30 GIUGNO 2019 XIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO ANNO C LUCA 9,51-62

Lc 9,57.69 Il FIGLIO DELL’UOMO NON HA DOVE POSARE IL CAPO
30 GIUGNO 2019 XIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO ANNO C

30 GIUGNO 2019 XIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO ANNO C

Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Luca 9,51-62
Mentre stavano compiendosi i giorni in cui Gesù sarebbe stato tolto dal mondo, si diresse decisamente verso Gerusalemme e mandò avanti dei messaggeri. Questi si incamminarono ed entrarono in un villaggio di Samaritani per fare i preparativi per lui. Ma essi non vollero riceverlo, perché era diretto verso Gerusalemme. Quando videro ciò, i discepoli Giacomo e Giovanni dissero: «Signore, vuoi che diciamo che scenda un fuoco dal cielo e li consumi?». Ma Gesù si voltò e li rimproverò. E si avviarono verso un altro villaggio. Mentre andavano per la strada, un tale gli disse: «Ti seguirò dovunque tu vada». Gesù gli rispose: «Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo». A un altro disse: «Seguimi». E costui rispose: «Signore, concedimi di andare a seppellire prima mio padre». Gesù replicò: «Lascia che i morti seppelliscano i loro morti; tu và e annunzia il Regno di Dio». Un altro disse: «Ti seguirò, Signore, ma prima lascia che io mi congedi da quelli di casa». Ma Gesù gli rispose: «Nessuno che ha messo mano all’aratro e poi si volge indietro, è adatto per il Regno di Dio».

 Rivelazione di Gesù a Maria Valtorta
Corrispondenza nell’“Evangelo come mi è stato rivelato” di Maria Valtorta. Capitolo 575

Tersa è talmente circondata da uliveti rigogliosi che occorre esserle ben vicino per accorgersi che la città è lì. Una cinta di ortaglie di una fertilità splendida fa da ultimo paravento al­le case. Negli orti radicchi, insalate, legumi, giovani piante di cucurbitacee, alberi da frutto, pergole, fondono e intrecciano i loro verdi diversi e i loro fiori promettenti frutto, o i frutticini promettenti delizie. Il piccolo fior della vite e quello degli ulivi più precoci piovono, sotto il passar di un venticello piuttosto vibrato, a spruzzar di una neve bianco-verde il suolo.

Da dietro un velario di canne e di salci, cresciuti presso una gora priva d’acqua ma dal fondo umido ancora, udendo lo scalpiccio dei sopravvenuti emergono gli otto apostoli mandati avanti prima.Sono visibilmente inquieti e addolorati, e fanno cenno di fermarsi. Intanto corrono avanti. Quando sono vicini tanto da poter essere sentiti senza aver bisogno di urlare, dico­no: «Via! Via! Indietro, per la campagna. Non si può entrare nella città. Per poco ci lapidano. Venite via. Là, in quel folto, e parleremo…». Spingono indietro, giù per la gora asciutta, Ge­sù, i tre apostoli, il ragazzo, le donne, smaniosi di allontanarsi senza esser visti, e dicono: «Che non ci vedano qui. Andiamo! Andiamo».

Inutilmente Gesù, Giuda e i due figli di Zebedeo cercano di sapere cosa è accaduto. Inutilmente dicono: «Ma Giuda di Simone? Ma Elisa?».

Gli otto sono inesorabili. Camminando fra l’intrico di steli e di piante acquatiche, segati nei piedi dai fa­laschi, urtati nel viso dai salci e dalle canne, scivolando sulla moticcia del fondo, aggrappandosi alle erbe, puntellandosi ai margini e infangandosi a dovere, si allontanano così, premuti alle spalle dagli otto, che camminano con il capo quasi all’in­dietro per vedere se da Tersa esce qualcuno ad inseguirli. Ma sulla via non c’è che il sole, che inizia il tramonto, e un magro cane vagante.

Finalmente sono presso un macchione di rovi che delimita­no una proprietà. Dietro al macchione, un campo di lino ondu­la al vento i suoi alti steli che si incielano dei primi fiori.

«Qui, qui dentro. Stando seduti nessuno ci vedrà, e quando sarà sera andremo…», dice Pietro asciugandosi il sudore…

«Dove?», chiede Giuda d’Alfeo. «Abbiamo le donne».

«In qualche luogo andremo. Del resto i prati sono pieni di fieni segati. Sarà un letto anche questo. Faremo tende alle donne coi nostri mantelli e noi veglieremo».

«Sì. Basta non esser visti e all’alba scendere al Giordano. Avevi ragione, Maestro, a non volere la strada di Samaria. Me­glio i ladroni, per noi poveri, ai samaritani!…», dice Bartolo­meo affannato ancora.

«Ma che è successo insomma? È Giuda che ha fatto qual­che…», dice il Taddeo.

Lo interrompe Tommaso: «Giuda le ha prese di certo. Mi spiace per Elisa…».

«Hai visto Giuda?».

«Io no. Ma è facile esser profeti. Se si è detto tuo apostolo, certo è stato picchiato. Maestro, non ti vogliono».

«Sì. Sono tutti rivoltati contro Te».

«Veri samaritani sono».

Parlano tutti insieme.

Gesù impone silenzio a tutti e dice: «Uno solo parli. Tu, Si­mone Zelote, che sei il più calmo».

«Signore, è presto detto. Noi entrammo in città e nessuno ci disturbò sinché non seppero chi siamo, sinché ci credettero pellegrini di passaggio. Ma quando chiedemmo -lo dovevamo pur fare!- se un uomo giovane, alto, bruno, vestito di rosso e con un talet a righe rosse e bianche, e una donna anziana, ma­gra, coi capelli più bianchi che neri e una veste bigia molto scura, erano entrati in città e avevano cercato del Maestro galileo e dei suoi compagni, allora si inquietarono subito… Forse non dovevamo parlare di Te. Abbiamo certo sbagliato… Ma negli altri luoghi fummo accolti sempre così bene che… Non si capisce cosa è accaduto!… Sembrano vipere, quelli che soltan­to tre giorni fa erano verso Te deferenti!…».

Lo interrompe il Taddeo: «Lavoro di giudei…».

«Non credo. Non lo credo per i rimproveri che ci fecero e per le minacce. Io credo… Anzi sono, siamo sicuri che è causa dell’ira samaritana Gesù che ha respinto la loro offerta di pro­tezione. Urlavano: “Via! Via! Voi e il vostro Maestro! Vuole an­dare ad adorare sul Moria. E vada, e muoia Lui e tutti i suoi. Non c’è posto fra noi per quelli che non ci tengono per amici, ma soltanto per servi. Non vogliamo altre noie se non c’è com­penso di utili. Pietre e non pane per il Galileo. I cani ad assa­lirlo, non le case ad accoglierlo”.

Così, e più di così, dicevano. E poiché noi insistevamo per sapere almeno che era stato di Giuda, hanno preso pietre per colpirci e veramente hanno lan­ciato i cani. E urlavano fra loro:

“Mettiamoci presso a tutte le entrate. Se Egli viene ci vendicheremo”.

Noi siamo fuggiti. Una donna -c’è sempre chi è buono anche fra i malvagi- ci spinse nel suo orto e da lì ci condusse per una viottola fra gli orti sino alla gora che era senza l’acqua, avendo irrigato avanti il sabato. E ci nascose lì. E poi ci promise di farci sapere di Giuda. Ma non è più venuta. Attendiamola però qui. Perché ha detto che, se non ci troverà nella gora, qui verrà».

I commenti sono molti. Chi continua ad accusare i giudei. Chi fa un lieve rimprovero a Gesù, un rimprovero nascosto nel­le parole:

«Tu hai parlato troppo chiaramente a Sichem e poi ti sei allontanato. In questi tre giorni essi hanno deciso che è inu­tile illudersi e danneggiarsi per uno che non li accontenta… e ti cacciano…».

Gesù risponde: «Non mi pento di aver detto la verità e di fare il mio dovere. Ora non comprendono. Fra poco compren­deranno la giustizia mia e mi venereranno più che se non l’avessi avuta, e più grande dell’amore per loro».

«Ecco! Ecco la donna là sulla strada. Osa farsi vedere…», dice Andrea.

«Non ci tradirà, eh?», dice sospettoso Bartolomeo.

«È sola!».

«Potrebbe esser seguita da gente nascosta nella gora…».

Ma la donna, che avanza con un cesto sul capo, prosegue superando i campi di lino, dove sono in attesa Gesù e gli apo­stoli, e poi prende un sentierino e sparisce dalla vista… riap­parendo improvvisa alle spalle degli attendenti, che si voltano quasi impauriti sentendo frusciare gli steli.

La donna parla agli otto che conosce: «Ecco! Perdonate se ho fatto attendere molto… Non volevo essere seguita. Ho detto che andavo da mia madre… So… E qui ho portato ristoro per voi. Il Maestro… Quale è? Vorrei venerarlo».

«Quello è il Maestro».

La donna, che ha deposto il suo cesto, si prostra dicendo: «Perdona alla colpa dei miei concittadini. Se non ci fosse stato chi ha aizzato… Ma sul tuo rifiuto hanno lavorato in molti…».

«Non ho rancore, donna. Alzati e parla. Sai del mio apo­stolo e della donna che era con lui?».

«Sì. Cacciati come cani, sono fuor dalla città, dall’altro la­to, in attesa della notte. Volevano tornare indietro, verso Enon, a cercarti. Volevano venire qui, sapendo che qui erano i com­pagni. Ho detto che no, non lo facessero. Che stessero quieti, che io vi condurrò a loro. E lo farò, sol che cali il crepuscolo. Per buona sorte lo sposo mio è assente e sono libera di lasciar la casa. Vi condurrò da una mia sorella sposata nelle terre del piano. Dormirete là, senza dire chi siete, non per Merod ma per gli uomini che sono con lei. Non sono samaritani, della Decapoli sono, qui stabiliti. Ma è sempre bene…».

«Dio ti compensi. I due discepoli hanno avuto ferite?».

«Un poco l’uomo. Nulla la donna. E certo l’Altissimo la protesse perché ella, fiera, protesse suo figlio della sua persona quando i cittadini dettero mano alle pietre. Oh! che forte don­na! Gridava: “Così colpite uno che non vi ha offeso? E non ri­spettate me, che lo difendo e che madre sono? Non avete madri voi tutti, che non rispettate chi ha generato? Siete nati da una lupa o vi siete fatti col fango ed il letame?”, e guardava gli as­salitori tenendo aperto il mantello a difesa dell’uomo, e intan­to arretrava, spingendolo fuor dalla città…

E anche ora lo conforta dicendo: “Voglia l’Altissimo, o mio Giuda, di questo tuo sangue sparso per il Maestro farne il balsamo del tuo cuo­re”. Ma è poca ferita. Forse l’uomo è più spaurito che dolente. Ma ora prendete e mangiate. Qui è latte munto da poco, per le donne, e pane con formaggi e frutta. Non ho potuto cuocere carni. Avrei tardato troppo. E qui è vino per gli uomini. Man­giate mentre scende la sera. Poi andremo per vie sicure dai due, e poi da Merod».

«Dio ti compensi ancora», dice Gesù e offre e spartisce il ci­bo mettendone da parte per i due lontani.

«No. No. Ad essi ho pensato io, portando uova e pane sotto le vesti e un poco di vino e olio per le ferite. Questo è per voi. Mangiate, ché io veglio la via…».

