COME AFFRONTARE E GESTIRE IL TERRORISMO ISLAMICO?

RISPONDENDO AD UNA SEMPLICE DOMANDA:”È NATA PRIMA LA GALLINA DEL TERRORISMO ISLAMICO PALESTINESE O L’UOVO DELLA BARRIERA ANTI-TERRORISMO ISRAELIANA?”

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PREMESSA

La risposta a questa domanda paradossale è gravida di implicazioni per la difesa dell’Europa dal terrorismo islamico ispirato o orchestrato dall’Isis. La percezione dell’apparente somiglianza delle minacce incombenti su Israele e l’Europa suggerirebbe, infatti, di analizzare il particolare scenario israeliano e trattarlo alla stregua di un “progetto pilota” per la gestione corretta del conflitto in cui siamo coinvolti anche noi. Se, infatti, fosse nato prima “l’uovo della barriera anti-terrorismo”, e quindi l’occupazione israeliana, che questo “muro di segregazione”, come viene definito dai sostenitori di questa ipotesi, sembrerebbe incarnare, allora il terrorismo islamico potrebbe rappresentare una “comprensibile” reazione ad una ingiustizia e avremmo finalmente scoperto il magico interruttore da schiacciare per spegnare la violenza islamica. Basterebbe, cioè, sforzarsi di porre fine a tutti i presunti soprusi di natura imperialista e neocoloniale perpetrati ai danni del mondo islamico, di cui la fondazione di Israele viene solitamente considerata l’apice, scusarsi, rimediare con aiuti economici e la generosa accoglienza di immigrati islamici in territorio europeo, cioè proprio quello che l’Europa ha attuato esplicitamente a partire dall’indomani della crisi energetica del 1973, e il terrorismo islamico dovrebbe svanire come nebbia al sole, o perlomeno progressivamente ridursi di intensità. Il semplice fatto di sposare la causa palestinese contro Israele dovrebbe essere sufficiente a guadagnarsi le simpatie del mondo islamico e dei terroristi. Eppure, nonostante la posizione filo-palestinese tenuta in tutti questi anni culminata con i boicottaggi di Israele, la recente decisione di riconoscere incondizionatamente la Palestina e la scelta di marcare i prodotti israeliani provenienti dalla Cisgiordania, l’apertura delle porte all’immigrazione islamica, e persino il sostegno diplomatico e militare offerto all’Islam radicale attraverso la deposizione del regime dittatoriale di Gheddafi in Libia, Parigi è stata colpita senza alcuna pietà dal terrorismo islamico. L’attacco alla Francia sembra suggerire, oltre ogni legittimo dubbio, che sia nata, invece, prima la gallina del terrorismo islamico. Se così fosse, allora sarebbe evidente che l’Islam radicale abbia dichiarato una guerra implacabile e senza quartiere al resto del mondo per ragioni endogene, che non esistano purtroppo interruttori magici per spegnere l’attacco senza ricorrere alla forza, che siamo quindi in guerra e dobbiamo combattere, adottando tutte le misure di emergenza necessarie in questo frangente, cioè “costruire barriere anti-terrorismo” alias “muri di segregazione” in senso sia metaforico, sia letterale.

