AFFABULAZIONI

Trevi, che Dio ti abbia in gloria


Su la Lettura dell'8 agosto, Emanuele Trevi spiega perché non è possibile fare a meno della buona letteratura. Secondo me, se almeno un bipede con un minimo di testa pensante comprerà un libro dopo aver letto l'excursus di Trevi, il Nostro avrà reso un buon servizio all'umanità.

"L'ultima cosa da esigere dai profeti, dai futurologi, dagli analisti delle tecnologie e delle tendenze, è che azzecchino le loro previsioni, fauste o infauste che siano. Sarebbe sleale: come pretendere dalla cartomante di ridarci indietro i soldi perché non abbiamo trovato l'anima gemella. Che doveva dirci, che saremmo marciti nella solitudine e nella tristezza? Il fatto è che speculare sul futuro è un'arte, come la danza o la ceramica, e come tutte le arti non serve a nulla di concreto. E poi, la fede è contagiosa. Crea delle certezze che si ergono come fari sulle pericolose scogliere della vita. Qualunque cosa dicano, bisogna onorare gli indovini. Ognuno, poi, ha le sue profezie preferite. Dipende dalle cose con cui si ha a che fare nella vita, dagli interessi che si nutrono.

La mia gioventù di aspirante scrittore è stata profondamente suggestionata dalla "morte dei libri", annunciata come imminente fin dalla fine degli anni Ottanta. Niente a che vedere con temi opinabili e accademici come "la morte dell'arte" o "la morte del romanzo", che nella loro astrattezza possono scivolarti addosso per tutta la vita senza consumarti un solo neurone. Ma quella della morte dei libri, intesi come oggetti concreti appartenenti alla nobile razza dei parallelepipedi, si affacciò alla coscienza collettiva come un fatto concreto, e quasi sembrò possibile segnarne la data sul calendario, come si fa con la prossima Pasqua.

Certo, la storia avrebbe invitato a usare una certa prudenza, visti tutti gli episodi di roghi di migliaia di volumi e intere biblioteche che si erano succeduti nel corso dei secoli, dall'antica Cina alla Germania nazista, lasciando sempre ai libri la maniera di sopravvivere in un modo o nell'altro. Ma i tiranni sono stupidi, la tecnologia molto meno. E le sentenze tecnologiche sono inesorabili, confinano innumerevoli oggetti nel regno dei ricordi e dei negozi di antiquariato. Conoscevo gente pronta a giurarci, con gli occhi spiritati: entro il 2020 - se non prima! - non si sarebbe più stampato un libro. Si stampavano addirittura libri per dimostrare, con tutti i convincenti argomenti della moderna futurologia, che non si sarebbero più stampati i libri. E già fioccavano, in tutto il mondo civile, i necrologi.

Interrompo la scrittura di questo articolo per fare un po' il giornalista. Vale a dire, senza nemmeno scomodare il nobile concetto di "empirismo", che mi guardo intorno. È il pomeriggio di sabato 31 luglio 2021, e sono salito sul Frecciargento che va da Genova a Roma alla stazione di Campiglia. C'è poca gente nella mia carrozza, diciamo una ventina di persone: tutti comodi e al fresco, sfrecciamo (si spera fino all'arrivo) in una campagna torrida e arsa, gialla come un Van Gogh. Una parte abbastanza consistente di queste persone ha un libro in mano: diciamo sei su venti, calcolando anche me. Fingendo di andare alla toilette, sbircio i titoli: c'è una signora che legge l'ultimo Manzini, un'altra Yoga di Carrère, mentre quello che ha l'aria di essere suo marito è immerso in una monografia di Alessandro Barbero su Carlo Magno. Che una monaca legga la Bibbia non fa notizia, immagino, ma si tratta pur sempre del primo libro che Gutenberg stampò; un tipo dall'aria britannica ha in mano un'edizione Penguin delle Pietre di Venezia di John Ruskin e stupidamente mi chiedo se non abbia sbagliato treno. Qualcuno potrebbe obiettare che siamo in prima classe, tipico mezzo di trasporto delle élite plutocratiche e della sinistra al caviale mentre il popolo (dalla carrozza quattro alla dieci) sta attaccato allo smartphone aggiornando i profili social e consultando siti no vax e cospirazionisti. Ma non è affatto così. Dove c'è più gente, nelle nostre società occidentali, ci sono in proporzione più libri. Non troppi, ma nemmeno nessuno. Non ci saranno mai insomma, né in prima né in seconda classe, dodici o quindici lettori su venti, ma ce ne sono abbastanza da far sì che i libri siano ancora un buon affare, o che la morte di un uomo come Roberto Calasso sia considerata degna della prima pagina dei giornali".

Emanuele Trevi