Mangiano, ma lo sdegno divora gli uomini e l’accasciamento fa svogliate le donne. Tutte, meno Maria di Magdala, alla quale ciò che per le altre è paura o avvilimento fa sempre l’ef­fetto di un liquore sferzante i nervi e il coraggio. I suoi occhi lampeggiano verso la città ostile. Solo la presenza di Gesù, che ha già detto di non aver rancore, la trattiene da parole fiere. E non potendo parlare né agire, scarica la sua ira sull’innocente pane, che addenta in maniera così significativa che lo Zelote non può trattenersi dal dirle sorridendo: «Buon per quei di Tersa che non possano cader fra le tue mani! Sembri una fiera tenuta in catene, Maria!».

«Lo sono. Hai visto giusto. E davanti agli occhi di Dio ha più valore questo mio trattenermi dall’entrare là, come essi meritano, che non quanto feci sin qui per espiare».

«Buona, Maria! Dio ti ha perdonato colpe più grandi della loro».

«È vero. Essi hanno offeso Te, mio Dio, una volta e per sug­gestione altrui. Io molte… e per volontà mia propria… e non posso essere intransigente e superba…». Riabbassa gli occhi sul suo pane e due lacrime cadono sul suo pane.

Marta le posa la mano in grembo dicendole sottovoce: «Dio ti ha perdonata. Non ti avvilire più… Ricorda ciò che avesti: Lazzaro nostro…».

«Non è avvilimento. È riconoscenza. È emozione… Ed è an­che constatazione che io sono ancor priva di quella misericor­dia che pur ricevetti così ampia… Perdonami, Rabboni!», dice alzando i suoi splendidi occhi, che l’umiltà rifà dolci.

«Il perdono mai è negato a chi è umile di cuore, Maria».

La sera scende, tingendo l’aria di un delicato sfumar di viola. Le cose un poco lontane si confondono. Gli steli del lino, prima visibili nella loro grazia, ora si unificano in un’unica massa scura. Tacciono gli uccelli fra le fronde. Si accende la prima stella. Frinisce il primo grillo fra l’erba. È sera.

«Possiamo andare. Qui, fra i campi, non saremo visti. Veni­te sicuri. Non tradisco. Non faccio per compenso. Chiedo solo pietà dal Cielo, ché tutti di pietà abbiamo bisogno», dice la donna sospirando.

Si alzano. Si avviano dietro di lei. Passano al largo di Tersa, fra campi e ortaglie semioscure, ma non tanto da non vedere uomini all’imbocco delle strade, intorno a dei fuochi…

«Sono in agguato di noi…», dice Matteo.

«Maledetti!», fischia fra i denti Filippo.

Pietro non parla, ma agita le braccia verso il cielo in una muta invocazione o protesta.

Ma Giacomo e Giovanni di Zebedeo, che si sono parlati fitto fitto, là, un poco avanti degli altri, tornano indietro e dicono: «Maestro, se Tu per la tua perfezione d’amore non vuoi ricorre­re al castigo, vuoi che noi lo si faccia? Vuoi che diciamo al fuo­co del Cielo di discendere e consumarli questi peccatori? Tu ci hai detto che tutto possiamo di ciò che chiediamo con Fede e…».

Gesù, che camminava un poco curvo, come stanco, si raddrizza di scatto e li fulmina con due sguardi che balenano alla luce della luna.

I due arretrano, tacendo impauriti davanti a quello sguardo. Gesù, sempre fissandoli così, dice: «Voi non sapete di quale spirito siete. Il Figlio dell’Uomo non è venuto a perdere le anime, ma a salvarle. Non ricordate ciò che vi ho detto? Ho detto nella parabola del grano e del loglio: ”Lasciate per ora che il grano e il loglio crescano insieme. Perché, a vo­lerli separare ora, rischiereste di sbarbare col loglio anche il grano. Lasciateli perciò sino alla mietitura. Al tempo della messe dirò ai mietitori: raccogliete ora il loglio e legatelo in fa­sci per bruciarlo, e riponete il buon grano nel mio granaio”».

Gesù ha già temperato il suo sdegno verso i due che, per una ira suscitata da amore per Lui, chiedevano di punire quelli di Tersa e che ora stanno a capo basso davanti a Lui. Li pren­de, uno a destra, uno a sinistra, per i gomiti, e si rimette in cammino guidandoli così e parlando a tutti, che si sono stretti intorno a Lui che si era fermato.

«In verità vi dico che il tempo del mietere è vicino. La mia prima mietitura. E per molti non ci sarà la seconda. Ma -lode diamone all’Altissimo- qualcu­no che non seppe divenire nel mio tempo spiga di buon grano, dopo la purificazione del Sacrificio pasquale rinascerà con un’anima nuova. Sino a quel giorno Io non infierirò su alcu­no… Dopo sarà la giustizia…»,

«Dopo la Pasqua?», chiede Pietro.

«No. Dopo il tempo. Non parlo di questi uomini, di ora. Io guardo i secoli futuri. L’uomo sempre si rinnova come le messi sui campi. E le raccolte si susseguono. E Io lascerò quel che abbisogna perché i futuri possano farsi grano buono. Se non lo vorranno, alla fine del mondo i miei angeli separeranno i logli dai grani buoni. Allora sarà l’eterno Giorno di Dio solo. Per ora, nel mondo è il giorno di Dio e di Satana. Il Primo semi­nante il Bene, il secondo gettando fra i semi di Dio i suoi dan­nati logli, i suoi scandali, le sue iniquità, i suoi semi suscitatori di iniquità e scandali. Perché sempre vi saranno quelli che ec­citano contro Dio, come qui, con questi che, in verità, sono me­no colpevoli di coloro che li eccitano al male».

«Maestro, ogni anno ci si purifica a Pasqua d’Azzimi, ma sempre si resta ciò che si era. Sarà forse diverso quest’anno?», chiede Matteo.

«Molto diverso».

«Perché? Spiegacelo».

«Domani… Domani, o quando saremo per la strada e con noi sarà anche Giuda di Simone, ve lo dirò».

«Oh! sì. Ce lo dirai e noi ci faremo più buoni… Intanto per­donaci, Gesù», dice Giovanni.

«Ben vi ho chiamati col giusto nome. Ma il tuono non fa male. La saetta, sì, può uccidere. Però il tuono molte volte preannuncia le saette. Così avviene a chi non leva ogni disordi­ne contro l’amore dal suo spirito. Oggi domanda di poter puni­re. Domani punisce senza chiedere. Dopo domani punisce an­che senza ragione. Il discendere è facile… Perciò vi dico di spogliarvi di ogni durezza verso il prossimo vostro. Fate come Io faccio e sarete sicuri di non sbagliare mai. Avete forse mai visto che Io mi vendichi di chi mi addolora?».

«No, Maestro. Tu…».

«Maestro! Maestro! Siamo qui. Io ed Elisa. Oh! Maestro, quanto affanno per Te! E quanta paura di morire…», dice Giu­da di Keriot sbucando da dietro dei filari di vite e correndo a Gesù. Una benda gli fascia la fronte. Elisa lo segue più calma.

«Hai patito? Hai temuto di morire? Tanto ti è cara la vita?», chiede Gesù liberandosi da Giuda che lo abbraccia e piange.

«Non la vita. Temevo Dio. Morire senza il tuo perdono… Io ti offendo sempre. Tutti offendo. Anche questa… E lei mi ha ri­sposto facendomi da madre. Colpevole mi sentivo e temevo la morte…».

«Oh! salutare timore se può farti santo! Ma Io ti perdono, sempre, tu lo sai, sol che tu abbia volontà di pentimento. E tu, Elisa? Hai perdonato?».

«È un grande fanciullo sfrenato. So compatire».

«Sei stata forte, Elisa. Lo so».

«Se essa non c’era! Non so se ti avrei rivisto, Maestro!».

«Tu vedi dunque che non per odio ma per amore ella era ri­masta al tuo fianco… Non hai patito ferita, Elisa?».

«No, Maestro. Le pietre mi cadevano intorno senza farmi danno. Ma il cuore ha avuto molta ambascia pensando a Te…».

«Tutto è finito ormai. Seguiamo la donna che ci vuole con­durre in una casa sicura».

Si rimettono in cammino, prendendo una stradetta bianca di luna che va verso oriente.

Gesù ha preso per un braccio l’Iscariota ed è avanti con lui. Dolcemente gli parla. Cerca di lavorare sul cuore scosso dalla passata paura del giudizio di Dio:

«Tu vedi, Giuda, come è facile il morire. Sempre in agguato la morte intorno a noi. Tu vedi come ciò che pare trascurabile cosa quando siamo pieni di vita divenga grande, paurosamente grande cosa quando la morte ci sfiora. Ma perché voler avere queste paure, crearsele per trovarsele di fronte nel momento del morire, quando con una vita santa si può ignorare lo spavento del prossimo giudi­zio divino?

Non ti pare che meriti vivere da giusti per avere un placido morire? Giuda, amico mio. La divina, paterna miseri­cordia ha permesso questo avvenimento perché fosse un ri­chiamo al tuo cuore. Sei ancora in tempo, Giuda… Perché non vuoi dare al tuo Maestro che sta per morire la gioia grande, grandissima di saperti tornato al Bene?».

«Ma mi puoi ancora perdonare, Gesù?».

«E così ti parlerei se non lo potessi? Come mi conosci anco­ra poco! Io ti conosco. So che sei come chi è abbrancato da una piovra gigante. Ma, se tu volessi, potresti liberarti ancora. Oh! soffriresti, certo. Strapparsi di dosso quelle catene che ti mor­dono e ti avvelenano, sarebbe dolore. Ma, dopo, quanta gioia, Giuda!

Temi di non aver forza di reagire ai tuoi suggestionatori? Io posso assolverti in anticipo del peccato di trasgressione al rito pasquale… Tu sei un malato. Per i malati la Pasqua non è obbligatoria. Nessuno è più malato di te. Tu sei come un leb­broso. I lebbrosi non salgono a Gerusalemme, sinché sono tali.

Credi, Giuda, che il comparire davanti al Signore con lo spirito immondo, quale lo hai tu, non è onorarlo, ma offenderlo. Biso­gna prima…».

«Perché allora non mi purifichi e guarisci?», chiede già duro, riottoso, Giuda.

«Non ti guarisco! Quando uno è malato cerca da sé la gua­rigione. A meno che non sia un fanciullino o uno stolto, che non sanno volere…».

«Trattami come tali persone. Trattami da stolto e provvedi Tu, a mia stessa insaputa».

«Non sarebbe giustizia, perché tu puoi volere. Tu sai ciò che è bene e ciò che è male per te. E non gioverebbe il mio guarirti senza la tua volontà di rimanere guarito».

«Dammi anche questa».

«Dartela? Importela, allora, una volontà buona? E il tuo li­bero arbitrio? Che diverrebbe, allora? Che sarebbe il tuo io di uomo, creatura libera? Succube?».

«Come sono succube di satana, potrei esserlo di Dio!».

«Come mi ferisci, Giuda! Come mi trapassi il Cuore! Ma per quello che mi fai, Io ti perdono… Succube di satana, hai detto. Io non dicevo questa tremenda cosa…».

«Ma la pensavi, perché è vera e perché Tu la conosci, se è vero che Tu leggi nei cuori degli uomini. Se così è, Tu sai che io non sono più libero di me… Esso mi ha preso e…».

«No. Esso si è a te accostato, tentandoti, assaggiandoti, e tu lo hai accolto. Non c’è possessione se non c’è all’inizio un’ade­sione a qualche tentazione satanica.

Il serpente insinua il capo fra le sbarre fitte messe a difesa dei cuori, ma non entrerebbe se l’uomo non gli allargasse un varco per ammirarne l’aspetto seduttore, per ascoltarlo, per seguirlo… Solo allora l’uomo di­viene succube, posseduto, ma perché lo vuole.