LA SOTTOVALUTAZIONE DELLE VITE INNOCENTI SALVATE DALLA BARRIERA ANTI-TERRORISMO

«Il Segretario di Stato Parolin ha manifestato grande preoccupazione per la decisione di Israele di completare il muro di segregazione a Betlemme e di mettere ora in atto gli espropri delle terre dei cristiani nella valle di Cremisan in Cisgiordania».
http://www.avvenire.it/…/…/sindaco-di-betlemme-dal-papa.aspx
Quando Israele, dopo una serie interminabile di terrificanti attentati terroristici, che avevano mietuto vittime anche tra adolescenti, diede avvio alla costruzione della “barriera difensiva anti-terrorismo”, questo progetto, anche prima che si pensasse di far passare la barriera nella valle di Cremisan, aveva già suscitato polemiche e critiche della stessa natura di quelle odierne, scoppiate intorno al tratto apparentemente all’origine della controversia. In altre parole, chi, oggi, comprensibilmente si lamenta e protesta per quella che potrebbe anche essere una decisione sbagliata da parte del governo israeliano, ha descritto quella barriera, che ha ridotto di oltre il 90% la frequenza degli attacchi terroristici e le vittime civili innocenti, come un “muro di segregazione” con connotazioni esclusivamente negative sin dall’inizio, sottovalutando così l’importanza delle tante vite umane salvate.
http://embassies.gov.il/…/Doc…/barriera%20antiterrorismo.pdf
A conferma dell’esistenza della scelta di sottovalutare le vittime del terrorismo islamico palestinese, non sembra che il Segretario di Stato Vaticano Parolin e tutti coloro che oggi criticano aspramente questa decisione, avessero condannato, con durezza proporzionale alla gravità, la lunga lista di terrificanti attacchi palestinesi contro civili innocenti, che avevano reso necessaria la costruzione della “barriera anti-terrorismo” tanto per cominciare.

IL CAPOVOLGIMENTO DELLA SEQUENZA CRONOLOGICA E LOGICA DEGLI EVENTI

Invertendo la sequenza cronologica e logica degli eventi e in accordo con la teoria del Jihad reattivo, i critici della “barriera anti-terrorismo”, quando si sono espressi, lo hanno fatto per “giustificare” la furia omicida palestinese come una reazione comprensibile a misure di risposta al terrorismo e alle loro ricadute, quali la costruzione della “barriera anti-terrorismo” stessa, le code sotto il sole ai check-point, ed altre presunte manifestazioni dell’oppressione e occupazione israeliana. Commentando un terrificante attacco terroristico in una sinagoga di Gerusalemme, il patriarca di Gerusalemme Fouad Twal ha, infatti, dichiarato:“Bisogna togliere le cause della disperazione che genera violenza, interrompere la spirale infinita delle vendette”
http://www.ilgiornale.it/news/mondo/terrore-sinagoga-gerusalemme-1068665.html
In realtà, a smentire ulteriormente e clamorosamente la teoria del Jihad reattivo, spicca un episodio della storia mediorientale che dovrebbe destare non poca sorpresa in coloro che descrivono la violenza islamica palestinese come una reazione alla fondazione di Israele e all’occupazione israeliana. Il terrorismo islamico ai danni degli ebrei cominciò molto prima della rifondazione di Israele, e di qualunque presunta provocatoria occupazione o sottrazione di terra da parte israeliana, in modo eclatante nel 1929 con il tristemente famoso massacro di Hebron, che fu provocato da una violenta campagna di incitamento all’odio antiebraico promossa dal Mufti di Gerusalemme Haij Amin al-Husseini e dagli imam di tutta la Palestina.
http://www.informazionecorretta.com/main.php?mediaId&sez=70&id=15139&print=preview
http://www.focusonisrael.org/2008/10/07/hebron-1929-pogrom-antisemitismo/
https://it.wikipedia.org/wiki/Massacro_di_Hebron_del_1929

