze. Nulla, semplicemente sparire.

No, questo proprio non riesco a sopportarlo e dovrò cercare un modo per tramandare il ricordo di noi, ma non so proprio come fare.

Come tutte le sere, inizio un nuovo giro di controllo per verificare che tutto sia a posto e che non vi siano pericoli imminenti.

Saluto le due sentinelle che difendono l’ingresso della caverna. Sono bravi giovani, ben preparati, guerrieri e cacciatori temibili. Scrutano attentamente le tenebre e ascoltano ogni più piccolo fruscio, sempre all’erta per captare anche il più debole segnale di pericolo.

Respiro l’aria fresca della sera. Il cielo sopra di noi è nero e cosparso di innumerevoli puntini luminosi. Non so cosa siano ma trovo che donano serenità allo spirito.

Nella pianura sotto di noi, in lontananza, vedo la grande macchia nera della foresta e la savana debolmente illuminata dalla luna.

La superficie del lago riflette un delicato, pallido, chiarore.

Nel silenzio della notte si sentono distintamente i fruscii e lo stormire delle fronde degli alberi e rauchi richiami, fischi e ansiti.

Naturalmente tanti animali notturni sono in caccia e tanti altri animali di sicuro non vedranno la nuova alba.

Alla mia destra, ancora più lontano, dove il cielo si unisce alla terra, spicca l’inconfondibile sagoma della montagna sacra.

È alta, imponente, domina tutta la pianura e dalla sua vetta escono continuamente alte fiamme e scintille che arrossano la notte.

Un fiume di fuoco scende dalla montagna e si perde nel lontano mare.

Anche a questa distanza sento un brontolio incessante e molte volte la terra trema sotto i nostri piedi.

A fianco dell’ingresso il terreno è calpestato e in alcune zone affiora del fango marrone. Nel luogo, poco distante, dove usiamo macellare la cacciagione, il terreno è rossiccio per il sangue che lo ha impregnato.

Lentamente, rientro verso il fondo della grotta.

Tutti dormono tranquilli, alcuni sospirano, altri russano, qualcuno mormora qualche parola senza senso nel sonno.

Al centro il fuoco è acceso, come sempre, e la donna che lo custodisce lo alimenta lentamente con rami e piccoli pezzi di legno. Tizzoni neri, ormai spenti, sono accatastati nelle vicinanze.

Poco oltre trovo il piccolo e prezioso corso d’acqua, che scorre allegro tra le rocce, con un suono argentino e melodioso.

Qui, dove l’acqua precipita in un pozzo profondo, vi sono zone di fango giallastro, ed è necessario camminare con cautela per non scivolare nel baratro.

Ho fatto trasportare e posizionare dei grossi rami per impedire ai bambini di frequentare questo luogo pericoloso.

Mi fermo come folgorato: fanghi colorati e tizzoni neri. Mi è venuta un’idea pazzesca!

Torno sui miei passi e raccolgo manciate di fango, di diversi colori, e le trasporto in grosse foglie di palma all’interno della grotta, a fianco dell’ingresso dove c’è una parete di roccia ampia e liscia.

Le sentinelle mi guardano allibite ma non osano domandare nulla e cercano di sembrare indifferenti.

Con il nero dei tizzoni spenti cerco di tracciare il profilo degli animali che cacciamo abitualmente: tori, bisonti, bufali, gazzelle.

Traccio anche la sagoma dei cacciatori che li inseguono con lance ed archi, li accerchiano e li abbattono.

I contorni degli animali li riempio con i diversi fanghi colorati, cercando di far risaltare la muscolatura, la potenza e l’agilità di queste bestie. Cerco di avvicinarmi sempre di più a rappresentare la realtà della vita e rendere la dinamicità dei nostri gesti quotidiani.

Lavoro febbrilmente tutta la notte, senza darmi tregua, con frenesia. Dopo poco non sto più impastando fango ma carne viva, ossa, corna e zoccoli e zanne.

Il sudore a volte mi appanna la vista ma lo scaccio con movimenti rapidi della testa, l’importante è lavorare anche se mi sento sfinito, con i muscoli che mi dolgono per la fatica e la tensione.

Ma non oso fermarmi, non posso fermarmi, non voglio fermarmi.

Dentro di me c’è la volontà e la determinazione e, probabilmente, la disperazione di andare comunque avanti.

Un tenue grigiore si diffonde nella grotta: è la notte che sta terminando il suo tempo e lascia il posto al sole che, incuriosito, si affaccia piano piano per vedere cosa sto combinando.

Mi allontano di qualche passo per osservare meglio il lavoro che ho fatto. Sono contento, mi sembra un buon risultato: una rappresentazione veritiera della nostra vita.

Sotto le scene di caccia ho aggiunto altri piccoli esempi di vita quotidiana: la custodia del fuoco, la lavorazione del pellame, la cottura dei cibi, lo Sciamano che fuma le sue strane erbe e danza attorno al fuoco per invocare prosperità su questa mia gente. E rappresento anche qualche animale feroce che vive là fuori, a simboleggiare i pericoli della nostra esistenza quotidiana.

Le persone, con calma e stiracchiandosi, si alzano dal giaciglio per prepararsi a una nuova giornata di intensa attività.

Mi accorgo che, piano piano, si radunano alle mie spalle, in silenzio. Osservano meravigliati la parete lavorata. Sono attoniti poi, poco alla volta, cominciano ad abbracciarmi sorridendo.

Sono felici, con gli occhi lucidi di emozione, e si abbracciano tra loro, i volti radiosi.

Senza dire nulla, in fila, si sporcano una mano con i fanghi colorati e poi premono il palmo sulla parete, a indicare la loro condivisione, il loro apprezzamento.

Sfilano lentamente, quasi con solennità, e tutto sembra ammantarsi di un’atmosfera che ha qualche cosa di magico, di sacro.

Dopo poco la parete è decorata da decine e decine di impronte di mani, di tutte le dimensioni, a significare che quella è la vita che appartiene a tutti noi.

Anzi: che quelli siamo noi!

Sì, finalmente sono tranquillo, sereno e felice anch’io perché ora, ne sono sicuro, qualche cosa di noi resterà!

Grotta di Altamira, 16500 a.C.

Francesco Saldi

Qualche cosa resteràultima modifica: 2023-11-24T19:26:15+01:00da Francesco.saldi