Anche Dio saet­ta dai Cieli le luci dolcissime del suo paterno Amore, e le sue luci penetrano in noi. Meglio: Dio, a cui tutto è possibile, scen­de nel cuore degli uomini. È il suo diritto. Perché allora l’uo­mo, che sa divenire schiavo, succube dell’Orrendo, non sa farsi servo di Dio, anzi figlio di Dio, e scaccia il Padre suo Santissi­mo?

Non mi rispondi? Non mi dici perché hai preferito, voluto satana a Dio?

Ma pure saresti ancora in tempo a salvarti! Tu lo sai che Io vado a morire. Nessuno come te lo sa… Io non mi rifiuto dal morire… Vado. Vado alla morte perché la mia morte sarà la Vita per tanti. Perché non vuoi essere fra questi? Solo per te, amico mio, mio povero, malato amico, sarà inutile il mio morire?».

«Sarà inutile per tanti, non ti illudere. Faresti meglio a fuggire e a vivere lontano di qui, godere la vita, insegnare la tua dottrina, perché è buona, ma non sacrificarti».

«Insegnare la mia dottrina! Ma cosa insegnerei più di vero, se facessi il contrario di ciò che insegno? Che Maestro sarei se predicassi l’ubbidienza alla volontà di Dio e non la facessi, l’amore per gli uomini e poi non li amassi, la rinuncia alla car­ne e al mondo e poi amassi la carne mia e gli onori del mondo, il non dare scandalo e poi scandalizzassi non solo gli uomini ma gli Angeli, e così via?

Per te parla satana in questo momen­to. Come ha parlato a Efraim. Come tante volte ha parlato e agito, attraverso a te, per turbare Me.

Io le ho riconosciute tut­te queste azioni di satana, compiute con tuo mezzo, e non ti ho odiato, non ho avuto stanchezza di te, ma soltanto pena, infi­nita pena. Come una madre che sorvegli i progressi di un male che porta alla morte il suo figlio, Io ho guardato il progredire del male in te. Come un padre che non si fa rincrescere cosa al­cuna pur di trovare i farmaci al suo figlio malato.

Io non mi sono fatto rincrescere nulla per salvarti, ho superato ripugnan­ze, sdegni, amarezze, sconforti…

Come un padre e una madre desolati, disillusi su ogni potere terreno, si volgono al Cielo per ottenere la vita del figlio, così Io ho gemuto e gemo implorando un miracolo che ti salvi, ti salvi, ti salvi sull’orlo dell’abisso che già frana sotto i tuoi piedi.

Giuda, guardami! Fra poco il mio Sangue sarà sparso per i peccati degli uomini. Non me ne resterà goccia. Lo berranno le zolle, le pietre, le erbe, le vesti dei miei persecutori e le mie…, il legno, il ferro, le funi, le spi­ne del nabacà… e lo berranno gli spiriti che attendono salu­te…

Solo tu non ne vuoi bere? Io, per te soltanto, lo darei tutto questo mio Sangue. Tu sei l’amico mio.

Come si muore volen­tieri per l’amico! Per salvarlo! Si dice: “Io muoio. Ma io conti­nuerò a vivere nell’amico al quale ho dato la vita”.

Come una madre, come un padre che continuano a vivere nella loro prole anche dopo che sono spenti. Giuda, Io te ne supplico! Non chiedo altro in questa mia vigilia di morte. Al condannato an­che i giudici, anche i nemici concedono un’ultima grazia, esau­discono l’ultimo desiderio. Io ti chiedo di non dannarti. Non lo chiedo tanto al Cielo quanto a te, alla tua volontà…

Pensa a tua madre, Giuda. Che sarà tua madre, dopo? Che, il nome del­la tua famiglia? Invoco al tuo orgoglio, questo è più che mai fiero, di difenderti contro il tuo disonore. Non disonorarti, Giuda. Pensa.

Passeranno gli anni e i secoli, cadranno i regni e gli imperi, si illanguidiranno le stelle, muterà la configurazione della Terra, e tu sarai sempre Giuda, come Caino è sempre Caino, se tu persisti nel tuo peccato.

Finiranno i secoli. E re­sterà soltanto Paradiso e Inferno, e in Paradiso e nell’Inferno, per gli uomini risorti e accolti con anima e corpo, in eterno, là dove è giusto che siano, tu sarai sempre Giuda, il maledetto, il colpevole più grande, se non ti ravvedi.

Io scenderò a liberare gli spiriti dal Limbo, li trarrò a schiere dal Purgatorio, e tu… non ti potrò trarre dove Io sono… Giuda, Io vado a morire, fe­lice vado, perché è venuta l’ora che da millenni attendevo, l’ora di riunire gli uomini al Padre loro. Molti non li riunirò. Ma il numero dei salvati che contemplerò nel morire mi conso­lerà dello strazio del morire inutilmente per tanti.

Ma, Io te lo dico, sarà tremendo vederti fra questi, tu, mio apostolo, amico mio. Non mi dare l’inumano dolore!… Ti voglio salvare, Giuda! Salvare.

Guarda. Noi scendiamo al fiume. Domani all’al­ba, quando ancora tutti dormono, noi lo passeremo, noi due, e tu andrai a Bozra, ad Arbela, ad Aera, dove vuoi. Tu sai le case dei discepoli. A Bozra cerca di Gioacchino e di Maria, la leb­brosa da Me guarita. Ti darò uno scritto per loro. Dirò che per la tua salute si esige un riposo quieto in aria diversa.

È la ve­rità, purtroppo, poiché tu sei malato nello spirito e l’aria di Gerusalemme ti sarebbe letale.

Ma essi crederanno che tu lo sia nel corpo. Starai là sinché Io non te ne venga a trarre. Ai tuoi compagni penserò Io… Ma non venire a Gerusalemme. Ve­di? Non ho voluto le donne, meno le più forti fra esse, e quelle che per diritto di madri devono essere presso i figli loro».

«Anche la mia?».

«No. Maria non sarà a Gerusalemme…».

«È madre di un apostolo essa pure e ti ha sempre onorato».

«Sì. E avrebbe diritto come le altre di stare vicino a Me, che ama con perfetta giustizia. Ma appunto per questo non ci sarà. Perché Io le ho detto di non esserci, ed ella sa ubbidire».

«Perché non deve esserci? Cosa in lei di diverso dalla madre dei tuoi fratelli e dei figli di Zebedeo?».

«Tu. E tu lo sai perché dico questo. Ma se tu mi ascolti, se vai a Bozra, Io manderò ad avvisare tua madre e te la farò accompagnare, perché ella, che è tanto buona, ti aiuti a guarire. Credilo, noi soli ti amiamo così, senza misura.

Tre sono che ti amano in Cielo: il Padre, il Figlio, lo Spirito Santo, che ti hanno contemplato e che attendono il tuo volere per fare di te la gemma della Redenzione, la preda più grande strappata al­l’Abisso; e tre in Terra: Io, tua madre e mia Madre. Facci felici, Giuda! Noi del Cielo, noi della Terra, questi che ti amano di vero amore».

«Tu lo dici: tre soli sono che mi amano; gli altri… no».

«Non come noi. Ma tanto ti amano. Elisa ti ha difeso. Gli altri erano in affanno per te. Quando tu ci sei lontano, tutti ti hanno in cuore e il tuo nome è sulle labbra. Tu non conosci tut­to l’amore che ti circonda. Il tuo oppressore te lo nasconde. Ma credi alla mia parola».

«Ti credo. E cercherò di farti contento. Ma voglio fare da me. Da me ho sbagliato, da me devo sapermi guarire dal male».

«Unicamente Dio può fare da Sé. Questo tuo pensiero è di superbia. Nella superbia è ancora satana. Sii umile, Giuda. Afferra questa mano che ti si offre amica. Rifugiati su questo cuore che ti si apre protettore. Qui, con Me, non ti potrebbe far del male satana».

«Ho provato a stare con Te… Sono sempre più disceso… È inutile!».

«Non lo dire! Non lo dire! Respingi lo sconforto. Dio può tutto. Stringiti a Dio. Giuda! Giuda!».

«Taci! Che gli altri non sentano…».

«E ti preoccupi degli altri e non del tuo spirito? Misero Giuda!…».

Gesù non parla più. Ma continua a stare al fianco dell’apostolo sinché la donna, che era avanti qualche metro, entra in una casa emersa da un folto d’ulivi. Allora dice Gesù al suo di­scepolo: «Io non dormirò questa notte. Pregherò per te e ti at­tenderò… Dio parli al tuo cuore. E tu ascoltalo… Resterò qui, dove sono ora, a pregare. Sino all’alba… Ricordalo».

Giuda non gli risponde.

Sono sopraggiunti gli altri e le don­ne, e sostano tutti insieme in attesa che la samaritana ritorni. Non sta molto a tornare. È insieme ad un’altra donna che le somiglia e che li saluta dicendo: «Non ho molte stanze, perché già sono qui i segatori che per ora lavorano agli ulivi. Ma ho grande il granaio e molta paglia è in esso. Per le donne ho po­sto. Venite».

«Andate! Io resto qui in preghiera. La pace a voi tutti», di­ce Gesù. E mentre gli altri se ne vanno, Egli trattiene sua Ma­dre dicendole: «Io resto a pregare per Giuda, Madre mia. Aiu­tami tu pure…».

«Ti aiuterò, Figlio mio. Rinasce forse in lui il volere?».

«No, Mamma. Ma noi dobbiamo fare come se… Il Cielo può tutto, Mamma!».

«Sì. E Io posso ancora illudermi. Non Tu, Figlio mio. Tu sai. Santo Figlio mio! Ma Io ti imiterò sempre. Và tranquillo, amor mio! Anche quando Tu non potrai più parlargli, perché egli ti fuggirà, Io cercherò di condurtelo. E sol che il Padre Santissi­mo ascolti il mio dolore… Mi lasci stare con Te, Gesù? Preghe­remo insieme… e saranno tante ore da averti per me sola…».

«Resta, Mamma. Ti attendo qui».

Maria va lesta e lesta torna. Si siedono sulle loro sacche, ai piedi degli ulivi. Nel gran silenzio si sente il fruscio del fiume poco lontano, e il canto dei grilli sembra forte nel gran tacere della notte. Poi cantano gli usignoli. E ride una civetta. E piange un assiolo. E le stelle trasmigrano lente nel firmamento, regine, ora che la luna più non le offusca essendo già tramontata.

E poi un gallo rompe l’aria cheta col suo squillante richiamo. Molto più lontano, appena percepibile, un altro gallo risponde. Poi di nuovo il silenzio, rotto da un arpeggiar di guazze, che cadono dalle tegole della prossima casa sul selcia­to che la contorna. E poi un fruscio nuovo fra le fronde, come perché scuotano l’umido notturno, e un isolato pispolio di uc­cello che si ridesta, e contemporaneamente un mutar del cielo, un ridestarsi della luce. È l’alba. E Giuda non è venuto…

Gesù guarda la Madre, bianca come un giglio contro l’ulivo scuro, e Le dice: «Abbiamo pregato, Madre. La preghiera nostra il Padre la userà…».

«Sì, Figlio mio. Sei pallido come la morte. Veramente la tua vitalità si è esalata tutta in questa notte per premere sulle por­te dei Cieli e sui decreti di Dio!».

«Tu pure sei pallida, Madre. Grande è la tua fatica».

«Grande è il mio dolore per il tuo dolore».

