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Una decina di anni fa la donna che fin da giovanissima mi aveva insegnato a “leggere bene” regalandomi dei libri che le adolescenti normali avrebbero considerato una punizione, a conclusione di un particolare iter didattico mi regalò ancora una volta un libro. Però, a differenza dei titoli che lo avevano preceduto, questo mi sembrò brutto per via della copertina e del nome dell’autore: Giorgio Vasta. Infatti pensai: Giorgio Vasta chi?, e già in cuor mio ringraziavo che come deus ex machina non si fosse trovato quel sadico di Manzoni perché m’avrebbe costretta a ruminare come aveva fatto con don Abbondio. Così, malgrado il disappunto, sorrisi grata alla mia ex professoressa d’italiano in quanto – al netto di quello che allora m’apparve come uno scivolone – è a lei che devo il piacere più grande della mia vita, e lasciai il convegno dimenticando il perché della borsa appesantita. Il giorno dopo mi bastò leggere poche pagine di Il tempo materiale per mettere a cuccia la mia supponenza:

Ho undici anni, sto in mezzo a gatti divorati dalla rinotracheite e dalla rogna. Sono scheletri storti, poca pelle tirata sopra; infetti, a toccarli si può morire. Ogni pomeriggio lo Spago gli porta da mangiare in fondo al giardino di fronte casa. Io a volte la accompagno. Ci vengono incontro lenti, sbandando laterali, ci guardano con gli occhi che sono gocce d’acqua e fango. Tra i morenti mi sono legato al peggiore, quello che sul bitume dei vialetti se ne sta in fondo, immerso nell’abisso; sente i passi e muove la testa piano, come un cieco che segue una canzone. Il pelo nerastro regredito a sbuffo sulla pelle scrostata, una zampa brancolante persa tra le altre; zoppicava già da piccolo, adesso è grande, uno storpio naturale.

Ora, Giorgio Vasta mi è tornato in mente leggendo un articolo spassosissimo di Arienpassant in cui viene menzionato Psicopompo di Amélie Nothomb. Diciamocelo con franchezza: benché Psicopompo attenga alla sfera divina greca, quelle due sillabe finali fanno pensare ad altro. Che per certi versi è divino anch’esso stando ai racconti che ne fanno i maschi, ma sotto altri aspetti è innegabile che la scelta di un sostantivo con particolari assonanze sia funzionale ad attirare l’attenzione su un libro che, con un titolo diverso, sarebbe passato inosservato agli occhi dei profani. E anche alle orecchie del mio amico che scrive:

“[…] a proposito d’uccelli, sempre ieri, in macchina, alla radio, ascoltavo l’intervista ad una scrittrice belga che, beata lei, ha venduto millemila libri. Beata lei non per averli venduti, ma per essere riuscita a scriverli. Non avendo compreso il suo nome ho memorizzato il titolo del suo ultimo romanzo: “Psicopompo”. Al volo, ho pensato ad un romanzo che girasse intorno allo scopare inteso come idea fissa. Diciamo una psicopatia e, come mi accade spesso con le mie previsioni, lo psicopatico ero io perché anche la sua passione per gli uccelli non aveva nulla a che fare con il sesso, ma solo con il volo. Quel volo che, a suo dire, è allo stesso tempo causa ed effetto della letteratura.

P.S. Arien, scommettiamo che il titolo di questo post mi fa guadagnare dieci visite in più?