SE SOLTANTO IL BUON DIO NON AVESSE CREATO E FORNITO “PISTOLINI” AGLI IMMIGRATI ISLAMICI, LE NOSTRE DONNE NON VERREBBERO STUPRATE A MIGLIAIA…

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La guerra dell’islam contro l’Europa è ricominciata a partire dal 1974 con l’arrivo di un’ondata di immigrati islamici, in seguito al patto col “diavolo islamico” firmato dal Vecchio Continente per evitare il ripetersi di interruzioni nel flusso di approvvigionamento petrolifero da parte dei paesi arabi dell’OPEC e di attentati terroristici islamici palestinesi in territorio europeo.

Questa aggressione, è stata in qualche modo favorita da due fattori, entrambi riconducibili ad un vero e proprio ricatto:
1. Ricatto energetico: l’amara consapevolezza della totale dipendenza energetica dell’Europa dal petrolio dei paesi produttori di petrolio del Medio Oriente e del Nord Africa, acuita dalla crisi energetica del 1973.

La guerra dello Yom Kippur segna una svolta nella storia dei rapporti tra Europa e paesi arabi
La guerra di Yom Kippur segna una svolta nella storia dei rapporti fra Europa, Israele e Paesi Arabi

Questa crisi fu dovuta principalmente all’improvvisa e inaspettata interruzione del flusso dell’approvvigionamento di petrolio da parte del’OPEC verso le nazioni importatrici, dopo un iniziale raddoppiamento del prezzo del petrolio e diminuzione del 25% delle esportazioni per ammonire l’Occidente a non appoggiare Israele durante la Guerra dello Yom Kippur.

https://it.wikipedia.org/wiki/Crisi_energetica_(1973)

2. Ricatto della paura: la volontà di ridurre il rischio di attentati terroristici islamici in territorio europeo dopo la scia di massacri compiuti dall’OLP e gruppi associati ai palestinesi negli anni ’70 contro obiettivi legati alla comunità ebraica e a Israele.

https://it.wikipedia.org/wiki/Terrorismo_palestinese

L’Europa, ricattata energeticamente e terrorizzata dagli attentati dei palestinesi, si è accordata con i suoi nemici giurati, il “diavolo islamico”, da cui ha ricevuto assicurazioni di ininterrotta fornitura petrolifera e di controllo sull’attività terroristica, che, nella peggiore delle ipotesi, sarebbe stata orientata esclusivamente contro Israele e gli ebrei.

Attacco terroristico islamico palestinese contro la sinagoga di Roma
Attacco terroristico islamico palestinese contro la sinagoga di Roma

Gli ebrei sono stati, quindi, usati consapevolmente come “vittima sacrificale” per la presunta salvezza dell’Europa, a patto di aprire le porte all’immigrazione di massa dai paesi del Nord Africa e mediorientali e sposare la causa araba e palestinese contro Israele.

La guerra è sfuggita all’attenzione della maggioranza dei cittadini europei perchè gli atti di belligeranza si sono limitati inizialmente ad abusi di natura sessuale, molto meno eclatanti, e quindi più facili da occultare da parte dei governi e della stampa di sinistra, degli attentati terroristici che hanno nuovamente scosso l’Europa più di recente.

Infatti, prima ancora di perpetrare attentati terroristici, gravissimi, ma episodici per ora, e possibili terrificanti futuri attacchi con armi di distruzione di massa, un gran numero di immigrati islamici accolti si sono da subito resi responsabili di una guerra di bassa intensita’ contro le nostre donne.

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Da quando abbiamo cominciato ad accogliere immigrati islamici, il numero di abusi sessuali e stupri e’ cresciuto, in alcuni casi, come quello drammatico della Svezia, in modo esponenziale.

https://it.gatestoneinstitute.org/5224/svezia-stupri

Gli abusi sessuali perpetrati da immigrati islamici a Colonia: un vero e proprio attacco pianificato
Abusi sessuali perpetrati da immigrati islamici a Colonia: un vero e proprio attacco pianificato

Più recentemente, gli immigrati islamici responsabili di questa epidemia di stupri hanno cominciato a lanciare attacchi su larga scala contro le nostre donne, come accaduto a Colonia e altre citta’ europee l’ultimo dell’anno 2015, o in occasione di eventi pubblici che richiamano un gran numero di partecipanti, ad esempio concerti.

http://www.tpi.it/mondo/germania/colonia-violenza-donne-cosa-e-successo-capodanno

In linea con questa preoccupante tendenza, nella piccola cittadina in cui vivo, in seguito all’arrivo di altri immigrati islamici, le molestie e gli abusi sessuali sono aumentati drammaticamente nel mio quartiere. Conosco personalmente molte donne che hanno subito molestie e abusi, e persino mia moglie, purtroppo, e’ stata molestata. Dopo il calar del sole, le mie concittadine hanno paura di uscire di casa in alcuni quartieri e si stanno armando.

http://www.laprovinciadivarese.it/stories/varese-citta/quella-paura-che-di-notte-si-impossessa-di-varese_1261832_11/

A questo punto, applicando la logica del Papa, di molti Suoi collaboratori e cattolici, secondo i quali la responsabilita’ della violenza islamica sarebbe da attribuire alle armi e ai loro produttori e fornitori, piuttosto che anzitutto all’islam, la colpa di questa aggressione sessuale su larga scala ai danni delle nostre donne dovrebbe essere del buon Dio, Che ha fornito questi immigrati di “pistolini” tra le gambe…

https://ilmanifesto.it/il-papa-basta-al-traffico-di-armi-la-pace-e-possibile/

http://www.iltempo.it/cronache/2016/03/25/news/il-papa-trafficanti-darmi-dietro-un-atto-di-guerra-1005382/)

Se soltanto il buon Dio non avesse creato e fornito “pistolini” agli immigrati islamici, le nostre donne non sarebbero state stuprate a migliaia e non vivrebbero nella paura di mettere piede fuori di casa in molte città europee.

Bandiamo, dunque, i “pistolini” islamici, così da porre fine alla guerra islamica contro le nostre donne, introducendo la castrazione chimica, o, meglio ancora, per maggiore giustizia, quella tradizionale, (http://zweilawyer.com/2012/02/13/islam-e-schiavismo-una-storia-dimenticata/) che gli islamici hanno barbaramente impiegato in passato contro milioni di giovani africani destinati a lavorare come schiavi negli harem degli sceicchi.

 

I cristiani non sono vittime del fondamentalismo islamico, ma dell’Islam

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A volte, di fronte alla terribile tragedia dei Cristiani, presunte vittime del fondamentalismo islamico, mi chiedo se sia persino opportuno tentare di capire la natura del problema, lanciarsi in dibattiti accademici intorno alla scelta delle parole. Di certo non basta sforzarsi di comprendere e in altri ambiti ci sono cose ben piu’ importanti ed utili da fare per aiutare i Cristiani perseguitati.

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Detto questo, la scelta di parole e’ un indizio importante della percezione della natura dei problemi e quindi delle possibilita’ di trovare una soluzione. Mi domando, quindi, se sia davvero utile alla comprensione descrivere quanto accade ai Cristiani come l’opera del “ultrafondamentalismo”, o “fondamentalismo” per evitare l’uso pleonastico, alla luce di un paragone tra l’islam, anti-semita e anti-cristiano sin dalle origini e l’ideologia occidentale anti-semita e anti-cristiana ad esso piu’ simile e legata, cioe’ il nazismo.

L’islam comprende una lista interminabile di regole e imposizioni, ma il nucleo centrale consiste nella sottomissione, nell’emulazione del Profeta, e in un principio indiscutibile e indiscusso di superiorita’ dei musulmani sugli infedeli paragonabile a quello della supremazia della razza ariana su tutte le altre del nazismo.

Non mi risulta che esistesse un numero significativo di nazisti “moderati” per quanto riguarda le implicazioni per la sorte toccata agli Ebrei e alle altre vittime della follia ideologica e lo scoppio della II Guerra Mondiale.

Sulla base dell’applicazione integrale, o carente di alcune clausole, del Corano, si distinguono sfumature di fondamentalismo o moderazione, che permettono di separare per esempio i Fratelli Musulmani dai Salafiti e da Al Queda o l’ISIS.

L’enfasi posta dagli occidentali, alla disperata ricerca della chimera della “religione di pace”, sulle differenze tra gli “ultrafondamentalisti”, i “fondamentalisti” e i “moderati”, pero’, e’ rischiosa per vari motivi.

Come evidenziato dall’illusione della Primavera Araba in Egitto, i Fratelli Musulmani non sono meno ostili ai Cristiani dei Salafiti semplicemente perche’ evitano il ricorso alla violenza, quando controproducente per il perseguimento del comune obiettivo del Califfato globale, e partecipano ad elezioni democratiche, anzi sono forse piu’ pericolosi proprio per la loro astuzia e adattabilita’.

Inoltre, le differenze sembrano molto piu’ significative ed importanti per i musulmani, gia’ “abituati” comunque alla sottomissione e alla mancanza di liberta’, di quanto non lo possano essere per gli infedeli, uomini liberi. Queste distinzioni possono, infatti, significare per i fedeli la differenza tra indossare il velo o il burqua, tra poter ascoltare la musica o guardare un film oppure no, ma per quanto ci riguarda qualsiasi forma di Islam mai esistita e’ estrema o non moderata nella misura in cui prevede la superiorita’ degli islamici e la dhimmitudine dei Cristiani e degli Ebrei.

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Inoltre, quando gli “ultra o semplici fondamentalisti”, anche se magari una minoranza, applicano il Corano o emulano il profeta “piu’ alla lettera” degli altri e massacrano gli infedeli, nessuno puo’ criticarli sul serio perche’ la loro e’ una legittima interpretazione, anzi per certi versi “piu’ legittima”. Maometto, infatti, il modello ideale per ogni musulmano, era un pedofilo, uno stupratore e un pluriomicida, non un costruttore di pace e amante della fratellanza universale.

Un momento della manifestazione ''Not in my name'', in piazza Ss. Apostoli, Roma, 21 novembre 2015. ANSA/ALESSANDRO DI MEO

Questa, oltre alla legittima paura, e’ la probabile ragione dell’assenza di critiche da parte del mondo islamico nei confronti del terrorismo, le operazioni di pulizia etnica e le discriminazioni, fino a quando qualcuno in Occidente non si è accorto del silenzio assordante della maggioranza del mondo islamico e non ha preteso ferme condanne delle azioni dei radicali da parte dei presunti moderati per prendere le distanze dalla violenza e dimostrarsi così genuinamente moderati. Le condanne, oggi divenute abituali, non si sono, però, generate spontaneamente in passato, a conferma del fatto che non fossero genuine, ma ad uso e consumo degli ingenui occidentali.

In ogni caso, è semplice distinguere le false condanne da quelle vere: quelle false si concentrano sugli attacchi terroristici islamici, ma tendono a non coinvolgere l’islam, che viene difeso come religione di pace, e soprattutto non generano minacce da parte dei “fondamentalisti” all’indirizzo di chi le emette.

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Viceversa, quelle genuine riconoscono la correlazione tra islam e violenza islamica e mettono a repentaglio l’incolumità di chi osa promulgarle, procurando loro minacce di morte (http://www.tempi.it/da-imam-lancio-un-allarme-basta-dire-che-il-terrorismo-non-centra-con-lislam).

Seconda considerazione. Ipotizziamo lo scenario piu’ favorevole possibile, sebbene poco probabile a mio parere, ma auspicabile e credo auspicato dai fautori del dialogo con l’islam, che la maggioranza dei musulmani in realta’ siano “laici secolarizzati”, l’equivalente “islamico” di tanti occidentali di oggi.

Quanti “ultra o semplici fondamentalisti”, e quanto influenti, si annidano tra i “non-musulmani islamici” alla luce del “silenzio assordante” del mondo islamico o delle condanne emesse a nostro uso e consumo, di fronte ai crimini perpetrati dagli “ultra o semplici fondamentalisti”?

E’ possibile ragionevolmente supporre che la stragrande maggioranza dei tedeschi fossero “laici” rispetto alla pseudoreligione nazista, ma il numero e la forza dei nazisti era comunque tale da rendere totalmente insignificante e ininfluente la maggioranza silenziosa per la sorte degli Ebrei e del resto del mondo.