I FRUTTI PARADOSSALI DEL SODALIZIO CON LA CAUSA PALESTINESE: LA DHIMMITUDINE ALLA LUNGA NON PAGA

Sebbene il Segretario di Stato Vaticano, i Patriarchi di Gerusalemme, e gli altri detrattori cristiani di Israele siano prodighi di condanne verso lo Stato Ebraico e “giustifichino” il terrorismo palestinese come una comprensibile reazione alla presunta occupazione israeliana, contro intuitivamente per loro e tutti quelli che ne condividono l’adesione alla teoria del Jihad reattivo, i cristiani di Betlemme e della Cisgiordania subiscono, per mano islamista, crescenti soprusi e angherie, invece che essere risparmiati. “Tra i soprusi spiccano la “land mafia”, un sistema malavitoso con connivenze nelle istituzioni tendente a sottrarre in modo violento la terra ai cristiani, i numerosi casi di stupro e abuso sessuale verso ragazzine cristiane, e la crescente islamizzazione della società palestinese, nella quale spesso i cristiani non vengono assunti da datori di lavoro musulmani e chi porta in pubblico la croce rischia il pestaggio”.
http://www.tempi.it/cristiani-presi-a-sassate-in-chiesa-vicino-a-betlemme-da-un-gruppo-di-islamici-sempre-di-piu-scappano-dalla-terra-santa#.VkCrpV6rGim
http://www.tempi.it/i-cristiani-fuggono-da-betlemme-vi-diranno-che-e-colpa-di-israele-ma-a-farli-scappare-sono-soprattutto-gli-islamisti#.VkCr3V6rGil
Nonostante l’esodo di cristiani da Betlemme e dalla Cisgiordania per sfuggire alle discriminazioni e persecuzioni perpetrate dagli islamisti palestinesi con la connivenza di Abu Mazen e dell’Autorità Palestinese, Israele è l’unico luogo in Medio Oriente in cui la popolazione di cristiani stia aumentando, invece di diminuire. Questa, però, non è l’unica sorpresa che Israele ha in serbo per chi riesca a spingersi oltre la cortina della copertura mediatica politicamente corretta. Sempre più cristiani israeliani, stanchi delle ingiustizie subite a dispetto della scelta di sposare la causa palestinese contro Israele, preso atto del declino del nazionalismo arabo e della conseguente crescita e diffusione dell’islam radicale e delle sue persecuzioni ai danni dei cristiani, stanno scegliendo di porre fine alla tradizionale dhimmitudine e di arruolarsi nell’IDF(Esercito Israeliano).

IL RICONOSCIMENTO INCONDIZIONATO DELLA PALESTINA E LE SUE RICADUTE NEGATIVE

Il cambiamento rivoluzionario del quadro geopolitico mediorientale, innescato dagli interventi diplomatici e militari occidentali ai danni dei regimi dittatoriali arabi, e i limiti della dhimmitudine come “strategia difensiva”, evidenziati dal trattamento riservato dai palestinesi islamici ai cristiani della Terra Santa, sembrano, però, essere sfuggiti alla comunità internazionale e persino al Vaticano, come apparentemente confermato dal recente riconoscimento della Palestina senza condizioni, “gratis”. Questo riconoscimento, infatti, avrebbe potuto essere promesso in cambio del riconoscimento di Israele e del rispetto dei cristiani della Cisgiordania da parte dei palestinesi islamici, avanzando così enormemente la causa della pace e della difesa dei cristiani dalle persecuzioni islamiste, oltre che risolvere la vertenza specifica della valle di Cremisan, citata nella prima parte di questa riflessione. Una volta ottenuto il traguardo ambizioso del riconoscimento del diritto all’esistenza di Israele, presupposto essenziale per la pace tra Israele e il mondo arabo islamico, la “barriera anti-terrorismo” sarebbe diventata, se non completamente inutile, però, di importanza secondaria. A questo punto, si sarebbe potuto chiedere ad Israele non solo di riconsiderare e modificare decisioni penalizzanti per i cristiani, come quella del percorso della “barriera anti-terrorismo” attraverso la valle di Cremisan, ma anche sollecitare un intervento più esplicito in difesa dei cristiani contro l’Isis e altri gruppi islamisti, proprio in cambio dell’impegno del Vaticano anche a favore di Israele una volta tanto, non sempre dei suoi e nostri nemici giurati. Invece, il riconoscimento incondizionato della Palestina, al di là delle migliori intenzioni del Vaticano, ha finito per premiare l’intransigenza, l’incitamento all’odio anti-ebraico, il ricorso alla violenza e gli abusi ai danni dei cristiani da parte di Abu Mazen e dei palestinesi islamisti. Come confermato dall’esplosione di violenza e gli attacchi contro innocenti civili israeliani di questi giorni, non c’è alcuna ragione per illudersi che “l’angelo della pace” Abu Mazen e i palestinesi possano mettere in discussione e modificare le strategie e le politiche violente e disumane impiegate finora. Perché, infatti, dovrebbero sognarsi di cambiare un approccio che ha ottenuto ai loro occhi un grande successo diplomatico e politico a livello internazionale? È anche possibile che il Vaticano abbia tenuto conto del fatto che la Cisgiordania e la Striscia di Gaza stiano subendo un processo crescente di infiltrazione e di reclutamento di militanti dell’Isis, che minaccia la sovranità dell’Autorità Palestinese e di Hamas accusandoli di essere troppo moderati, e mette a repentaglio in modo più grave la sicurezza non solo di Israele, ma anche dei cristiani residenti.
Con il riconoscimento della Palestina, il Vaticano potrebbe aver cercato di rafforzare l’Autorità Palestinese e Hamas, percepiti come male minore rispetto all’Isis, sperando che i palestinesi, una volta ottenuto finalmente il loro tanto agognato stato, avrebbero cessato di cedere alle lusinghe dell’Isis e ostacolato la sua ascesa al potere, invece di favorirla.
Se, ipoteticamente, questo fosse stato lo scopo del riconoscimento, i conti non tornerebbero comunque.
Anzitutto, proprio tenendo presente il timore dell’Autorità Palestinese e di Hamas nei confronti della sfida posta dall’Isis alla propria autorità, a maggior ragione la Santa Sede avrebbe potuto utilizzare la promessa del riconoscimento come leva efficace per esigere ed ottenere il riconoscimento del diritto di Israele ad esistere e dei cristiani di Betlemme e della Cisgiordania e Striscia di Gaza ad essere rispettati, avanzando così contemporaneamente la causa della pace e della difesa dei cristiani.
Inoltre, la strategia di concedere senza nulla esigere in cambio, se non la moderazione, per favorire i meno estremisti rispetto ai più radicali, si è già dimostrata fallimentare.
Quando Israele nel 2005 si ritirò unilateralmente dalla Striscia di Gaza offrendola ai palestinesi, ci si sarebbe aspettati un rafforzamento dell’Autorità Palestinese e di Fatah, più moderati, e un indebolimento di Hamas, più radicale.
Invece, il ritiro di Israele, giudicato una dimostrazione di forza in Occidente, fu percepito come un segno di debolezza in Medio Oriente.
I palestinesi, che evidentemente non avevano mai avuto come obiettivo quello di ottenere un proprio stato esistente in pace a fianco di quello ebraico, ma di fondare il proprio stato sulle rovine di quello ebraico, spostarono il loro sostegno verso l’estremo più radicale dello spettro politico, sostenendo e portando al potere Hamas, che prometteva di conseguire l’obiettivo desiderato e più in fretta di quanto non dessero l’impressione di poterlo fare i più moderati.

