“Al Quiot i a ‘na Frema qu’a pioura!” (“Al Chiotto c’è una Signora che piange!”) è questo l’eco che risuona nel paese di Valmala il giorno del 6 agosto 1834. La notizia giunge da un gruppo di pastorelli, che quella mattina erano giunti a pascolare le vacche su un pianoro comunale chiamato Chiotto, poco sopra il paese di Valmala.
Si tratterebbe di una figura femminile sui vent’anni, di altezza normale, dalla veste color rosso cupo, sormontata da un velo azzurro e con una corona sul capo; ha un atteggiamento addolorato, con le braccia aperte verso i pastori. I pastorelli sono quattro ragazzine, tutte di nome Maria, ed un ragazzino, fratello di una di queste: Maria Chiotti di Chiotmartin, 12 anni; Maria Boschero di Meira d’l Mes, 11 anni; Maria Pittavino di Palanché, 12 anni; Maria Margherita Pittavino – Guitin – 12 anni, col fratellino Chiaffredo – Chafré – di circa 9 anni, abitanti alla Palanché. Il fatto, raccontato subito a parenti e a conoscenti non viene creduto. Chi pensa alle masche (streghe), o ai sarvanòt (spiriti e folletti) o, ancora, a Sant’Anna o a qualche anima in pena. “Tutte storie!” “Non parliamone più” sono queste le frasi che si sentono dire i bambini.
Ma il mattino del 6 agosto, benché il cielo sia nuvoloso e minacci ‘n bel slavàss (un bell’acquazzone), il primo gruppetto di estranei sale con i pastori al Chiotto, per indagare. Tra questi c’è pure un certo Bartolomeo Chiotti – Toumlin – gobbo, quasi piegato, aiutato dal figlio Ambrogio. E’ salito con la segreta speranza di essere guarito, se mai ci lì ci fosse stato qualcuno in grado di farlo. Porta con sé una candela e pensa “Chissà se potrò tenerla accesa, con questo tempaccio.” e promette di far erigere un pilone in caso di guarigione. Una volta giunti al pianoro, ecco tornare la bela Frema (la bella Signora), piangente come sempre. La natura circostante, rabbuiata, pare risentire ed appesantire quel suo dolore. Di riflesso i pastori si mettono ad urlare, tanto che Papà Pittavino, che abita alla Palanché, sente le loro grida e decide di raggiungere subito il Chiotto. Prende con sé la bertuna, una vecchia spada ricurva e corre verso le voci.
Giunto al pianoro, e, dopo aver constatato con sua meraviglia che non vi è nessuno, grida: “Perché avete urlato così?” I ragazzini gli additano in risposta il lastrone su cui appare la figura, dicendogli: “Garda ilai, sus la peira!”(“Guarda là, su quella pietra!”) Papà Pittavino non vede nulla. nota solamente che tutti tremano, come presi da una gran febbre. Colpisce allora ripetutamente con la bertuna la pietra, senza tuttavia veder nulla. A questo punto una veggente, per convincerlo meglio, afferra con la mano un lembo del manto della Signora. A questo punto papà Pittavino esclama: “Inginocchiamoci!” E così, sull’erba umida della notte che il sole quel giorno non ha asciugato, il primo drappello di estranei prega.
Giuseppe Pittavino promette, anche lui, la costruzione di un pilone. A lui fa eco Toumlin, il gobbo: “Verrò anch’io ad aiutarti. se guarisco!” mentre dice queste parole nota che la candela che aveva acceso non si spegne, nonostante il forte vento. Dopo un po’ la visione scompare. Tutti si alzano rasserenati: è passata la paura, è tornata anche la salute per Toumlin. Da quel giorno i pastorelli tornano al Chiotto con minor timore, anzi, con piacere. E lassù, puntualmente, ritorna ogni giorno la bella Signora. Ma eccoci al 15 agosto, festa dell’Assunta. La gente, che è sempre più convinta che l’apparizione possa essere vera, sale numerosa con i veggenti. Giuseppe Pittavino non porta più con se la bertuna, ma una candela benedetta. I pastori, che sono giunti in precedenza sulla montagna, si fanno incontro ai nuovi venuti e quasi subito esclamano: “Eccola di nuovo!” Tutti si inginocchiano sull’erba del pianoro. Papà PIttavino dà inizio al rosario. E’ questo il primo di una serie interminabile. Terminata la recita, chiede ai veggenti se la vedono ancora. Essi rispondono di si. Intanto, nel silenzio della montagna, risuona ai veggenti un canto melodioso ma triste, che essi dicono somigliante al triste salmodiare della messa da morto. Pittavino insiste: “Non vedete chi canta e chi suona?” Ed essi: “Non sappiamo.” Poi, aggiungono di scorgere come delle ombre passare davanti al sole, che splende in tutto il suo fulgore nel bel cielo di Valmala.
