L’orizzonte degli eventi

“Lo zingaro che mi appare in sogno ha gli occhi azzurri. E battibecca. Strano, nevvero? Davvero sorprendente, proprio curioso. Ecco, amichetto gagè, tu che ne sai? Le sue sparate, le sue prediche notturne, i suoi sproloqui. Stupisce del mio stupore, smeraviglia. Non cincischiamo, mi fa, e subito, in medias res, evoca ingiustizie occhio-cerulee, persecuzioni, mille anni di Storia così, fitti di erranza, e ignobili qui pro quo, trappole, inganni. Lo zingaro che insiste a venirmi in sogno parla, straparla.

È proverbiale che i sogni svaniscano al mattino, diceva Freud, ma queste zingarate ipnagogiche insistono e persistono, non mi lasciano un attimo, sono implacabili. Sono involtolato nei sogni, pure da desto. Non c’è più margine o confine tra abbaglio e veglia.

Intabarrato in un certo suo cappotto grigio-topo sdrucito, fuori misura – almeno una taglia in più, troppi bottoni –, denti di nero-fumo, vocetta chioccia, lo zingaro dottoreggia, falso bonario. Ordo et praxis studiorum, in salsa zigana. Lo scandalo degli occhi azzurri, l’irrimediabile, inaccettabile anomalia, l’aberrazione. Continuate ad allarmarvi per un bel niente, e sono quisquilie. Le vostre retate nei nostri accampamenti in cerca di bimbetti capelli d’oro, occhi cobalto; le vostre spiate farlocche, da filistei; le vostre paure da niente, allora e oggi. E naturalmente gli sbirri, cani al guinzaglio. Sì sì, d’accordo, mi fa, sarà anche raro – “presto e bene raro avviene”, inevitabile chiosa in rima baciata – ma raro non vuol dire mica mai, scendi dal pero. Lunghe dita ossute al cielo, intima silenzio. Pausa (anticlimax) e, in tono più grave, la cadenzata, sibilata spiegazione: arcana imperii.

Vittorio Giacopini, L’orizzonte degli eventi

Forse solo un linguista con doti da strizzacervelli saprebbe spiegarmi perché sono attratta dalle prose spigolose e sintatticamente ardite. Posto che ogni cimento con questo tipo di letture, benché innervato di piacere, mi provoca un certo disagio, nondimeno mi incaponisco su strutture narrative il cui riassunto, fossi mai costretta a farlo, affiderei all’intelligenza artificiale. Perché la metafisica, per di più immaginifica, non è mai stata il mio forte né lo è la distopia, a meno che non mi venga restituita in forma di prodotto seriale. Urge un ravvedimento. Magari in direzione del romance. Con la sua tranquillizzante banalità.

Mamiano di Traversetolo: Bruno Munari. Tutto - Mostra Design in Emilia Romagna

Bruno Munari, Buccia di Eva

l’uomo e lo scrittore

Alessandro Baricco: biografia, libri, lezioni | Feltrinelli Education

“[…] Dopo il successo di Seta, ho pubblicato City e nelle prime pagine di questo romanzo ho deciso che dovevo fare fuori quel lettore un po’ episodico che Seta aveva portato. Il caso editoriale è come quando si pesca a strascico, con le reti grandi. Ogni tanto capita di finire fuori dal gruppo dei lettori, cioè di darsi a persone che leggono un libro all’anno. Può accadere a chi vince lo Strega. Io avrei dovuto scrivere un altro Seta, poche pagine con una storia d’amore, ma ci sono state delle precedenze nella mia vita. Il successo e fare denaro non erano delle precedenze. Certo, avevo questo istinto a finire in alto, volevo che il mondo si accorgesse di quanto ero più bravo degli altri. Adesso non me ne frega niente”. Alessandro Baricco

Ho come l’impressione che Baricco abbia vissuto la sua stagione all’inferno. Sono quelle parole Adesso non me ne frega niente a lasciarmelo intuire. In genere, l’atto di fregarsene è tregua e condizione primaria per un orizzonte altro. Scendendo nel “tecnico”, il sentirsi oltraggiato da un certo tipo di successo, tranquillamente definibile come commerciale, dice di uno scrittore che vuole tenere fede alla sua identità. Un impostore avrebbe fatto di Seta una trilogia.

quella grandeur francese

Pioggia fresca su prato blu. Erba estiva umida, effluvi di terra nera. Sempre questi acquazzoni di agosto sui gambi rasati bruciati d’oro. Le grosse gocce scorrono sinuose sul vetro, serpeggiano e si intersecano in lunghi nastri di luce liquida. Quanti pomeriggi passati dietro il velo vaporoso della tenda a seguirne col dito il tracciato nervoso e allo stesso tempo languido. Sottili capelli ribelli si arricciano intorno alle guance, e stupisce che siano così bianchi mentre io sono così giovane, circondata da un alone etereo sotto la finestra. Poi lo sguardo passa dalla finestra alla mano che scosta la tenda, e la mano è vecchia, vecchissima.” Perrine Tripier, Le guerre preziose

Edouard Boubat | Paris (1971) | MutualArt

Edouard Boubat, Paris, 1971

Ora, mi va bene tutto, persino che voi francesi consideriate Tripier la nuova enfant prodige della letteratura. Solo, non paragonatela a Proust. Che sarebbe anche lui roba vostra se non fosse che il genio è universale:

Un piccolo colpo sui vetri, come se qualcosa li avesse urtati, seguito da un’ampia caduta leggera come di granelli di sabbia che qualcuno avesse gettati da una finestra del piano di sopra, poi la caduta che s’estende, si normalizza, trova un ritmo, diviene fluida, sonora, musicale, innumerevole, universale: era la pioggia“.

(È lampante solo a me l’abisso che li separa?)

Josef Sudek, The Last Rose

Per finire, voglio tenere questa riflessione di Giorgio Vasta che, recensendo Il cliente Busken di Jeroen Brouwers, scrive: “Mentre il giorno declina, il signor Busken ha ancora un desiderio: «Trasformatemi in nebbia per fuggire dagli spifferi delle finestre, rendetemi invisibile, non c’è bisogno che io ci sia». Del resto in un luogo che si chiama Villa Madeleine il tempo passa ricordando e dimenticando. Busken lo sa: immaginare il linguaggio è un modo, addirittura un metodo, per ricordare tutto ciò che si dimenticherà. Perché, in fondo, il destino di tutto ciò che viene ricordato è poter essere un giorno dimenticato.”