La porta della casa si apre cauta… Gesù trasale. Ma non è che la donna che li ha condotti, quella che esce senza fare rumore. Gesù sospira: «Ho sperato di essermi potuto sbagliare!».

La donna viene avanti col suo cesto vuoto. Vede Gesù. Lo saluta e proseguirebbe. Ma Egli la chiama. Le dice: «Il Signore di tutto ti compensi. Io pur vorrei, ma non ho nulla con Me».

«Nulla vorrei, Rabbi. Nessun compenso. Ma una cosa vor­rei, pur non volendo denaro. E questa me la puoi dare!».

«Che, donna?».

«Che il cuore del mio sposo mutasse. E questo Tu lo puoi fa­re, perché Tu sei veramente il Santo di Dio».

«Và in pace. Ti sarà fatto come tu chiedi. Addio».

La donna se ne va lesta verso la sua casa, che deve essere ben triste.

Maria commenta: «Un’altra infelice. Per questo è buona!…».

Si affaccia dal granaio la testa arruffata di Pietro e, dietro la sua, quella luminosa di Giovanni, e poi il profilo severo del Taddeo, e il volto brunastro dello Zelote, e il viso magro del giovinetto Beniamino… Tutti sono desti.

Ecco dalla casa uscire prima di tutte Maria di Magdala, e dietro lei Niche, e poi le al­tre. Quando tutti sono riuniti e la donna che li ha ospitati ha già portato un secchiello di latte ancor schiumoso, appare l’Iscariota. Non ha più la benda. Ma il livido della percossa gli tinge metà della fronte, e l’occhio è ancor più cupo nel cerchio violaceo.

Gesù lo guarda. Giuda guarda Gesù e poi volge il capo al­trove. Gesù gli dice: «Acquista dalla donna quanto può darci. Noi andiamo avanti. Raggiungici».

E veramente Gesù, salutata la donna, si avvia. Tutti Lo se­guono.

Estratto di “l’Evangelo come mi è stato rivelato” di Maria Valtorta

30 GIUGNO 2019 XIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO ANNO C

DOMENICA 23 GIUGNO 2019 SANTISSIMO CORPO E SANGUE DI CRISTO

ostensorio

Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Luca 9,11-17

In quel tempo, Gesù prese a parlare alle folle del Regno di Dio e a guarire quanti avevano bisogno di cure. Il giorno cominciava a declinare e i Dodici gli si avvicinarono dicendo: «Congeda la folla perché vada nei villaggi e nelle campagne dei dintorni, per alloggiare e trovare cibo: qui siamo in una zona deserta». Gesù disse loro: «Voi stessi date loro da mangiare». Ma essi risposero: «Non abbiamo che cinque pani e due pesci, a meno che non andiamo noi a comprare viveri per tutta questa gente». C’erano infatti circa cinquemila uomini. Egli disse ai suoi discepoli: «Fateli sedere a gruppi di cinquanta circa». Fecero così e li fecero sedere tutti quanti. Egli prese i cinque pani e i due pesci, alzò gli occhi al cielo, recitò su di essi la benedizione, li spezzò e li dava ai discepoli perché li distribuissero alla folla. Tutti mangiarono a sazietà e furono portati via i pezzi loro avanzati: dodici ceste.

Rivelazione di Gesù a Maria Valtorta
Corrispondenza nell’“Evangelo come mi è stato rivelato” di Maria Valtorta Capitolo 273

Il luogo è sempre quello. Soltanto il sole non viene più da oriente, filtrando fra la boscaglia che costeggia il Giordano in questo luogo selvaggio presso lo sbocco delle acque del lago nel letto del fiume, ma viene, ugualmente obliquo, da ponente, mentre cala in una gloria di rosso, sciabolando il cielo coi suoi ultimi raggi. E, sotto questo fogliame denso, già la luce è molto temperata, tendente alle tinte pacate della sera. Gli uccelli, inebriati dal sole avuto per tutto il giorno, dal cibo abbondante carpito alle limitrofe campagne, si danno ad un baccanale di trilli e canti, sulle vette delle piante. La sera cade con le pompe finali del giorno. Gli apostoli lo fanno notare a Gesù, che sempre ammaestra a seconda degli argomenti a Lui esposti.

«Maestro, la sera si avvicina. Il luogo è deserto, lontano da case e paesi, ombroso e umido. Fra poco qui non sarà più possibile vederci, né camminare. La luna alza tardi. Licenzia il popolo affinché vada a Tarichea o ai villaggi del Giordano a comprarsi cibo e cercare alloggio».

«Non occorre che se ne vadano. Date loro da mangiare. Possono dormire qui come dormirono attendendomi».

«Non ci sono rimasti che cinque pani e due pesci, Maestro, lo sai».

«Portatemeli».

«Andrea, và a cercare il bambino. È lui di guardia alla borsa. Poco fa era col figlio dello scriba e due altri, intento a farsi coroncine di fiori giocando ai re».

Andrea va sollecito. E anche Giovanni e Filippo si danno a cercare Marziam fra la folla che sempre si sposta. Lo trovano quasi contemporaneamente, con la sua borsa dei viveri a tracolla, un grande tralcio di vitalba girato intorno alla testa e una cintura di vitalba dalla quale pende a far da spada un nocchio: l’elsa è il nocchio vero e proprio, la lama il gambo a canna dello stesso. Con lui sono altri sette, ugualmente bardati, e fanno corteggio al figlio dello scriba, un esilissimo fanciullo dall’occhio molto serio di chi ha tanto sofferto, che più infiorato degli altri fa da re.

«Vieni, Marziam. Il Maestro ti vuole!».

Marziam lascia in asso gli amici e va lesto senza neppure levarsi le sue… insegne floreali. Ma lo seguono anche gli altri e presto Gesù è circondato da una coroncina di fanciulli inghirlandati di fiori. Egli li carezza, mentre Filippo leva dalla borsa un fagotto con del pane, nel centro del quale sono avvolti due grossi pesci: due chili di pesce, poco più. Insufficienti anche ai diciassette, anzi diciotto con Mannaen, della comitiva di Gesù.

Portano questi cibi al Maestro.

«Va bene. Ora portatemi dei cesti. Diciassette, quanti voi siete. Marziam darà il cibo ai bambini…».

Gesù guarda fisso lo scriba, che gli è sempre stato vicino, e chiede: «Vuoi dare anche te il cibo agli affamati?».

«Mi piacerebbe. Ma ne sono privo io pure».

«Dai del mio. Te lo concedo».

«Ma… intendi sfamare un cinquemila uomini, oltre le donne e i bambini, con quei due pesci e quei cinque pani?».

«Senza dubbio. Non essere incredulo. Chi crede vedrà compiersi il miracolo».

«Oh! allora voglio proprio distribuire il cibo anche io!».

«Fatti dare allora una cesta tu pure».

Tornano gli apostoli con ceste e cestelli larghi e bassi, oppure fondi e stretti. E torna lo scriba con un paniere piuttosto piccolo. Si capisce che la sua fede o la sua incredulità gli hanno fatto scegliere quello come il massimo.

«Va bene. Mettete tutto qui davanti. E fate sedere le turbe con ordine, a linee regolari per quanto si può».

E, mentre ciò avviene, Gesù alza il pane con sopra i pesci, li offre, prega e benedice. Lo scriba non Lo abbandona un istante con l’occhio. Poi Gesù spezza i cinque pani in diciotto parti e spezza i due pesci in diciotto parti, e mette il pezzo di pesce -un pezzettino ben meschino- in ogni cesta, e fa a bocconi i diciotto pezzi di pane: ogni pezzo in molti bocconi. Molti relativamente: una ventina, non di più. Ogni pezzo spezzettato, in un cesto, col pesce.

«E ora prendete e date a sazietà. Andate. Vai, Marziam, a darlo ai tuoi compagni».

«Uh! come è peso!» dice Marziam alzando il suo cesto e andando subito dai suoi piccoli amici, camminando come chi porta un peso.

Gli apostoli, i discepoli, Mannaen, lo scriba, lo guardano andare, incerti… Poi prendono i cesti e, scuotendo il capo, dicono l’un coll’altro: «Il bambino scherza! Non pesano più di prima!». E lo scriba guarda anche dentro e vi mette la mano a frugare nel fondo, perché ormai non c’è più molta luce, lì nel folto dove Gesù è, mentre più là, nella radura, vi è ancora una buona luce.

Ma però, nonostante la constatazione, vanno verso la gente e iniziano a distribuire. E danno, danno, danno. E ogni tanto si volgono stupiti, sempre più lontani, verso Gesù, che a braccia conserte, addossato ad un albero, sorride finemente del loro stupore.

La distribuzione è lunga ed abbondante… e l’unico che non mostra stupore è Marziam, che ride felice di empire di pane e pesce il grembo di tanti bambini poverelli. È anche il primo a tornare da Gesù dicendo:

«Ho dato tanto, tanto, tanto!… perché io so cosa è la fame…» e alza il visetto non più macilento, che nel ricordo però impallidisce sbarrando gli occhi… Ma Gesù lo carezza e il sorriso torna luminoso su quel volto fanciullo che, fidente, si appoggia contro Gesù, suo Maestro e Protettore.

Pian piano tornano gli apostoli ed i discepoli, ammutoliti dallo stupore. Ultimo lo scriba che non dice nulla. Ma fa un atto che è più di un discorso. Si inginocchia e bacia l’orlo della veste di Gesù.

«Prendete la vostra parte e datemene un poco. Mangiamo il cibo di Dio».

Mangiano infatti pane e pesce, ognuno secondo il bisogno…

Intanto la gente sfamata si scambia le sue impressioni. Anche chi è intorno a Gesù osa parlare osservando Marziam che, finendo il suo pesce, scherza con altri fanciulli.

«Maestro» chiede lo scriba «perché il bambino ha sentito subito il peso e noi no? Io ho anche frugato dentro. Erano sempre quei pochi bocconi di pane e quell’unico di pesce. Ho cominciato a sentire il peso andando verso la folla. Ma, se avesse pesato per quanto ne ho dato, ci sarebbe voluto una coppia di muli a portarlo, non già il cesto ma un carro, pieno, stivato di cibo. In principio andavo leggero… poi mi sono messo a dare, dare, e per non essere ingiusto sono ripassato dai primi dando di nuovo, perché ai primi avevo dato poco. Eppure è bastato».

«Io pure ho sentito farsi pesante il cesto mentre mi avviavo, ed ho dato subito molto perché ho capito che avevi fatto miracolo» dice Giovanni.

«Io invece mi sono fermato e mi sono seduto per rovesciare in grembo il peso e vedere… E ho visto pani e pani. Allora sono andato» dice Mannaen.

«Io li ho anche contati, perché non volevo fare brutte figure. Erano cinquanta piccoli pani. Ho detto: “Li darò a cinquanta persone e poi tornerò indietro”. E ho contato. Ma arrivato a cinquanta il peso era uguale ancora. Ho guardato dentro. Erano ancora tanti. Sono andato avanti e ne ho dati a centinaia. Ma non diminuivano mai» dice Bartolomeo.

«Io, lo confesso, non credevo e ho preso in mano i bocconi di pane e quel briciolo di pesce, e li guardavo dicendo: “E a chi servono? Gesù ha voluto scherzare!…” e li guardavo, li guardavo stando nascosto dietro un albero, sperando e disperando di vederli crescere. Ma rimanevano sempre gli stessi. Stavo per tornare indietro quando è passato Matteo dicendo: “Hai visto come sono belli?”. “Cosa?” ho detto. “Ma i pani e i pesci!…”. “Sei matto? Io vedo sempre pezzi di pane”. “Và a distribuirli con fede e vedrai!”. Ho gettato dentro nel cestone quei pochi bocconi e sono andato con avversione… E poi… Perdonami, Gesù, perché sono un peccatore!» dice Tommaso.

