New York walk at nite

Usa Trip 97/98 – L’inzio

C’ho pensato su forse una decina d’anni.
Una volta, il mio modo di vivere ideale, sarebbe stato quello di trovare un modo di viaggiare sempre, sostando in un posto per qualche tempo, lavorarci, conoscere un po’ di gente, scrivere, quello che mi passava per la mente, fotografare: e poi quando m’ero stufato ripartire.

Central Park

Central Park


Il miglior compromesso che sono riuscito a fare con me stesso, è stato invece questo pazzesco viaggio, negli Stati Uniti.
Un bel giorno di fine luglio, nell’ormai lontano 1997 – ancora l’11 settembre era lontano, e gli Usa un Paese molto più rilassato – mi sono fatto accompagnare da mia madre all’aeroporto e mi sono imbarcato, direzione New York.
Considerando la mia più totale incapacità di programmare qualsiasi cosa, all’epoca, in quest’occasione sono stato più che previdente.
Pensandoci, anni più tardi.
Infatti, ho seguito le indicazione di una organizzazione americana che aiuta gli studenti universitari a permanere un certo periodo negli Stati Uniti, ottenendo un bel visto di tipo J-1, con cui si poteva lavorare legalmente.
Ho fatto anche la provvista di tutti gli indirizzi di amici ed amici-di-amici, con parenti o conoscenti americani, a cui poter telefonare per qualche esigenza, al limite per chiedere una “night-stand”.
L’idea, inizialmente, era quella di arrivare a New York, starci per qualche giorno, comprarmi un bel biglietto “Ameripass” e farmi una specie di giro circolare degli States, tipo New York, Miami, Los Angeles, Seattle, ancora New York e poi, tornarmene a casa.Strada fumante a NY
Invece le cose sono andate molto diversamente e, a parte una quindicina di giorni di rimpatrio forzato, data la scadenza del mio visto, sono rimasto sul territorio americano per oltre 9 mesi!
La mia più grande paura, prima di affrontare il viaggio, era addirittura l’aereo!
Dopo il servizio militare, ed in seguito ad un attacco di panico in treno, avevo cominciato a soffrire a volte di claustrofobia, quindi avevo anche paura di volare.
Anche la notte prima di andare a Fiumicino, non ero riuscito a chiudere occhio per questa ragione.
Credo che durante il volo, devo aver trattenuto il fiato per tutto il tempo.. pensandoci, oggi.
Si capisce dunque che non avessi la ben che minima idea di ciò che mi poteva riservare quest’esperienza e cosa dovessi temere, veramente
Arrivato al Kennedy airport, sono stato subito contento di poter passare la dogana nella fila degli americani, e non in quella dei turisti: io infatti non mi sono mai sentito un turista, mi sono considerato sin dall’inizio un “viaggiatore semplice” .
La verità è che se hai un visto J-1, passi obbligatoriamente per la stessa fila riservata ai cittadini americani.
La prima cosa che mi ha colpito, salendo sull’autobus che dall’aeroporto arriva alla Grand Central Station, sono stati i colori e la luce degli Stati Uniti.
Per quanto so che si tratti di un’osservazione del tutto soggettiva, essi mi sono sembrati più intensi, più saturi, e in qualche modo anche più irreali di quelli che io avevo mai visto in foto e tv.
Quando poi ho preso il secondo mezzo, per arrivare ad Amsterdam Av., all’ostello dove avrei alloggiato la prima notte, ho avuto la prima sorpresa: a New York, come, credo, in tutti gli USA, quando entri nell’autobus devi per forza passare dalla porta anteriore e versare qualche spiccio in una macchinetta, vicino all’autista, che poi ti dà il biglietto.
E’ necessario però che tu abbia i soldi contati, o per lo meno qualche pezzo da un dollaro.
Sono salito, stracarico di bagagli, sudato e affaticato, e ho confessato all’autista di colore che avevo in tasca soltanto un pezzo da 10 dollari.
Egli s’è alzato in piedi, e lì per lì ho temuto che mi volesse cacciare o magari sgridare.
Invece, s’è aggiustato i pantaloni, ha preso il microfono – tutti i mezzi ne sono dotati – e ha detto: “Anybody can change 10 dollars to this gentleman?”
In breve, si sono alzate parecchie persone, e io mi sono apprestato a raccogliere l’invito di una gentile signora di colore, presso la quale mi sono poi seduto: così ho fatto il biglietto.
Lo stesso giorno, nel tardo pomeriggio, dopo aver parcheggiato il mio bagaglio all’ostello, me ne sono andato in giro per Broadway, scansonato e stanco, ma felice per il grande passaggio, appena compiuto.
Di quella giornata ho ancora in mente tre immagini precise: 1) l’arresto di un tizio di colore, sui sessant’anni, da parte di due agenti in mountain-bike, nei pressi di un negozio con la saracinesca abbassata; 2) un velocissimo pattinatore di colore con calzamaglia total-body, walkman e occhiali da sole spaziali, il quale, danzando e cantando, superava le auto lungo la Broadway: poi frenava, in tutta tranquillità nei pressi dei semafori, come fosse egli stesso un veicolo come un altro; 3) infine la mia prima conoscenza americana: una homeless che si è seduta per un po’ al mio tavolo, in un locale dove m’ero seduto per consumare il mio primo vero pasto americano.
Il suo nome era Jane: le ho promesso che le avrei mandato la foto che le ho scattato.
Non l’ho mai fatto perché purtroppo nel viaggio, e tra bagagli presi, spostati, ecc ho perso il suo indirizzo.

Usa Trip 97/98 – L’inzioultima modifica: 2020-02-29T17:35:06+01:00da traggogolone

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