Ma poi, a poco a poco, tutto scompare. I veggenti esclamano: “Se n’è andata la bella Signora!” I presenti, più che mai convinti, tra un commento e l’altro scendono al paese, dopo aver così trascorso la giornata più memorabile del Chiotto. Dopo l’apparizione della festa dell’Assunta, crescono la fede e l’entusiasmo nel popolo valmalese, mentre la notizia corre ai paesi vicini. I veggenti riferiscono ogni sera che la bela Frema continua a tornare, come al solito. Un giorno, in particolare, dicono che essa ha compiuto un giro sul pianoro, ed aggiungono: “Touchava pa ‘l sol” (“Non toccava il suolo”). L’erba si rifletteva al suo passaggio, senza venir calpestata, e, per di più, diventava candida come na téla bianca (una tela bianca), stesa al sole ad asciugare. Alcuni valmalesi si chiedono il significato di quella scia luminosa. Un giorno la Signora sembra volerne dare la spiegazione. Dice a Maria Pittavino: “Stasera, dirai a tuo padre che desidero qui un pilone, ed in seguito una chiesa”. A sera, Maria riferisce al babbo il desiderio della Signora. Ma egli esclama: “Couma fasén a fé na guiéisa amoun?” (“Come possiamo costruire lassù una chiesa?”). Mancavano infatti, la sabbia e le pietre adatte.
La ragazza, il giorno seguente, riporta le parole del babbo alla Signora. Questa risponde indicando in alto sulla montagna un punto, in cui sporgono alcuni spuntoni di roccia: lì troveranno i lastroni di ardesia e le pietre necessarie alla costruzione. Indica anche, più vicino, il luogo per la sabbia. Dopo la rivelazione delle intenzioni divine, sembra ora tutto più chiaro: quel sentiero luminoso sull’erba altro non sarebbe che il tracciato del nuovo santuario e quello del porticato annesso, sotto il quale i pellegrini si porteranno in preghiera, a fare le novene, sui passi della Donna che piange. Secondo le fonti più attendibili, le apparizioni continuano fino a quando dura la pastura al Chiotto, cioè fin verso il 20 settembre. La gente, però, si chiede ansiosa: “Ma, in fondo, chi era mai quella Signora che piangeva sempre?”
Anche per rispondere a questo interrogativo, papà Giuseppe prende con sé i pastorelli e li conduce a visitare piloni e chiesette dei dintorni, per scoprirvi dipinta qualche immagine somigliante a quella apparsa al Chiotto, ma inutilmente. Finalmente, un lunedì di ottobre, Giuseppe, sceso al mercato di Venasca, vi scorge una bancarella di oggetti sacri. Ritorna a Valmala e conduce con sé a Venasca alcnievee nella speranza che su quel banchetto vi sia la soluzione all’enigma del Chiotto. A Venasca, infatti, in un’immagine della Madre della Misericordia di Savona, riprodotta su un quadretto, viene identificata dalle veggenti la figura misteriosa apparsa loro per circa due mesi. Papà Pittavino compra allora il quadro.
Il 2 novembre, a Valmala, in occasione della visita al cimitero, i veggenti si ritrovano tutti con Papà Pittavino e possono così comprovare unanimemente che quella è veramente la Frema apparsa loro al Chiotto nell’estate precedente. L’anno successivo Giuseppe Pittavino, aiutato anche da Toumlin, costruisce il primo pilone sul luogo, e vi fa dipingere da Giuseppe Gauteri di Saluzzo, l’immagine trovata a Venasca. Fa scrivere sull’architrave: “Grandissimo miracolo di vedere Maria Santissima della Misericordia in questo luogo durante giorni cinquanta”.
Il 1835 è pure l’anno del colera. Il comune, da parte sua, fa voto di erigervi una cappella, se il paese sarà esente dal contagio che infesta i paesi vicini. Ne viene preservato. Così sorge, nel 1840, la prima cappella, che verrà ingrandita successivamente fino alle proporzioni dell’attuale santuario, ultimato nel 1851. L’autorità religiosa, dapprima contraria, va via via tacitamente approvando la devozione alla Madre della Misericordia di Valmala. In seguito, con particolare solennità, ricorderà il cinquantenario (1884), il centenario (1934) ed infine il centocinquantenario (1984) delle apparizioni.
Tutti i protagonisti delle vicende del Chiotto, per un misterioso disegno della Provvidenza, lasceranno il paese nativo. Andranno nei vari paesi della zona, prenderanno moglie e marito ed avranno numerosa famiglia. La loro vita trascorrerà nella fatica di tutti i giorni, lontani dalla folla sempre crescente diretta al Chiotto. I figli di Maria Pittavino saranno invece i massari del santuario per molti anni. La veggente di cui rimarranno più documenti è invece Maria Chiotti, che morirà nel 1899.
Fonte:
www.santuariovalmala.it