«No. Sei uno spirito del mondo. Ragioni da mondo».

«Anche io, Signore, allora. Tanto che pensavo dare una moneta insieme al pane pensando: “Mangeranno altrove”» dice l’Iscariota.

«Speravo aiutarti a fare una figura migliore. Che sono io, dunque? Come Tommaso o più ancora?».

«Molto più di Tommaso tu sei “mondo”».

«Ma pure ho pensato di fare elemosina per essere Cielo! Erano denari miei privati…».

«Elemosina a te stesso, al tuo orgoglio. Ed elemosina a Dio. Quest’ultimo non ne ha bisogno, e l’elemosina al tuo orgoglio è colpa, non merito».

Giuda china il capo e tace.

«Io invece pensavo che quel boccone di pesce, che quei bocconi di pane li avrei dovuti sbriciolare per farli bastare. Ma non dubitavo che sarebbero stati sufficienti, né per numero né per nutrimento. Una goccia d’acqua data da Te può essere più nutriente di un banchetto» dice Simone Zelote.

«E voi che pensavate?» chiede Pietro ai cugini di Gesù.

«Noi ricordavamo Cana… e non dubitavamo» dice serio Giuda.

«E tu, Giacomo, fratello mio, questo solo pensavi?».

«No. Pensavo fosse un sacramento, come Tu hai detto a me… È così o sbaglio?».

Gesù sorride: «È e non è. Alla verità della potenza del nutrimento in una goccia d’acqua, detta da Simone, va unito il tuo pensiero per una figura lontana. Ma ancora non è un sacramento».

Lo scriba conserva una crosta tra le dita.

«Che ne fai?».

«Un… ricordo».

«Lo tengo anche io. La metterò al collo di Marziam in una piccola borsa» dice Pietro.

«Io la porterò alla madre nostra» dice Giovanni.

«E noi? Abbiamo mangiato tutto…» dicono mortificati gli altri.

«Alzatevi. Girate di nuovo coi cesti, raccogliete gli avanzi, separate fra la gente i più poveri e portatemeli qui insieme ai cesti, e poi andate tutti, voi discepoli miei, alle barche, e prendete il largo andando alla pianura di Genezaret. Io congederò la gente dopo aver beneficato i più poveri e poi vi raggiungerò».

Gli apostoli ubbidiscono… e tornano con dodici panieri colmi di avanzi e seguiti da una trentina di mendicanti o persone molto misere.

«Va bene. Andate pure».

Gli apostoli e quelli di Giovanni salutano Mannaen e se ne vanno con un poco di riluttanza a lasciare Gesù. Ma ubbidiscono. Mannaen attende a lasciare Gesù quando la folla, alle ultime luci del giorno, o si avvia ai villaggi, o si cerca un posto per dormire fra gli alti ed asciutti falaschi. Poi si accomiata. Prima di lui se ne è andato lo scriba, uno dei primi, anzi, perché, insieme al figlioletto, si è avviato in coda agli apostoli.

Partiti tutti, oppure caduti nel sonno, Gesù si alza, benedice i dormienti e a passo lento si porta verso il lago, verso la penisoletta di Tarichea, sopraelevata di qualche metro sul lago come fosse un frastaglio di colle spinto sul lago. E, raggiunto che ne ha le basi, senza entrare in città, ma costeggiandola, sale il monticello e si mette su uno scrimolo, in preghiera davanti all’azzurro e al candore della notte serena e lunare.

Estratto di “l’Evangelo come mi è stato rivelato” di Maria Valtorta

16 GIUGNO 2019 DMENICA XI DEL TEMPO ORDINARIO ANNO C Gv 16,12-15 LA SANTISSIMA TRINITA’

TESTO:-
Dal Vangelo secondo Giovanni. (Gv 16,12-15)
In quel tempo, disse Gesù ai suoi discepoli: «Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso.
Quando verrà lui, lo Spirito della verità, vi guiderà a tutta la verità, perché non parlerà da se stesso, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annuncerà le cose future.
Egli mi glorificherà, perché prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà. Tutto quello che il Padre possiede è mio; per questo ho detto che prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà». Parola del Signore.

RIFLESSIONI

Il giorno di Pentecoste Gesù comunica se stesso ai discepoli per mezzo dell’effusione dello Spirito Santo. La piena rivelazione di Dio come Padre, Figlio e Spirito Santo si ha nel mistero della Pasqua, quando Gesù dona la vita per amore dei suoi discepoli. Bisognava che questi sperimentassero innanzitutto il supremo dono dell’amore compiuto da Gesù per comprendere la realtà di Dio Amore che dona tutto se stesso. Egli, oltre a perdonare i peccati e a riconciliare l’uomo con sé, lo chiama ad una comunione piena di vita (“In quel giorno voi saprete che io sono nel Padre e voi in me ed io in voi”: Gv 14,20); gli rivela la ricchezza dei suoi doni e della speranza della gloria futura (Ef 1,17-20); li chiama ad una vita di santità e di donazione nell’amore al prossimo (“Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io vi ho amati”: Gv 15,12). Anch’essi sull’esempio del loro maestro sono chiamati a dare la vita per i fratelli (“Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici”: Gv 15,13). Per ora essi sono incapaci di accogliere e accettare tali realtà. Lo Spirito Santo farà entrare nel cuore degli apostoli l’amore di Cristo crocifisso e risuscitato per loro, li consacrerà a lui in una vita di santità e d’amore, li voterà alla salvezza delle anime. Non saranno più essi a vivere, ma Gesù in loro (cf. Gal 2,20). Ogni cristiano nel corso del suo cammino è chiamato ad arrendersi all’amore e allo Spirito di Cristo crocifisso e risorto. Oggi è il giorno della decisione.

 Rivelazione di Gesù a Maria Valtorta
Corrispondenza nell’“Evangelo come mi è stato rivelato” di Maria Valtorta. Capitolo 600

«Io vi do il comando di amarvi. E di perdonare. Avete capito? Se anche nel mondo è l’odio, in voi sia solo l’amore. Per tutti. Quanti traditori troverete sulla vostra via! Ma non li dovete odiare e rendere loro male per male. Altrimenti il Padre odierà voi.

Prima di voi fui odiato e tradito Io. Eppure, voi lo vedete, Io non odio.

Il mondo non può amare ciò che non è come esso. Perciò non vi amerà. Se foste suoi, vi amerebbe; ma non siete del mondo, avendovi Io presi da mezzo al mondo. E per questo siete odiati.

Vi ho detto: il servo non è da più del padrone. Se hanno perseguitato Me, perseguiteranno voi pure. Se avranno ascoltato Me, ascolteranno pure voi. Ma tutto faranno per causa del mio Nome, perché non conoscono, non vogliono conoscere Colui che mi ha mandato.

Se non fossi venuto e non avessi parlato, non sarebbero colpevoli. Ma ora il loro peccato è senza scusa. Hanno visto le mie opere, udito le mie parole, eppure mi hanno odiato, e con Me il Padre. Perché Io e il Padre siamo una sola Unità con l’Amore. Ma era scritto: “Mi odiasti senza ragione”. Però, quando sarà venuto il Consolatore, lo Spirito di verità che dal Padre procede, sarà da Lui resa testimonianza di Me, e voi pure mi testimonierete, perché dal principio foste con Me.

Questo vi dico perché, quando sarà l’ora, non rimaniate accasciati e scandalizzati. Sta per venire il tempo in cui vi cacceranno dalle sinagoghe e in cui chi vi ucciderà penserà di fare culto a Dio con ciò. Non hanno conosciuto né il Padre né Me. In ciò è la loro scusante. Non ve le ho dette così ampie prima di ora, queste cose, perché eravate come bambini pur mo’ nati. Ma ora la madre vi lascia. Io vado. Dovete assuefarvi ad altro cibo. Voglio lo conosciate.

Nessuno più mi chiede: “Dove vai?”. La tristezza vi fa muti. Eppure è bene anche per voi che Io me ne vada. Altrimenti non verrà il Consolatore. Io ve lo manderò. E quando sarà venuto, attraverso la sapienza e la parola, le opere e l’eroismo che infonderà in voi, convincerà il mondo del suo peccato deicida e di giustizia sulla mia santità.

E il mondo sarà nettamente diviso nei reprobi, nemici di Dio, e nei credenti. Questi saranno più o meno santi, a seconda del loro volere.

Ma il giudizio del principe del mondo e dei suoi servi sarà fatto. Di più non posso dirvi, perché ancora non potete intendere. Ma Egli, il divino Paraclito, vi darà la Verità intera, perché non parlerà di Se stesso. Ma dirà tutto quello che avrà udito dalla Mente di Dio e vi annunzierà il futuro. Prenderà ciò che da Me viene, ossia ciò che ancora è del Padre, e ve lo dirà.
Ancora un poco da vedersi. Poi non mi vedrete più. E poi ancora un poco, e poi mi vedrete.

Voi mormorate fra voi ed in cuor vostro. Udite una parabola. L’ultima del vostro Maestro.

Quando una donna ha concepito e giunge all’ora del parto, è in grande afflizione perché soffre e geme. Ma quando il piccolo figlio è dato alla luce ed ella lo stringe sul cuore, ogni pena cessa e la tristezza si muta in gioia, perché un uomo è venuto al mondo.

Così voi. Voi piangerete e il mondo riderà di voi. Ma poi la vostra tristezza si muterà in gioia. Una gioia che il mondo mai conoscerà.

Voi ora siete tristi. Ma, quando mi rivedrete, il vostro cuore diverrà pieno di un gaudio che nessuno avrà più potere di rapirvi. Una gioia così piena che vi offuscherà ogni bisogno di chiedere e per la mente e per il cuore e per la carne. Solo vi rallegrerete di rivedermi, dimenticando ogni altra cosa.

Ma proprio da allora potrete tutto chiedere in mio Nome, e vi sarà dato dal Padre perché abbiate sempre più gioia.

Domandate, domandate. E riceverete.

Viene l’ora in cui potrò parlarvi apertamente del Padre. Sarà perché sarete stati fedeli nella prova e tutto sarà superato. Perfetto quindi il vostro amore, perché vi avrà dato forza nella prova. E quanto a voi mancherà Io ve lo aggiungerò prendendolo dal mio immenso tesoro e dicendo: “Padre, lo vedi. Essi mi hanno amato credendo che Io venni da Te”. Sceso nel mondo, ora lo lascio e vado al Padre, e pregherò per voi».

«Oh! ora Tu ti spieghi. Ora sappiamo ciò che vuoi dire e che Tu sai tutto e rispondi senza che nessuno ti interroghi. Veramente Tu vieni da Dio!».

«Adesso credete? All’ultima ora? È tre anni che vi parlo!

Ma già in voi opera il Pane che è Dio e il Vino che è Sangue non venuto da uomo, e vi dà il primo brivido di deificazione.

Voi diverrete dèi se sarete perseveranti nel mio Amore e nel mio possesso.

Non come lo disse satana ad Adamo ed Eva, ma come Io ve lo dico. È il vero frutto dell’albero del Bene e della Vita. Il Male è vinto in chi se ne pasce, ed è morta la Morte. Chi ne mangia vivrà in eterno e diverrà “dio” nel Regno di Dio. Voi sarete dèi se permarrete in Me.

Eppure ecco… pur avendo in voi questo Pane e questo Sangue, poiché sta venendo l’ora in cui sarete dispersi, voi ve ne andrete per vostro conto e mi lascerete solo… Ma non sono solo. Ho il Padre con Me. Padre, Padre! Non mi abbandonare!

