ISLAM = “SOTTOMISSIONE”: SOLUZIONE ALLE DIVISIONI E ALLA VIOLENZA ORIGINALI DELLA CULTURA BEDUINA DELLA PENISOLA ARABICA?

 

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Bedouins getting ready for battle?

Sin dalle origini l’islam é per definizione, e paradossalmente, oltre che “sottomissione”, anche “divisione”, basti pensare alla tradizionale spaccatura sunniti e sciti, che al suo interno contiene ulteriori sfumature e gradazioni di interpretazioni e correnti.
Dico “paradossalmente” perché l’associazione “sottomissione” e “divisione” é controintuitiva, ci si aspetterebbe “uniformitá” e “unione” dalla sottomissione, non divisioni e spaccature.
Il paradosso credo possa forse spiegarsi antropologicamente riconoscendo la “sottomissione” come il vano tentativo di risolvere il problema della “divisione” e della violenza all’interno di una cultura frammentata lungo linee familiari e tribali.
L’islam non sembra capace di rinnegare le sue origini che lo vedono muovere i primi passi all’interno di clan di predoni governati dalla “legge della giungla”, sebbene nel deserto.

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Prophet Muhammad army

Credo che il Profeta abbia tentato di porre rimedio alla frammentazione e alla violenza fisiologiche nella sua cultura tribale inventando l’islam. Questo, nelle sue intenzioni, avrebbe dovuto con la “sottomissione”, garantita e regolata da una miriade di regole e dettami, controllare la violenza intestina e indirizzarla, incanalarla verso l’esterno, verso un progetto egemonico di conquista. Questo beduino del deserto ignorava che non solo il Corano non avrebbe eliminato il problema della frammentazione originale, ma che le innumerevoli regole e prescrizioni sancite dal suo libro sacro, invece di garantire il controllo assoluto, avrebbero offerto ulteriori motivi di divisione legati alle diverse interpretazioni dei singoli individui.

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Islam always at war with itself

La violenza verso gli infedeli penso quindi rappresenti l’altra faccia della frammentazione originale e un carattere distintivo dell’islam, perché espressione del “disperato” tentativo di risolvere la frammentazione e la violenza autodistruttive interne.
La violenza non ha mai abbandonato completamente la storia della civiltá islamica, é la ragione della sua forza e pericolositá, ma anche paradossalmente della sua debolezza, perché nasce al suo interno, é presente sin dalla fase embrionale, e finisce sempre prima o poi per ritorcersi contro i suoi appartenenti.

Tirate le somme, e presi in debita considerazione qualche breve interludio di relativa pace e il contributo positivo offerto dal Califfato Abbaside alla cultura, l’islam non é stata la soluzione magica o “divina” auspicata da Maometto ai problemi interni ed ha solo agito come un loro amplificatore, estendendo questi problemi al resto del mondo, generando schiavitú, sofferenze, povertá, ignoranza e distruzione anzitutto per le popolazioni islamiche.

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Iranian revolution 1979

Oggi, di fronte ai frutti avvelenati dell’islam, gli islamici piú attaccati alle proprie radici hanno attuato la rivoluzione islamica, immaginando che i fallimenti fossero il risultato dell’allontanamento dall’islam delle origini e una punizione divina per questa deriva verso la modernitá introdotta dall’Occidente “classico-giudaico-cristiano”.

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Saddam Hussein statue toppled in Bagdhad, 2003

L’incapacitá del nazionalismo arabo di risolvere i soliti problemi e la successiva caduta dei dittatori arabi filo-occidentali promossa dagli interventi occidentali hanno lasciato al mondo islamico solo l’islam come “panacea per tutti i mali”.

Preso atto dell’esistenza di una buona parte di musulmani nel mondo stanchi della solita falsa soluzione ai propri problemi e disgustati dagli eccessi di violenza disumani riportati in auge dal “ritorno alle origini”, credo che questo sia il momento di dire apertamente la veritá sull’islam e sul suo “essere parte del problema e non della soluzione” per indebolire e isolare i radicali, che si chiamino ISIS, Fratelli Musulmani, o Salafiti, o Al Queda, o Hamas, o Boko Haram, o Al Shabaab, o Hetzbollah, e confortare i moderati.
Questo é il momento di dialogare con i moderati, cioé con le vittime dell’islam radicale, e di reprimere duramente i radicali, usando tutta la forza necessaria allo scopo di impedire la diffusione dell’islam radicale e proteggere i musulmani moderati, anche a costo di compromettere parzialmente la “cultura dei diritti” in Europa.
Forse basterebbe ripristinare un corretto equilibrio tra diritti e doveri, tra “carota e bastone”, e garantire la certezza della pena per chi viola la legge.

Questo cambiamento, però, credo richieda un’altra rivoluzione culturale che, anche nel nostro caso, ma con esiti opposti, riporti l’Occidente alle sue origini, aiutandoci a recuperare la nostra identitá e con essa l’orgoglio di essere cristiani ed occidentali e la volontá di preservare e difendere la nostra civiltá.

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La pacifica convivenza del passato tra cristiani, musulmani e altre minoranze in Siria e in Iraq, infatti, non era garantita da regimi social-democratici caratterizzati dalla politica del “solo carota e niente bastone”, come quelli prevalenti in Occidente oggi, che hanno favorito la crescita dell’islam radicale e la radicalizzazione degli immigrati islamici di seconda generazione a livelli persino piú estremi di quelli dei paesi d’origine, ma da regimi dittatoriali.
Era il pugno di ferro di dittatori senza scrupoli come Assad e Saddam a tenere a freno i radicali islamici e impedire la crescita e diffusione dell’islam radicale, non le politiche buoniste politicamente e islamicamente corrette.

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Questo é il momento di recuperare la nostra identitá giudaico-cristiana e contrastare con ogni mezzo possibile – ma piú probabilmente di natura in prevalenza militare alla luce della tipologia di nemici dell’umanitá con cui abbiamo a che fare – chi vorrebbe estendere al mondo intero il “deserto originale della Penisola Arabica”, per salvare non solo i cristiani e altre minoranze dal genocidio, ma per salvare i musulmani stessi dall’islam.

Perchè Asia Bibi e i cristiani pakistani sono snobbati da Papa Francesco?

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Ma per lei papa Bergoglio non ha né parole di difesa né di consolazione. Non l’ha mai ricordata. Né ha ricevuto in udienza privata i suoi poveri familiari quando sono venuti a Roma per incontrarlo” Antonio Socci

 

 

E’ un fatto, non un’illazione di Socci per screditare Papa Francesco.   Come si spiega questo fatto? Perchè Papa Francesco e i Suoi collaboratori e ammiratori più ferventi del Suo nuovo approccio “snobbano” i cristiani pakistani, mentre il Patriarca della Chiesa Ortodossa Russa Kirill chiede la grazia per Asia Bibi?

http://cittaperlavita.blogspot.it/2014/11/il-patriarca-kirill-chiede-la-grazia.html

L’esempio di Asia Bibi non è un caso isolato che coinvolge esclusivamente il Papa.
16143045_10210657796155166_4387584975825121626_nPerche’ una delegazione di cristiani pakistani e musulmani moderati del Kashmir (Mani Unite per la Salvezza), diretta alle Nazioni Unite a Ginevra per denunciare le persecuzioni subite per mano dei musulmani radicali con la connivenza del governo pakistano, non ha trovato nei tanti parroci interpellati orecchie disposte ad ascoltarli?

 

Perche’ alla fine questa delegazione si e’ dovuta rivolgere al sottoscritto ed altri “fondamentalisti” cristiani come me per perorare la propria causa alle Nazioni Unite a Ginevra?

Qualcuno dei tanti cristiani che condividono le scelte “politiche” di Papa Francesco ha una spiegazione ragionevole per questo strano atteggiamento del Pontefice e di molti altri membri del clero cattolico? Non ho ancora sentito alcuna spiegazione convincente…

Allora, ho formulato una teoria, che, in quanto tale, potrebbe non essere corretta, ma almeno rappresenta un tentativo di comprendere cosa passi per la testa del nostro amato Papa Francesco, invece di prendere tutto per oro colato, anche quando pare gridare vendetta al cospetto della ragione, se non di Dio…

A differenza dell’Iraq e della Siria, in Pakistan le persecuzioni ai danni dei cristiani pakistani NON possono essere giustificate invocando spiegazioni estranee all’islam e legate all’Occidente.
asia to hangLa legge sulla blasfemia in vigore in Pakistan e’ imposta e fatta rispettare dal governo “democratico” islamico, presumibilmente “moderato”…Questo e’ il volto di una “democrazia” in cui la maggioranza della popolazione e’ islamica, esattamente quello che rischia di diventare l’Italia se continuiamo ad accogliere immigrati islamici assecondando le esortazioni di Papa Francesco. ll Pakistan, infatti, sebbene paese “democratico”, mostra cosa accade ai cristiani ( e alle altre minoranze religiose) in una democrazia quando i musulmani sono la maggioranza, per ragioni strettamente e unicamente collegate alla natura dell’islam. Non ci sono, infatti, altri fattori in gioco che possano giustificare il trattamento riservato ai cristiani dall’islam in Pakistan, se non appunto la natura stessa dell’Islam. Non si possono tirare in ballo i trafficanti di armi, il petrolio, i cambiamenti climatici, ed altri fattori riconducibili a possibili responsabilita’ dell’Occidente per spiegare le persecuzioni ai danni dei cristiani, come ama fare Papa Francesco all’indomani di ogni attacco terroristico perpetrato in nome dell’islam.
unico-dio_1130X565_90_CIn altre parole, la persecuzione dei cristiani pakistani dimostra che l’islam non e’ una “religione di pace”, e non e’ compatibile con il cristianesimo, come invece il Papa vorrebbe credere e farci credere.