SIAMO TUTTI ISRAELE: ERIGIAMO BARRIERE ANTI-TERRORISMO ALIAS “MURI DI SEGREGAZIONE”…

Un recente sviluppo interessante e promettente, in controtendenza rispetto alla decisione discutibile di riconoscere la Palestina, è stato, però, il recente intervento di Papa Francesco nel corso di un incontro privato con i rappresentanti del World Jewish Congress:
“To attack Jews is anti-Semitism, but an outright attack on the State of Israel is also anti-Semitism…There may be political disagreements between governments and on political issues, but the State of Israel has every right to exist in safety and prosperity.”
http://www.worldjewishcongress.org/en/news/attacks-on-jews-are-anti-semitism-as-are-attacks-on-israel-pope-francis-tells-jewish-leader-10-3-2015
L’esplicito riconoscimento del diritto di Israele ad esistere sicuro e prospero espresso da Papa Francesco è un segnale estremamente positivo, che manifesta la prevedibile sensibilità del Santo Padre nei confronti dei legittimi diritti ed esigenze di sicurezza di Israele. D’altra parte, questa dichiarazione “scontata” rende, per certi versi, anche più paradossale il riconoscimento della Palestina, perché la fondazione di uno Stato Palestinese preclude il diritto all’esistenza dello Stato Ebraico, non dal punto di vista teorico, favorito dal Papa e dagli altri osservatori in buona fede, ovviamente, ma da quello della realtà sul terreno. La Palestina, infatti, è percepita da Abu Mazen, dai palestinesi e dal mondo islamico in generale, come un’alternativa “islamica” ad Israele, il cui diritto all’esistenza nella forma di Stato “Ebraico” è ancora negato.
Da una parte, infatti, Abu Mazen e i palestinesi aspirano ad uno Stato Palestinese islamico, privo di israeliani, e Juden-free, cioè senza ebrei, dall’altra, non sono disposti ad accettare l’esistenza di una “casa nazionale per il popolo ebraico”, e rivendicano il “diritto al ritorno” dei discendenti dei profughi generati dalla Guerra d’Indipendenza del 1948 in quella che percepiscono come un’effimera, transitoria, Israele “laica”.
Confortati dalle dinamiche del processo di islamizzazione dell’Europa favorito dal multiculturalismo, Abu Mazen e i palestinesi, infatti, ritengono, non senza ragioni, che in qualità di Stato “laico”, piuttosto che “ebraico”, Israele più difficilmente sarebbe in grado di opporsi all’ingresso di immigrati islamici, cioè evitare la propria distruzione demografica.
http://www.focusonisrael.org/2013/08/01/trattative-pace-israeliani-palestinesi-abu-mazen/
http://www.focusonisrael.org/2011/11/03/abu-mazen-stato-ebraico/
Il Vecchio Continente, infatti, sta assumendo sempre più distintamente i connotati di una vittima, come Israele, non solo, e sempre più spesso, di attacchi terroristici islamici, ma anche di un’aggressione demografica senza precedenti, attuata attraverso un processo migratorio controllato dagli islamici radicali dell’Isis, o vicini ad esso, dopo la caduta di Gheddafi, che vede giungere dalla Libia sulle sponde europee presunti profughi in prevalenza islamici. I paesi europei, Francia in testa, proprio nella misura in cui hanno rinnegato le proprie radici cristiane, evitando accuratamente persino di menzionarle nella dichiarazione costitutiva dell’Unione Europea in nome della presunta laicità dello Stato, sono andati incontro ad un progressivo declino demografico, non hanno posto obiezioni di sorta all’accoglienza di quote elevate di immigrati islamici in passato, ed hanno, quindi, subito in questi anni un processo inesorabile di islamizzazione. La scelta di rinunciare alla propria cultura cristiana tradizionale per sposare il multiculturalismo e favorire l’integrazione degli immigrati islamici, in realtà, ha ostacolato l’integrazione, favorendo la creazione di ghetti islamici e la crescita dell’Islam radicale al loro interno. Non si è potuto, infatti, competere efficacemente con i propugnatori di un’identità islamica radicale come soluzione al vuoto culturale dilagante in Europa. Queste enclavi islamiche, sorte nel cuore delle città europee, sono sempre più simili ai loro corrispettivi palestinesi. Esse, infatti, non soltanto sono Juden-free, ma, laddove abbiano raggiunto dimensioni ragguardevoli, cominciano ad avanzare esplicitamente le medesime pretese di trasformazione in veri e propri stati islamici già accampate dai palestinesi islamici, minacciando l’integrità territoriale e la sicurezza degli stati europei in cui si sono sviluppate, come accaduto, in modo eclatante, per esempio in Norvegia.