L’unico aspetto “positivo” che riesco a cogliere nell’islam e’ proprio la tendenza inevitabile alle lotte intestine e all’autodistruzione, risultante dalla violenza insita nella sua natura e dalle differenti interpretazioni e le sfumature di integralismo o moderazione.

L’islam e’, infatti, sempre in guerra anzitutto con se’ stesso e non solo lungo la linea di frattura Sunniti e Sciti.

I TERRORISTI ISLAMICI SONO PSICOLABILI E MALATI DI MENTE, COME AFFERMANO GLI APOLOGETI DELL’ISLAM, MA I LORO PROBLEMI PSICOLOGICI E MENTALI SONO CAUSATI DALL’ISLAM

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Attentato terroristico islamico a Stoccolma

Puntualmente, dopo ogni attentato terroristico islamico, i nostri leader politici, intellettuali, e giornalisti, si affrettano ad insinuare che i responsabili fossero affetti da problemi psicologici, pur di evitare di dover riconoscere che fossero islamici e avessero ucciso in nome dell’islam.

In realtà, è possible che abbiano, almeno in parte, ragione, sebbene i nostri apologeti dell’islam non ne siano consapevoli, e attribuiscano ai terroristi islamici problemi psicologici e mentali soltanto per essere politicamente corretti, difendere l’islam, ed evitare di fare i conti con l’errore di proporzioni colossali di aver accolto centinaia di migliaia di potenziali macchine per uccidere in Europa.

E’ probabile che i terroristi islamici siano spesso psicolabili e malati di mente, come forse una parte insolitamente cospicua di islamici, ma questo non è un fatto distinto dall’islam, anzi potrebbe essere proprio il risultato della cultura islamica.

Se, infatti, consideriamo il livello di preoccupazione espresso dai nostri psicologi per la possibilità che la psiche e la mente dei nostri bambini possa subire danni, anche permanenti, come risultato dell’aver sofferto episodi di bullismo, o della separazione dei propri genitori, o semplicemente come conseguenza della visione di immagini violente in televisione o su internet, è facile concludere che nella popolazione islamica la percentuale di psicolabili e malati di mente possa essere molto più alta.

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Infibulazione: mutilazione genitale femminile

Infatti, i bambini islamici crescono spesso in una cultura e un ambiente in cui la violenza è all’ordine del giorno, fa parte della vita quotidiana, e subiscono, sin da piccoli e fino all’età adulta, traumi fisici e psicologici che fanno impallidire quelli di cui si preoccupano i nostri psicologi. Basti pensare alle mutilazioni genitali femminili, agli abusi sessuali dei propri padri sulle proprie madri o sorelline, alle punizioni corporali, allo spettacolo delle lapidazioni, decapitazioni e altre punizioni estreme ai danni delle proprie madri o sorelle o estranei, a cui sono spesso costretti ad assistere, e persino a partecipare nei casi più estremi. Una situazione di particolare gravità sono i delitti d’onore, in cui giovani islamici partecipano direttamente all’uccisione delle proprie sorelle o cugine.

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Membri di Hamas indottrinano bambino palestinese preparandolo a diventare un terrorista suicida

Se i nostri psicologi hanno ragione, allora è facile immaginare il potenziale effetto devastante sulla psiche del “lavaggio del cervello”, a cui sono sottoposti i bambini islamici, durante il quale viene loro insegnato ad odiare e ad uccidere gli infedeli, come accade, per esempio, durante le recite scolastiche organizzate da Hamas.

Oltre a tutto questo, l’usanza di sposarsi tra parenti, che affonda le sue radici nella notte dei tempi, e la conseguente elevatissima percentuale di inbreeding, potrebbe aver contribuito ad aumentare a dismisura la frequenza di problemi mentali nella popolazione.

https://en.europenews.dk/-Muslim-Inbreeding-Impacts-on-intelligence-sanity-health-and-society-78170.html

Ecco forse una ragione importante per cui è quasi impossibile dialogare o deradicalizzare gli islamisti, i quali, più di ogni altro islamico, è probabile abbiano subito traumi psicologici difficili da immaginare per la nostra civiltà.

Sarebbe necessario, semmai, sottoporli a lunghe sedute di trattamento con psicoterapeuti e farmaci psicoattivi per tentare di curare le loro patologie psicologiche, prima di poter anche solo considerare l’ipotesi di un dialogo.

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San Francesco al cospetto del Sultano: la prova del fuoco

Questa è probabilmente la ragione per cui persino San Francesco fallì nei Suoi tentativi di convertire gli islamici dell’epoca, e gli islamisti non mostrano la benchè minima riconoscenza anche quando vengono trattati coi guanti di velluto, aiutati, accolti, sfamati, curati etc.

https://www.riscossacristiana.it/il-dialogo-interreligioso-san-francesco-il-sultano/

I parenti dei leader di Hamas, per esempio, vengono regolarmente curati negli ospedali israeliani, ma neppure questo è mai stato sufficiente a toccare il cuore di questi islamisti e ad aprire spiragli di dialogo e convivenza pacifica: Hamas continua a cercare la distruzione di chi cura e salva la vita ai propri figli.

http://www.ansa.it/sito/notizie/mondo/2014/11/03/hamas-si-cura-in-israele-ricoverata-sorella-dirigente_b8d96ecf-a079-4ee6-a30b-4f3d00c0f74e.html

Ecco un’ulteriore ragione per cui il dialogo con gli islamisti perseguito da Papa Francesco e dai Suoi collaboratori è destinato a fallire, con ogni probabilità, con conseguenze disastrose per tutti noi.

Anche Erdogan dice che l’islam moderato non esiste e che il termine “islam moderato” è brutto e offensivo

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Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan, principale sponsor sia dei Fratelli Musulmani sia dello “Stato islamico” dell’Isis, che sta arrestando giornalisti e dissidenti e trasformando la Turchia in una teocrazia islamica, ha dichiarato: “Il termine ‘islam moderato’ è brutto e offensivo. Non esiste l’islam moderato. L’islam è l’islam.”
Le parole di Erdogan sembrerebbero smentire apertamente i sostenitori dell’esistenza di un islam “moderato”, almeno per chi ritenga che un islamista come Erdogan possa conoscere meglio l’islam di quanto possa mai conoscerlo qualunque intellettuale occidentale.
La precisazione è necessaria perché i nostri illuminati esperti di islam occidentali e apologeti dell’islam di solito non danno molto credito alle parole dei musulmani, che trattano pertanto come un branco di mentecatti incapaci di comprendere la realtà a loro più familiare e di descriverla compiutamente, quando pretendono di spiegare ai musulmani come Erdogan quello che in realtà i musulmani stessi penserebbero davvero e vorrebbero dire.
A conferma dell’esistenza di questa vena di razzismo ed arroganza, i difensori dell’islam e professionisti dell’anti-razzismo presuppongono che il terrorismo islamico, piuttosto che manifestare un progetto egemonico prettamente islamico, rappresenti una reazione degli islamici ad una provocazione degli occidentali, facendo appello al mito del “buon selvaggio” e alla teoria del Jihad reattivo su esso fondata. La teoria del Jihad reattivo implica, però, che gli islamici, come popolazione, siano incapaci di intendere e volere pienamente, di prendere decisioni autonome e perseguire propri sogni e progetti, per quanto discutibili, ma siano in grado soltanto di reagire appunto agli stimoli esterni, alle provocazioni, alle azioni degli occidentali, queste sì totalmente consapevoli, responsabili, ed espressione di sogni e progetti endogeni.
È dunque mai esistito, e domanda ancora più pertinente, esiste oggi l’islam “moderato”, oppure “l’islam è l’islam”, come spiega Erdogan?
Per tentare di rispondere, potrebbe essere utile chiedersi perché mai Erdogan giudichi l’espressione “islam moderato” “brutta e offensiva”.

L’ipotesi etnocentrica

Non è che Erdogan possa sentirsi comprensibilmente offeso quando viene considerato alla stregua di un ritardato mentale dai nostri esperti di islam occidentali impegnati a spiegargli cosa sia davvero l’islam?
Ai nostri esperti di islam, però, questa possibilità non passerà neppure per l’anticamera del cervello, bloccata dalla presunzione di rappresentare non solo l’elite intellettuale del pianeta, ma anche i paladini globali dei diritti umani, antirazzisti per definizione.
Essi, guardando la realtà attraverso il filtro della propria cultura, impiegheranno quindi, con ogni probabilità, un approccio etnocentrico all’interpretazione delle parole di Erdogan, e presupporranno senza dimostrarlo che l’islam sia una “religione di pace” e quindi non abbia senso parlare di un “islam moderato”, che implicherebbe l’esistenza di un islam estremista e violento.
La violenza espressa dai seguaci dell’islam verrà liquidata sottoscrivendo la teoria del Jihad reattivo, cioè descrivendola come una comprensibile reazione a qualche ingiustizia o sopruso subito per mano dell’Occidente imperialista e colonialista.
I nostri esperti pertanto si convinceranno che Erdogan ritenga “brutta e offensiva” l’espressione “islam moderato” per le loro stesse ragioni, cioè perché “l’islam è l’islam”, una meravigliosa religione di pace e fratellanza universali, i cui fedeli possono all’occorrenza deformarne e corromperne il messaggio originale divenendo “estremamente” violenti, ma solo se provocati. Eppure è facile dimostrare l’infondatezza della teoria del “Jihad reattivo” sulla base della documentazione storica.                                                                                                                                                             La cronologia degli eventi storici mostra in modo inconfutabile come l’aggressione islamica nel passato abbia preceduto qualunque invasione o colonizzazione occidentale, e, per citare un esempio molto più recente specifico e calzante, come il terrorismo islamico ai danni degli ebrei si sia manifestato prima della fondazione di Israele e dell’occupazione dei territori abitati dai palestinesi.
Inoltre, e paradossalmente per i sostenitori del multiculturalismo e della sostanziale equivalenza di tutte le culture, anche se non tutti i musulmani sono terroristi, con rare eccezioni, i terroristi sono tutti musulmani.
In Afghanistan, Iraq e nel resto del mondo gli attacchi a moschee e fedeli riuniti in preghiera sono perpetrati da altri musulmani, non da cristiani o ebrei; nell’Africa sub-sahariana, nonostante nel corso della storia dell’islamizzazione del continente africano siano stati brutalmente trucidati milioni di cristiani e animisti, i cristiani non hanno lanciato una Guerra Santa contro i musulmani; gli ebrei, a dispetto della Shoah, non hanno mai intrapreso una feroce campagna terroristica contro i tedeschi per vendicare i terribili torti subiti; i nativi americani, pur potendo vantare innegabili ragioni storiche di rivalsa contro gli invasori bianchi, vivono pacificamente nelle riserve e gestiscono i casinò; gli indiani non si fanno saltare in aria nella metropolitana di Londra per punire gli inglesi per il passato coloniale; i tibetani non stanno seminando il terrore a Pechino o in altre città della Cina per vendicarsi della distruzione dei loro meravigliosi templi.                                                                                         I più probabili responsabili degli attacchi terroristici dell’11 Settembre 2001 non avrebbero dovuto essere islamici, ma giapponesi, che durante la II Guerra Mondiale avevano già impiegato aerei in missioni suicida. Eppure, gli abitanti del Paese del Sol Levante, nonostante il bombardamento atomico di Hiroshima e Nagasaki, hanno in realtà sviluppato un rapporto di amicizia e collaborazione economica e sono divenuti i migliori alleati degli USA nel lontano Oriente, invece di riportare in auge le gesta dei kamikaze di Pearl Harbor.
Perché, nonostante membri a pieno titolo della comunità umana, i musulmani sono così diversi dagli appartenenti a tutte le altre culture nella gestione delle proprie vertenze politiche e nella presunta rivendicazione dei propri diritti o nel perseguimento delle proprie legittime aspirazioni alla giustizia? Che cosa distingue i musulmani dal resto del mondo? La risposta è semplice ed ovvia per tutti, tranne che per gli esperti ed apologeti dell’islam: ciò che differenzia i musulmani dal resto dell’umanità è l’islam.