Un’altro aspetto problematico della situazione del Pakistan, che rischia di minare la posizione filo-islamica, pacifista e non-violenta di Papa Francesco, è proprio la differenza di trattamento subito dai cristiani in questo stato islamico e in quelli un tempo governati da dittatori arabi, come ad esempio l’Iraq. La crescita dell’islam radicale e il conseguente genocidio dei cristiani in Iraq e in Siria, in seguito rispettivamente alla deposizione di Saddam Hussein ed indebolimento del regime di Assad, e le persecuzioni dei cristiani nel “democratico” Pakistan, dimostrano che la convivenza pacifica tra musulmani e cristiani è quasi impossibile in un paese democratico, in particolare se a maggioranza islamica. Questa convivenza può realizzarsi solo a patto di reprimere l’islam radicale con la forza dell’esercito e delle armi, come è più facile possa verificarsi in un regime dittatoriale. Questo, infatti, accadeva sotto i regimi dittatoriali arabi mediorientali fino alla loro caduta promossa dagli interventi militari occidentali.

israel2L’unica eccezione alla regola è forse la democrazia israeliana, dove, comunque, la convivenza fra cristiani, ebrei e musulmani, è resa possibile dal fatto che gli islamici siano in minoranza, dalla militarizzazione dello Stato Ebraico e la ferma volontà del governo di ricorrere alla forza delle armi, se necessario, per reprimere l’islam radicale.
Armi-dassaltoIn ogni caso, paradossalmente, proprio le armi, costantemente demonizzate da Papa Francesco, giocano un ruolo determinante nella possibilità di garantire la tanto agognata convivenza pacifica tra cristiani e musulmani.

Accogliere un gran numero di immigrati islamici in una democrazia, e bandire le armi, demonizzandole, rappresenta la ricetta per l’islamizzazione del paese coinvolto e la sottomissione dei cristiani, nella migliore delle ipotesi.

L’INGANNO DELLE CONDANNE DEGLI ATTACCHI TERRORISTICI DA PARTE DEI NOSTRI “FRATELLI MUSULMANI”

 

http://www.islamopediaonline.org/news/muslim-brotherhood-condemns-attacks-against-coptic-christians-egypt

http://www.spa.gov.sa/viewfullstory.php?lang=en&newsid=1613380

Notate qualche differenza fra le condanne da parte dei Fratelli Musulmani degli attacchi alle chiese cristiane perpetrati da Al Queda in passato e quelle del Grand Imam of Al-Azhar Ahmed Al-Tayyeb degli attacchi perpetrati nei giorni scorsi dall’Isis?

NON C’E’ ALCUNA DIFFERENZA.

A suo tempo, queste condanne della violenza islamica da parte dei Fratelli Musulmani guadagnarono loro l’appellativo di “moderati” e il sostegno dell’Occidente e della Chiesa Cattolica, che contribuì alla loro ascesa al potere in Egitto…
Una volta al potere, i Fratelli Musulmani gettarono la maschera di moderati, indossata per ingannare gli ingenui occidentali, e cercarono di imporre la Sharia…Il resto lo conosciamo…Oggi i Fratelli Musulmani sono un’organizzazione terroristica combattuta dal governo e dalle forze armate egiziane.

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L’imam dell’universita’ di Al-Ahzar, dopo il discorso di un vero musulmano moderato come il presidente egiziano Al-Sisi proprio dal pulpito di Al-Azhar, è stato costretto a prendere un po’ le distanze dai Fratelli Musulmani, oggi considerati organizzazione terroristica in Egitto, e a fingere di riproporre l’invito di Al-Sisi ad una riforma dell’islam.
A rivelare, pero’, le sue posizioni radicali, spiccano due fatti paradossali:
1) la punizione invocata per i membri dell’Isis, responsabili di aver bruciato vivo il pilota giordano, che e’ proprio quanto applicano gli islamici radicali dell’Isis stessi obbedendo ai medesimi versetti violenti del Corano.
crocifissione“Il discorso di al-Tayeb avviene dopo tutte le esecuzioni che lo Stato islamico (SI) ha compiuto, nel disegno di “purificare” l’islam e di combattere i suoi nemici. Il 4 febbraio scorso lo SI ha pubblicizzato il video in cui un pilota giordano rinchiuso in una gabbia veniva bruciato vivo. Al-Azhar ha subito diffuso un comunicato in cui condannando “i crimini barbari” dello SI, invocava per loro la punizione prevista dal Corano per coloro “che combattono Dio e il suo profeta: la morte, la crocifissione o l’amputazione delle loro mani e piedi”.
2) Il ritorno all’apologia di islam, dopo aver auspicato la sua riforma, e la deresponsabilizzazione del mondo islamico, attraverso l’accusa all’Occidente e ad Israele di aver ordito un complotto globale contro il mondo islamico.
“Parlando poi delle tensioni in Medio oriente egli le ha attribuite a una cospirazione da parte di “un nuovo colonialismo globale alleato al sionismo mondiale”.

http://m.asianews.it/index.php?art=33541&l=it

Come è facile intuire, l’imam di Al-Azhar sarà ben lieto di accogliere Papa Francesco in pompa magna alla fine di Aprile.
Grazie proprio al Suo atteggiamento aperto o “ingenuo”, il Papa, che, in quanto argentino, non conosce l’islam (secondo il Suo confratello gesuita e grande esperto di islam Padre Samir Khalil Samir), oggi rappresenta il perfetto Cavallo di Troia per l’astuto imam dell’universita’ di Al-Azhar…

Papa-MigrantiIl Papa, infatti, da leader religioso della Cristianita’, strenuo apologeta dell’islam, e promotore instancabile dell’accoglienza di immigrati islamici, sta favorendo l’islamizzazione dell’Europa più efficacemente di qualunque finto imam moderato.
Agli occhi dell’imam di Al-Ahzar, Allah non avrebbe potuto fornire alleato migliore per la conquista dell’Europa…:-)

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La prova del nove del fatto che sia i Fratelli Musulmani avessero emanato finte condanne di Al Queda, sia l’imam di Al-Ahzar abbia finto di condannare l’Isis in passato come oggi, è l’assenza di minacce da parte rispettivamente di Al Queda e dell’Isis all’indirizzo dei loro presunti critici islamici moderati. Chi, infatti, all’interno del mondo islamico critica sul serio gli islamisti, non sfugge mai alle loro minacce, proprio come accaduto all’imam franco-algerino Hocine Drouichel, il quale, come il suo confratello islamico Al-Sisi, ha osato proclamare la verità sull’islam:«Da imam lancio un allarme: basta dire che il terrorismo non c’entra con l’islam»

http://www.tempi.it/da-imam-lancio-un-allarme-basta-dire-che-il-terrorismo-non-centra-con-lislam#.WPHmSbgpqYw

Sebbene non sia, quindi, difficile riconoscere gli islamici genuinamente moderati da quelli che applicano la taqiyya, cioè la dissimulazione per avanzare la causa dell’islam, e il Papa si sia scelto, ciò nonostante, interlocutori radicali in altre occasioni in passato, per esempio durante la preghiera in Vaticano per la pace in Medio Oriente,

http://www.ilgiornale.it/news/cronache/preghiera-dellimam-allincontro-col-papa-allah-facci-battere-1039228.html  

il Pontefice, ma anche i Suoi sostenitori più fedeli, fra cui spiccano i membri di CL, continuano imperterriti ad incontrare e dialogare con islamici radicali, come accaduto all’edizione 2015 del Meeting di Rimini.

http://www.lanuovabq.it/it/articoli-al-meeting-sara-un-islamista-a-dare-lezioni-di-dialogo-13566.htm

E’ fuori discussione che dialogare con i finti moderati che si spacciano per radicali sia controproducente perchè accredita l’islam radicale di fronte al mondo islamico, e scredita i veri moderati, favorendo così la crescita e diffusione dell’islam radicale a scapito di quello moderato.

Come si spiega allora l’insistenza di Papa Francesco e dei Suoi collaboratori e sostenitori nel portare avanti il dialogo interreligioso proprio con i falchi dell’islam, invece che con le colombe?

L’unica spiegazione possibile è che il Papa sia realmente convinto della bontà dell’islam, che Egli ha ripetutamente paragonato al Cristianesimo, e quindi abbia sposato la teoria del Jihad difensivo, come lascia intuire la Sua controversa apparente giustificazione dell’attentato terroristico islamico contro la sede di Charlie Hebdo in Francia, in occasione del quale, Papa Francesco usò il paragone dell’offesa alla mamma e del pugno ricevuto in risposta all’offesa subita.

http://www.repubblica.it/esteri/2015/01/16/news/francesco_si_aspetti_un_pugno_chi_offende_mia_madre_la_libert_di_parola_ha_dei_limiti-105051331/

In effetti, in occasione di tutti gli attentati terroristici occorsi dalla Sua ascesa al trono di Pietro ad oggi, il Papa ha sempre evitato con cura di menzionare l’islam come possibile causa, ed ha, invece, attribuito l’estremismo e la violenza islamici a fattori estranei all’islam, e in qualche modo riconducibili all’Occidente e alle ingiustizie perpetrate dagli occidentali ai danni del Terzo Mondo, per esempio le armi, prodotte e vendute dagli occidentali, la sete di petrolio e ricchezza, i cambiamenti climatici etc.

