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Cosa ci sono venuto a fare a Los Angeles..

A Los Angeles ci sono arrivato una notte dei primi di agosto, era il ’97, con il solito Greyhound.
Quando sono uscito dalla stazione, guardandomi attorno, ho realizzato che mi trovavo nel bel mezzo del downtown di una delle più pericolose città del mondo, attorno alle ore ventitre..
Pochi passi dopo, ho letteralmente abbordato un tizio di colore: mi ha detto che era un autista, e gli ho chiesto di scortarmi-per piacere! fino alla prossima stazione dell’autobus urbano, che mi avrebbe portato fino all’ ostello.
L’uomo è stato gentile e mi ha accompagnato.
Camminando mi ha voluto però precisare: “amico, sono 20 anni che vivo a Los Angeles, quindi se mi metto a correre, tu corri appresso a me. Ok?”
Alla fermata ci siamo salutati ed è iniziata una tormentata attesa, visto il senso d’insicurezza che sentivo chiaramente gravitare nell’aria.
Dopo il passaggio veloce di un gruppetto di giovani “chicanos” ubriachi, è arrivato il peggiore incubo che una persona in attesa, su una banchina d’autobus di Los Angeles possa attendersi, a notte inoltrata.. è comparso dal nulla un uomo enorme, di colore, sui due metri di altezza, con grandi muscoli, numerosi tatuaggi, e senza maglietta!
Ha chiesto prima i suoi “spare changes” ad una vecchietta sui 90, la quale, data l’età, probabilmente, s’è potuta permettere di ignorarlo, poi si è rivolto a me, dopo averle gentilmente dato del “mother fucker!”.
In quel momento ho avuto una saggia intuizione, da vero grande viaggiatore (mi son detto da solo, molto più tardi): sono stato infatti particolarmente gentile e disponibile con l’uomo.
Cosa facile a dirsi, ma non a farsi, specialmente quando ti senti terrorizzato, in fondo al cuore.
Di norma e regola, la media della gente bianca, credo che tratti con indifferenza quella di colore che bazzica le strade, dunque, l’uomo deve essere rimasto colpito dal mio comportamento: questa è l’unica spiegazione che mi sono dato.
Infatti, visto come l’avevo accettato, s’è messo a raccontarmi di sé, in uno slang di cui capivo ben poco.
Fin quando, finalmente non è arrivato l’autobus, momento in cui l’ho salutato e lui, poco prima che salissi a bordo, mi ha voluto confessare, insistendo un po’ nel trattenermi la mano: “sai, stasera ero uscito di casa con l’intenzione di fare fuori qualcuno: sono contento d’avere incontrato te!”
Anch’io, gli ho detto, anch’io..

Un altro giorno sono arrivato fino a “Venice beach”, e camminando mi sono imbattuto nei famosi “bay-watch”, ma la mia esperienza di questi (diciamocelo) “bagnini” non è stata proprio delle migliori: il bagnino che ho tentato di fotografare io, infatti, a momenti me le dava e soltanto per il fatto che gli ho rivolto contro la mia macchina fotografica: ho provato ingenuamente a fargli qualche scatto.
Se non fosse stato per il suo amico, con in mano il surf, credo che probabilmente avrei smesso di fare foto in giro per gli States….

In giro per Venice, e un po’ ovunque per Los Angeles, si incontrano spesso piccoli set cinematografici.
Naturalmente, arrivato nella patria del cinema, non potevo non pensare di tentarlo anch’io!
Scovato dunque, sulla mia guida di viaggio, un indirizzo di una agenzia di “extra actors”, cioè che colloca figuranti, ho ben pensato di andarci.
Si comincia sempre dal basso..
Il problema è stato quello di arrivarci, fisicamente: l’agenzia infatti si trova sul Bourbank bvd., uno stradone che è mal collegato dai mezzi pubblici.
Così, in pieno agosto, ho dovuto sgambettare non poco, sotto al solleone impietoso di Los Angeles, per giungere alla mia destinazione.
Quelli dell’agenzia sono stati davvero gentili e mi hanno detto di tornare addirittura il giorno dopo, con tutti i documenti, che mi avrebbero fatto subito lavorare, per 50 dollari più un cestino-pranzo.
Al ritorno, stanco di camminare su questi stradoni sconfinati, ho deciso di arrischiarmi, e chiedere un passaggio ad un tizio con la barba, con una splendida decappottabile bianca.
Dopo che son salito è scoppiato a ridere dicendomi “you got lost, man!”.
Gli ho ripetuto più volte che non mi ero affatto perduto, che gli avevo chiesto un passaggio solo perché non mi andava di farmela di nuovo a piedi, ma lui ha insistito, sempre ridendosela della grossa e continuando a dirmi “you got lost, man! you got lost!”
Contento lui?!
Così ho deciso che Los Angeles era troppo grande per uno come me, troppo dispersiva, e che forse, fare l’attore, non era esattamente la mia strada.
Ho scattato una bella foto ricordo a questo immenso Bourbank bvd.: in memoria della mia avventura, della mia decisione di ripartire da L.A. e della sopraggiunta consapevolezza del fatto che nella “città degli angeli”, senza l’automobile non voli molto lontano…
(La posterò con quella del baywatch, appena la ritrovo..)

Cosa ci sono venuto a fare a Los Angeles..ultima modifica: 2020-04-06T13:42:05+02:00da traggogolone

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