Luca Attanasio, l’ambasciatore di pace che amava raccontare l’Africa

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“Fare l’ambasciatore è un po’ come una missione. Quando sei un rappresentante delle istituzioni hai il dovere morale di dare l’esempio”,  diceva il diplomatico lo scorso ottobre a Salerno

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AGI – “Io e mia moglie abbiamo tre bambine, la più grande ha tre anni e mezzo e le gemelline due anni e mezzo, e quando dico che sono ambasciatore in Congo tutti sono stupiti, ci dicono che è pericoloso. Ma partiamo da un presupposto: fare l’ambasciatore è un po’ come una missione. Quando sei un rappresentante delle istituzioni hai il dovere morale di dare l’esempio”. Siamo a Salerno, è il 12 ottobre del 2020, la voce è quella di Luca Attanasio, fa il mestiere di ambasciatore, porta la bandiera dell’umanità in giro per il mondo. Siamo prima della fine, sempre al nuovo inizio, siamo prima dell’ora senz’ombra, sempre dopo tutto questo dolore.

Attanasio, l’ambasciatore. L’ha sempre vissuta come una missione di vita, una vocazione, la chiamata della diplomazia. Vivere e raccontare l’Africa, una sua passione. Attanasio, ambasciatore di pace. Chi ha lavorato con lui a Casablanca, dov’era stato console generale dal 2010 al 2013, racconta all’Agi che “alla sua festa di congedo per il rientro a Roma erano tutti in lacrime”. Perché sembrava fosse cresciuto là, di averlo sempre conosciuto.

Attanasio, per tutti “Luca”. Il giovane italiano che giocava a calcio con gli altri dipendenti e che preferiva spostarsi in bici. Proprio a Casablanca, dove ha inaugurato il primo consolato green al mondo, aveva conosciuto Zakia Seddiki, sposata nel 2015. E oggi “i telefoni al Consolato non hanno smesso di suonare” perché “nessuno voleva credere alla notizia” piombata sui telegiornali di mezzo mondo.

Attanasio, l’eterna infanzia. Salerno l’ambasciatore era stato premiato proprio con la moglie per l’associazione umanitaria da lei creata, “Mama Sofia“, che aiuta i bambini di strada con diversi progetti nella Repubblica democratica del Congo.  Per il diplomatico 43enne, nato a Saronno, in provincia di Varese, ma cresciuto a Limbiate (provincia di Monza-Brianza), Kinshasa era diventata casa ed era aperta a tutti. “Una volta ci ricevette e le sue figlie correvano per il salone, in assoluta tranquillità”, racconta uno dei tanti cooperanti che passando per la Rdc hanno trovato cordiale ospitalità da Attanasio.

Attanasio, il fratello. “Era giovane, molto aperto al mondo ma di certo non sprovveduto”, precisa il cooperante. E per il suo ruolo era pronto a rinunciare anche alle quelle comodità per cui altri lottano. A Casablanca aveva convertito buona parte della residenza del console in una sede dell’Ice, l’Agenzia per la promozione all’estero e l’internazionalizzazione. Era “un fratello di grandissima umanità, pronto ad aiutare gli altri”, per ricordarlo con le parole di Rino Martinez, fondatore di Ali per Volare, onlus palermitana che nella Repubblica democratica del Congo ha messo in piedi diversi progetti umanitari.

Attanasio, l’eroismo di ogni giorno. “Raccontava con grande entusiasmo il suo ruolo. Senza vittimismo, senza retoriche eroiche, sempre sorridente. Ricostruiva le storie degli italiani che erano ‘emigrati’ in un Paese (la Rdc) che negli anni ha avuto un grande sviluppo, nonostante la guerra che l’ha funestato. Studiava quel periodo per riviverlo, voleva far rivivere la cooperazione, quella positiva, tra Congo e Italia”, racconta di lui – all’Agi – Mario Giro, ex vice ministro degli Esteri.

Attanasio, con il mondo in mano. Si era laureato con lode alla Bocconi nel 2001 e aveva intrapreso la carriera diplomatica nel 2003. Dopo diversi incarichi alla Farnesina, all’estero è stato capo dell’Ufficio economico e commerciale all’Ambasciata a Berna (2006-2010) e console generale reggente a Casablanca (2010-2013). Nel 2013 era rientrato alla Farnesina dove ha ricevuto l’incarico di capo segreteria della Direzione generale per la Mondializzazione e gli affari globali. Nel 2015 era tornato in Africa come primo consigliere all’Ambasciata di Abuja in Nigeria. Dal 5 settembre 2017 era a Kinshasa, prima come capo missione poi dal 31 ottobre 2019 come ambasciatore straordinario plenipotenziario. Questo era il curriculum.

Attanasio, tra gli ultimi che sono primi. “Tanti sono gli appelli internazionali affinché possa esserci la pace in quelle regioni e il ruolo dell’ambasciata è innanzitutto quello di stare vicino agli italiani in Congo, che non sono soltanto missionari: ci sono, infatti, anche dei laici che dedicano la loro vita, magari medici, che vivono con 80 dollari al mese. Lo fanno per servizio, per operare e insegnare nella foresta. Il mio impegno personale è ben poco rispetto a quello che fanno questi nostri connazionali”. Questa era la sua vita. Un uomo, Luca Attanasio. 

Luca Attanasio, l’ambasciatore di pace che amava raccontare l’Africaultima modifica: 2021-02-23T00:53:36+01:00da denisamariutei97
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