Da un certo punto di vista non sorprende la scelta del Papa. La teoria del Jihad reattivo è, infatti, quella più naturale ed attraente per noi occidentali per una serie di ragioni legate alla nostra cultura e alle sue attuali manifestazioni di decadenza. Anzitutto, essa, come risultato dell’incapacità di uscire dai nostri schemi mentali e della tendenza a proiettarli sulla realtà, presuppone pregiudizialmente che tutti gli esseri umani, indipendentemente dalla cultura di appartenenza, condividano valori universali di rispetto per i diritti umani, l’aspirazione alla pace, il desiderio di una vita confortevole etc.

Essa, inoltre, pone questa violenza apparentemente incontrollata sotto il nostro controllo, fornendo una sorta di interruttore per spegnere l’attacco.

Nella nostra cultura, infatti, le scuse sincere, la rinuncia ad esacerbare i toni, la disponibilità al compromesso, risolvono le vertenze più accese nella maggior parte dei casi. Diamo per scontato, sulla base dell’assunto della somiglianza di tutti gli esseri umani, di poterci riappacificare con gli islamici impiegando lo stesso approccio.

E’ relativamente facile testare questa teoria. Poichè secondo la teoria del Jihad difensivo, il terrorismo islamico sarebbe la reazione prevedibile dei poveri del Terzo Mondo allo sfruttamento, al colonialismo, all’imperialismo dei ricchi paesi occidentali, USA in testa, le implicazioni di questa teoria sono che:

  1. la violenza dovrebbe essere orientata esclusivamente verso gli occidentali e gli americani, presunti responsabili delle umiliazioni, delle sofferenze imposte alle popolazioni del Terzo Mondo.
  2. Se l’occidente e gli USA si ravvedessero, si scusassero e cercassero di rimediare ai danni causati, elargendo aiuti economici, o sostenendo le istanze delle popolazioni coinvolte, o ritirandosi dalle regioni del Terzo Mondo occupate o controllate, la violenza dovrebbe ridursi significativamente.
  3. I rappresentanti di quella parte di umanità povera ed oppressa dovrebbero rinunciare alla violenza se accolti amichevolmente in Occidente e quindi sottratti alle condizioni di povertà e sfruttamento dei paesi d’origine
  4. Ogni altra etnia o cultura che avesse subito angherie e umiliazioni paragonabili o peggiori dovrebbe comportarsi come i musulmani.

Come ho dimostrato chiaramente in un precedente articolo, ed è relativamente facile da scoprire per chiunque, tutte le implicazioni suddette sono ampiamente smentite dalla realtà.

http://www.magdicristianoallam.it/blogs/verita-e-libeta/%E2%80%9Ce%E2%80%99-nato-prima-l%E2%80%99uovo-dell%E2%80%99invasione-dell%E2%80%99afghanistan-o-la-gallina-del-terrorismo-islamico%E2%80%9D.html

Ciò nonostante, il Papa e i fautori del dialogo interreligioso con l’islam continuano, invano, a tentare di spegnere la violenza islamica premendo l’interruttore dell’accoglienza, delle scuse, dell’autocritica spinta fino alla demonizzazione della nostra civiltà, dell’esaltazione delle presunte qualità dell’islam.

 

 

 

SE SOLTANTO IL BUON DIO NON AVESSE CREATO E FORNITO “PISTOLINI” AGLI IMMIGRATI ISLAMICI, LE NOSTRE DONNE NON VERREBBERO STUPRATE A MIGLIAIA…

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La guerra dell’islam contro l’Europa è ricominciata a partire dal 1974 con l’arrivo di un’ondata di immigrati islamici, in seguito al patto col “diavolo islamico” firmato dal Vecchio Continente per evitare il ripetersi di interruzioni nel flusso di approvvigionamento petrolifero da parte dei paesi arabi dell’OPEC e di attentati terroristici islamici palestinesi in territorio europeo.

Questa aggressione, è stata in qualche modo favorita da due fattori, entrambi riconducibili ad un vero e proprio ricatto:
1. Ricatto energetico: l’amara consapevolezza della totale dipendenza energetica dell’Europa dal petrolio dei paesi produttori di petrolio del Medio Oriente e del Nord Africa, acuita dalla crisi energetica del 1973.

La guerra dello Yom Kippur segna una svolta nella storia dei rapporti tra Europa e paesi arabi
La guerra di Yom Kippur segna una svolta nella storia dei rapporti fra Europa, Israele e Paesi Arabi

Questa crisi fu dovuta principalmente all’improvvisa e inaspettata interruzione del flusso dell’approvvigionamento di petrolio da parte del’OPEC verso le nazioni importatrici, dopo un iniziale raddoppiamento del prezzo del petrolio e diminuzione del 25% delle esportazioni per ammonire l’Occidente a non appoggiare Israele durante la Guerra dello Yom Kippur.

https://it.wikipedia.org/wiki/Crisi_energetica_(1973)

2. Ricatto della paura: la volontà di ridurre il rischio di attentati terroristici islamici in territorio europeo dopo la scia di massacri compiuti dall’OLP e gruppi associati ai palestinesi negli anni ’70 contro obiettivi legati alla comunità ebraica e a Israele.

https://it.wikipedia.org/wiki/Terrorismo_palestinese

L’Europa, ricattata energeticamente e terrorizzata dagli attentati dei palestinesi, si è accordata con i suoi nemici giurati, il “diavolo islamico”, da cui ha ricevuto assicurazioni di ininterrotta fornitura petrolifera e di controllo sull’attività terroristica, che, nella peggiore delle ipotesi, sarebbe stata orientata esclusivamente contro Israele e gli ebrei.

Attacco terroristico islamico palestinese contro la sinagoga di Roma
Attacco terroristico islamico palestinese contro la sinagoga di Roma

Gli ebrei sono stati, quindi, usati consapevolmente come “vittima sacrificale” per la presunta salvezza dell’Europa, a patto di aprire le porte all’immigrazione di massa dai paesi del Nord Africa e mediorientali e sposare la causa araba e palestinese contro Israele.

La guerra è sfuggita all’attenzione della maggioranza dei cittadini europei perchè gli atti di belligeranza si sono limitati inizialmente ad abusi di natura sessuale, molto meno eclatanti, e quindi più facili da occultare da parte dei governi e della stampa di sinistra, degli attentati terroristici che hanno nuovamente scosso l’Europa più di recente.

Infatti, prima ancora di perpetrare attentati terroristici, gravissimi, ma episodici per ora, e possibili terrificanti futuri attacchi con armi di distruzione di massa, un gran numero di immigrati islamici accolti si sono da subito resi responsabili di una guerra di bassa intensita’ contro le nostre donne.

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Da quando abbiamo cominciato ad accogliere immigrati islamici, il numero di abusi sessuali e stupri e’ cresciuto, in alcuni casi, come quello drammatico della Svezia, in modo esponenziale.

https://it.gatestoneinstitute.org/5224/svezia-stupri

Gli abusi sessuali perpetrati da immigrati islamici a Colonia: un vero e proprio attacco pianificato
Abusi sessuali perpetrati da immigrati islamici a Colonia: un vero e proprio attacco pianificato

Più recentemente, gli immigrati islamici responsabili di questa epidemia di stupri hanno cominciato a lanciare attacchi su larga scala contro le nostre donne, come accaduto a Colonia e altre citta’ europee l’ultimo dell’anno 2015, o in occasione di eventi pubblici che richiamano un gran numero di partecipanti, ad esempio concerti.

http://www.tpi.it/mondo/germania/colonia-violenza-donne-cosa-e-successo-capodanno

In linea con questa preoccupante tendenza, nella piccola cittadina in cui vivo, in seguito all’arrivo di altri immigrati islamici, le molestie e gli abusi sessuali sono aumentati drammaticamente nel mio quartiere. Conosco personalmente molte donne che hanno subito molestie e abusi, e persino mia moglie, purtroppo, e’ stata molestata. Dopo il calar del sole, le mie concittadine hanno paura di uscire di casa in alcuni quartieri e si stanno armando.

http://www.laprovinciadivarese.it/stories/varese-citta/quella-paura-che-di-notte-si-impossessa-di-varese_1261832_11/

A questo punto, applicando la logica del Papa, di molti Suoi collaboratori e cattolici, secondo i quali la responsabilita’ della violenza islamica sarebbe da attribuire alle armi e ai loro produttori e fornitori, piuttosto che anzitutto all’islam, la colpa di questa aggressione sessuale su larga scala ai danni delle nostre donne dovrebbe essere del buon Dio, Che ha fornito questi immigrati di “pistolini” tra le gambe…

https://ilmanifesto.it/il-papa-basta-al-traffico-di-armi-la-pace-e-possibile/

http://www.iltempo.it/cronache/2016/03/25/news/il-papa-trafficanti-darmi-dietro-un-atto-di-guerra-1005382/)

Se soltanto il buon Dio non avesse creato e fornito “pistolini” agli immigrati islamici, le nostre donne non sarebbero state stuprate a migliaia e non vivrebbero nella paura di mettere piede fuori di casa in molte città europee.

Bandiamo, dunque, i “pistolini” islamici, così da porre fine alla guerra islamica contro le nostre donne, introducendo la castrazione chimica, o, meglio ancora, per maggiore giustizia, quella tradizionale, (http://zweilawyer.com/2012/02/13/islam-e-schiavismo-una-storia-dimenticata/) che gli islamici hanno barbaramente impiegato in passato contro milioni di giovani africani destinati a lavorare come schiavi negli harem degli sceicchi.