http://www.mattinonline.ch/oslo-maggioranza-quartiere-islamico/
Proprio sulla crisi di identità che affligge l’Europa si fondano i progetti egemonici degli islamici radicali. Costoro oggi promuovono e controllano i flussi di immigrati islamici per alimentare la crescita delle “roccaforti islamiche” all’interno dei confini territoriali europei, consapevoli, a differenza dei nostri leader, del fatto che, sebbene, teoricamente, chi è disposto ad affrontare il lungo e rischioso viaggio fino alle nostre coste possa anche essere animato dalla migliori intenzioni, in realtà, finisca poi per cadere, quasi inevitabilmente, vittima delle dinamiche di ghettizzazione e radicalizzazione già descritte. A conferma del fatto che siano state l’insistenza sulla laicità dello Stato e la presunta necessaria rinuncia alla propria identità cristiana per far posto ai rappresentanti di altre culture, a favorire quella che si configura come una vera e propria invasione islamica, spicca l’esempio dei paesi dell’Europa centrale e orientale. Polonia, Slovacchia, Ungheria, Romania, Bulgaria, hanno manifestato la ferma intenzione di salvaguardare la propria identità cristiana, senza per questo pregiudicare la propria laicità, guarda caso rivendicando, proprio come Israele, il diritto alla difesa della natura etnica e nazionale dello stato, e insistendo sul conseguente rifiuto di accogliere quote elevate di presunti profughi islamici, che ha assunto la forma concreta dell’erezione di barriere fisiche contro l’ingresso. A quanto pare, la comune minaccia incombente, sia su Israele, sia sull’Europa, sta suggerendo l’adozione di misure analoghe per contrastarla, anzitutto la riscoperta e la difesa delle radici e dell’identità nazionali e la correlata enfasi sulla necessità di contrastare il declino demografico promuovendo la crescita della natalità fra gli autoctoni, cavalli di battaglia di pressoché tutti i movimenti politici che si oppongono all’immigrazione incontrollata e all’islamizzazione, e quindi, a più breve termine, l’adozione di soluzioni tecniche di emergenza simili alla barriera antiterrorismo israeliana, che garantiscano la sicurezza e l’ordine nei limiti del possibile. In un futuro ormai non troppo lontano, potrebbe, infatti, forse rivelarsi necessario costruire altre barriere, sul modello di quella israeliana, intorno ai quartieri islamici nel cuore delle città europee, per impedire ai potenziali terroristi, che si annidano al loro interno, di raggiungere i bersagli desiderati. Alla luce, infatti, del successo “militare” conseguito da piccoli drappelli di jihadisti in occasione del recente attacco coordinato e simultaneo nel cuore di Parigi, della mobilitazione di forze armate resasi necessaria per porre fine all’emergenza, e del fatto che i terroristi fossero in parte noti alle forze dell’ordine, è evidente che già oggi non disponiamo delle risorse di uomini e mezzi necessari al controllo di tutti i potenziali jihadisti e alla prevenzione di attacchi terroristici. La soluzione non potrà, dunque, essere anzitutto o esclusivamente quella di proteggere tutti i numerosissimi potenziali bersagli da un numero troppo consistente di potenziali terroristi, per quanto limitato possa apparire il loro numero rispetto alla maggioranza dei musulmani moderati, cioè esercitare un controllo “a valle”. Bisognerà, invece, soprattutto controllare “a monte”, cioè bloccare il flusso di potenziali jihadisti dai suoi luoghi di origine, limitando sia l’ingresso di immigrati islamici in territorio europeo, sia i movimenti di quelli già residenti nei quartieri islamici che oggi sfuggono alle attività di controllo del territorio.
È possibile che si stia rapidamente avvicinando il giorno in cui sarà finalmente chiaro proprio a tutti che è nata prima la gallina del terrorismo islamico palestinese, e poi l’uovo della barriera anti-terrorismo israeliana…