L’ipotesi islamica

È possibile spiegare le parole di Erdogan da un altro punto di vista, meno etnocentrico, più islamico. È possibile che Erdogan, dimostrando un’intelligenza molto superiore a quella di uno scimmione attribuitagli dai nostri intellettuali, stia applicando la strategia di inganno degli infedeli sancita e raccomandata dal Corano denominata Taqiyya. In altre parole, è possibile che il nostro autorevole islamista, ben conoscendo la mentalità occidentale degli esperti di islam e il loro etnocentrismo, stia mentendo, o descrivendo la realtà in modo ingannevole, dicendo proprio quello che gli infedeli si aspettano di sentire, al fine di favorirne lo svolgimento del ruolo di Cavallo di Troia ai danni dell’Occidente.
Oppure, più probabilmente, Erdogan, irritato dall’arroganza e dal sottile, ma evidente razzismo, dei suoi interlocutori occidentali, potrebbe più candidamente descrivere il puro e semplice punto di vista islamico, cioè definire l’islam reale, senza applicare parametri tipicamente occidentali come “moderato” o “estremo”.
L’islam è intrinsecamente e potenzialmente violento, ma può apparire “moderato” o “estremo” ai nostri occhi a seconda delle circostanze, in funzione del livello di violenza espresso di volta in volta.
La violenza è infatti un parametro chiave di giudizio nella cultura occidentale, in cui vige il rispetto dei diritti e della dignità della persona, e in cui la non-violenza viene spesso ritenuta un valore supremo proprio dagli esperti di islam e paladini dei diritti umani.
Nell’islam, però, la non-violenza non costituisce un valore da perseguire ad ogni costo, ma un semplice strumento per raggiungere lo scopo. Semmai, la violenza è in parte la manifestazione più naturale e prevedibile di una cultura radicata nella mentalità, tradizioni e usanze di predoni del deserto in uno stato di belligeranza quasi costante con i clan rivali.
A volte, può non essere necessario utilizzarla e quindi può covare sotto la superficie come un fuoco mai del tutto spento, sempre pronta però a divampare da un istante all’altro, perché parte integrante della fisiologia dell’islam.                                                                                                       Ad esempio, in Egitto, in occasione della Primavera Araba, Obama e i governi occidentali commisero l’errore di giudicare i Fratelli Musulmani “moderati” nel confronto con Al Qaeda e i Salafiti perché apparentemente a sfavore dell’uso (esclusivo) della violenza e la disponibilità a partecipare a elezioni democratiche, e favorirono la loro ascesa al potere. Una volta al potere, i Fratelli Musulmani cominciarono a trasformare radicalmente la società attraverso l’imposizione della sharia e scatenando proprio quella violenza che alla vigilia delle elezioni avevano dato la falsa impressione di voler rinnegare.
L’aspetto più importante dell’islam non è il livello di violenza espresso, che può variare e quindi ingannare, in particolare chi è alla disperata ricerca di segnali di “moderazione”, ma la “sottomissione”, che rende l’islam sempre e comunque “estremo” per quanto ci riguarda.
La “sottomissione”, pressoché ubiquitaria nell’islam, infatti, è antitetica al valore supremo più caro all’Occidente, la libertà, e quindi rende ogni forma di islam “estrema” e intollerabile, almeno per chi ama la libertà e ha davvero a cuore i diritti umani.
Da dove nasce e qual è la funzione della “sottomissione” nell’islam?

L’islam come possibile soluzione alle divisioni e alla violenza originali della cultura beduina della Penisola Arabica 

Sin dalle origini l’islam è per definizione, e paradossalmente, oltre che “sottomissione”, anche “divisione”, basti pensare alla tradizionale spaccatura tra sunniti e sciiti, che al suo interno contiene ulteriori sfumature e gradazioni di interpretazioni e correnti.
Dico “paradossalmente” perché l´associazione “sottomissione” e “divisione” è contro-intuitiva, ci si aspetterebbe “uniformità” e “unione” dalla sottomissione, non divisioni e spaccature. Il paradosso si può forse spiegare antropologicamente riconoscendo la “sottomissione” come il vano tentativo di risolvere il problema della “divisione” e della violenza all’interno di una cultura frammentata lungo linee familiari e tribali.                                                                                                                                 È possibile che il Profeta abbia tentato di porre rimedio alla frammentazione e alla violenza fisiologiche nella sua cultura tribale inventando l’islam, che nelle sue intenzioni avrebbe dovuto, con la “sottomissione”, garantita e regolata da una miriade di regole e dettami, controllare la violenza intestina e indirizzarla, incanalarla verso l´esterno, verso un progetto egemonico di conquista. Questo beduino del deserto non immaginava che non solo il Corano non avrebbe eliminato il problema della frammentazione originale, ma che le innumerevoli regole e prescrizioni sancite dal suo libro sacro, invece di garantire il controllo assoluto, avrebbero offerto ulteriori motivi di divisione legati alle diverse interpretazioni dei singoli individui. La violenza verso gli infedeli potrebbe, dunque, rappresentare l’altra faccia della frammentazione originale e un carattere distintivo dell’islam, perché espressione del “disperato” tentativo di risolvere la frammentazione e la violenza autodistruttive interne.
La violenza non ha mai abbandonato completamente la storia della civiltà islamica, è la ragione della sua forza e pericolosità, ma anche paradossalmente della sua debolezza, perché nasce al suo interno, è presente sin dalla fase embrionale, e finisce sempre prima o poi per ritorcersi contro i suoi appartenenti.                                                                                                                                                                              Tirate le somme, e presi in debita considerazione qualche breve interludio di relativa pace e il contributo positivo offerto dal Califfato Abbaside alla cultura, l’islam non è stata la soluzione magica o “divina” auspicata da Maometto ai problemi interni ed ha solo agito come un loro amplificatore, estendendo questi problemi al resto del mondo, generando schiavitù, sofferenze, povertà, ignoranza e distruzione anzitutto per le popolazioni islamiche.
L’islam non sembra capace di rinnegare le sue origini che lo vedono muovere i primi passi all´interno di clan di predoni governati dalla “legge della giungla”.
È possibile auspicare un’inversione di rotta, un cambiamento rivoluzionario che possa rendere l’islam compatibile con la dignità della persona e i diritti umani, a dispetto della sua fisiologia potenzialmente violenta e della sua natura antitetica alla libertà?
Sembrerebbe di sì, a giudicare dalle vicende della Primavere Araba in Egitto, ma questa rivoluzione non può prescindere dal riconoscimento dell’esistenza di un problema all’interno dell’islam e da un’assunzione di responsabilità da parte del mondo islamico.

L’islam è all’origine di tutti i problemi del mondo islamico

Sebbene la maggior parte dei musulmani siano non solo persone di buona volontà, ma prime vittime dell’islam radicale, sarà sempre relativamente facile per gli islamici radicali reclutare combattenti fra i musulmani fino a quando il mondo islamico non si assumerà le proprie responsabilità per i propri problemi e i propri fallimenti e userà l’Occidente e Israele come capro espiatorio per non essere costretto a fare i conti con il proprio passato.
Come spesso viene ricordato dagli apologeti dell’islam per distinguere l’islam, presunta religione di pace professata dalla maggioranza degli islamici, dal terrorismo islamico perseguito, invece, da uno sparuto manipolo di presunti fanatici, che deformerebbero il messaggio originale o genuino del Corano, i musulmani rappresentano le prime vittime dell’islam radicale incarnato dai Jihadisti.
La maggioranza dei musulmani, però, non è vittima dell’islam radicale solo oggi, lo è stata, purtroppo, già in passato.                                             In effetti, il mondo islamico, proprio a partire dalle sofferenze patite oggi per mano dei fondamentalisti islamici, dovrebbe riconoscere di essere da sempre una vittima, non anzitutto dell’Occidente e di Israele, ma dell’islam stesso, intendendo con questo termine la sua versione storica, prevalsa nell’arco dei suoi 1300 anni di storia.
Per quanto concerne, infatti, la povertà, l’arretratezza, l’ignoranza,  prevalenti nei paesi islamici, che agevolano la diffusione del fondamentalismo islamico e il reclutamento di Jihadisti, esse sono per lo più il frutto di errori interni alla storia della civiltà islamica, più specificatamente una serie di decisioni, due delle quali di importanza critica, prese nel passato dai governanti e dai leader religiosi del mondo islamico, che hanno impedito alla civiltà islamica di tenere il passo con i rapidi progressi dell’Europa cristiana.
1. Quando in Europa fu inventata la stampa nel XV secolo, e la notizia giunse alle orecchie del Sultano Beyazid II in Istanbul, costui avrebbe voluto promuoverne la diffusione anche nell’Impero Ottomano. Gli ulema, però, si opposero proprio in nome dell’islam, una religione meno flessibile ed adattabile rispetto alle esigenze della modernità di quella cristiana.
Gli ulema decretarono che utilizzare la stampa per riprodurre la parola di Allah conservata nel Corano avrebbe costituito un sacrilegio. Pertanto, l’uso della stampa fu proibito ai musulmani per quasi quattro secoli, fino al 1729, ma concesso agli ebrei e ai cristiani dell’Impero, segnando così per sempre le sorti del mondo islamico. In breve, grazie a questa singola invenzione, la conoscenza si diffuse con rapidità inaudita nell’Europa cristiana, accelerando il progresso scientifico e tecnologico che permise all’Occidente di riguadagnare terreno, superare e distanziare il mondo islamico.
2. La dhimmitudine, ovvero l’usanza radicata nella tradizione islamica di trattare i sudditi di religione non-islamica come cittadini di serie B, o come schiavi, che da un punto di vista economico e strategico non costituiva un problema all’inizio delle conquiste arabe all’interno della Penisola Arabica, con il crescere dell’estensione dei territori e delle popolazioni di infedeli controllate, si rivelò controproducente. In caso di guerra, a settori crescenti della popolazione non era concesso di combattere per l’Impero, mentre costoro potevano invece costituire una potenziale quinta colonna. Non solo, ma, come accadde per lo più nell’Impero Ottomano, i dhimmi erano spesso relegati a ruoli nell’ambito economico, quali il sistema bancario, del commercio e dei trasporti marittimi che in Occidente guidarono i progressi dal mondo medioevale a quello moderno. Un altro elemento di auto-castrazione in qualche modo correlato al concetto e allo stato di dhimmitudine, che ha pesato soprattutto in epoche più recenti nel confronto con l’Occidente e altre culture, è la condizione della donna, ancora oggi sottomessa e spesso relegata al compito esclusivo di compiacere l’uomo, fare figli e cucinare. Anche e anzitutto le donne islamiche, prima che i dhimmi in senso stretto acquisiti con le conquiste militari, avrebbero potuto giocare un ruolo più importante e arricchente nella civiltà islamica, se il loro potenziale contributo non fosse stato precluso o limitato in modo significativo fino ad oggi dall’islam.

Segnali di moderazione dal mondo islamico

La Primavera Araba ha fatto sbocciare un fiore di autocritica e responsabilizzazione dell’islam e del mondo islamico di portata storica. Gli sviluppi della Primavera Araba in Egitto hanno visto emergere islamici genuinamente moderati del calibro del presidente egiziano Al-Sisi, disposti non solo a combattere esplicitamente l’islam radicale incarnato dai Fratelli Musulmani, Hamas e l’Isis, ma anche a riconoscere pubblicamente per la prima volta le responsabilità del mondo islamico nella generazione dei gruppi fondamentalisti.
Al-Sisi, rompendo con la tradizionale vittimizzazione del mondo islamico e parallela demonizzazione dell’Occidente, nel suo discorso “rivoluzionario”all’Università
di Al-Azhar, ha, infatti, esortato le guide religiose islamiche ad attuare una riforma religiosa per rendere l’islam compatibile con il resto del mondo, proprio a partire dal riconoscimento delle sue responsabilità storiche nella genesi del terrorismo islamico.
“…E’ inconcepibile che l’ideologia che noi santifichiamo faccia della nostra intera nazione una fonte di preoccupazione, pericolo, morte e distruzione nel mondo intero. Non mi riferisco alla “religione” bensì alla “ideologia” – il corpo di idee e di testi che abbiamo santificato nel corso di secoli, al punto che rimetterli in discussione diventa difficile. Abbiamo raggiunto il punto in cui questa ideologia e’ ostile al mondo intero…Non potete vedere le cose con chiarezza quando siete imprigionati in questa ideologia. Dovete uscirne e guardare le cose da fuori, per avvicinarvi a una visione illuminata. Dovete opporvi a questa ideologia con determinazione. Abbiamo bisogno di rivoluzionare la nostra religione…Il mondo intero aspetta le vostre parole, perché la nazione islamica e’ lacerata, distrutta, avviata alla rovina. Noi stessi la stiamo conducendo alla rovina”.

http://www.memritv.org/clip/en/4704.htm

Questo promettente messaggio dalle implicazioni decisive per il conflitto in atto e per il futuro non solo del mondo islamico, ma anche della civiltà occidentale e dell’umanità intera, non sembra, però, per ora, essere riuscito ad aprire una breccia nel terzomondismo dell’intellighenzia occidentale, che persiste imperterrita nella controproducente vittimizzazione del mondo islamico e correlata demonizzazione della propria civiltà e di Israele.
Paradossalmente, gli apologeti occidentali dell’islam, che difendono a spada tratta l’islam fino al punto di censurare sistematicamente l’aggettivo “islamico” dalle descrizioni dei massacri perpetrati in suo nome, continuano a deresponsabilizzare l’islam, finendo, loro malgrado, per alimentarne la violenza, in primis proprio ai danni delle comunità islamiche, e secondariamente dei cristiani e le altre minoranze religiose.