 

I cristiani non sono vittime del fondamentalismo islamico, ma dell’Islam

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A volte, di fronte alla terribile tragedia dei Cristiani, presunte vittime del fondamentalismo islamico, mi chiedo se sia persino opportuno tentare di capire la natura del problema, lanciarsi in dibattiti accademici intorno alla scelta delle parole. Di certo non basta sforzarsi di comprendere e in altri ambiti ci sono cose ben piu’ importanti ed utili da fare per aiutare i Cristiani perseguitati.

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Detto questo, la scelta di parole e’ un indizio importante della percezione della natura dei problemi e quindi delle possibilita’ di trovare una soluzione. Mi domando, quindi, se sia davvero utile alla comprensione descrivere quanto accade ai Cristiani come l’opera del “ultrafondamentalismo”, o “fondamentalismo” per evitare l’uso pleonastico, alla luce di un paragone tra l’islam, anti-semita e anti-cristiano sin dalle origini e l’ideologia occidentale anti-semita e anti-cristiana ad esso piu’ simile e legata, cioe’ il nazismo.

L’islam comprende una lista interminabile di regole e imposizioni, ma il nucleo centrale consiste nella sottomissione, nell’emulazione del Profeta, e in un principio indiscutibile e indiscusso di superiorita’ dei musulmani sugli infedeli paragonabile a quello della supremazia della razza ariana su tutte le altre del nazismo.

Non mi risulta che esistesse un numero significativo di nazisti “moderati” per quanto riguarda le implicazioni per la sorte toccata agli Ebrei e alle altre vittime della follia ideologica e lo scoppio della II Guerra Mondiale.

Sulla base dell’applicazione integrale, o carente di alcune clausole, del Corano, si distinguono sfumature di fondamentalismo o moderazione, che permettono di separare per esempio i Fratelli Musulmani dai Salafiti e da Al Queda o l’ISIS.

L’enfasi posta dagli occidentali, alla disperata ricerca della chimera della “religione di pace”, sulle differenze tra gli “ultrafondamentalisti”, i “fondamentalisti” e i “moderati”, pero’, e’ rischiosa per vari motivi.

Come evidenziato dall’illusione della Primavera Araba in Egitto, i Fratelli Musulmani non sono meno ostili ai Cristiani dei Salafiti semplicemente perche’ evitano il ricorso alla violenza, quando controproducente per il perseguimento del comune obiettivo del Califfato globale, e partecipano ad elezioni democratiche, anzi sono forse piu’ pericolosi proprio per la loro astuzia e adattabilita’.

Inoltre, le differenze sembrano molto piu’ significative ed importanti per i musulmani, gia’ “abituati” comunque alla sottomissione e alla mancanza di liberta’, di quanto non lo possano essere per gli infedeli, uomini liberi. Queste distinzioni possono, infatti, significare per i fedeli la differenza tra indossare il velo o il burqua, tra poter ascoltare la musica o guardare un film oppure no, ma per quanto ci riguarda qualsiasi forma di Islam mai esistita e’ estrema o non moderata nella misura in cui prevede la superiorita’ degli islamici e la dhimmitudine dei Cristiani e degli Ebrei.

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Inoltre, quando gli “ultra o semplici fondamentalisti”, anche se magari una minoranza, applicano il Corano o emulano il profeta “piu’ alla lettera” degli altri e massacrano gli infedeli, nessuno puo’ criticarli sul serio perche’ la loro e’ una legittima interpretazione, anzi per certi versi “piu’ legittima”. Maometto, infatti, il modello ideale per ogni musulmano, era un pedofilo, uno stupratore e un pluriomicida, non un costruttore di pace e amante della fratellanza universale.

Un momento della manifestazione ''Not in my name'', in piazza Ss. Apostoli, Roma, 21 novembre 2015. ANSA/ALESSANDRO DI MEO

Questa, oltre alla legittima paura, e’ la probabile ragione dell’assenza di critiche da parte del mondo islamico nei confronti del terrorismo, le operazioni di pulizia etnica e le discriminazioni, fino a quando qualcuno in Occidente non si è accorto del silenzio assordante della maggioranza del mondo islamico e non ha preteso ferme condanne delle azioni dei radicali da parte dei presunti moderati per prendere le distanze dalla violenza e dimostrarsi così genuinamente moderati. Le condanne, oggi divenute abituali, non si sono, però, generate spontaneamente in passato, a conferma del fatto che non fossero genuine, ma ad uso e consumo degli ingenui occidentali.

In ogni caso, è semplice distinguere le false condanne da quelle vere: quelle false si concentrano sugli attacchi terroristici islamici, ma tendono a non coinvolgere l’islam, che viene difeso come religione di pace, e soprattutto non generano minacce da parte dei “fondamentalisti” all’indirizzo di chi le emette.

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Viceversa, quelle genuine riconoscono la correlazione tra islam e violenza islamica e mettono a repentaglio l’incolumità di chi osa promulgarle, procurando loro minacce di morte (http://www.tempi.it/da-imam-lancio-un-allarme-basta-dire-che-il-terrorismo-non-centra-con-lislam).

Seconda considerazione. Ipotizziamo lo scenario piu’ favorevole possibile, sebbene poco probabile a mio parere, ma auspicabile e credo auspicato dai fautori del dialogo con l’islam, che la maggioranza dei musulmani in realta’ siano “laici secolarizzati”, l’equivalente “islamico” di tanti occidentali di oggi.

Quanti “ultra o semplici fondamentalisti”, e quanto influenti, si annidano tra i “non-musulmani islamici” alla luce del “silenzio assordante” del mondo islamico o delle condanne emesse a nostro uso e consumo, di fronte ai crimini perpetrati dagli “ultra o semplici fondamentalisti”?

E’ possibile ragionevolmente supporre che la stragrande maggioranza dei tedeschi fossero “laici” rispetto alla pseudoreligione nazista, ma il numero e la forza dei nazisti era comunque tale da rendere totalmente insignificante e ininfluente la maggioranza silenziosa per la sorte degli Ebrei e del resto del mondo.

L’unico aspetto “positivo” che riesco a cogliere nell’islam e’ proprio la tendenza inevitabile alle lotte intestine e all’autodistruzione, risultante dalla violenza insita nella sua natura e dalle differenti interpretazioni e le sfumature di integralismo o moderazione.

L’islam e’, infatti, sempre in guerra anzitutto con se’ stesso e non solo lungo la linea di frattura Sunniti e Sciti.

I TERRORISTI ISLAMICI SONO PSICOLABILI E MALATI DI MENTE, COME AFFERMANO GLI APOLOGETI DELL’ISLAM, MA I LORO PROBLEMI PSICOLOGICI E MENTALI SONO CAUSATI DALL’ISLAM

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Attentato terroristico islamico a Stoccolma

Puntualmente, dopo ogni attentato terroristico islamico, i nostri leader politici, intellettuali, e giornalisti, si affrettano ad insinuare che i responsabili fossero affetti da problemi psicologici, pur di evitare di dover riconoscere che fossero islamici e avessero ucciso in nome dell’islam.

In realtà, è possible che abbiano, almeno in parte, ragione, sebbene i nostri apologeti dell’islam non ne siano consapevoli, e attribuiscano ai terroristi islamici problemi psicologici e mentali soltanto per essere politicamente corretti, difendere l’islam, ed evitare di fare i conti con l’errore di proporzioni colossali di aver accolto centinaia di migliaia di potenziali macchine per uccidere in Europa.

E’ probabile che i terroristi islamici siano spesso psicolabili e malati di mente, come forse una parte insolitamente cospicua di islamici, ma questo non è un fatto distinto dall’islam, anzi potrebbe essere proprio il risultato della cultura islamica.

Se, infatti, consideriamo il livello di preoccupazione espresso dai nostri psicologi per la possibilità che la psiche e la mente dei nostri bambini possa subire danni, anche permanenti, come risultato dell’aver sofferto episodi di bullismo, o della separazione dei propri genitori, o semplicemente come conseguenza della visione di immagini violente in televisione o su internet, è facile concludere che nella popolazione islamica la percentuale di psicolabili e malati di mente possa essere molto più alta.

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Infibulazione: mutilazione genitale femminile

Infatti, i bambini islamici crescono spesso in una cultura e un ambiente in cui la violenza è all’ordine del giorno, fa parte della vita quotidiana, e subiscono, sin da piccoli e fino all’età adulta, traumi fisici e psicologici che fanno impallidire quelli di cui si preoccupano i nostri psicologi. Basti pensare alle mutilazioni genitali femminili, agli abusi sessuali dei propri padri sulle proprie madri o sorelline, alle punizioni corporali, allo spettacolo delle lapidazioni, decapitazioni e altre punizioni estreme ai danni delle proprie madri o sorelle o estranei, a cui sono spesso costretti ad assistere, e persino a partecipare nei casi più estremi. Una situazione di particolare gravità sono i delitti d’onore, in cui giovani islamici partecipano direttamente all’uccisione delle proprie sorelle o cugine.

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Membri di Hamas indottrinano bambino palestinese preparandolo a diventare un terrorista suicida

Se i nostri psicologi hanno ragione, allora è facile immaginare il potenziale effetto devastante sulla psiche del “lavaggio del cervello”, a cui sono sottoposti i bambini islamici, durante il quale viene loro insegnato ad odiare e ad uccidere gli infedeli, come accade, per esempio, durante le recite scolastiche organizzate da Hamas.