Tutto vi ho detto… Per darvi pace. La mia pace. Ancora sarete oppressi. Ma abbiate Fede. Io ho vinto il mondo».

Gesù si alza, apre le braccia in croce e dice con volto luminoso la sublime preghiera al Padre. Giovanni la riporta integralmente.

Gli apostoli lacrimano più o meno palesemente e rumorosamente.

Estratto di “l’Evangelo come mi è stato rivelato” di Maria Valtorta

9 GIUGNO 2019 DOMENICA DI PENTECOSTE ANNO C Gv 14,15-16.23-26

SPIRITO S.
Gv 14,15-16.23-26

TESTO:-
Dal Vangelo secondo Giovanni. (Gv 14,15-16.23-26)
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Se mi amate, osserverete i miei Comandamenti; e Io pregherò il Padre ed Egli vi darà un altro Paràclito perché rimanga con voi per sempre. Se uno mi ama, osserverà la mia Parola e il Padre mio lo amerà e Noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui. Chi non mi ama, non osserva le mie parole; e la parola che voi ascoltate non è mia, ma del Padre che mi ha mandato. Vi ho detto queste cose mentre sono ancora presso di voi. Ma il Paràclito, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio Nome, Lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che Io vi ho detto». Parola del Signore.

RIFLESSIONI

Lo Spirito Santo che ha agito potentemente sugli Apostoli nel Cenacolo, trasfigurandoli nel loro essere, non riesce ad operare meraviglie di Grazie nel mondo perché i cuori sono già troppo intasati di tanti idoli e vizi che si oppongono a Dio.
Sono incalcolabili i comportamenti avversi al Vangelo, c’è chi li commette volontariamente, chi per distrazione, altri per debolezza. Lo Spirito Santo non opera la sua azione santificante in tutti allo stesso modo, proprio per l’indisposizione.
La verità del Vangelo è molto evidente: lo Spirito Santo opera dove trova accoglienza, cuori puri, una Fede vissuta, l’adorazione di Lui.
Altrimenti non opera, non può agire né essere presente in coloro che calpestano i Comandamenti e non si interessano della Parola di Dio. Agisce poco nei credenti che curano poco la loro vita spirituale, nonostante le preghiere e la Messa festiva.
Questa è la verità che dobbiamo sapere, altrimenti si vive illusoriamente una Fede vuota, inesistente, all’insaputa di Dio…
Però, lo Spirito Santo continua la sua azione e cerca di illuminare i credenti, anche quelli che sbagliano e non curano la loro Fede ma senza malizia. L’azione dello Spirito Santo però non è un’azione permanente, in quanto, quando si trascura intenzionalmente Dio e si rifiuta il suo aiuto, sarà molto difficile ricominciare un cammino di Fede.
Oggi Gesù ci dice che lo Spirito Santo opera, ispira, guida, solamente i credenti che osservano la sua Parola. Dove non si osserva il Vangelo o viene manipolato per interessi umani e settari, è indubitabilmente assente l’ispirazione divina.
Questo passaggio è delicato e và valutato seriamente.
Per lasciare operare lo Spirito Santo, innanzitutto occorre la retta intenzione, ma non solo, bisogna fare molta attenzione a non seguire le teorie moderniste dei teologi che inneggiano ad una rivoluzione nella
Chiesa, quando Gesù ha definitivamente detto che la sua Parola non cambierà mai. “Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno” (Mt 24,35).
È semplice capire chi ama veramente Gesù da chi invece vuole utilizzare Dio per i propri scopi. Tutti i cristiani dovrebbero amare Gesù, e il vero amore esiste se si obbedisce alla sua Parola, altrimenti è tutto inutile.
C’è chi si illude di amare Gesù mentre vive in opposizione a Lui, c’è chi tradisce intenzionalmente Gesù e non vuole mostrarlo a nessuno, ricorrendo magari a strategie di impegno pastorale o parrocchiale o altro ancora.
Ma Gesù vede tutto, conosce perfettamente i cuoi di tutti noi!
Non si può costruire la casa spirituale sulla sabbia, è un fervore che dura poco e poi svanisce.
Oppure dura anche trent’anni e poi la bramosia del potere o del denaro fa perdere l’obiettivo iniziale. Esempi ne esistono a milioni, o miliardi se si valutano i duemila anni di Cristianesimo. Non c’è la presenza dello Spirito Santo quando si dubita della Chiesa o si vuole formare una fede personale.
Non dobbiamo credere con leggerezza a tutto quello che si ascolta, ogni affermazione deve ponderarsi e se si tratta della nostra spiritualità dobbiamo ricorrere al Catechismo della Chiesa del 1992. Il confronto è indispensabile per tutelare la nostra Fede e camminare nella Verità rivelata da Gesù Cristo.
La discesa dello Spirito Santo come una nuova Pentecoste, dovrebbe avvenire in ogni famiglia, e se non è possibile per il contrasto di qualcuno, bisogna desiderare e chiedere con insistenza la sua discesa su tutti i familiari.
Chiedete ogni giorno allo Spirito Santo di visitare le vostre famiglie, adoratelo ed invocate la sua presenza nelle vostre case.
Solo la presenza dello Spirito Santo permette al credente di imitare Gesù, di agire e amare come Lui, di perdonare come Lui.
L’azione dello Spirito Santo passa sempre attraverso la sua amatissima Sposa, infatti nel Cenacolo prima rimase sospeso sopra la testa della Madonna per poi posizionarsi sopra gli Apostoli. Sulla Vergine Maria discese per la seconda volta la potenza dello Spirito Santo, la prima era avvenuta nell’Annunciazione, quando Lui aveva fecondato la futura Madre di Dio.
Chiedere i doni dello Spirito Santo è un dovere per un cristiano, bisogna chiederli per imitare umilmente il Signore e non per gloriarsi, come fanno quelli che in realtà non hanno questi doni. Chi li ha, non si vanta né desidera manifestarli per non svelare i segreti del Re.
“Vieni Spirito Santo, vieni per intercessione del Cuore Immacolato di Maria, tua Sposa amatissima”.

VIENI SPIRITO SANTO

Rivelazione di Gesù a Maria Valtorta

Corrispondenza nell’“Evangelo come mi è stato rivelato” di Maria Valtorta Capitolo 600 (27 aprile 1947)

Non ci sono voci e rumori nella casa del Cenacolo. Non c’è presenza di discepoli, almeno io non sento nulla che mi autorizzi a dire che in altri ambienti della casa siano raccolte delle persone. Ci sono soltanto la presenza e le voci dei Dodici e di Maria Santissima, raccolti nella sala della Cena.

Sembra più ampia la stanza, perché le suppellettili, messe diversamente, lasciano libero tutto il centro della stanza e anche due delle pareti. Contro la terza è spinto il tavolone usato per la Cena, e fra esso e il muro, e anche ai due dei lati più stretti del tavolo, sono messi i sedili-lettucci usati per la Cena e lo sgabello usato da Gesù per la lavanda dei piedi.

Però non sono, questi lettucci, messi verticalmente alla tavola, come per la Cena, ma parallelamente, di modo che gli Apostoli possono stare seduti senza occuparli tutti, pur lasciando un sedile, l’unico messo verticale rispetto alla tavola, tutto per la Vergine benedetta, che è al centro della tavola, al posto che nella Cena occupava Gesù.

La tavola è nuda di tovaglie e stoviglie, nude le credenze, denudati i muri dei loro ornamenti. Solo il lampadario arde al centro, ma con la sola fiamma centrale accesa; l’altro giro di fiammelle che fanno da corolla al bizzarro lampadario sono spente.

Le finestre sono chiuse e sbarrate dalla pesante sbarra di ferro che le traversa. Ma un raggio di sole si infiltra baldanzoso da un forellino e scende come un ago lungo e sottile sino al pavimento, dove mette un occhiolino di sole.

La Vergine, seduta sola sul suo sedile, ha ai lati, sui lettucci, Pietro e Giovanni: alla destra Pietro, alla sinistra Giovanni. Mattia, il novello Apostolo, è tra Giacomo d’Alfeo e il Taddeo. Davanti a Lei, la Madonna ha un cofano largo e basso di legno scuro, chiuso. Maria è vestita di azzurro cupo. Ha sui capelli il velo bianco e sopra questo il lembo del suo manto. Gli altri sono tutti a capo scoperto.

Maria legge lentamente a voce alta. Ma, per la poca luce che giunge sin là, io credo che più che leggere Ella ripeta a memoria le parole scritte sul rotolo che Ella tiene spiegato. Gli altri La seguono in silenzio, meditando. Ogni tanto rispondono se ne è il caso.

Maria ha il viso trasfigurato da un sorriso estatico. Chissà cosa vede di così capace da accenderle gli occhi, come due stelle chiare, e da arrossarle le guance d’avorio, come se su Lei si riflettesse una fiamma rosata. È veramente la mistica Rosa…

Gli apostoli si sporgono in avanti, stando un poco per sbieco, per vederla in viso mentre così dolcemente sorride e legge, e pare la sua voce un canto d’Angelo. E Pietro se ne commuove tanto che due lucciconi gli cascano dagli occhi e per un sentiero di rughe, incise ai lati del suo naso, scendono a perdersi nel cespuglio della barba brizzolata. Ma Giovanni riflette il sorriso verginale e si accende come Lei di amore, mentre segue col suo sguardo ciò che la Vergine legge sul rotolo e, quando le porge un nuovo rotolo, La guarda e sorride.

La lettura è finita. Cessa la voce di Maria. Cessa il fruscio delle pergamene svolte e avvolte. Maria si raccoglie in orazione segreta, congiungendo le mani sul petto e appoggiando il capo contro il cofano. Gli Apostoli La imitano…

Un rombo fortissimo e armonico, che ha del vento e dell’arpa, che ha del canto umano e della voce di un organo perfetto, risuona improvviso nel silenzio del mattino. Si avvicina, sempre più armonico e più forte, ed empie delle sue vibrazioni la Terra, le propaga e imprime alla casa, alle pareti, alle suppellettili.

La fiamma del lampadario, sino allora immobile nella pace della stanza chiusa, palpita come se un vento l’investisse, e le catenelle della lumiera tintinnano vibrando sotto l’onda di suono soprannaturale che le investe.

Gli Apostoli alzano il capo sbigottiti e, come quel fragore bellissimo, in cui sono tutte le note più belle che Dio abbia dato ai Cieli e alla Terra, si fa sempre più vicino, alcuni si alzano pronti a fuggire, altri si rannicchiano al suolo coprendosi il capo con le mani e il manto, o battendosi il petto domandando perdono al Signore, altri ancora si stringono a Maria, troppo spaventati per conservare quel ritegno verso la Purissima che hanno sempre.

Solo Giovanni non si spaventa, perché vede la pace luminosa di gioia che si accentua sul volto di Maria, che alza il capo sorridendo ad una cosa nota a Lei sola e che poi scivola in ginocchio aprendo le braccia, e le due ali azzurre del suo manto così aperto si stendono su Pietro e Giovanni, che l’hanno imitata inginocchiandosi.

Ma tutto ciò, che io ho tenuto minuti a descrivere, si è fatto in men di un minuto.