Il colonialismo non è responsabile dell’arretratezza del Terzo Mondo né del terrorismo islamico

 

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E’ opinione diffusa non solo tra i convinti aderenti all’ideologia della sinistra terzomondista, ma anche all’interno della Chiesa tra coloro più vicini alle posizioni no-global, che il Terzo Mondo sia povero e sottosviluppato a causa dello sfruttamento coloniale da parte dei Paesi occidentali. Le implicazioni di questa radicata convinzione sono della massima importanza per la sopravvivenza della civiltà occidentale di fronte alla minaccia implacabile dell’islam radicale che promana dai paesi islamici perché depongono a favore dell’ipotesi che la Jihad contro l’Occidente sia un fenomeno reattivo e quindi in qualche modo giustificabile.

Infatti, secondo l’ideologia terzomondista, quando i poveri e gli oppressi attuano una qualche forma di ribellione o resistenza violenta contro i ricchi e gli oppressori, stanno in realtà reagendo ad un’ingiustizia, quindi, qualunque ignominia essi commettano è comprensibile ed accettabile, proprio perché, in ultima analisi, in quanto risposta ad una provocazione, è responsabilità dei ricchi e degli oppressori. Questa idea, sebbene affascinante perché sembra fornire un potenziale interruttore per spegnere la violenza islamica, semplicemente ponendo rimedio alle ingiustizie perpetrate, è in realtà estremamente pericolosa e rischia di condurre alla disfatta dell’Occidente disarmandolo di fronte all’attacco islamico. L’Occidente, infatti, persuaso di essere il responsabile della violenza islamica, piuttosto che la vittima, invece di impegnarsi con tutte le sue forze nella lotta “senza quartiere” all’islam, cerca di placare i nemici, deresponsabilizzandoli e tentando in ogni modo di farsi perdonare per le presunte colpe del passato, finendo così per promuovere l’azione degli avversari e alimentarne l’aggressività e la violenza.

E’ possibile testare e confutare la teoria della Jihad reattiva analizzandone le previsioni o le implicazioni e verificandole alla luce dei fatti.

Ho già dedicato alla confutazione di questa ipotesi un precedente articolo dal titolo:”E’ nato prima l’uovo dell’invasione dell’Afghanistan o la gallina del terrorismo islamico?”, in cui il noto paradosso allude alla sequenza cronologica e logica di causa ed effetto applicata alla comprensione della natura del terrorismo islamico e alla sua classificazione di fenomeno aggressivo piuttosto che reattivo.

(http://www.ioamolitalia.it/blogs/verita-e-libeta/%E2%80%9Ce%E2%80%99-nato-prima-l%E2%80%99uovo-dell%E2%80%99invasione-dell%E2%80%99afghanistan-o-la-gallina-del-terrorismo-islamico%E2%80%9D.html)

In questa sede, vorrei però dimostrare l’infondatezza della teoria rimuovendo la premessa della presunta responsabilità occidentale delle condizioni di indigenza e sottosviluppo dei paesi del Terzo Mondo inclusi quelli islamici.

L’analisi storica della distribuzione geografica dello sviluppo economico è una delle chiavi per la comprensione delle ragioni dell’esistenza del Terzo Mondo. E’ possibile riconoscere la presenza di un asse, di una fascia che corre in direzione Ovest-Est definibile con il termine Eurasia lungo il quale nel corso della storia è prevalsa l’apparizione di grandiose civiltà.  Questa regione, paragonabile alla “fascia di abitabilità” dei pianeti intorno alle stelle, come risultato in questo caso della distanza dall’equatore e non da un sole, è caratterizzata da condizioni geografiche, climatiche ed ecologiche favorevoli allo sviluppo della vita evoluta delle fiorenti civiltà. Non è dunque una sorpresa che le grandi civiltà del passato siano nate e si siano sviluppate in particolare intorno al Mediterraneo, perché in questa sezione della fascia esiste un altro fattore propizio, la presenza del mare, ulteriore elemento di stabilizzazione climatica e una via estremamente agevole di comunicazione e commercio. Le eccezioni, quali ad esempio l’Australia, si possono spiegare con il fatto di rappresentare delle estensioni coloniali recenti di potenti civiltà sorte comunque nella regione suddetta e intorno al Mediterraneo. In altri casi, per esempio la Russia degli ultimi 100 anni rispetto agli USA, esse sono così diverse, seppure si collochino alla stessa latitudine, per effetto in questo caso del fallimento della Rivoluzione d’ottobre da una parte e il successo invece di quella americana dall’altra.  In effetti, è difficile immaginare gli abitanti dell’Africa sub-sahariana, tropicale ed equatoriale riuscire a progredire rapidamente vivendo nella foresta equatoriale o tropicale, impossibilitati a dedicarsi all’agricoltura su larga scala così da consentire la crescita demografica, e sotto costante assedio da parte di eserciti di parassiti a partire dalla malaria ed altri quasi altrettanto pericolosi, da cui non esisteva alcuna protezione fino a qualche tempo dopo l’arrivo dei colonizzatori europei. In Europa intorno al Mediterraneo l’impatto della sola malaria è visibile nella decisione di costruire i villaggi in cima ai monti per sfuggire all’attacco di questi implacabili nemici biologici, oltre che per garantire migliori possibilità di difesa da “nemici a due zampe”. Per cogliere l’importanza delle condizioni geografiche, climatiche ed ecologiche nella determinazione del percorso evolutivo di una comunità umana, bisogna tenere presente quali siano i presupposti più importanti per la crescita e l’evoluzione di una civiltà, ovvero lo sviluppo demografico e la possibilità di fondare insediamenti stabili. Tutto questo è però impossibile senza una fonte costante ed abbondante di cibo per la popolazione. L’agricoltura, che sola è in grado di fornire risorse alimentari capaci di sostenere lo sviluppo di una civiltà, è però ostacolata alle latitudini equatoriali e tropicali dalla sostanziale bassa fertilità del suolo a dispetto della presenza di foreste lussureggianti. Come risultato dell’elevata temperatura che promuove una frenetica attività di decomposizione da parte dei batteri, ogni albero della foresta o animale che muore non resiste abbastanza per consentire l’accumulo di abbondante humus necessario alla coltivazione di piante destinate all’alimentazione umana. Di conseguenza, lo strato fertile del terreno si estende soltanto per pochi centimetri e una volta abbattuti gli alberi per far posto ai campi, le piogge torrenziali dilavano rapidamente gli scarsi nutrienti lasciandosi un deserto di sabbia alle spalle. La foresta pluviale tipica di queste latitudini è un miracolo cresciuto sul deserto grazie alla simbiosi di organismi che consentono un rapidissimo riciclo dei pochi nutrienti disponibili.

Queste aree del globo in passato hanno potuto quindi alimentare tribù, ma difficilmente grandi agglomerati umani e urbani.

Il ruolo giocato dalla presenza del mare meriterebbe un articolo a sé stante, ma è facile intuirne i benefici in termini di stabilizzazione climatica (il clima è molto più salubre), fornitura di cibo in abbondanza attraverso la pesca, e agevolazione e promozione degli scambi commerciali con altri insediamenti umani.

Considerazioni di carattere geografico, climatico ed ecologico, unite alla verifica delle previsioni e implicazioni dell’ipotesi reattiva alla prova dei fatti, smentiscono dunque definitivamente la teoria sposata dalla sinistra terzomondista e da ampi settori della Chiesa che le potenze colonizzatrici occidentali siano divenute potenti e fiorenti a spese dei paesi del Terzo Mondo. Sebbene la colonizzazione abbia favorito l’ulteriore progresso dei colonizzatori, ma spesso anche quello delle “vittime” della colonizzazione, il successo di questi paesi è da imputare anzitutto all’appartenenza alla fascia euroasiatica descritta e alla sua sezione più favorevole localizzata intorno al Mediterraneo. La povertà o la primitività invece del Terzo Mondo è storicamente per lo più il risultato di essere nati o di essere rimasti a vivere nel posto sbagliato, lontano dalla “fascia di abitabilità”.

Le potenze coloniali occidentali hanno potuto colonizzare con relativa facilità perché erano già più evolute, ricche e potenti, non lo sono diventate sfruttando i paesi del Terzo Mondo, poveri e sottosviluppati di natura.

Quando si considera la ricaduta del colonialismo sul Terzo Mondo, bisognerebbe misurare il tributo imposto dalla colonizzazione occidentale contro i benefici di carattere scientifico, tecnologico, giuridico, demografico, etc. tratti da popoli meno civilizzati nell’interazione con popoli più avanzati, proprio come quando si valuta l’impatto complessivo dell’espansione dell’Impero romano, che, di solito, una volta presi in debita considerazione pro e contro, viene giudicato positivamente.

Tra tutti i possibili vantaggi, vale la pena di menzionarne uno di carattere esistenziale, intuibile gettando una rapida occhiata alla cartina geografica del continente africano e alla distribuzione delle aree di diffusione dell’islam e del cristianetr4jweqsimo, rispettivamente nella metà settentrionale e meridionale. Si può ragionevolmente argomentare che la colonizzazione europea potrebbe avere avuto il merito di salvare l’Africa dall’islamizzazione completa. A questo proposito, non bisogna infatti dimenticare quando si valuta l’esempio più clamoroso di sfruttamento occidentale del Terzo Mondo, ovvero la tratta degli schiavi africani, il ruolo ben più drammatico giocato dagli arabi. Costoro, non soltanto rappresentarono i diretti responsabili della cattura degli schiavi destinati al mercato occidentale, razziando i villaggi dell’Africa Sub-sahariana, e causando la morte di almeno 120 milioni di persone secondo le stime, ma furono essi stessi schiavisti ben peggiori degli occidentali. Inoltre, a differenza dei Paesi occidentali, che nel caso specifico degli Usa combatterono una guerra civile anche per l’abolizione della schiavitù, gli arabi hanno continuato e continuano a praticarla fino ai nostri giorni. Se non fosse esistito alcun limite all’espansione ulteriore dell’islam verso Sud, è facile estrapolare cosa sarebbe potuto accadere agli animisti che oggi professano la religione cristiana e per alcuni rappresentano il futuro della cristianità mondiale. Costoro, non potendo godere dei relativi vantaggi della dhimmitudine concessi ai cristiani ed ebrei, avrebbero subito il medesimo destino riservato ai correligionari più settentrionali, sarebbero stati cioè, con ogni probabilità, massacrati o ridotti in schiavitù. Quasi nessuno però oggi in Occidente, neppure i discendenti afro-americani dei popoli ridotti in schiavitù e torturati dagli arabi, riconosce ai colonizzatori europei questo merito. Ancora più sorprendente è l’assoluta assenza del benché minimo rancore o critica nei confronti del mondo islamico per aver massacrato, sfruttato e schiavizzato le popolazioni del Terzo Mondo. Paradossalmente, un illustre campione della comunità afro-americana quale l’ex-presidente Obama non ha perso occasione per criticare l’Occidente per il passato coloniale ed elogiare invece l’islam per il presunto contributo alla pace, ai progressi dell’umanità e persino all’edificazione dell’America. E’ difficile comprendere le ragioni del tributo del presidente all’islam se si escludono l’ignoranza, il totale distacco dalla realtà promosso dall’adesione all’ideologia di sinistra o magari l’effetto psicotropo di qualche droga. L’alternativa più razionale è che il rappresentante del popolo americano alludesse alla “pace eterna” dei milioni di vittime dell’islam, ai progressi in campo militare stimolati dalle sue continue aggressioni, e infine al ruolo degli arabi nella tratta degli schiavi che avrebbero presumibilmente contributo a rendere grande l’America con la raccolta del cotone nelle piantagioni del Sud…

Per quanto concerne invece la povertà e l’arretratezza dei paesi islamici, esse sono per lo più il frutto di errori interni alla storia della civiltà islamica, più specificatamente una serie di decisioni, tre delle quali di importanza critica, prese nel passato dai governanti e dai leader religiosi del mondo islamico, che hanno impedito alla civiltà islamica non solo di mantenere la superiorità di cui godeva nel Medioevo, ma anche di tenere il passo con i rapidi progressi dell’Europa Cristiana.

