Alessia

Se avessimo imparato per tempo che non si diventa madri per decreto ma per apprendistato, ora non ci saremmo uniti in coro al grido di ergastolo per Alessia. Invece il nostro sguardo sulla tragedia che ha avuto per vittima la piccola Diana è ascrivibile agli stereotipi di genere, per cui di una madre non all’altezza diremo che è snaturata, mentre di un padre che dovrebbe cambiare mestiere che è inadeguato. Con la stessa sicumera, continuiamo a sostenere che i corsi di studi scientifici sono più indicati per i ragazzi, mentre alla controparte raccomandiamo quelli umanistici. E pazienza se il divario di genere si riduce in percentuali infinitesimali e il tetto di cristallo rifulge senza crepe. Una forzatura via l’altra finiamo tutti con l’essere un po’ snaturati e un po’ inadeguati. Ma all’ergastolo ci mandiamo solo Alessia Pifferi.

Irene Balia, La medicina dell occhio preso,2014,cm80x100,acrilico su tela

Irene Balia, La medicina dell’occhio preso

anatra o coniglio?

Anatra o coniglio? È un dilemma filosofico, più che percettivo - L'INDISCRETO

Anche per Rosa Bazzi e Olindo Romano è finita nel migliore dei modi: l’opinione pubblica si è divisa tra innocentisti e colpevolisti, con i secondi a fare la parte del leone. Ma la verità processuale della strage di Erba, che ha già condannato i due ma che potrebbe essere rimessa in discussione a breve, cos’è? Non è forse un invito – al pari di decine di altri – a entrare in un posto spaventevole che, quando pur restituito per didascalie attente e calibrate, presenta zone di criticità invise a un ragionamento matematico? E dunque, la sentenza in oggetto non è da considerarsi un’ipotesi di onnipotenza se, malgrado certi aspetti opachi, si è risolta per la colpevolezza di Rosa e Olindo? In attesa che un colpo di scena riapra l’iter processuale, condanniamoci al sospetto. Forse le toghe hanno lasciato qualcosa fuori dal quadro.

Nelle corti lombarde le case affacciano su un unico, ampio cortile. Chiuso ai lati e con un solo ingresso, il cortile è uno spazio tagliato con esattezza, sorvegliabile in ogni suo punto, un sistema abitativo che funziona come un panopticon rovesciato: da ogni casa è sempre possibile scorgere chi entra, mentre chi guarda può nascondersi dietro le tende o arretrare. Questo campo di visibilità ininterrotta rende la corte più sicura, e insieme ne fa una trappola. Ciascuno alla propria finestra penetra fin dentro i dettagli minuti della vita dei vicini, ne osserva orari, spostamenti, ospiti, litigi. Un’intrusione a volte involontaria e indesiderata. E se le pareti laterali che separano le abitazioni limitano l’intrusione, i rumori si diffondono ovunque, sfruttando lo spazio vuoto del cortile centrale; in una casa di corte si sente tutto. Manca la possibilità del segreto. Manca l’ombra che, in fondo, protegge.

La coppia viveva nella corte da sei anni, il loro appartamento era al piano terra, in una porzione autonoma dell’edificio, con ingresso indipendente. Quell’ala si chiamava “La casa del Ghiaccio”, in dialetto la giazzèra, perché i contadini d’inverno la riempivano di neve e la usavano come un enorme frigorifero.

I due non avevano figli. Lui era uno spazzino, lei una domestica a ore. I loro orari erano accordati alle esigenze di ciascuno: lui si faceva assegnare sempre lo stesso turno, dalle 6 alle 12, pranzava a casa, riposava e poi accompagnava lei al lavoro, che non aveva la patente e che nelle ore precedenti si era occupata delle faccende. Come un ingranaggio oliato, la vita insieme girava senza intoppi. Poi, nell’appartamento di sopra era arrivata una ragazza e dopo qualche anno il fidanzato, e quasi subito tra loro un figlio”. Alessandra Carati, Rosy

-aggio

Che un libro ben scritto sia pure divertente, è una rarità. Solo che nel caso di Autobiogrammatica, per apprezzarne facondia e brio, serve amare le parole. Di conseguenza, il lettore che per indole non sa godere della vorticosa contraddanza delle stesse, si congederà sbattendo la porta. Peccato, perché questo è un libro maledettamente serio.

Lingua e linguaggio, una coppietta battagliera! Mi servivano entrambi, ma preferivo il secondo. Quando un editor americano per suggerirmi di formulare bene una data argomentazione mi ha detto: Here you could provide some language showing that… (Qui, vedi, potresti fornire un po’ di linguaggio che mostri come…) ho capito che il linguaggio era un taglio di carne o un metro di stoffa, una cosa materiale. E che una lingua, a raccontarla, diventa per forza un personaggio.

Doveva essere, questo passaggio dalla lingua al linguaggio, un procedimento come il dragaggio o il filtraggio o il rodaggio o il carotaggio o l’imballaggio: artigianale, spesso macchinoso, magari grossolano; o addirittura un impedimento, come il grippaggio o il boicottaggio (se non un crimine come l’aggiotaggio, il pestaggio, il linciaggio); comunque generoso di magagne e grane e rabberciature e sfrido. E, per inciso, ho pensato che questo viaggio nel mio linguaggio forse era futile, ma forse no, se via via che riflettevo sulla lingua mi accorgevo del suo potere; scoprendo per esempio tutto ciò che –aggio può combinare quando incide una parola e ci si innesta, come una mano bionica o una baionetta”.

Tommaso Giartosio, Autobiogrammatica

Alighiero Boetti “Oggi il primo giorno dodicesimo mese” 1988 (arazzo, ricamo su tela, 108,6 x 107 cm) | Text art, Conceptual artist, Design art

Alighiero Boetti, Oggi il primo giorno dodicesimo mese