Kevin e gli altri

Non è facile raccapezzarsi tra le isobare di un dolore, nemmeno quando se ne è parlato rendicontando i dettagli. Se a questo si aggiunge che l’esercizio alla comprensione è soggetto a usura e che della perduta pazienza potrei farne una geremiade, nessuno potrà biasimarmi se vado per le spicce.

Senza neppure approfondire, ho ceduto all’ovvio e concluso che se un attore come Kevin Spacey accetta il ruolo di protagonista di un film sceneggiato da Eva Henger e prodotto dal di lei marito, ciò significa che ha rinegoziato al ribasso la reputazione da Oscar. Va da sé che non vedrò The Contract, e di Spacey terrò il perfido Frank Underwood di House of Cards e soprattutto il Lester ossessionato dalla giovinezza in American Beauty. Quel Lester che nel finale, con voce fuori campo, dice: “L’ultimo istante è lungo. Forse capirete cosa vuol dire”. Ecco, forse un giorno capirò la durata infinitesimale dell’istante fatale. O forse no, giacché non a tutti è concesso di riassumersi un’ultima volta. Ma prima di allora mi premerebbe capire, senza più sbattimenti, il perché di certe storture mentali. Umane, certo. E tuttavia imperdonabili.

Antonio Donghi, Il giocoliere, 1936.jpg

Antonio Donghi, Il giocoliere