Quando in Europa fu inventata la stampa nel XV secolo, e la notizia giunse alle orecchie del Sultano Beyazid II in Istanbul, costui avrebbe voluto promuoverne la diffusione anche nell’Impero Ottomano, ma gli ulema si opposero in nome dell’islam, una religione meno flessibile ed adattabile rispetto alle esigenze della modernità di quella cristiana.

Gli ulema decretarono che utilizzare la stampa per riprodurre la parola di Allah conservata nel Corano avrebbe costituito un sacrilegio. L’uso della stampa fu proibito ai musulmani per quasi quattro secoli, fino al 1729, ma concesso agli ebrei e ai cristiani dell’Impero, segnando così per sempre le sorti del mondo islamico. In breve, grazie a questa singola invenzione, la conoscenza si diffuse con rapidità inaudita nell’Europa Cristiana, accelerando il progresso scientifico e tecnologico che permise all’Occidente di riguadagnare terreno, superare e distanziare il mondo islamico.

La dhimmitudine, ovvero l´usanza radicata nella tradizione islamica di trattare i sudditi di religione non-islamica come cittadini di serie B, o come schiavi, che da un punto di vista economico e strategico non costituiva un problema all’inizio delle conquiste arabe all’interno della Penisola Arabica, con il crescere dell’estensione dei territori e delle popolazioni di infedeli controllate, si rivelò controproducente. In caso di guerra, a settori crescenti della popolazione non era concesso di combattere per l’Impero, mentre costoro potevano invece costituire una quinta colonna. Non solo, ma, come accadde per lo più nell’Impero Ottomano, i dhimmi erano spesso relegati a ruoli nell’ambito economico, quali il sistema bancario, del commercio e dei trasporti marittimi che in Occidente guidarono i progressi dal mondo medioevale a quello moderno.

Un’altra ferita auto-inflitta fu l’usanza detta Timar, un sistema feudale adottato dall’Impero Ottomano proprio quando l’Occidente si stava affrancando dai vincoli del feudalesimo, che aggiunse un freno ulteriore allo sviluppo economico.

Il colonialismo occidentale non è pertanto responsabile del sottosviluppo del Terzo Mondo, né del terrorismo islamico, semmai ha determinato, sebbene spesso involontariamente, un netto miglioramento delle condizioni di vita delle aree naturalmente indigenti e arretrate del pianeta. La Jihad non è una reazione del Terzo Mondo all’imperialismo e al passato coloniale, bensì un’aggressione motivata e alimentata dall’ideologia pseudo-religiosa imperialista, razzista, sciovinista e violenta espressa e custodita nel Corano. Sarebbe dunque ora che l’Occidente si affrancasse dal perfezionismo esasperato che lo spinge ad auto-flagellarsi e tormentarsi coi sensi di colpa nei confronti del Terzo Mondo, e recuperasse invece il meritato orgoglio per la propria identità classico-giudaico-cristiana e il rispetto di sé stesso.

La ritrovata autostima consentirà all’Occidente di guadagnarsi, anche con le armi se assolutamente necessario, il rispetto dei nemici islamici. Questo rispetto potrà forse creare i presupposti per l’apertura di spiragli di vero dialogo con l’islam, invece di esplicite dichiarazioni di dhimmitudine nei negoziati anche interreligiosi, che rischiano di generare maggiore aggressività e violenza verso i cristiani in Medio Oriente e in Africa al venir meno della protezione garantita dai regimi dittatoriali filo-occidentali in via di dissoluzione.

COME AFFRONTARE E GESTIRE IL TERRORISMO ISLAMICO?

RISPONDENDO AD UNA SEMPLICE DOMANDA:”È NATA PRIMA LA GALLINA DEL TERRORISMO ISLAMICO PALESTINESE O L’UOVO DELLA BARRIERA ANTI-TERRORISMO ISRAELIANA?”

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PREMESSA

La risposta a questa domanda paradossale è gravida di implicazioni per la difesa dell’Europa dal terrorismo islamico ispirato o orchestrato dall’Isis. La percezione dell’apparente somiglianza delle minacce incombenti su Israele e l’Europa suggerirebbe, infatti, di analizzare il particolare scenario israeliano e trattarlo alla stregua di un “progetto pilota” per la gestione corretta del conflitto in cui siamo coinvolti anche noi. Se, infatti, fosse nato prima “l’uovo della barriera anti-terrorismo”, e quindi l’occupazione israeliana, che questo “muro di segregazione”, come viene definito dai sostenitori di questa ipotesi, sembrerebbe incarnare, allora il terrorismo islamico potrebbe rappresentare una “comprensibile” reazione ad una ingiustizia e avremmo finalmente scoperto il magico interruttore da schiacciare per spegnare la violenza islamica. Basterebbe, cioè, sforzarsi di porre fine a tutti i presunti soprusi di natura imperialista e neocoloniale perpetrati ai danni del mondo islamico, di cui la fondazione di Israele viene solitamente considerata l’apice, scusarsi, rimediare con aiuti economici e la generosa accoglienza di immigrati islamici in territorio europeo, cioè proprio quello che l’Europa ha attuato esplicitamente a partire dall’indomani della crisi energetica del 1973, e il terrorismo islamico dovrebbe svanire come nebbia al sole, o perlomeno progressivamente ridursi di intensità. Il semplice fatto di sposare la causa palestinese contro Israele dovrebbe essere sufficiente a guadagnarsi le simpatie del mondo islamico e dei terroristi. Eppure, nonostante la posizione filo-palestinese tenuta in tutti questi anni culminata con i boicottaggi di Israele, la recente decisione di riconoscere incondizionatamente la Palestina e la scelta di marcare i prodotti israeliani provenienti dalla Cisgiordania, l’apertura delle porte all’immigrazione islamica, e persino il sostegno diplomatico e militare offerto all’Islam radicale attraverso la deposizione del regime dittatoriale di Gheddafi in Libia, Parigi è stata colpita senza alcuna pietà dal terrorismo islamico. L’attacco alla Francia sembra suggerire, oltre ogni legittimo dubbio, che sia nata, invece, prima la gallina del terrorismo islamico. Se così fosse, allora sarebbe evidente che l’Islam radicale abbia dichiarato una guerra implacabile e senza quartiere al resto del mondo per ragioni endogene, che non esistano purtroppo interruttori magici per spegnere l’attacco senza ricorrere alla forza, che siamo quindi in guerra e dobbiamo combattere, adottando tutte le misure di emergenza necessarie in questo frangente, cioè “costruire barriere anti-terrorismo” alias “muri di segregazione” in senso sia metaforico, sia letterale.

LA SOTTOVALUTAZIONE DELLE VITE INNOCENTI SALVATE DALLA BARRIERA ANTI-TERRORISMO

«Il Segretario di Stato Parolin ha manifestato grande preoccupazione per la decisione di Israele di completare il muro di segregazione a Betlemme e di mettere ora in atto gli espropri delle terre dei cristiani nella valle di Cremisan in Cisgiordania».
http://www.avvenire.it/…/…/sindaco-di-betlemme-dal-papa.aspx
Quando Israele, dopo una serie interminabile di terrificanti attentati terroristici, che avevano mietuto vittime anche tra adolescenti, diede avvio alla costruzione della “barriera difensiva anti-terrorismo”, questo progetto, anche prima che si pensasse di far passare la barriera nella valle di Cremisan, aveva già suscitato polemiche e critiche della stessa natura di quelle odierne, scoppiate intorno al tratto apparentemente all’origine della controversia. In altre parole, chi, oggi, comprensibilmente si lamenta e protesta per quella che potrebbe anche essere una decisione sbagliata da parte del governo israeliano, ha descritto quella barriera, che ha ridotto di oltre il 90% la frequenza degli attacchi terroristici e le vittime civili innocenti, come un “muro di segregazione” con connotazioni esclusivamente negative sin dall’inizio, sottovalutando così l’importanza delle tante vite umane salvate.
http://embassies.gov.il/…/Doc…/barriera%20antiterrorismo.pdf
A conferma dell’esistenza della scelta di sottovalutare le vittime del terrorismo islamico palestinese, non sembra che il Segretario di Stato Vaticano Parolin e tutti coloro che oggi criticano aspramente questa decisione, avessero condannato, con durezza proporzionale alla gravità, la lunga lista di terrificanti attacchi palestinesi contro civili innocenti, che avevano reso necessaria la costruzione della “barriera anti-terrorismo” tanto per cominciare.

IL CAPOVOLGIMENTO DELLA SEQUENZA CRONOLOGICA E LOGICA DEGLI EVENTI

Invertendo la sequenza cronologica e logica degli eventi e in accordo con la teoria del Jihad reattivo, i critici della “barriera anti-terrorismo”, quando si sono espressi, lo hanno fatto per “giustificare” la furia omicida palestinese come una reazione comprensibile a misure di risposta al terrorismo e alle loro ricadute, quali la costruzione della “barriera anti-terrorismo” stessa, le code sotto il sole ai check-point, ed altre presunte manifestazioni dell’oppressione e occupazione israeliana. Commentando un terrificante attacco terroristico in una sinagoga di Gerusalemme, il patriarca di Gerusalemme Fouad Twal ha, infatti, dichiarato:“Bisogna togliere le cause della disperazione che genera violenza, interrompere la spirale infinita delle vendette”
http://www.ilgiornale.it/news/mondo/terrore-sinagoga-gerusalemme-1068665.html
In realtà, a smentire ulteriormente e clamorosamente la teoria del Jihad reattivo, spicca un episodio della storia mediorientale che dovrebbe destare non poca sorpresa in coloro che descrivono la violenza islamica palestinese come una reazione alla fondazione di Israele e all’occupazione israeliana. Il terrorismo islamico ai danni degli ebrei cominciò molto prima della rifondazione di Israele, e di qualunque presunta provocatoria occupazione o sottrazione di terra da parte israeliana, in modo eclatante nel 1929 con il tristemente famoso massacro di Hebron, che fu provocato da una violenta campagna di incitamento all’odio antiebraico promossa dal Mufti di Gerusalemme Haij Amin al-Husseini e dagli imam di tutta la Palestina.
http://www.informazionecorretta.com/main.php?mediaId&sez=70&id=15139&print=preview
http://www.focusonisrael.org/2008/10/07/hebron-1929-pogrom-antisemitismo/
https://it.wikipedia.org/wiki/Massacro_di_Hebron_del_1929

I FRUTTI PARADOSSALI DEL SODALIZIO CON LA CAUSA PALESTINESE: LA DHIMMITUDINE ALLA LUNGA NON PAGA

Sebbene il Segretario di Stato Vaticano, i Patriarchi di Gerusalemme, e gli altri detrattori cristiani di Israele siano prodighi di condanne verso lo Stato Ebraico e “giustifichino” il terrorismo palestinese come una comprensibile reazione alla presunta occupazione israeliana, contro intuitivamente per loro e tutti quelli che ne condividono l’adesione alla teoria del Jihad reattivo, i cristiani di Betlemme e della Cisgiordania subiscono, per mano islamista, crescenti soprusi e angherie, invece che essere risparmiati. “Tra i soprusi spiccano la “land mafia”, un sistema malavitoso con connivenze nelle istituzioni tendente a sottrarre in modo violento la terra ai cristiani, i numerosi casi di stupro e abuso sessuale verso ragazzine cristiane, e la crescente islamizzazione della società palestinese, nella quale spesso i cristiani non vengono assunti da datori di lavoro musulmani e chi porta in pubblico la croce rischia il pestaggio”.
http://www.tempi.it/cristiani-presi-a-sassate-in-chiesa-vicino-a-betlemme-da-un-gruppo-di-islamici-sempre-di-piu-scappano-dalla-terra-santa#.VkCrpV6rGim
http://www.tempi.it/i-cristiani-fuggono-da-betlemme-vi-diranno-che-e-colpa-di-israele-ma-a-farli-scappare-sono-soprattutto-gli-islamisti#.VkCr3V6rGil
Nonostante l’esodo di cristiani da Betlemme e dalla Cisgiordania per sfuggire alle discriminazioni e persecuzioni perpetrate dagli islamisti palestinesi con la connivenza di Abu Mazen e dell’Autorità Palestinese, Israele è l’unico luogo in Medio Oriente in cui la popolazione di cristiani stia aumentando, invece di diminuire. Questa, però, non è l’unica sorpresa che Israele ha in serbo per chi riesca a spingersi oltre la cortina della copertura mediatica politicamente corretta. Sempre più cristiani israeliani, stanchi delle ingiustizie subite a dispetto della scelta di sposare la causa palestinese contro Israele, preso atto del declino del nazionalismo arabo e della conseguente crescita e diffusione dell’islam radicale e delle sue persecuzioni ai danni dei cristiani, stanno scegliendo di porre fine alla tradizionale dhimmitudine e di arruolarsi nell’IDF(Esercito Israeliano).