Oltre a tutto questo, l’usanza di sposarsi tra parenti, che affonda le sue radici nella notte dei tempi, e la conseguente elevatissima percentuale di inbreeding, potrebbe aver contribuito ad aumentare a dismisura la frequenza di problemi mentali nella popolazione.

https://en.europenews.dk/-Muslim-Inbreeding-Impacts-on-intelligence-sanity-health-and-society-78170.html

Ecco forse una ragione importante per cui è quasi impossibile dialogare o deradicalizzare gli islamisti, i quali, più di ogni altro islamico, è probabile abbiano subito traumi psicologici difficili da immaginare per la nostra civiltà.

Sarebbe necessario, semmai, sottoporli a lunghe sedute di trattamento con psicoterapeuti e farmaci psicoattivi per tentare di curare le loro patologie psicologiche, prima di poter anche solo considerare l’ipotesi di un dialogo.

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San Francesco al cospetto del Sultano: la prova del fuoco

Questa è probabilmente la ragione per cui persino San Francesco fallì nei Suoi tentativi di convertire gli islamici dell’epoca, e gli islamisti non mostrano la benchè minima riconoscenza anche quando vengono trattati coi guanti di velluto, aiutati, accolti, sfamati, curati etc.

https://www.riscossacristiana.it/il-dialogo-interreligioso-san-francesco-il-sultano/

I parenti dei leader di Hamas, per esempio, vengono regolarmente curati negli ospedali israeliani, ma neppure questo è mai stato sufficiente a toccare il cuore di questi islamisti e ad aprire spiragli di dialogo e convivenza pacifica: Hamas continua a cercare la distruzione di chi cura e salva la vita ai propri figli.

http://www.ansa.it/sito/notizie/mondo/2014/11/03/hamas-si-cura-in-israele-ricoverata-sorella-dirigente_b8d96ecf-a079-4ee6-a30b-4f3d00c0f74e.html

Ecco un’ulteriore ragione per cui il dialogo con gli islamisti perseguito da Papa Francesco e dai Suoi collaboratori è destinato a fallire, con ogni probabilità, con conseguenze disastrose per tutti noi.

Anche Erdogan dice che l’islam moderato non esiste e che il termine “islam moderato” è brutto e offensivo

Erdogan

Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan, principale sponsor sia dei Fratelli Musulmani sia dello “Stato islamico” dell’Isis, che sta arrestando giornalisti e dissidenti e trasformando la Turchia in una teocrazia islamica, ha dichiarato: “Il termine ‘islam moderato’ è brutto e offensivo. Non esiste l’islam moderato. L’islam è l’islam.”
Le parole di Erdogan sembrerebbero smentire apertamente i sostenitori dell’esistenza di un islam “moderato”, almeno per chi ritenga che un islamista come Erdogan possa conoscere meglio l’islam di quanto possa mai conoscerlo qualunque intellettuale occidentale.
La precisazione è necessaria perché i nostri illuminati esperti di islam occidentali e apologeti dell’islam di solito non danno molto credito alle parole dei musulmani, che trattano pertanto come un branco di mentecatti incapaci di comprendere la realtà a loro più familiare e di descriverla compiutamente, quando pretendono di spiegare ai musulmani come Erdogan quello che in realtà i musulmani stessi penserebbero davvero e vorrebbero dire.
A conferma dell’esistenza di questa vena di razzismo ed arroganza, i difensori dell’islam e professionisti dell’anti-razzismo presuppongono che il terrorismo islamico, piuttosto che manifestare un progetto egemonico prettamente islamico, rappresenti una reazione degli islamici ad una provocazione degli occidentali, facendo appello al mito del “buon selvaggio” e alla teoria del Jihad reattivo su esso fondata. La teoria del Jihad reattivo implica, però, che gli islamici, come popolazione, siano incapaci di intendere e volere pienamente, di prendere decisioni autonome e perseguire propri sogni e progetti, per quanto discutibili, ma siano in grado soltanto di reagire appunto agli stimoli esterni, alle provocazioni, alle azioni degli occidentali, queste sì totalmente consapevoli, responsabili, ed espressione di sogni e progetti endogeni.
È dunque mai esistito, e domanda ancora più pertinente, esiste oggi l’islam “moderato”, oppure “l’islam è l’islam”, come spiega Erdogan?
Per tentare di rispondere, potrebbe essere utile chiedersi perché mai Erdogan giudichi l’espressione “islam moderato” “brutta e offensiva”.

L’ipotesi etnocentrica

Non è che Erdogan possa sentirsi comprensibilmente offeso quando viene considerato alla stregua di un ritardato mentale dai nostri esperti di islam occidentali impegnati a spiegargli cosa sia davvero l’islam?
Ai nostri esperti di islam, però, questa possibilità non passerà neppure per l’anticamera del cervello, bloccata dalla presunzione di rappresentare non solo l’elite intellettuale del pianeta, ma anche i paladini globali dei diritti umani, antirazzisti per definizione.
Essi, guardando la realtà attraverso il filtro della propria cultura, impiegheranno quindi, con ogni probabilità, un approccio etnocentrico all’interpretazione delle parole di Erdogan, e presupporranno senza dimostrarlo che l’islam sia una “religione di pace” e quindi non abbia senso parlare di un “islam moderato”, che implicherebbe l’esistenza di un islam estremista e violento.
La violenza espressa dai seguaci dell’islam verrà liquidata sottoscrivendo la teoria del Jihad reattivo, cioè descrivendola come una comprensibile reazione a qualche ingiustizia o sopruso subito per mano dell’Occidente imperialista e colonialista.
I nostri esperti pertanto si convinceranno che Erdogan ritenga “brutta e offensiva” l’espressione “islam moderato” per le loro stesse ragioni, cioè perché “l’islam è l’islam”, una meravigliosa religione di pace e fratellanza universali, i cui fedeli possono all’occorrenza deformarne e corromperne il messaggio originale divenendo “estremamente” violenti, ma solo se provocati. Eppure è facile dimostrare l’infondatezza della teoria del “Jihad reattivo” sulla base della documentazione storica.                                                                                                                                                             La cronologia degli eventi storici mostra in modo inconfutabile come l’aggressione islamica nel passato abbia preceduto qualunque invasione o colonizzazione occidentale, e, per citare un esempio molto più recente specifico e calzante, come il terrorismo islamico ai danni degli ebrei si sia manifestato prima della fondazione di Israele e dell’occupazione dei territori abitati dai palestinesi.
Inoltre, e paradossalmente per i sostenitori del multiculturalismo e della sostanziale equivalenza di tutte le culture, anche se non tutti i musulmani sono terroristi, con rare eccezioni, i terroristi sono tutti musulmani.
In Afghanistan, Iraq e nel resto del mondo gli attacchi a moschee e fedeli riuniti in preghiera sono perpetrati da altri musulmani, non da cristiani o ebrei; nell’Africa sub-sahariana, nonostante nel corso della storia dell’islamizzazione del continente africano siano stati brutalmente trucidati milioni di cristiani e animisti, i cristiani non hanno lanciato una Guerra Santa contro i musulmani; gli ebrei, a dispetto della Shoah, non hanno mai intrapreso una feroce campagna terroristica contro i tedeschi per vendicare i terribili torti subiti; i nativi americani, pur potendo vantare innegabili ragioni storiche di rivalsa contro gli invasori bianchi, vivono pacificamente nelle riserve e gestiscono i casinò; gli indiani non si fanno saltare in aria nella metropolitana di Londra per punire gli inglesi per il passato coloniale; i tibetani non stanno seminando il terrore a Pechino o in altre città della Cina per vendicarsi della distruzione dei loro meravigliosi templi.                                                                                         I più probabili responsabili degli attacchi terroristici dell’11 Settembre 2001 non avrebbero dovuto essere islamici, ma giapponesi, che durante la II Guerra Mondiale avevano già impiegato aerei in missioni suicida. Eppure, gli abitanti del Paese del Sol Levante, nonostante il bombardamento atomico di Hiroshima e Nagasaki, hanno in realtà sviluppato un rapporto di amicizia e collaborazione economica e sono divenuti i migliori alleati degli USA nel lontano Oriente, invece di riportare in auge le gesta dei kamikaze di Pearl Harbor.
Perché, nonostante membri a pieno titolo della comunità umana, i musulmani sono così diversi dagli appartenenti a tutte le altre culture nella gestione delle proprie vertenze politiche e nella presunta rivendicazione dei propri diritti o nel perseguimento delle proprie legittime aspirazioni alla giustizia? Che cosa distingue i musulmani dal resto del mondo? La risposta è semplice ed ovvia per tutti, tranne che per gli esperti ed apologeti dell’islam: ciò che differenzia i musulmani dal resto dell’umanità è l’islam.

