chiaroscuri

FRANCO MATTICCHIO/GUIDO PIGNIBack Home | PIGPRINTS

La mia passione per le illustrazioni è, per così dire, di recente acquisizione, ed è legata all’attività di un blogger ormai estintosi che possedeva la spiccata capacità di distillare quanto di meglio fosse offerto dalla comunicazione visiva. Suppongo che la fascinazione per i disegni, per natura muti e tuttavia forti di un linguaggio universale, sia dovuta a una sorta di corrente ascensionale che ci riporta all’infanzia, custode di segreti immondi per alcuni, età dell’oro e motivo di vanto per altri. In ogni caso sarebbe meglio mettere a regime l’immaginazione perché il presente, recalcitrante ad acquietarsi per mille ragioni, non va stimolato a casaccio attingendo a scenari di dubbia veridicità. Ma ho divagato. È che, trasfigurando l’ascetica bellezza di un’età che talvolta si smarrisce pensando al cammino trascorso, ho rivisto la mia infanzia come un disegno a carboncino di cui ho smesso da tempo di processarne il tratto.

mi mancano le parole

“Ad aprile sono poche le barche che fanno la spola dalla terraferma all’isolaLei cammina nel paese chiuso: una donna con gambe da cicogna e rughe ai lati degli occhi azzurrini come chi è cresciuto in una città ventosa, se ne va in giro sola tra case di vacanza disabitate, qualche facciata sfoggia una bandiera della Dinamo Zagabria appesa ai fili del bucato, qualche altra un muro decorato da fori di proiettile. Alma alza gli occhi verso il campanile e vede un gabbiano che si sgranchisce le aliStamattina ha telefonato all’albergo sull’isola, ha chiesto se era possibile prenotare una camera. È possibile, le hanno risposto con riluttanza. Sono cambiati i tempi ma l’isola conserva la sua scortesia.

Il cielo intanto è schiarito, c’è un sole balticoLe sembra di aver passato la vita sotto cieli come questo, a inseguire qualcosa che non aveva chiaro. Un inverno nella sua città a est, doveva essere la fine di febbraio, camminava nel bosco del barone Revoltella e gli alberi sobbalzavano per la bora, lei stringeva la mano di un uomo che si era intrufolata nella tasca del suo cappotto e tremava. Accadevano cose del genere, conosceva persone con cui passava del tempo, scrutavano il cielo insieme, facevano un pezzo di strada, poi lei se ne andava.”

Incipit del libro Alma di Federica Manzon, fresca vincitrice del Campiello 2024. E se volessimo capirne i motivi? Vediamo:

qualche facciata sfoggia = enfasi barocca

un gabbiano che si sgranchisce le ali = la sfida, presumibilmente, consisteva nel confrontarsi con un tocco di arditezza espressiva. Impresa fallita.

c’è un sole baltico = qui si vola con la fantasia sulle ali del gabbiano di cui sopra. Associare l’aggettivo baltico al contesto Zagabria è, per essere ironici e non cattivi, un atto di guerriglia contro l’ovvietà.

gli alberi sobbalzavano per la bora = se sobbalzare sta per “fare dei piccoli balzi continui” (Treccani) e balzo sta per scatto, com’è possibile che questo accada ad alberi che restano ancorati al terreno? (suggestione forse accettabile in poesia, in prosa no).

la mano di un uomo che si era intrufolata nella tasca del suo cappotto = la pazienza di lettori e lettrici non è inossidabile, e Prévert e i suoi ragazzi che si amano hanno stancato.

Chi sono io per giudicare?, si chiese meritoriamente Bergoglio. Ecco, prendendo Sua Santità come esempio di sobrietà etica, anch’io mi guardo dal giudicare. Però da lettrice analizzo, e soprattutto speculo sulla triste parata dei premi letterari italiani. Diventa chiaro che Alma è un libro che deve vincere perché ha più chances d’essere venduto: chi mai comprerebbe un libro scritto come dio comanda? solo quella cerchia “miserrima” di lettori doc, ovvio. Ma il mercato ha bisogno di ben altri introiti, e dunque tutto torna. Ivi compresi il dio degli atei e quello dei credenti.

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Sull’isola dei gabbiani una donna che diresti sui quaranta, con camicia bianca e gonna di lana mouliné, non sembra infastidita dalla suscettibilità del vento che scuote gli alberi con infatuazione nefasta: se ne dolgono a gran voce i rami ridotti in monconi. E a loro fanno eco le foglie.

Ambra sta percorrendo l’unica strada asfaltata su cui affacciano case dal lifting austero, appena contaminato da un’infilata di gerani rossi e bianchi. Sul limitare, nel punto in cui pare venirti incontro il mare, si trova l’albergo che ha prenotato per una settimana: di una semplicità rinfrancante, è proprio quello che fa per lei, intenzionata a mettere in pausa la vita e non ad aumentarne la realtà, a differenza di certe sue amiche che, nevrotizzate dalla routine, sgrammaticano a tavolino.

È  passato poco più di un anno dal giorno in cui ha passeggiato per l’ultima volta nella sua città a nord con l’uomo al quale era legata da una decade di sodalizio amoroso: mentre rientravano, lui aveva infilato la mano nella tasca del cappotto di lei, ed era bastato quel gesto a sbozzare la scena che avrebbero girato di lì a una settimana, quando in Ambra sarebbe tornata a prevalere l’indole nomade.

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L’ultima scena tra Ambra e il suo uomo me la immagino all’interno della pasticceria Marchesi a Londra. Ma poiché non sono brava con i dialoghi, in realtà neppure con tutto il resto, e una scena del genere li richiede, interrompo qui questa burla. (E comunque a me il Campiello neppure interessa).

Prada's Pasticceria Marchesi now open on one of the most prestigious streets in London - 2LUXURY2.COM

Settembre

Photographer Rodney Smith Changed My View — Kenneth Purdom Photography Video

Se volessi cimentarmi in una disamina delle estati felici o credute tali, metterei in esergo questi versi di Patrizia Cavalli:

A me è maggio che mi rovina e anche settembre, queste due sentinelle dell’estate: promessa e nostalgia.

Ma non ho nessuna intenzione di intraprendere un viaggio sentimentale per ritrovarmi sospesa, come in un sogno lucido, tra passato e presente, senza contare che l’approdo su un’Itaca dai contorni ormai sfocati, o peggio, ridisegnati dal ricordo, mi tramuterebbe nella cosplayer di me stessa. Però, se un ente burbero e burlone mi costringesse a una holding back the years con meta a mia scelta, beh, poiché settembre ha sempre significato per me back to school, sceglierei di tornare in terza media per riavere l’agenda che un mese via l’altro si ingrossò di adesivi fino al provvidenziale rattoppamento della copertina con lo scotch, e soprattutto per rileggere d’un fiato a voce alta la “recensione del gabbiano Jonathan Livingston”, che al rientro dalle vacanze mi valse un ottimo e il ripudio della compagna di banco. Insomma, sì, tornerei indietro ma non per celebrare l’amore che alla resa dei conti è espoliazione di sogni. Lo farei soltanto per essere ancora la prima della classe, e poter dire finalmente a me stessa quello che allora non dissi mai: brava!