IL RICONOSCIMENTO INCONDIZIONATO DELLA PALESTINA E LE SUE RICADUTE NEGATIVE

Il cambiamento rivoluzionario del quadro geopolitico mediorientale, innescato dagli interventi diplomatici e militari occidentali ai danni dei regimi dittatoriali arabi, e i limiti della dhimmitudine come “strategia difensiva”, evidenziati dal trattamento riservato dai palestinesi islamici ai cristiani della Terra Santa, sembrano, però, essere sfuggiti alla comunità internazionale e persino al Vaticano, come apparentemente confermato dal recente riconoscimento della Palestina senza condizioni, “gratis”. Questo riconoscimento, infatti, avrebbe potuto essere promesso in cambio del riconoscimento di Israele e del rispetto dei cristiani della Cisgiordania da parte dei palestinesi islamici, avanzando così enormemente la causa della pace e della difesa dei cristiani dalle persecuzioni islamiste, oltre che risolvere la vertenza specifica della valle di Cremisan, citata nella prima parte di questa riflessione. Una volta ottenuto il traguardo ambizioso del riconoscimento del diritto all’esistenza di Israele, presupposto essenziale per la pace tra Israele e il mondo arabo islamico, la “barriera anti-terrorismo” sarebbe diventata, se non completamente inutile, però, di importanza secondaria. A questo punto, si sarebbe potuto chiedere ad Israele non solo di riconsiderare e modificare decisioni penalizzanti per i cristiani, come quella del percorso della “barriera anti-terrorismo” attraverso la valle di Cremisan, ma anche sollecitare un intervento più esplicito in difesa dei cristiani contro l’Isis e altri gruppi islamisti, proprio in cambio dell’impegno del Vaticano anche a favore di Israele una volta tanto, non sempre dei suoi e nostri nemici giurati. Invece, il riconoscimento incondizionato della Palestina, al di là delle migliori intenzioni del Vaticano, ha finito per premiare l’intransigenza, l’incitamento all’odio anti-ebraico, il ricorso alla violenza e gli abusi ai danni dei cristiani da parte di Abu Mazen e dei palestinesi islamisti. Come confermato dall’esplosione di violenza e gli attacchi contro innocenti civili israeliani di questi giorni, non c’è alcuna ragione per illudersi che “l’angelo della pace” Abu Mazen e i palestinesi possano mettere in discussione e modificare le strategie e le politiche violente e disumane impiegate finora. Perché, infatti, dovrebbero sognarsi di cambiare un approccio che ha ottenuto ai loro occhi un grande successo diplomatico e politico a livello internazionale? È anche possibile che il Vaticano abbia tenuto conto del fatto che la Cisgiordania e la Striscia di Gaza stiano subendo un processo crescente di infiltrazione e di reclutamento di militanti dell’Isis, che minaccia la sovranità dell’Autorità Palestinese e di Hamas accusandoli di essere troppo moderati, e mette a repentaglio in modo più grave la sicurezza non solo di Israele, ma anche dei cristiani residenti.
Con il riconoscimento della Palestina, il Vaticano potrebbe aver cercato di rafforzare l’Autorità Palestinese e Hamas, percepiti come male minore rispetto all’Isis, sperando che i palestinesi, una volta ottenuto finalmente il loro tanto agognato stato, avrebbero cessato di cedere alle lusinghe dell’Isis e ostacolato la sua ascesa al potere, invece di favorirla.
Se, ipoteticamente, questo fosse stato lo scopo del riconoscimento, i conti non tornerebbero comunque.
Anzitutto, proprio tenendo presente il timore dell’Autorità Palestinese e di Hamas nei confronti della sfida posta dall’Isis alla propria autorità, a maggior ragione la Santa Sede avrebbe potuto utilizzare la promessa del riconoscimento come leva efficace per esigere ed ottenere il riconoscimento del diritto di Israele ad esistere e dei cristiani di Betlemme e della Cisgiordania e Striscia di Gaza ad essere rispettati, avanzando così contemporaneamente la causa della pace e della difesa dei cristiani.
Inoltre, la strategia di concedere senza nulla esigere in cambio, se non la moderazione, per favorire i meno estremisti rispetto ai più radicali, si è già dimostrata fallimentare.
Quando Israele nel 2005 si ritirò unilateralmente dalla Striscia di Gaza offrendola ai palestinesi, ci si sarebbe aspettati un rafforzamento dell’Autorità Palestinese e di Fatah, più moderati, e un indebolimento di Hamas, più radicale.
Invece, il ritiro di Israele, giudicato una dimostrazione di forza in Occidente, fu percepito come un segno di debolezza in Medio Oriente.
I palestinesi, che evidentemente non avevano mai avuto come obiettivo quello di ottenere un proprio stato esistente in pace a fianco di quello ebraico, ma di fondare il proprio stato sulle rovine di quello ebraico, spostarono il loro sostegno verso l’estremo più radicale dello spettro politico, sostenendo e portando al potere Hamas, che prometteva di conseguire l’obiettivo desiderato e più in fretta di quanto non dessero l’impressione di poterlo fare i più moderati.

SIAMO TUTTI ISRAELE: ERIGIAMO BARRIERE ANTI-TERRORISMO ALIAS “MURI DI SEGREGAZIONE”…

Un recente sviluppo interessante e promettente, in controtendenza rispetto alla decisione discutibile di riconoscere la Palestina, è stato, però, il recente intervento di Papa Francesco nel corso di un incontro privato con i rappresentanti del World Jewish Congress:
“To attack Jews is anti-Semitism, but an outright attack on the State of Israel is also anti-Semitism…There may be political disagreements between governments and on political issues, but the State of Israel has every right to exist in safety and prosperity.”
http://www.worldjewishcongress.org/en/news/attacks-on-jews-are-anti-semitism-as-are-attacks-on-israel-pope-francis-tells-jewish-leader-10-3-2015
L’esplicito riconoscimento del diritto di Israele ad esistere sicuro e prospero espresso da Papa Francesco è un segnale estremamente positivo, che manifesta la prevedibile sensibilità del Santo Padre nei confronti dei legittimi diritti ed esigenze di sicurezza di Israele. D’altra parte, questa dichiarazione “scontata” rende, per certi versi, anche più paradossale il riconoscimento della Palestina, perché la fondazione di uno Stato Palestinese preclude il diritto all’esistenza dello Stato Ebraico, non dal punto di vista teorico, favorito dal Papa e dagli altri osservatori in buona fede, ovviamente, ma da quello della realtà sul terreno. La Palestina, infatti, è percepita da Abu Mazen, dai palestinesi e dal mondo islamico in generale, come un’alternativa “islamica” ad Israele, il cui diritto all’esistenza nella forma di Stato “Ebraico” è ancora negato.
Da una parte, infatti, Abu Mazen e i palestinesi aspirano ad uno Stato Palestinese islamico, privo di israeliani, e Juden-free, cioè senza ebrei, dall’altra, non sono disposti ad accettare l’esistenza di una “casa nazionale per il popolo ebraico”, e rivendicano il “diritto al ritorno” dei discendenti dei profughi generati dalla Guerra d’Indipendenza del 1948 in quella che percepiscono come un’effimera, transitoria, Israele “laica”.
Confortati dalle dinamiche del processo di islamizzazione dell’Europa favorito dal multiculturalismo, Abu Mazen e i palestinesi, infatti, ritengono, non senza ragioni, che in qualità di Stato “laico”, piuttosto che “ebraico”, Israele più difficilmente sarebbe in grado di opporsi all’ingresso di immigrati islamici, cioè evitare la propria distruzione demografica.
http://www.focusonisrael.org/2013/08/01/trattative-pace-israeliani-palestinesi-abu-mazen/
http://www.focusonisrael.org/2011/11/03/abu-mazen-stato-ebraico/
Il Vecchio Continente, infatti, sta assumendo sempre più distintamente i connotati di una vittima, come Israele, non solo, e sempre più spesso, di attacchi terroristici islamici, ma anche di un’aggressione demografica senza precedenti, attuata attraverso un processo migratorio controllato dagli islamici radicali dell’Isis, o vicini ad esso, dopo la caduta di Gheddafi, che vede giungere dalla Libia sulle sponde europee presunti profughi in prevalenza islamici. I paesi europei, Francia in testa, proprio nella misura in cui hanno rinnegato le proprie radici cristiane, evitando accuratamente persino di menzionarle nella dichiarazione costitutiva dell’Unione Europea in nome della presunta laicità dello Stato, sono andati incontro ad un progressivo declino demografico, non hanno posto obiezioni di sorta all’accoglienza di quote elevate di immigrati islamici in passato, ed hanno, quindi, subito in questi anni un processo inesorabile di islamizzazione. La scelta di rinunciare alla propria cultura cristiana tradizionale per sposare il multiculturalismo e favorire l’integrazione degli immigrati islamici, in realtà, ha ostacolato l’integrazione, favorendo la creazione di ghetti islamici e la crescita dell’Islam radicale al loro interno. Non si è potuto, infatti, competere efficacemente con i propugnatori di un’identità islamica radicale come soluzione al vuoto culturale dilagante in Europa. Queste enclavi islamiche, sorte nel cuore delle città europee, sono sempre più simili ai loro corrispettivi palestinesi. Esse, infatti, non soltanto sono Juden-free, ma, laddove abbiano raggiunto dimensioni ragguardevoli, cominciano ad avanzare esplicitamente le medesime pretese di trasformazione in veri e propri stati islamici già accampate dai palestinesi islamici, minacciando l’integrità territoriale e la sicurezza degli stati europei in cui si sono sviluppate, come accaduto, in modo eclatante, per esempio in Norvegia.
http://www.mattinonline.ch/oslo-maggioranza-quartiere-islamico/
Proprio sulla crisi di identità che affligge l’Europa si fondano i progetti egemonici degli islamici radicali. Costoro oggi promuovono e controllano i flussi di immigrati islamici per alimentare la crescita delle “roccaforti islamiche” all’interno dei confini territoriali europei, consapevoli, a differenza dei nostri leader, del fatto che, sebbene, teoricamente, chi è disposto ad affrontare il lungo e rischioso viaggio fino alle nostre coste possa anche essere animato dalla migliori intenzioni, in realtà, finisca poi per cadere, quasi inevitabilmente, vittima delle dinamiche di ghettizzazione e radicalizzazione già descritte. A conferma del fatto che siano state l’insistenza sulla laicità dello Stato e la presunta necessaria rinuncia alla propria identità cristiana per far posto ai rappresentanti di altre culture, a favorire quella che si configura come una vera e propria invasione islamica, spicca l’esempio dei paesi dell’Europa centrale e orientale. Polonia, Slovacchia, Ungheria, Romania, Bulgaria, hanno manifestato la ferma intenzione di salvaguardare la propria identità cristiana, senza per questo pregiudicare la propria laicità, guarda caso rivendicando, proprio come Israele, il diritto alla difesa della natura etnica e nazionale dello stato, e insistendo sul conseguente rifiuto di accogliere quote elevate di presunti profughi islamici, che ha assunto la forma concreta dell’erezione di barriere fisiche contro l’ingresso. A quanto pare, la comune minaccia incombente, sia su Israele, sia sull’Europa, sta suggerendo l’adozione di misure analoghe per contrastarla, anzitutto la riscoperta e la difesa delle radici e dell’identità nazionali e la correlata enfasi sulla necessità di contrastare il declino demografico promuovendo la crescita della natalità fra gli autoctoni, cavalli di battaglia di pressoché tutti i movimenti politici che si oppongono all’immigrazione incontrollata e all’islamizzazione, e quindi, a più breve termine, l’adozione di soluzioni tecniche di emergenza simili alla barriera antiterrorismo israeliana, che garantiscano la sicurezza e l’ordine nei limiti del possibile. In un futuro ormai non troppo lontano, potrebbe, infatti, forse rivelarsi necessario costruire altre barriere, sul modello di quella israeliana, intorno ai quartieri islamici nel cuore delle città europee, per impedire ai potenziali terroristi, che si annidano al loro interno, di raggiungere i bersagli desiderati. Alla luce, infatti, del successo “militare” conseguito da piccoli drappelli di jihadisti in occasione del recente attacco coordinato e simultaneo nel cuore di Parigi, della mobilitazione di forze armate resasi necessaria per porre fine all’emergenza, e del fatto che i terroristi fossero in parte noti alle forze dell’ordine, è evidente che già oggi non disponiamo delle risorse di uomini e mezzi necessari al controllo di tutti i potenziali jihadisti e alla prevenzione di attacchi terroristici. La soluzione non potrà, dunque, essere anzitutto o esclusivamente quella di proteggere tutti i numerosissimi potenziali bersagli da un numero troppo consistente di potenziali terroristi, per quanto limitato possa apparire il loro numero rispetto alla maggioranza dei musulmani moderati, cioè esercitare un controllo “a valle”. Bisognerà, invece, soprattutto controllare “a monte”, cioè bloccare il flusso di potenziali jihadisti dai suoi luoghi di origine, limitando sia l’ingresso di immigrati islamici in territorio europeo, sia i movimenti di quelli già residenti nei quartieri islamici che oggi sfuggono alle attività di controllo del territorio.
È possibile che si stia rapidamente avvicinando il giorno in cui sarà finalmente chiaro proprio a tutti che è nata prima la gallina del terrorismo islamico palestinese, e poi l’uovo della barriera anti-terrorismo israeliana…