L’ipotesi islamica

È possibile spiegare le parole di Erdogan da un altro punto di vista, meno etnocentrico, più islamico. È possibile che Erdogan, dimostrando un’intelligenza molto superiore a quella di uno scimmione attribuitagli dai nostri intellettuali, stia applicando la strategia di inganno degli infedeli sancita e raccomandata dal Corano denominata Taqiyya. In altre parole, è possibile che il nostro autorevole islamista, ben conoscendo la mentalità occidentale degli esperti di islam e il loro etnocentrismo, stia mentendo, o descrivendo la realtà in modo ingannevole, dicendo proprio quello che gli infedeli si aspettano di sentire, al fine di favorirne lo svolgimento del ruolo di Cavallo di Troia ai danni dell’Occidente.
Oppure, più probabilmente, Erdogan, irritato dall’arroganza e dal sottile, ma evidente razzismo, dei suoi interlocutori occidentali, potrebbe più candidamente descrivere il puro e semplice punto di vista islamico, cioè definire l’islam reale, senza applicare parametri tipicamente occidentali come “moderato” o “estremo”.
L’islam è intrinsecamente e potenzialmente violento, ma può apparire “moderato” o “estremo” ai nostri occhi a seconda delle circostanze, in funzione del livello di violenza espresso di volta in volta.
La violenza è infatti un parametro chiave di giudizio nella cultura occidentale, in cui vige il rispetto dei diritti e della dignità della persona, e in cui la non-violenza viene spesso ritenuta un valore supremo proprio dagli esperti di islam e paladini dei diritti umani.
Nell’islam, però, la non-violenza non costituisce un valore da perseguire ad ogni costo, ma un semplice strumento per raggiungere lo scopo. Semmai, la violenza è in parte la manifestazione più naturale e prevedibile di una cultura radicata nella mentalità, tradizioni e usanze di predoni del deserto in uno stato di belligeranza quasi costante con i clan rivali.
A volte, può non essere necessario utilizzarla e quindi può covare sotto la superficie come un fuoco mai del tutto spento, sempre pronta però a divampare da un istante all’altro, perché parte integrante della fisiologia dell’islam.                                                                                                       Ad esempio, in Egitto, in occasione della Primavera Araba, Obama e i governi occidentali commisero l’errore di giudicare i Fratelli Musulmani “moderati” nel confronto con Al Qaeda e i Salafiti perché apparentemente a sfavore dell’uso (esclusivo) della violenza e la disponibilità a partecipare a elezioni democratiche, e favorirono la loro ascesa al potere. Una volta al potere, i Fratelli Musulmani cominciarono a trasformare radicalmente la società attraverso l’imposizione della sharia e scatenando proprio quella violenza che alla vigilia delle elezioni avevano dato la falsa impressione di voler rinnegare.
L’aspetto più importante dell’islam non è il livello di violenza espresso, che può variare e quindi ingannare, in particolare chi è alla disperata ricerca di segnali di “moderazione”, ma la “sottomissione”, che rende l’islam sempre e comunque “estremo” per quanto ci riguarda.
La “sottomissione”, pressoché ubiquitaria nell’islam, infatti, è antitetica al valore supremo più caro all’Occidente, la libertà, e quindi rende ogni forma di islam “estrema” e intollerabile, almeno per chi ama la libertà e ha davvero a cuore i diritti umani.
Da dove nasce e qual è la funzione della “sottomissione” nell’islam?

L’islam come possibile soluzione alle divisioni e alla violenza originali della cultura beduina della Penisola Arabica 

Sin dalle origini l’islam è per definizione, e paradossalmente, oltre che “sottomissione”, anche “divisione”, basti pensare alla tradizionale spaccatura tra sunniti e sciiti, che al suo interno contiene ulteriori sfumature e gradazioni di interpretazioni e correnti.
Dico “paradossalmente” perché l´associazione “sottomissione” e “divisione” è contro-intuitiva, ci si aspetterebbe “uniformità” e “unione” dalla sottomissione, non divisioni e spaccature. Il paradosso si può forse spiegare antropologicamente riconoscendo la “sottomissione” come il vano tentativo di risolvere il problema della “divisione” e della violenza all’interno di una cultura frammentata lungo linee familiari e tribali.                                                                                                                                 È possibile che il Profeta abbia tentato di porre rimedio alla frammentazione e alla violenza fisiologiche nella sua cultura tribale inventando l’islam, che nelle sue intenzioni avrebbe dovuto, con la “sottomissione”, garantita e regolata da una miriade di regole e dettami, controllare la violenza intestina e indirizzarla, incanalarla verso l´esterno, verso un progetto egemonico di conquista. Questo beduino del deserto non immaginava che non solo il Corano non avrebbe eliminato il problema della frammentazione originale, ma che le innumerevoli regole e prescrizioni sancite dal suo libro sacro, invece di garantire il controllo assoluto, avrebbero offerto ulteriori motivi di divisione legati alle diverse interpretazioni dei singoli individui. La violenza verso gli infedeli potrebbe, dunque, rappresentare l’altra faccia della frammentazione originale e un carattere distintivo dell’islam, perché espressione del “disperato” tentativo di risolvere la frammentazione e la violenza autodistruttive interne.
La violenza non ha mai abbandonato completamente la storia della civiltà islamica, è la ragione della sua forza e pericolosità, ma anche paradossalmente della sua debolezza, perché nasce al suo interno, è presente sin dalla fase embrionale, e finisce sempre prima o poi per ritorcersi contro i suoi appartenenti.                                                                                                                                                                              Tirate le somme, e presi in debita considerazione qualche breve interludio di relativa pace e il contributo positivo offerto dal Califfato Abbaside alla cultura, l’islam non è stata la soluzione magica o “divina” auspicata da Maometto ai problemi interni ed ha solo agito come un loro amplificatore, estendendo questi problemi al resto del mondo, generando schiavitù, sofferenze, povertà, ignoranza e distruzione anzitutto per le popolazioni islamiche.
L’islam non sembra capace di rinnegare le sue origini che lo vedono muovere i primi passi all´interno di clan di predoni governati dalla “legge della giungla”.
È possibile auspicare un’inversione di rotta, un cambiamento rivoluzionario che possa rendere l’islam compatibile con la dignità della persona e i diritti umani, a dispetto della sua fisiologia potenzialmente violenta e della sua natura antitetica alla libertà?
Sembrerebbe di sì, a giudicare dalle vicende della Primavere Araba in Egitto, ma questa rivoluzione non può prescindere dal riconoscimento dell’esistenza di un problema all’interno dell’islam e da un’assunzione di responsabilità da parte del mondo islamico.

L’islam è all’origine di tutti i problemi del mondo islamico

Sebbene la maggior parte dei musulmani siano non solo persone di buona volontà, ma prime vittime dell’islam radicale, sarà sempre relativamente facile per gli islamici radicali reclutare combattenti fra i musulmani fino a quando il mondo islamico non si assumerà le proprie responsabilità per i propri problemi e i propri fallimenti e userà l’Occidente e Israele come capro espiatorio per non essere costretto a fare i conti con il proprio passato.
Come spesso viene ricordato dagli apologeti dell’islam per distinguere l’islam, presunta religione di pace professata dalla maggioranza degli islamici, dal terrorismo islamico perseguito, invece, da uno sparuto manipolo di presunti fanatici, che deformerebbero il messaggio originale o genuino del Corano, i musulmani rappresentano le prime vittime dell’islam radicale incarnato dai Jihadisti.
La maggioranza dei musulmani, però, non è vittima dell’islam radicale solo oggi, lo è stata, purtroppo, già in passato.                                             In effetti, il mondo islamico, proprio a partire dalle sofferenze patite oggi per mano dei fondamentalisti islamici, dovrebbe riconoscere di essere da sempre una vittima, non anzitutto dell’Occidente e di Israele, ma dell’islam stesso, intendendo con questo termine la sua versione storica, prevalsa nell’arco dei suoi 1300 anni di storia.
Per quanto concerne, infatti, la povertà, l’arretratezza, l’ignoranza,  prevalenti nei paesi islamici, che agevolano la diffusione del fondamentalismo islamico e il reclutamento di Jihadisti, esse sono per lo più il frutto di errori interni alla storia della civiltà islamica, più specificatamente una serie di decisioni, due delle quali di importanza critica, prese nel passato dai governanti e dai leader religiosi del mondo islamico, che hanno impedito alla civiltà islamica di tenere il passo con i rapidi progressi dell’Europa cristiana.
1. Quando in Europa fu inventata la stampa nel XV secolo, e la notizia giunse alle orecchie del Sultano Beyazid II in Istanbul, costui avrebbe voluto promuoverne la diffusione anche nell’Impero Ottomano. Gli ulema, però, si opposero proprio in nome dell’islam, una religione meno flessibile ed adattabile rispetto alle esigenze della modernità di quella cristiana.
Gli ulema decretarono che utilizzare la stampa per riprodurre la parola di Allah conservata nel Corano avrebbe costituito un sacrilegio. Pertanto, l’uso della stampa fu proibito ai musulmani per quasi quattro secoli, fino al 1729, ma concesso agli ebrei e ai cristiani dell’Impero, segnando così per sempre le sorti del mondo islamico. In breve, grazie a questa singola invenzione, la conoscenza si diffuse con rapidità inaudita nell’Europa cristiana, accelerando il progresso scientifico e tecnologico che permise all’Occidente di riguadagnare terreno, superare e distanziare il mondo islamico.
2. La dhimmitudine, ovvero l’usanza radicata nella tradizione islamica di trattare i sudditi di religione non-islamica come cittadini di serie B, o come schiavi, che da un punto di vista economico e strategico non costituiva un problema all’inizio delle conquiste arabe all’interno della Penisola Arabica, con il crescere dell’estensione dei territori e delle popolazioni di infedeli controllate, si rivelò controproducente. In caso di guerra, a settori crescenti della popolazione non era concesso di combattere per l’Impero, mentre costoro potevano invece costituire una potenziale quinta colonna. Non solo, ma, come accadde per lo più nell’Impero Ottomano, i dhimmi erano spesso relegati a ruoli nell’ambito economico, quali il sistema bancario, del commercio e dei trasporti marittimi che in Occidente guidarono i progressi dal mondo medioevale a quello moderno. Un altro elemento di auto-castrazione in qualche modo correlato al concetto e allo stato di dhimmitudine, che ha pesato soprattutto in epoche più recenti nel confronto con l’Occidente e altre culture, è la condizione della donna, ancora oggi sottomessa e spesso relegata al compito esclusivo di compiacere l’uomo, fare figli e cucinare. Anche e anzitutto le donne islamiche, prima che i dhimmi in senso stretto acquisiti con le conquiste militari, avrebbero potuto giocare un ruolo più importante e arricchente nella civiltà islamica, se il loro potenziale contributo non fosse stato precluso o limitato in modo significativo fino ad oggi dall’islam.