E poi ecco la Luce, il Fuoco, lo Spirito Santo, entrare, con un ultimo fragore melodico, in forma di globo lucentissimo, ardentissimo, nella stanza chiusa, senza che porta o finestra sia mossa, e rimanere librato per un attimo sul capo di Maria, a un tre palmi dalla sua testa, che ora è scoperta, perché Maria, vedendo il Fuoco Paraclito, ha alzato le braccia come per invocarlo e gettato indietro il capo con un grido di gioia, con un sorriso d’amore senza confini. E dopo quell’attimo in cui tutto il Fuoco dello Spirito Santo, tutto l’Amore è raccolto sulla sua Sposa, il Globo Santissimo si scinde in tredici fiamme canore e lucentissime, di una luce che nessun paragone terreno può descrivere, e scende a baciare la fronte di ogni Apostolo.

Ma la fiamma che scende su Maria non è una lingua di fiamma dritta sulla fronte che bacia, ma è una corona che abbraccia e cinge come un serto il capo verginale, incoronando Regina la Figlia, la Madre, la Sposa di Dio, l’incorruttibile Vergine, la Tutta Bella, l’eterna Amata e l’eterna Fanciulla che nulla cosa può avvilire e in nulla, Colei che il dolore aveva invecchiata ma che è risorta nella gioia della Risurrezione, avendo in comune col Figlio un accentuarsi di bellezza e di freschezza di carni, di sguardi, di vitalità… avendone già un anticipo della bellezza del suo glorioso Corpo assunto al Cielo ad essere il fiore del Paradiso.

Lo Spirito Santo rutila le sue fiamme intorno al capo dell’Amata. Quali parole Le dirà? Mistero! Il viso benedetto è trasfigurato di gioia soprannaturale e ride del sorriso dei Serafini, mentre delle lacrime beate sembrano diamanti giù per le gote della Benedetta, percosse come sono dalla Luce dello Spirito Santo.

Il Fuoco rimane così per qualche tempo… E poi si dilegua… Della sua discesa resta a ricordo una fragranza che nessun terrestre fiore può sprigionare… Il profumo del Paradiso…

Gli Apostoli tornano in loro stessi… Maria resta nella sua estasi. Soltanto si raccoglie le braccia sul petto, chiude gli occhi, abbassa il capo… Continua il suo colloquio con Dio… insensibile a tutto… Nessuno osa turbarla.

Giovanni, accennandola, dice: «È l’Altare. E sulla sua gloria si è posata la Gloria del Signore…».

«Sì. Non turbiamo la sua gioia. Ma andiamo a predicare il Signore e siano manifeste le sue opere e le sue parole fra i popoli», dice Pietro con soprannaturale impulsività.

«Andiamo! Andiamo! Lo Spirito di Dio arde in me», dice Giacomo d’Alfeo.

«E ci sprona ad agire. Tutti. Andiamo ad evangelizzare le genti».

Escono, come fossero spinti o attratti da un vento o da una forza gagliarda…

Estratto di “l’Evangelo come mi è stato rivelato” di Maria Valtorta

2 Giugno 2019 ASCENSIONE DEL SIGNORE ANNO C Lc 24,46-53

TESTO:-
Dal Vangelo secondo Luca. (Lc 24,46-53)
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Così sta scritto: il Cristo patirà e risorgerà dai morti il terzo giorno, e nel suo Nome saranno predicati a tutti i popoli la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme. Di questo voi siete testimoni. Ed ecco, Io mando su di voi Colui che il Padre mio ha promesso; ma voi restate in città, finché non siate rivestiti di potenza dall’alto». Poi li condusse fuori verso Betània e, alzate le mani, li benedisse. Mentre li benediceva, si staccò da loro e veniva portato su, in Cielo. Ed essi si prostrarono davanti a Lui; poi tornarono a Gerusalemme con grande gioia e stavano sempre nel tempio lodando Dio. Parola del Signore.

RIFLESSIONI

Questa solennità come prima considerazione, ci dice che tutti noi siamo chiamati alla salvezza eterna e quindi a vivere nella beatitudine insieme a Dio. È una riflessione che lascia evidentemente indifferenti molti cristiani, considerando le opere scandalose che compiono pubblicamente.
Non si chiedono -e d’altronde non ne sono in grado-, come si potrà ottenere la vita eterna.
La mancata considerazione lascia supporre che per essi la vita è una sola, termina qui e non esiste forse neanche Dio. Anche se non lo ammettono in modo esplicito, stanno percorrendo una via sbagliata e quando arrivano ad un determinato punto, sarà molto difficile tornare indietro.
Questa solennità ci dà un messaggio chiaro: Gesù ci attende in Cielo!
Non adesso ma quando sarà l’ora. I buoni, quelli che hanno sofferto ingiustizie e sofferenze senza ribellarsi contro Dio, i poveri virtuosi, gli ammalati mansueti, i veri seguaci del Cristo saranno premiati con la gloria eterna.
Sembrano parole senza suoni. Invece se ci fate caso e riflettete, queste parole ci arrecano serenità, ci trasmettono la certezza che non stiamo faticando invano e che ognuno riceverà quello che avrà seminato qui.
È consolante avere la certezza che l’ingiustizia di questo mondo sarà sconfitta perché la vera Giustizia la esercita Dio nei confronti di ognuno. Non intesa solo come punizione che si attirano i cattivi, ma come equità. Il giudizio di Dio pesa i buoni e i cattivi, elargisce premi ai meritevoli e toglie agli indegni anche quel poco che hanno.
In questa vita l’ingiustizia non trionfa veramente, anche se per un breve periodo o un tempo lungo schiaccia i buoni e li affligge con cattiverie inenarrabili. Ma l’ingiustizia non agisce da sola, è manovrata da personaggi che con Dio non hanno nulla da dividere.
L’ingiustizia è prepotenza delinquenziale, angheria intrisa di vendetta, iniquità trasmessa dal padre dei disperati e dei falliti!
I buoni in questa vita sono presi di mira da quanti sono animati da spiriti cattivi, sono quelle persone che sbagliano anche per impulsività e non hanno un viso ad immagine di Dio, anche se vengono da Dio. “Facciamo l’uomo a nostra immagine, a nostra somiglianza, e domini sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo, sul bestiame, su tutte le bestie selvatiche e su tutti i rettili che strisciano sulla terra” (Gen 1,26).
L’ingiustizia è l’esternazione del marcio presente nell’uomo cattivo. “Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che rassomigliate a sepolcri imbiancati: essi all’esterno son belli a vedersi, ma dentro sono pieni di ossa di morti e di ogni putridume”.
Parole che Gesù ripete ai suoi nemici e non ai cristiani che si sforzano di seguirlo, anche se sono deboli nello spirito e fragili nella pratica delle virtù. Ma sono cristiani che non operano nell’ingiustizia e non fanno del male al loro prossimo. Esternano con semplicità quanto hanno interiormente e Gesù li ama perché sono sinceri.
Essi praticano le virtù e combattono il male e la cattiveria perché hanno Fede in Gesù, nelle sue parole, nella sua Persona.
La vita di Gesù sulla terra non finisce con la sua morte in croce, ma con l’Ascensione al Cielo. È l’ultimo mistero della vita terrena del Signore. Era conveniente che coloro che avevano visto morire Cristo sulla croce tra insulti, offese e scherni fossero testimoni della sua esaltazione suprema.
Noi però non abbiamo bisogno della testimonianza dei presenti quando Gesù salì al Cielo, già le sue parole profetiche ci bastano.
L’Ascensione rafforza e ravviva la nostra speranza di giungere in Cielo e ci invita ad esultare, come dice il prefazio della Messa, e a cercare le cose di lassù. La nostra fiducia è davvero grande, perché Gesù stesso è andato a prepararci una dimora eterna. Il Signore si trova in Cielo con il suo Corpo glorificato, con i segni del Sacrificio redentore, della Passione, che invocano la salvezza per tutti noi.
La speranza del Cielo riempirà di gioia il cammino quotidiano, dà una motivazione soprannaturale alla nostra esistenza, mentre i non credenti e gli indifferenti, anche se apparentemente si atteggiano come persone felici, vivono in realtà un dramma terribile che non li abbandona mai: hanno la convinzione che tutto termina in questa terra e questo infonde tristezza e allo stesso tempo frenesia per dimenticare…
Noi credenti abbiamo una visione diversa e rassicurante della vita, siamo sicuri che Gesù è vivo in Cielo e nei Tabernacoli, dove ci attende.
Con l’Ascensione termina la missione terrena di Cristo e comincia quella dei discepoli, la nostra.
Oggi, nella preghiera, ascoltiamo le parole con le quali il Signore intercede per noi presso il Padre: “Non chiedo che Tu li tolga dal mondo”, quindi dal nostro ambiente, dal lavoro, dalla famiglia, “ma che li custodisca dal maligno”. Gesù non si dimentica di nessuno dei suoi seguaci, è sempre attento alle preghiere e alle opere dei credenti.
Gesù vuole che ciascuno, nel suo ambiente, continui il compito di santificare il mondo, per migliorarlo e metterlo ai suoi piedi: le anime, le istituzioni, le famiglie, la vita pubblica. Perché solo così è possibile valorizzare e rispettare la dignità umana nel mondo e conviverci in pace, nella vera pace, strettamente legata all’unione con Gesù.

https://blog.libero.it/wp/ilvangelo/2019/06/01/2-giugno-2019-ascensione-del-signore-anno-c-lc-2446-53/
LA SPERANZA

Rivelazione di Gesù a Maria Valtorta
Corrispondenza nell’“Evangelo come mi è stato rivelato” di Maria Valtorta. Capitolo 638

«Voi lo sapete che il mondo non sa amare. Ma voi d’ora in poi amate il mondo di amor soprannaturale, per insegnargli ad amare. E se vi diranno, vedendovi perseguitati: “Così vi ama Dio? Facendovi soffrire, dandovi dolore? Allora non merita conto esser di Dio”, rispondete: “Il dolore non viene da Dio. Ma Dio lo permette, e noi ne sappiamo la ragione e ci gloriamo di avere la parte che ebbe Gesù Salvatore, Figlio di Dio”.

Rispondete: “Noi ci gloriamo di esser confitti alla croce e di continuare la Passione del nostro Gesù”. Rispondete con le parole della Sapienza: “La morte e il dolore sono entrati nel mondo per invidia del demonio, ma Dio non è autore della morte e del dolore e non gode del dolore dei viventi. Tutte le cose di Lui sono vita e tutte sono salutari”.

Rispondete: “Al presente noi sembriamo perseguitati e vinti, ma nel giorno di Dio, cambiate le sorti, noi giusti, perseguitati sulla Terra, staremo gloriosi davanti a coloro che ci vessarono e disprezzarono”.

Però anche dite loro: “Venite a noi! Venite alla Vita e alla Pace. Il nostro Signore non vuole la vostra rovina, ma la salute vostra. Per questo ha dato il suo Figlio diletto, acciò voi tutti foste salvati”.

E rallegratevi di partecipare ai patimenti miei per poter poi essere con Me nella gloria. “Io sarò la vostra ricompensa oltremodo grande”, promette in Abramo il Signore a tutti i suoi servi fedeli.

Voi sapete come si conquista il Regno dei Cieli: con la forza, e vi si giunge attraverso a molte tribolazioni. Ma colui che persevera come Io ho perseverato sarà dove Io sono.

Io ve l’ho detto quale è la via e la porta che conducono nel Regno dei Cieli, e Io per primo ho camminato per quella e sono tornato al Padre per quella. Se ve ne fosse un’altra ve l’avrei insegnata, perché ho pietà della vostra debolezza d’uomini. Ma non ve ne è un’altra…

Indicandovela come unica via e unica porta, anche vi dico, vi ripeto quale è la medicina che dà forza per percorrerla ed entrare. È l’amore. Sempre l’amore. Tutto diviene possibile quando in noi è l’amore. E tutto l’amore vi darà l’Amore che vi ama, se voi chiederete in Nome mio tanto Amore da divenire atleti nella santità.