Il sindaco della città, Vera Babouan, ha incontrato Francesco e il Segretario di Stato Parolin. “Grande preoccupazione per gli espropri annunciati da Israele nella Valle di Cremisan, in Cisgiordania”. <strong class=”ms-rteFontSize-1″>Stefania…
avvenire.it
 


Gli ambientalisti, “quinta colonna” dell’alleanza sinistra radical chic e islam radicale

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La guerra non si riduce mai ad un semplice e leale scontro e scambio di colpi più o meno violenti e devastanti sul campo di battaglia in stile cavalleresco.
La guerra è sempre combattuta su più piani, in più fasi, non necessariamente franchi, espliciti o immediatamente cruenti.
Per quanto moderni siano gli armamenti impiegati, persino oggi si ricorre a strategie antiche, ma non per forza antiquate, fra cui spiccano quella del Cavallo di Troia e della Quinta Colonna.
Anche l’attuale Jihad contro l’Occidente non sfugge a questa logica, e, per una curiosa coincidenza, l’islam, il colore del cui vessillo è il verde, sembra voler sfruttare i “verdi” come Quinta Colonna e la “loro” teoria sui cambiamenti climatici per promuovere l’ulteriore apertura delle porte dell’Occidente al Cavallo di Troia dell’immigrazione dai paesi islamici.
La teoria dei cambiamenti climatici “antropogenici”, dogma della nuova religione dell’ambientalismo, potrebbe rivelarsi forse la più gigantesca bufala del secolo, ma raccoglie un gran numero di sostenitori anche illustri.
Essa è smentita da circa 20 anni di “costanza” della temperatura media globale, nonostante l’aumento drammatico delle emissioni di CO2, e dalla mancata riduzione dei ghiacci polari, che anzi sono cresciuti in estensione negli ultimi anni.
Questo, ovviamente, non significa che il clima non stia cambiando.
Il clima è in costante evoluzione dall’alba dei tempi.
Che, però, il clima stia cambiando a causa delle attività antropiche, non è un fatto, ma solo una teoria, smentita da molti fatti.
E, comunque, di fronte alla realtà complessa dei cambiamenti del clima, il buon senso suggerirebbe di adattarsi ai cambiamenti climatici, come Homo sapiens ha dimostrato di saper fare meglio di qualunque altra specie, piuttosto che tentare velleitariamente di impedirli o controllarli.
In effetti, da un punto di vista economico, di costi, l’adattamento sembrerebbe molto meno dispendioso, fatto ancor più degno di considerazione in un momento di crisi economica come quello attuale.

http://www.telegraph.co.uk/finance/economics/10644867/We-have-failed-to-prevent-global-warming-so-we-must-adapt-to-it.html

Ciò nonostante, questa teoria, oltre a godere del sostegno incondizionato della nuova sinistra terzomondista, ambientalista e pacifista, e ad aver convinto persino Papa Francesco, aveva a suo tempo già catturato l’immaginazione del nemico numero 1 dell’Occidente, Osama Bin Laden, ed oggi raccoglie altri inquietanti consensi nel mondo islamico, fra i religiosi, nonostante che ricchi paesi arabi sponsorizzino il Jihad e l’islamizzazione del pianeta coi proventi del petrolio, la cui combustione, o dei cui derivati, è il principale responsabile delle emissioni di CO2.

http://www.reuters.com/article/2015/08/18/us-climatechange-muslims-idUSKCN0QN1HI20150818

Un curioso paradosso emerge quando consideriamo l’identità e le appartenenze religiose, politiche e ideologiche, di chi sottoscrive, o sembra sottoscrivere, la teoria del riscaldamento globale antropogenico, al di là della questione della sua scientificità.
La domanda paradossale è perché mai Osama Bin Laden, prima, e i suoi “eredi” islamici, dopo, dovrebbero farsi l’autogoal, “demonizzando” il petrolio, e quindi apparentemente rischiando di mettere a repentaglio l’unica abbondante risorsa di cui dispongono, oltre alla sabbia, che ha consentito loro non soltanto di finanziare i propri progetti politici ed egemonici di diffusione dell’islam, ma anche di ricattarci, costringendoci ad aprire le porte dell’Europa all’immigrazione dai paesi islamici in cambio di garanzie sulle forniture petrolifere.
Qual è il rapporto tra perseguimento dei propri interessi e progetti egemonici di islamizzazione e consolidamento della teoria dei cambiamenti climatici antropogenici?
Qui entrano in gioco i migliori alleati occidentali dell’islam radicale, la sua Quinta Colonna, coloro i quali vogliono tenere spalancate le porte dell’Europa all’invasione islamica, che, per una straordinaria “coincidenza”, sono anche i propugnatori della teoria dei cambiamenti climatici antropogenici, cioè la nuova sinistra terzomondista e ambientalista.
La nuova sinistra terzomondista e ambientalista, nel tirare le conseguenze pratiche della sua adesione alla teoria del riscaldamento globale, non ha mai contestato coloro che controllano in primis le risorse petrolifere, ovvero gli islamici sauditi, iraniani e compagnia bella, ma è scesa sul sentiero di guerra quando il petrolio da sfruttare era quello americano o europeo.
Pertanto, in realtà, demonizzando esclusivamente il petrolio effettivamente controllato dagli occidentali, la nuova sinistra ha favorito la nostra dipendenza da quello dei sauditi, degli Emirati Arabi, dell’Iran, come se quello arabo/islamico fosse ad impatto ambientale inferiore, più “verde”.
Inoltre, attraverso la ferma opposizione al nucleare e l’insistenza sul miraggio delle energie rinnovabili, la nuova sinistra ha sigillato la nostra schiavitù e la sua alleanza con i nostri padroni.
L’esistenza di tale pericolosa alleanza è anche confermata dall’atteggiamento sorprendentemente bonario tenuto dai paesi islamici produttori di petrolio nei confronti dell’ambientalismo e dei suoi “fedeli”.
Perché gli ambientalisti non sono mai stati minacciati dagli integralisti islamici e non vanno in giro con la scorta, nonostante la loro apparente battaglia contro gli interessi multi-miliardari dei principali sponsor del terrorismo islamico mondiale?
Forse perché gli islamici in questione sanno che le uniche alternative al petrolio pericolose per i propri interessi sono, in realtà, il petrolio della competizione e il nucleare, e che, pertanto, le simpatie degli ambientalisti consentono loro di sabotare le politiche energetiche dell’Occidente, e non solo quelle, a proprio vantaggio.
Dopo la rivoluzione energetica innescata dall’innovativa tecnologia del fracking, che rischia di affrancare definitivamente l’Occidente dalla dipendenza dal petrolio arabo, spuntando così l’arma del ricatto energetico, è diventato ancora più vitale per il successo dell’islam militante il ruolo svolto dagli ambientalisti, i quali si oppongono all’impiego di questa tecnologia.
Questa potrebbe essere una delle ragioni per accreditare la teoria dei cambiamenti climatici antropogenici, oltre che per finanziare gli ambientalisti e la loro battaglia contro il fracking, come accaduto, per esempio, in occasione della produzione cinematografica di “Terra promessa”, un film di Hollywood, critico nei confronti della tecnologia del fracking, sponsorizzato dagli Emirati Arabi.

Matt Damon fracking film backed by big OPEC member

Un ulteriore motivo per voler contribuire a consolidare la teoria del riscaldamento globale antropogenico potrebbe essere l’enfasi posta dalla sinistra terzomondista e ambientalista, ed ora anche dall’Enciclica di Papa Francesco, sui cambiamenti climatici come responsabili della generazione di “profughi climatici” da accogliere “senza se e senza ma” in Europa.
L’accettazione delle implicazioni di questa teoria sta, infatti, giustificando la necessità di accogliere “profughi” islamici, anche nel caso assai frequente in cui, in realtà, costoro non stiano affatto fuggendo da conflitti, ma solo, presumibilmente, da devastanti cambiamenti a livello climatico e meteorologico.
Sembra giusto, infatti, ai nostri occhi, che spetti ai principali presunti colpevoli dei cambiamenti climatici, cioè ai ricchi paesi occidentali, considerati responsabili dell’emissione della percentuale maggiore di gas serra, tentare di rimediare ai danni arrecati al Terzo Mondo, offrendo ospitalità ai “migranti climatici”.