Segnali di moderazione dal mondo islamico

La Primavera Araba ha fatto sbocciare un fiore di autocritica e responsabilizzazione dell’islam e del mondo islamico di portata storica. Gli sviluppi della Primavera Araba in Egitto hanno visto emergere islamici genuinamente moderati del calibro del presidente egiziano Al-Sisi, disposti non solo a combattere esplicitamente l’islam radicale incarnato dai Fratelli Musulmani, Hamas e l’Isis, ma anche a riconoscere pubblicamente per la prima volta le responsabilità del mondo islamico nella generazione dei gruppi fondamentalisti.
Al-Sisi, rompendo con la tradizionale vittimizzazione del mondo islamico e parallela demonizzazione dell’Occidente, nel suo discorso “rivoluzionario”all’Università
di Al-Azhar, ha, infatti, esortato le guide religiose islamiche ad attuare una riforma religiosa per rendere l’islam compatibile con il resto del mondo, proprio a partire dal riconoscimento delle sue responsabilità storiche nella genesi del terrorismo islamico.
“…E’ inconcepibile che l’ideologia che noi santifichiamo faccia della nostra intera nazione una fonte di preoccupazione, pericolo, morte e distruzione nel mondo intero. Non mi riferisco alla “religione” bensì alla “ideologia” – il corpo di idee e di testi che abbiamo santificato nel corso di secoli, al punto che rimetterli in discussione diventa difficile. Abbiamo raggiunto il punto in cui questa ideologia e’ ostile al mondo intero…Non potete vedere le cose con chiarezza quando siete imprigionati in questa ideologia. Dovete uscirne e guardare le cose da fuori, per avvicinarvi a una visione illuminata. Dovete opporvi a questa ideologia con determinazione. Abbiamo bisogno di rivoluzionare la nostra religione…Il mondo intero aspetta le vostre parole, perché la nazione islamica e’ lacerata, distrutta, avviata alla rovina. Noi stessi la stiamo conducendo alla rovina”.

http://www.memritv.org/clip/en/4704.htm

Questo promettente messaggio dalle implicazioni decisive per il conflitto in atto e per il futuro non solo del mondo islamico, ma anche della civiltà occidentale e dell’umanità intera, non sembra, però, per ora, essere riuscito ad aprire una breccia nel terzomondismo dell’intellighenzia occidentale, che persiste imperterrita nella controproducente vittimizzazione del mondo islamico e correlata demonizzazione della propria civiltà e di Israele.
Paradossalmente, gli apologeti occidentali dell’islam, che difendono a spada tratta l’islam fino al punto di censurare sistematicamente l’aggettivo “islamico” dalle descrizioni dei massacri perpetrati in suo nome, continuano a deresponsabilizzare l’islam, finendo, loro malgrado, per alimentarne la violenza, in primis proprio ai danni delle comunità islamiche, e secondariamente dei cristiani e le altre minoranze religiose.

Il colonialismo non è responsabile dell’arretratezza del Terzo Mondo né del terrorismo islamico

 

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E’ opinione diffusa non solo tra i convinti aderenti all’ideologia della sinistra terzomondista, ma anche all’interno della Chiesa tra coloro più vicini alle posizioni no-global, che il Terzo Mondo sia povero e sottosviluppato a causa dello sfruttamento coloniale da parte dei Paesi occidentali. Le implicazioni di questa radicata convinzione sono della massima importanza per la sopravvivenza della civiltà occidentale di fronte alla minaccia implacabile dell’islam radicale che promana dai paesi islamici perché depongono a favore dell’ipotesi che la Jihad contro l’Occidente sia un fenomeno reattivo e quindi in qualche modo giustificabile.

Infatti, secondo l’ideologia terzomondista, quando i poveri e gli oppressi attuano una qualche forma di ribellione o resistenza violenta contro i ricchi e gli oppressori, stanno in realtà reagendo ad un’ingiustizia, quindi, qualunque ignominia essi commettano è comprensibile ed accettabile, proprio perché, in ultima analisi, in quanto risposta ad una provocazione, è responsabilità dei ricchi e degli oppressori. Questa idea, sebbene affascinante perché sembra fornire un potenziale interruttore per spegnere la violenza islamica, semplicemente ponendo rimedio alle ingiustizie perpetrate, è in realtà estremamente pericolosa e rischia di condurre alla disfatta dell’Occidente disarmandolo di fronte all’attacco islamico. L’Occidente, infatti, persuaso di essere il responsabile della violenza islamica, piuttosto che la vittima, invece di impegnarsi con tutte le sue forze nella lotta “senza quartiere” all’islam, cerca di placare i nemici, deresponsabilizzandoli e tentando in ogni modo di farsi perdonare per le presunte colpe del passato, finendo così per promuovere l’azione degli avversari e alimentarne l’aggressività e la violenza.

E’ possibile testare e confutare la teoria della Jihad reattiva analizzandone le previsioni o le implicazioni e verificandole alla luce dei fatti.

Ho già dedicato alla confutazione di questa ipotesi un precedente articolo dal titolo:”E’ nato prima l’uovo dell’invasione dell’Afghanistan o la gallina del terrorismo islamico?”, in cui il noto paradosso allude alla sequenza cronologica e logica di causa ed effetto applicata alla comprensione della natura del terrorismo islamico e alla sua classificazione di fenomeno aggressivo piuttosto che reattivo.

(http://www.ioamolitalia.it/blogs/verita-e-libeta/%E2%80%9Ce%E2%80%99-nato-prima-l%E2%80%99uovo-dell%E2%80%99invasione-dell%E2%80%99afghanistan-o-la-gallina-del-terrorismo-islamico%E2%80%9D.html)

In questa sede, vorrei però dimostrare l’infondatezza della teoria rimuovendo la premessa della presunta responsabilità occidentale delle condizioni di indigenza e sottosviluppo dei paesi del Terzo Mondo inclusi quelli islamici.

L’analisi storica della distribuzione geografica dello sviluppo economico è una delle chiavi per la comprensione delle ragioni dell’esistenza del Terzo Mondo. E’ possibile riconoscere la presenza di un asse, di una fascia che corre in direzione Ovest-Est definibile con il termine Eurasia lungo il quale nel corso della storia è prevalsa l’apparizione di grandiose civiltà.  Questa regione, paragonabile alla “fascia di abitabilità” dei pianeti intorno alle stelle, come risultato in questo caso della distanza dall’equatore e non da un sole, è caratterizzata da condizioni geografiche, climatiche ed ecologiche favorevoli allo sviluppo della vita evoluta delle fiorenti civiltà. Non è dunque una sorpresa che le grandi civiltà del passato siano nate e si siano sviluppate in particolare intorno al Mediterraneo, perché in questa sezione della fascia esiste un altro fattore propizio, la presenza del mare, ulteriore elemento di stabilizzazione climatica e una via estremamente agevole di comunicazione e commercio. Le eccezioni, quali ad esempio l’Australia, si possono spiegare con il fatto di rappresentare delle estensioni coloniali recenti di potenti civiltà sorte comunque nella regione suddetta e intorno al Mediterraneo. In altri casi, per esempio la Russia degli ultimi 100 anni rispetto agli USA, esse sono così diverse, seppure si collochino alla stessa latitudine, per effetto in questo caso del fallimento della Rivoluzione d’ottobre da una parte e il successo invece di quella americana dall’altra.  In effetti, è difficile immaginare gli abitanti dell’Africa sub-sahariana, tropicale ed equatoriale riuscire a progredire rapidamente vivendo nella foresta equatoriale o tropicale, impossibilitati a dedicarsi all’agricoltura su larga scala così da consentire la crescita demografica, e sotto costante assedio da parte di eserciti di parassiti a partire dalla malaria ed altri quasi altrettanto pericolosi, da cui non esisteva alcuna protezione fino a qualche tempo dopo l’arrivo dei colonizzatori europei. In Europa intorno al Mediterraneo l’impatto della sola malaria è visibile nella decisione di costruire i villaggi in cima ai monti per sfuggire all’attacco di questi implacabili nemici biologici, oltre che per garantire migliori possibilità di difesa da “nemici a due zampe”. Per cogliere l’importanza delle condizioni geografiche, climatiche ed ecologiche nella determinazione del percorso evolutivo di una comunità umana, bisogna tenere presente quali siano i presupposti più importanti per la crescita e l’evoluzione di una civiltà, ovvero lo sviluppo demografico e la possibilità di fondare insediamenti stabili. Tutto questo è però impossibile senza una fonte costante ed abbondante di cibo per la popolazione. L’agricoltura, che sola è in grado di fornire risorse alimentari capaci di sostenere lo sviluppo di una civiltà, è però ostacolata alle latitudini equatoriali e tropicali dalla sostanziale bassa fertilità del suolo a dispetto della presenza di foreste lussureggianti. Come risultato dell’elevata temperatura che promuove una frenetica attività di decomposizione da parte dei batteri, ogni albero della foresta o animale che muore non resiste abbastanza per consentire l’accumulo di abbondante humus necessario alla coltivazione di piante destinate all’alimentazione umana. Di conseguenza, lo strato fertile del terreno si estende soltanto per pochi centimetri e una volta abbattuti gli alberi per far posto ai campi, le piogge torrenziali dilavano rapidamente gli scarsi nutrienti lasciandosi un deserto di sabbia alle spalle. La foresta pluviale tipica di queste latitudini è un miracolo cresciuto sul deserto grazie alla simbiosi di organismi che consentono un rapidissimo riciclo dei pochi nutrienti disponibili.

