Tempus tacendi

Giovanni Raboni - Wikipedia

Questa è la mia dichiarazione d’amore nei confronti di un poeta del quale non avrei mai conosciuto la cifra se prima non lo avessi apprezzato come traduttore di Proust. Nel caso della poesia che segue, perlomeno in chiusura, Giovanni Raboni pare rivolgersi ai saturnini che trascorrono gran parte della vita in mestizia, quasi ignorassero l’esistenza di quell’orizzonte la cui linea, se sgombra da afflati poetici, si verbalizza in due sillabe: mor-te. Ma senza menare il can per l’aia, è lo Zingaro di Giacopini a restituire da par suo quel lampo empireo di luce: “La vita è sogno, ma concretamente, mica come dice il poeta. Oggi, non ieri. Ora e soltanto adesso, e mai così in passato, semplicemente. Le cose svaporano, i rapporti, i corpi, le voci: tutto svanisce. Stuff of dreams, ma stavolta sul serio, e fuor di metafora.”

֎

Tempus tacendi

Nessuno, credo, potrebbe seriamente mettere in dubbio l’importanza – l’importanza decisiva rispetto all’intero – delle ultime pagine di un romanzo, delle ultime battute di una sinfonia, degli ultimi minuti di una partita di calcio.

 

Tempus tacendi — una fitta quasi insostenibile di felicità al pensiero che un giorno o l’altro potrei davvero leggere Dickens e Tolstoj, andare al cinema di pomeriggio, ascoltare i quartetti di Beethoven e i Lieder di Schubert senza doverne rendere conto a nessuno.

Pensare all’anima – non per salvarla: per goderne.

 

È impossibile guardare il tempo senza vedere la morte, così come è impossibile guardare il mare senza vedere l’orizzonte. Uno, per non vederla, dovrebbe passare tutta la vita di profilo come l’one eyed jack, il povero fante monocolo delle carte da gioco. E il bello è che anche la morte, come l’orizzonte, è sempre alla stessa distanza.

Giovanni Raboni