Ne Il sogno di Sooley, John Grisham narra la storia di un giocatore di basket originario del Sud Sudan; fatto salvo il messaggio di riscatto insito nella vicenda esistenziale del protagonista che, originario di un villaggio sperduto approda al basket professionistico grazie a una determinazione eccezionale, è importante il punto di vista di Grisham sulla spinta insensata a piegare arte e letteratura alla sensibilità contemporanea, quella che ormai è a tutti nota come cancel culture.
“È molto irritante quando critici e accademici fissano dei limiti riguardo a ciò che ognuno può scrivere. Tra i casi più recenti c’è quello di Jeanine Cummins, autrice de Il sale della terra, un libro bellissimo sugli immigrati che attraversano il Messico per entrare illegalmente negli Stati Uniti. Alcuni scrittori di origine ispanica hanno detto di essersi sentiti offesi dal fatto che una bianca ha provato a raccontare quelle storie. Secondo simili standard, io non avrei dovuto scrivere un libro con protagonista un ragazzino africano del Sud Sudan perché sono un bianco del Mississippi“.
E per quanto riguarda la terminologia in senso stretto, è stato ancora più tranchant:
“Ho usato la parola “nigger” nel mio primo libro, Il momento di uccidere (1989), e poi ancora ne L’ombra del sicomoro (2013) e ne Il tempo della clemenza (2020). Non la toglierei mai volontariamente, non la uso nel mio privato, ma quando sei uno scrittore e scrivi di eventi realistici, devi usare un linguaggio realistico”.
decisamente più offensivo sarebbe stato il termine “ape”…
Mancherai…a me assai…
Adesso che arriva il caldo tu congeli? 🙂
Vado sempre controcorrente 🙂 scopro che non c’è più la moderazione…bene!