Ora diamoci il bacio d’addio, o amici miei dilettissimi».

Si alza per abbracciarli. Tutti Lo imitano. Ma, mentre Gesù ha un sorriso pacifico, di una bellezza veramente divina, essi piangono, tutti turbati, e Giovanni, abbandonandosi sul petto di Gesù, scuotendosi tutto nei singhiozzi che gli rompono il petto tanto sono laceranti, chiede, per tutti, intuendo il desiderio di tutti: «Dacci almeno il tuo Pane, che ci fortifichi in quest’ora!».

«Così sia! », gli risponde Gesù. E preso un pane lo spezza dopo averlo offerto e benedetto, ripetendo le parole rituali. E lo stesso fa col vino, ripetendo poi: «Fate questo in memoria di Me», aggiungendo: «che vi ho lasciato questo pegno del mio Amore per essere ancora e sempre con voi sinché voi sarete con Me in Cielo».

Li benedice e dice: «Ed ora andiamo».

Escono dalla stanza, dalla casa…

Giona, Maria e Marco sono lì fuori, e si inginocchiano adorando Gesù.

«La pace resti con voi. E vi compensi il Signore di quanto mi avete dato», dice Gesù benedicendoli nel passare.

Marco si alza dicendo: «Signore, gli uliveti lungo la via di Betania sono pieni di discepoli che ti attendono».

«Và a dire loro che si dirigano al campo dei Galilei».

Marco sfreccia via con tutta la velocità delle sue giovani gambe.

«Sono venuti tutti, allora», dicono gli apostoli fra loro.

Più là, seduta fra Marziam e Maria Cleofe, è la Madre del Signore. E si alza vedendolo venire, adorandolo con tutto il palpito del suo Cuore di Madre e di fedele.

«Vieni, Madre, anche tu, Maria…», invita Gesù vedendole ferme, inchiodate dalla sua maestà che sfolgora come nel mattino della Risurrezione. Ma Gesù non vuole opprimere con questa sua maestà, e domanda, affabilmente, a Maria d’Alfeo: «Sei tu sola?».

«Le altre… le altre sono avanti… Coi pastori e… con Lazzaro e tutta la sua famiglia… Ma ci hanno lasciate qui noi, perché… Oh! Gesù! Gesù! Gesù!… Come farò a non vederti più, Gesù benedetto, Dio mio, io che ti ho amato prima ancor che fossi nato, io che ho tanto pianto per Te quando non sapevo dove eri dopo la strage… io che ho avuto il mio sole nel tuo sorriso da quando sei tornato, e tutto, tutto il mio bene?…

Quanto bene! Quanto bene mi hai dato!… Ora sì che divento veramente povera, vedova, sola!… Finché c’eri Tu, c’era tutto!… Credevo di aver conosciuto tutto il dolore quella sera… Ma il dolore stesso, tutto quel dolore di quel giorno mi aveva inebetita e… sì, era meno forte di ora… E poi… c’era che risorgevi. Mi pareva di non crederlo, ma mi accorgo adesso che lo credevo, perché non sentivo questo che sento ora…», piange e ansima, tanto il pianto la soffoca.

«Maria buona, ti affliggi proprio come un bambino che crede che la madre non lo ami e l’abbia abbandonato, perché è andata in città a comperargli doni che lo faranno felice, e che presto sarà a lui di ritorno per coprirlo di carezze e di regali. E non faccio così Io con te? Non vado per prepararti la gioia? Non vado per tornare e dirti: “Vieni, parente e discepola diletta, madre dei miei diletti discepoli”?

Non ti lascio il mio amore? Te lo dono il mio amore, Maria! Tu lo sai se ti amo! Non piangere così, ma giubila, perché non mi vedrai più vilipeso e affaticato, non più inseguito e ricco solo dell’amore di pochi. E col mio Amore ti lascio mia Madre. Giovanni le sarà figlio, ma tu siile buona sorella come sempre.

Vedi? Ella non piange, la Madre mia. Ella sa che, se la nostalgia di Me sarà la lima che consumerà il suo Cuore, l’attesa sarà sempre breve rispetto alla grande gioia di una eternità di unione, e sa anche che non sarà questa separazione nostra così assoluta da farle dire: “Non ho più Figlio”.

Quello era il grido di dolore del giorno del dolore. Ora nel suo Cuore canta la speranza: “Io so che mio Figlio sale al Padre, ma non mi lascerà senza i suoi spirituali amori”. Così credi tu, e tutti… Ecco gli altri e le altre. Ecco i miei pastori».

I volti di Lazzaro e delle sorelle framezzo a tutti i servi di Betania, il volto di Giovanna simile a rosa sotto un velo di pioggia, e quello di Elisa e di Niche, già segnati dall’età ‑e ora le rughe si approfondiscono per la pena, sempre pena per la creatura anche se l’anima giubila per il trionfo del Signore‑ e quello di Anastasica, e i volti liliali delle prime vergini, e l’ascetico volto di Isacco, e quello ispirato di Mattia, e il volto virile di Mannaen, e quelli austeri di Giuseppe e Nicodemo… Volti, volti, volti…

Gesù chiama a Sé i pastori, Lazzaro, Giuseppe, Nicodemo, Mannaen, Massimino e gli altri dei settantadue discepoli. Ma tiene vicino specialmente i pastori dicendo loro:

«Qui. Voi vicini al Signore che era venuto dal Cielo, curvi sul suo annichilimento, voi vicini al Signore che al Cielo ritorna, con gli spiriti gioenti della sua glorificazione. Avete meritato questo posto, perché avete saputo credere contro ogni circostanza in sfavore e avete saputo soffrire per la vostra Fede. Io vi ringrazio del vostro amore fedele.

Tutti vi ringrazio. Tu, Lazzaro amico. Tu Giuseppe e tu Nicodemo, pietosi al Cristo quando esserlo poteva essere grande pericolo.

Tu Mannaen, che hai saputo disprezzare i sozzi favori di un immondo per camminare nella mia via. Tu, Stefano, fiorita corona di giustizia, che hai lasciato l’imperfetto per il perfetto e sarai coronato di un serto che ancor non conosci ma che ti annunceranno gli Angeli. Tu Giovanni, per breve tempo fratello al seno purissimo e venuto alla Luce più che alla vista.

Tu Nicolai, che proselite hai saputo consolarmi del dolore dei figli di questa nazione. E voi discepole buone e forti, nella vostra dolcezza, più di Giuditta.

E tu Marziam, mio fanciullo, e d’ora in poi prendi il nome di Marziale, a ricordo del fanciullo romano ucciso per via e deposto al cancello di Lazzaro col cartiglio di sfida: “E ora dì al Galileo che ti resusciti, se è il Cristo e se è risorto”, ultimo degli innocenti che in Palestina persero la vita per servire Me anche incoscientemente, e primo degli innocenti di ogni nazione che, venuti al Cristo, saranno per questo odiati e spenti anzitempo, come bocci di fiori strappati allo stelo prima che s’aprano in fiore.

E questo nome, o Marziale, ti indichi il tuo destino futuro: sii apostolo in barbare terre e conquistale al tuo Signore come il mio Amore conquistò il fanciullo romano al Cielo.

Tutti, tutti benedetti da Me in questo addio, invocandovi dal Padre la ricompensa di coloro che hanno consolato il doloroso cammino del Figlio dell’Uomo.

Benedetta l’Umanità nella sua porzione eletta che è nei giudei come nei gentili, e che si è manifestata nell’amore che ebbe per Me.

Benedetta la Terra con le sue erbe e i suoi fiori, i suoi frutti che mi hanno dato diletto e ristoro tante volte.

Benedetta la Terra con le sue acque e i suoi tepori, per gli uccelli e gli animali che molte volte superarono l’uomo nel dare conforto al Figlio dell’Uomo.

Benedetto tu, sole, e tu mare, e voi monti, colline, pianure. Benedette voi, stelle che mi siete state compagne nella notturna preghiera e nel dolore.

E tu, luna, che mi hai fatto lume all’andare nel mio pellegrinaggio di Evangelizzatore.

Tutte, tutte benedette, voi, creature, opere del Padre mio, mie compagne in quest’ora mortale, amiche a Colui che aveva lasciato il Cielo per togliere alla tribolata Umanità i triboli della Colpa che separa da Dio.

E benedetti anche voi, strumenti innocenti della mia tortura: spine, metalli, legno, canape ritorte, perché mi avete aiutato a compiere la Volontà del Padre mio!».

Che voce tonante ha Gesù!

Si spande nell’aria tepida e cheta come voce di un bronzo percosso, si propaga in onde sul mare di volti che Lo guardano da ogni direzione.

Io dico che sono delle centinaia di persone quelle che circondano Gesù che ascende, coi più diletti, verso la cima dell’Uliveto. Ma Gesù, giunto vicino al campo dei Galilei, vuoto di tende in questo periodo fra l’una a l’altra festa, ordina ai discepoli:

«Fate fermare la gente dove è, e poi seguitemi».

Sale ancora, sino alla cima più alta del monte, quella che è già più prossima a Betania, che domina dall’alto, che non a Gerusalemme. Stretti a Lui la Madre, gli apostoli, Lazzaro, i pastori e Marziam. Più in là, a semicerchio a tenere indietro la folla dei fedeli, gli altri discepoli.

Gesù è in piedi su una larga pietra un poco sporgente, biancheggiante fra l’erba verde di una radura. Il sole Lo investe facendo biancheggiare come neve la sua veste e rilucere come oro i suoi capelli. Gli occhi sfavillano di una luce divina.

Apre le braccia in un gesto di abbraccio. Pare voglia stringersi al seno tutte le moltitudini della Terra che il suo Spirito vede rappresentate in quella turba.

La sua indimenticabile, inimitabile voce dà l’ultimo comando:

«Andate! Andate in mio Nome ad evangelizzare le genti sino agli estremi confini della Terra. Dio sia con voi. Il suo Amore vi conforti, la sua luce vi guidi, la sua pace dimori in voi sino alla vita eterna».

Si trasfigura in bellezza. Bello! Bello come e più che sul Tabor.

Cadono tutti in ginocchio adorando. Egli, mentre già si solleva dalla pietra su cui posa, cerca ancora una volta il Volto di sua Madre, e il suo sorriso raggiunge una potenza che nessuno potrà mai rendere… È il suo ultimo addio alla Madre.

Sale, sale… Il sole, ancor più libero di baciarlo, ora che nessuna fronda anche lieve intercetta il cammino ai suoi raggi, colpisce dei suoi fulgori il Dio‑Uomo che ascende col suo Corpo Santissimo al Cielo, e ne svela le Piaghe gloriose che splendono come rubini vivi.

Il resto è un perlaceo ridere di luce. È veramente la Luce che si manifesta per ciò che è, in quest’ultimo istante come nella notte natalizia.

Sfavilla il Creato della luce del Cristo che ascende. Luce che supera quella del sole. Luce sovrumana e beatissima. Luce che scende dal Cielo incontro alla Luce che sale…

E Gesù Cristo, il Verbo di Dio, scompare alla vista degli uomini in questo oceano di splendori…

In terra due unici rumori nel silenzio profondo della folla estatica: il grido di Maria quando Egli scompare: «Gesù!», e il pianto di Isacco.

Gli altri sono ammutoliti di religioso stupore, e restano là, come in attesa, finché due luci angeliche candidissime, in forma mortale, appaiono dicendo le parole riportate nel capo primo degli Atti Apostolici.

Estratto di “l’Evangelo come mi è stato rivelato” di Maria Valtorta