Queste aree del globo in passato hanno potuto quindi alimentare tribù, ma difficilmente grandi agglomerati umani e urbani.

Il ruolo giocato dalla presenza del mare meriterebbe un articolo a sé stante, ma è facile intuirne i benefici in termini di stabilizzazione climatica (il clima è molto più salubre), fornitura di cibo in abbondanza attraverso la pesca, e agevolazione e promozione degli scambi commerciali con altri insediamenti umani.

Considerazioni di carattere geografico, climatico ed ecologico, unite alla verifica delle previsioni e implicazioni dell’ipotesi reattiva alla prova dei fatti, smentiscono dunque definitivamente la teoria sposata dalla sinistra terzomondista e da ampi settori della Chiesa che le potenze colonizzatrici occidentali siano divenute potenti e fiorenti a spese dei paesi del Terzo Mondo. Sebbene la colonizzazione abbia favorito l’ulteriore progresso dei colonizzatori, ma spesso anche quello delle “vittime” della colonizzazione, il successo di questi paesi è da imputare anzitutto all’appartenenza alla fascia euroasiatica descritta e alla sua sezione più favorevole localizzata intorno al Mediterraneo. La povertà o la primitività invece del Terzo Mondo è storicamente per lo più il risultato di essere nati o di essere rimasti a vivere nel posto sbagliato, lontano dalla “fascia di abitabilità”.

Le potenze coloniali occidentali hanno potuto colonizzare con relativa facilità perché erano già più evolute, ricche e potenti, non lo sono diventate sfruttando i paesi del Terzo Mondo, poveri e sottosviluppati di natura.

Quando si considera la ricaduta del colonialismo sul Terzo Mondo, bisognerebbe misurare il tributo imposto dalla colonizzazione occidentale contro i benefici di carattere scientifico, tecnologico, giuridico, demografico, etc. tratti da popoli meno civilizzati nell’interazione con popoli più avanzati, proprio come quando si valuta l’impatto complessivo dell’espansione dell’Impero romano, che, di solito, una volta presi in debita considerazione pro e contro, viene giudicato positivamente.

Tra tutti i possibili vantaggi, vale la pena di menzionarne uno di carattere esistenziale, intuibile gettando una rapida occhiata alla cartina geografica del continente africano e alla distribuzione delle aree di diffusione dell’islam e del cristianetr4jweqsimo, rispettivamente nella metà settentrionale e meridionale. Si può ragionevolmente argomentare che la colonizzazione europea potrebbe avere avuto il merito di salvare l’Africa dall’islamizzazione completa. A questo proposito, non bisogna infatti dimenticare quando si valuta l’esempio più clamoroso di sfruttamento occidentale del Terzo Mondo, ovvero la tratta degli schiavi africani, il ruolo ben più drammatico giocato dagli arabi. Costoro, non soltanto rappresentarono i diretti responsabili della cattura degli schiavi destinati al mercato occidentale, razziando i villaggi dell’Africa Sub-sahariana, e causando la morte di almeno 120 milioni di persone secondo le stime, ma furono essi stessi schiavisti ben peggiori degli occidentali. Inoltre, a differenza dei Paesi occidentali, che nel caso specifico degli Usa combatterono una guerra civile anche per l’abolizione della schiavitù, gli arabi hanno continuato e continuano a praticarla fino ai nostri giorni. Se non fosse esistito alcun limite all’espansione ulteriore dell’islam verso Sud, è facile estrapolare cosa sarebbe potuto accadere agli animisti che oggi professano la religione cristiana e per alcuni rappresentano il futuro della cristianità mondiale. Costoro, non potendo godere dei relativi vantaggi della dhimmitudine concessi ai cristiani ed ebrei, avrebbero subito il medesimo destino riservato ai correligionari più settentrionali, sarebbero stati cioè, con ogni probabilità, massacrati o ridotti in schiavitù. Quasi nessuno però oggi in Occidente, neppure i discendenti afro-americani dei popoli ridotti in schiavitù e torturati dagli arabi, riconosce ai colonizzatori europei questo merito. Ancora più sorprendente è l’assoluta assenza del benché minimo rancore o critica nei confronti del mondo islamico per aver massacrato, sfruttato e schiavizzato le popolazioni del Terzo Mondo. Paradossalmente, un illustre campione della comunità afro-americana quale l’ex-presidente Obama non ha perso occasione per criticare l’Occidente per il passato coloniale ed elogiare invece l’islam per il presunto contributo alla pace, ai progressi dell’umanità e persino all’edificazione dell’America. E’ difficile comprendere le ragioni del tributo del presidente all’islam se si escludono l’ignoranza, il totale distacco dalla realtà promosso dall’adesione all’ideologia di sinistra o magari l’effetto psicotropo di qualche droga. L’alternativa più razionale è che il rappresentante del popolo americano alludesse alla “pace eterna” dei milioni di vittime dell’islam, ai progressi in campo militare stimolati dalle sue continue aggressioni, e infine al ruolo degli arabi nella tratta degli schiavi che avrebbero presumibilmente contributo a rendere grande l’America con la raccolta del cotone nelle piantagioni del Sud…

Per quanto concerne invece la povertà e l’arretratezza dei paesi islamici, esse sono per lo più il frutto di errori interni alla storia della civiltà islamica, più specificatamente una serie di decisioni, tre delle quali di importanza critica, prese nel passato dai governanti e dai leader religiosi del mondo islamico, che hanno impedito alla civiltà islamica non solo di mantenere la superiorità di cui godeva nel Medioevo, ma anche di tenere il passo con i rapidi progressi dell’Europa Cristiana.

Quando in Europa fu inventata la stampa nel XV secolo, e la notizia giunse alle orecchie del Sultano Beyazid II in Istanbul, costui avrebbe voluto promuoverne la diffusione anche nell’Impero Ottomano, ma gli ulema si opposero in nome dell’islam, una religione meno flessibile ed adattabile rispetto alle esigenze della modernità di quella cristiana.

Gli ulema decretarono che utilizzare la stampa per riprodurre la parola di Allah conservata nel Corano avrebbe costituito un sacrilegio. L’uso della stampa fu proibito ai musulmani per quasi quattro secoli, fino al 1729, ma concesso agli ebrei e ai cristiani dell’Impero, segnando così per sempre le sorti del mondo islamico. In breve, grazie a questa singola invenzione, la conoscenza si diffuse con rapidità inaudita nell’Europa Cristiana, accelerando il progresso scientifico e tecnologico che permise all’Occidente di riguadagnare terreno, superare e distanziare il mondo islamico.

La dhimmitudine, ovvero l´usanza radicata nella tradizione islamica di trattare i sudditi di religione non-islamica come cittadini di serie B, o come schiavi, che da un punto di vista economico e strategico non costituiva un problema all’inizio delle conquiste arabe all’interno della Penisola Arabica, con il crescere dell’estensione dei territori e delle popolazioni di infedeli controllate, si rivelò controproducente. In caso di guerra, a settori crescenti della popolazione non era concesso di combattere per l’Impero, mentre costoro potevano invece costituire una quinta colonna. Non solo, ma, come accadde per lo più nell’Impero Ottomano, i dhimmi erano spesso relegati a ruoli nell’ambito economico, quali il sistema bancario, del commercio e dei trasporti marittimi che in Occidente guidarono i progressi dal mondo medioevale a quello moderno.

Un’altra ferita auto-inflitta fu l’usanza detta Timar, un sistema feudale adottato dall’Impero Ottomano proprio quando l’Occidente si stava affrancando dai vincoli del feudalesimo, che aggiunse un freno ulteriore allo sviluppo economico.

Il colonialismo occidentale non è pertanto responsabile del sottosviluppo del Terzo Mondo, né del terrorismo islamico, semmai ha determinato, sebbene spesso involontariamente, un netto miglioramento delle condizioni di vita delle aree naturalmente indigenti e arretrate del pianeta. La Jihad non è una reazione del Terzo Mondo all’imperialismo e al passato coloniale, bensì un’aggressione motivata e alimentata dall’ideologia pseudo-religiosa imperialista, razzista, sciovinista e violenta espressa e custodita nel Corano. Sarebbe dunque ora che l’Occidente si affrancasse dal perfezionismo esasperato che lo spinge ad auto-flagellarsi e tormentarsi coi sensi di colpa nei confronti del Terzo Mondo, e recuperasse invece il meritato orgoglio per la propria identità classico-giudaico-cristiana e il rispetto di sé stesso.

La ritrovata autostima consentirà all’Occidente di guadagnarsi, anche con le armi se assolutamente necessario, il rispetto dei nemici islamici. Questo rispetto potrà forse creare i presupposti per l’apertura di spiragli di vero dialogo con l’islam, invece di esplicite dichiarazioni di dhimmitudine nei negoziati anche interreligiosi, che rischiano di generare maggiore aggressività e violenza verso i cristiani in Medio Oriente e in Africa al venir meno della protezione garantita dai regimi dittatoriali filo-occidentali in via di dissoluzione.