Il sindaco della città, Vera Babouan, ha incontrato Francesco e il Segretario di Stato Parolin. “Grande preoccupazione per gli espropri annunciati da Israele nella Valle di Cremisan, in Cisgiordania”. <strong class=”ms-rteFontSize-1″>Stefania…
avvenire.it
 


COME AFFRONTARE E GESTIRE IL TERRORISMO ISLAMICO?ultima modifica: 2017-03-27T15:40:01+02:00da StyliosSpartan

2 pensieri riguardo “COME AFFRONTARE E GESTIRE IL TERRORISMO ISLAMICO?”

  1. Interessante. Oltremodo confesso che su un argomento così complesso mi mancano molte basi. Dovrebbe far riflettere sulla mancanza di buona volontà dei moderati palestinesi il fatto che il ritiro dalla striscia di Gaza del 2005 non abbia dato frutti. Anzi è stato preso per debolezza. Una cosa che però aggiungo è che il grave di uno stato laico (che poi sia di radice cristiana e non dovrebbe almeno disconoscerlo è palese) é di non voler imporre un sentimento di comune rispetto di regole civili, a cui tutti rispondiamo. E perché? Perché poi si passa per razzisti in nome del political correct nel caso degli ingenui, o della connivenza per chi ci marcia. Le persone accolte andrebbero scelte tra le meritevoli, e in numero sostenibile. Chi ci marcia su? Perché in Europa predicano bene e razzola male? La Germania accoglie solo i siriani. (Che è giusto sono tra i pochi con lo status di profugo). Ma ormai non avendo nessuna identità nazionale ne controllo del territorio non possiamo farci nulla. La Spagna li respinge. Qualcuno protesta? No. E perché si protesta con l’Ungheria di Orban? Non so. Temo che alti siano gli interessi e le connivenze di chi tira le fila.

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