1974 AD: IL PATTO COL DIAVOLO ISLAMICO

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IL PATTO COL DIAVOLO ISLAMICO E LO STUPRO DELL’EUROPA
Lo stupro, o se siete più moderni e aperti ai nuovi sviluppi della società, la “sodomizzazione islamicamente corretta” dell’Europa, comincia in modo ufficiale nel 1974, attraverso un patto col diavolo islamico.
Questo preoccupante fenomeno, che si manifesta parallelamente all’approfondimento del sodalizio con la causa palestinese e la conseguente crescita dell’antisionismo europeo, anche all’interno della Chiesa, è in qualche modo favorito da due fattori, entrambi riconducibili ad un vero e proprio ricatto:
1. Ricatto energetico: l’amara consapevolezza della totale dipendenza energetica dell’Europa dal petrolio dei paesi produttori di petrolio del Medio Oriente e del Nord Africa, acuita dalla crisi energetica del 1973. Questa crisi fu dovuta principalmente all’improvvisa e inaspettata interruzione del flusso dell’approvvigionamento di petrolio da parte del’OPEC verso le nazioni importatrici, dopo un iniziale raddoppiamento del prezzo del petrolio e diminuzione del 25% delle esportazioni per ammonire l’occidente a non appoggiare Israele durante la Guerra dello Yom Kippur.

https://it.wikipedia.org/wiki/Crisi_energetica_(1973)

2. Ricatto della paura: la volontà di ridurre il rischio di attentati terroristici islamici in territorio europeo dopo la scia di massacri compiuti dall’OLP e gruppi associati ai palestinesi negli anni ’70 contro obiettivi legati alla comunità ebraica e a Israele, a conferma, tra l’altro, della sostanziale identità dei concetti di antisionismo e antisemitismo, almeno per gli islamici.

https://it.wikipedia.org/wiki/Terrorismo_palestinese

L’Europa, ricattata energeticamente e terrorizzata dagli attentati dei palestinesi, si accorda con i suoi nemici giurati, il diavolo islamico, da cui riceve assicurazioni di ininterrotta fornitura petrolifera e di controllo sull’attività terroristica, che, nella peggiore delle ipotesi, sarà orientata esclusivamente contro Israele e gli ebrei.
Gli ebrei vengono, quindi, usati consapevolmente come “vittima sacrificale” per la presunta salvezza dell’Europa, a patto di aprire le porte all’immigrazione di massa dai paesi del Nord Africa e mediorientali e sposare la causa araba e palestinese contro Israele.

http://win.storiain.net/arret/num127/artic3.asp

La nuova sinistra, “sterile” biologicamente, e quindi alla disperata ricerca di potenziali votanti per ampliare la sua base elettorale, coglierà al volo l’occasione di spingere sull’acceleratore dell’immigrazione. A questo scopo, essa giocherà le carte dei sensi di colpa per il passato coloniale da espiare e del “terzomondismo”, con cui ingannerà anche i cattolici di sinistra guadagnandosi il loro sostegno, e sfrutterà la scusa della necessità di mantenere in vita il sistema pensionistico e sanitario, compromesso dalla scarsa natalità, favorita dagli attacchi incessanti alla famiglia tradizionale lanciati proprio dalla sinistra a partire dagli anni ’60.
La nuova sinistra per queste ragioni si dedicherà con particolare entusiasmo al compito sancito dalle clausole del patto stipulato dall’Europa e imposto dai ricatto energetico e terroristico del mondo arabo. I mass media e i rappresentanti del mondo accademico di sinistra, cioè la stragrande maggioranza delle agenzie di stampa e dei professori universitari, giocheranno, infatti, un ruolo decisivo nella costante demonizzazione e boicottaggio dello Stato Ebraico.
I cattolici di sinistra, abboccando all’amo dell’apparente lotta per la giustizia sociale e il falso interesse per i poveri del Terzo Mondo esibiti dalla sinistra, e a volte rispolverando per l’occasione l’antisemitismo del passato fondato sull’accusa di Deicidio, offriranno il proprio contributo, sostenendo anche col voto la sinistra e le sue politiche antisioniste, ma anche anticristiane.
Nell’aprile del 1974, anno decisivo per il futuro dell’Europa, Houari Boumedienne, il presidente algerino, dinanzi all’Assemblea delle Nazioni Unite, senza tanti complimenti e senza alcun timore, a conferma della sua consapevolezza dell’esistenza dei presupposti per la “sodomizzazione” dell’Europa, primo fra tutti la disponibilità europea a lasciarsi “sodomizzare”, dichiara:
«Un giorno milioni di uomini abbandoneranno l’emisfero sud per irrompere nell’emisfero nord. E non certo da amici. Perché vi irromperanno per conquistarlo, e lo conquisteranno popolandolo coi loro figli. Sarà il ventre delle nostre donne a darci la vittoria».
Nel luglio del 1974, la Turchia, presumibilmente confortata dall’inesistente reazione europea alle parole minacciose del presidente algerino, occupa illegalmente e islamizza la parte settentrionale di Cipro, territorio dell’Unione Europea, senza per questo suscitare dubbi significativi nella leadership europea sull’opportunità di lasciarsi penetrare ulteriormente dalla Turchia accettandola ufficialmente all’interno dell’Europa.
L’esistenza di una chiara volontà politica di lasciarsi “sodomizzare geopoliticamente e culturalmente” traspare quindi ulteriormente dalla decisione dei politici europei di creare una nuova entità geopolitica, “Eurabia”, in accordo con i governanti dei paesi del Nord Africa e mediorientali, e con la benedizione di alcuni illustri rappresentanti delle gerarchie ecclesiastiche cattoliche, che prende forma definitiva nell’autunno dello stesso anno.

IL PREZZO DA PAGARE PER AVER VENDUTO L’ANIMA AL DIAVOLO ISLAMICO
Come risultato forse prevedibile, ma totalmente inaspettato per i promotori europei dell’apertura incondizionata delle porte dell’Europa all’immigrazione dal mondo islamico, la radicalizzazione degli immigrati islamici è aumentata, invece di diminuire.
Conseguentemente, anche lo spettro dell’antisemitismo è ritornato ad infestare l’Europa, questa volta sotto forma di fascismo islamico. Negli ultimi anni migliaia di ebrei francesi hanno abbandonato la Francia per sfuggire alla violenza degli immigrati islamici, che ha imposto un pesante tributo di sangue nell’Europa dei diritti umani, della presunta lotta al razzismo e all’omofobia, e delle Giornate della Memoria.
Confutando l’ipotesi che l’estremismo e il terrorismo islamico potessero rappresentare una reazione al colonialismo, alla fondazione di Israele, all’imperialismo occidentale, alla povertà, alla mancanza di libertà e democrazia, gli immigrati islamici di seconda generazione non solo non si sono integrati, ma, paradossalmente, sono più radicali dei loro genitori, e persino dei musulmani non espatriati. Oggi, costoro forniscono i combattenti più spietati alla causa della Jihad in Siria, Iraq e altrove, e minacciano di scatenare un conflitto civile all’interno dell’Europa. Se, infatti, l’estremismo e la violenza islamici fossero stati una reazione a tutti o qualcuno dei fattori elencati, al venir meno o al ridursi dell’incidenza delle condizioni predisponenti, la radicalizzazione sarebbe dovuta diminuire, non crescere, nella seconda generazione di immigrati, nati e cresciuti in Europa. Eppure, il rispetto delle clausole del patto stipulato col diavolo islamico, cioè la scelta europea di sposare la causa palestinese contro Israele e l’accoglienza generosa in Europa, nonostante abbiano determinato un netto e tangibile miglioramento del tenore di vita degli immigrati accolti e offerto loro la possibilità di godere di libertà e diritti sconosciuti nei paesi d’origine, ha sortito l’effetto contrario a quello auspicato.

L’OCCASIONE STORICA DI RECEDERE DAL PATTO COL DIAVOLO ISLAMICO
Poi, un giorno, inaspettatamente, un evento provvidenziale sconvolge potenzialmente lo status quo.
La creatività degli ingegneri al servizio delle compagnie petrolifere estrae un coniglio dal cilindro in grado di cambiare drasticamente le regole del gioco, un’innovazione tecnologica denominata fracking, che consentirà di attingere a risorse petrolifere e di gas naturale, situate a profondità prima inaccessibili, di cui sono ricchi anche i paesi occidentali.

Fracking e Shale Gas, le nuove frontiere dell’energia

Gli USA dell’ambientalista Obama decidono di sfruttare questa possibilità di diventare energeticamente indipendenti, perdendo, quindi, ogni interesse nella stabilizzazione dell’area petrolifera mediorientale, che anzi procedono a destabilizzare attivamente, con conseguenze devastanti per il Medio Oriente e per l’Europa.
Il Vecchio Continente, invece, sembra non voler valorizzare gli aspetti positivi di questa rivoluzione energetica, ma solo di volerne soffrire l’impatto negativo legato alla nuova politica estera degli USA, cioè problemi di approvvigionamento energetico e gestione di un flusso enorme di immigrati in fuga dai conflitti scoppiati in Medio Oriente o richiedenti asilo con la scusa di fuggire dalla guerra. A quanto pare, la rivoluzione ideologica portata avanti dalla nuova sinistra dagli anni ’60 ha condizionato a tal punto la mentalità europea da riuscire a mantenere l’Europa soggiogata al ricatto energetico, ignorando l’opportunità di portata storica, offerta dall’innovativa tecnologia estrattiva, di affrancarsi finalmente dalla schiavitù dal petrolio arabo e recuperare l’anima venduta al diavolo islamico.
Così, nonostante il fallimento colossale del multiculturalismo, evidenziato dalla radicalizzazione degli immigrati islamici di seconda generazione, e dalla correlata crescita dell’antisemitismo, la leadership politica e religiosa europea sembra voler proseguire imperterrita lungo la stessa direzione scelta finora, lasciando le porte spalancate all’ingresso di immigrati islamici, e auspicando l’apertura di un numero crescente di moschee.
Così, i nostri illuminati intellettuali, leader politici e religiosi, perseverano nell’applicazione di una strategia fallimentare, quella delle concessioni senza nulla chiedere in cambio, illudendosi che un giorno possa portare frutti diversi e generare quella meravigliosa convivenza di culture e religioni differenti che tutti auspichiamo, invece che Jihadisti della peggiore specie.
Così, l’Unione Europea e i suoi mass media mantengono inalterata la posizione anti-sionista concordata col diavolo islamico.
Nonostante il mancato riconoscimento di Israele come Stato Ebraico da parte dei palestinesi e l’immutato incitamento all’odio anti-ebraico, Bruxelles continua a sponsorizzare l’Autorità Palestinese, e i giornali a mettere in cattiva luce Israele, finendo così per alimentare l’intransigenza dei palestinesi, creando i presupposti per ulteriore violenza, ed ostacolando le trattative per la pace. Persino la Santa Sede, al di là delle sue migliori intenzioni, “premia” il ricorso alla violenza riconoscendo la Palestina senza esigere nulla in cambio, né il riconoscimento del diritto all’esistenza di Israele, né, ancora più sorprendentemente, il rispetto delle comunità cristiane di Betlemme e della Cisgiordania, le quali subiscono soprusi e abusi da parte dei fondamentalisti islamici con la connivenza dell’Autorità Palestinese dal 1994, anno in cui la Giudea e la Samaria passarono sotto il controllo dei palestinesi coi trattati di Oslo. E l’esplosione di violenza, frutto anche della miopia della leadership politica e religiosa europea, non si lascia attendere. Proprio contando sul sostegno incondizionato della comunità internazionale, i palestinesi hanno lanciato l’attuale ondata di attacchi terroristici in Israele, il cui scopo non può essere quello di impaurire e sconfiggere gli israeliani, ma di provocarne una reazione militare, che delegittimi ulteriormente Israele agli occhi degli osservatori internazionali e dei sostenitori e finanziatori della causa palestinese.
Così, i nostri esperti di islam, facendo bella mostra di sano realismo, puntano il dito verso il presidente americano Bush e il primo ministro Blair per aver inaugurato, con l’invasione dell’Iraq e la deposizione di Saddam Hussein, la distruzione del modello di convivenza pacifica fra cristiani, musulmani, curdi e altre minoranze etniche. Poi, però, rinunciando improvvisamente all’approccio pragmatico adottato nella condanna degli errori anglo-americani, non sono disposti a riconoscere, accettare e fare tesoro delle ragioni ultime che avevano reso possibile quella convivenza, cioè il controllo dell’islam radicale con il pugno di ferro, e persistono nell’illusione di poter integrare l’islam in Europa aumentando a dismisura la “carota delle concessioni” senza il ricorso al “bastone” necessario ad impedire che prenda il sopravvento.
Essi si dimenticano, inoltre, dell’esistenza di altri modelli di convivenza tra minoranze etniche e religiose diverse, sia in Medio Oriente sia in Europa, forse perché molto meno attraenti, cioè il Libano e il Kosovo prima del conflitto civile.
Sembrerebbe proprio che i nostri promotori e sostenitori dell’apertura incondizionata delle porte all’immigrazione e l’accoglienza degli islamici, e della causa palestinese, ignorando il venir meno delle condizioni che avevano rese necessarie queste politiche, stiano tenendo fede al patto col diavolo islamico siglato nel 1974 e spingendo nella direzione di modelli di convivenza catastrofici, creando così i presupposti per la guerra civile e l’islamizzazione del Vecchio Continente.