La Madonna contadina di Viboldone

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20180406_163237Quando si entra nell’Abbazia di Viboldone, occorre in primis abbassare il capo per passare dalla stretta porticina di legno, ritagliata in quel grande e unico portone secolare che tutt’oggi ne caratterizza la facciata. Al secondo passo, viene naturale rialzare lo sguardo, rimanendo per pochi secondi in linea d’aria; subito ci si sente attratti verso l’alto, verso le volte che ospitano famosi affreschi giotteschi. Non se ne può fare a meno di questi movimenti: sono l’architettura della Chiesa che li invita a fare e le bellezze artistiche di tempi lontani. Durante una funzione religiosa o in occasione di eventi culturali spesso promossi in Abbazia, il mio sguardo si muove vorace per assaggiare particolari di ogni tipo, immaginando le scelte, le motivazioni e le vite degli artisti e delle persone che hanno legato parte della loro vita a questo luogo. Il tempo maggiore viene però assorbito e richiesto dall’affresco di una Madonna con bambino su umile trono, fra santi e cavalli. E’ il volto di questa Madonna a destare sempre la mia attenzione. Il suo sguardo ha la particolarità di seguire il visitatore in ogni angolo in cui si trovi all’interno dell’Abbazia. Non è paragonabile alla Madonna in maestà e Santi, affresco risalente al 1349, commissionato da Guglielmo Villa ma è innegabile ammettere che la sua umanizzazione è ben maggiore. Inserito in un quadro maggiore, questo affresco risalente al XV secolo,  fu deturpato dagli Olivetani che vi costruirono un altare e oscurarono quanto rimaneva con una tela raffigurante Sant’Antonio. Per sottolineare il diverso stile rispetto alle altre Madonne sul trono raffigurate in Abbazia, qualcuno la definì Madonna contadina, non per sminuirne la bellezza ma forse per renderla più vicina all’uomo comune che nei suoi lineamenti può individuare qualcosa di più simile a lui. Molto belli sono i versi a lei dedicati da don Luisito Bianchi:

T’ignorano i sapienti attenti ai troni d’ingresso e di fondo,

e sant’Antonio scelsero a velarti i bianchi frati

forse vergognosi di tanta schietta e benigna bellezza.

Ma tu svelata ormai la più intatta delle Vergini Madri ti presenti,

materna carne in tutto eguale al Figlio che morbido s’affida alle tue mani.

Dura a sfiorire è razza contadina che nello sguardo e

nei tratti d’immenso stupore intesse ecumenici pianti,

né vale sfregio di tempo a smorzare sorrisi d’anima in labbra vibranti

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