I cani del nulla

I cani del nulla - Emanuele Trevi - Recensione libro

Le 156 pagine de I cani del nulla hanno come perno Gina, “avanzo di canile municipale”, con le orecchie enormi e le zampe troppo lunghe. Tutt’intorno Emanuele Trevi, ironico, poetico e malinconico nel descrivere non solo la vita di Gina, ma anche la sua e quella della moglie. Ci si perde in questo libro, in senso buono.

Gina ha guardato la porta chiudersi. Si è prodotta in una scenetta di saluto, seduta in mezzo all’ingresso, scodinzolando rasoterra, allungando il muso, strizzando gli occhi. Vuole esprimere, con questa pantomima, acuta nostalgia per i suoi cari, così acuta e pura da farsi sentire prima ancora della loro assenza. È da pensare che in quel momento – ma non ne sono sicuro – Gina creda in sé stessa, nella sua capacità di commuoversi e commuovere. Sarò buona, sarò onesta, sarò degna di un maniero inglese, sembra dire, e dicendolo ci crede. E infallibilmente ci crediamo anche io e mia moglie. Diretti al cinema, o a cena fuori, col cuore leggero: come gente normale, ben radicata nel proprio mondo, nelle prime ore della sera.

Escogitiamo saluti teneri, rassicuranti, a effetto prolungato. Forgiamo su due piedi soprannomi, adatti alla delicata solennità del distacco. È un apice emotivo, una prova di nervi.

– Ciao, chicca, stai buona, – dice mia moglie.

– Ciao, cipolla, divertiti, – aggiungo io.

Lei allunga il muso, sull’attenti, e strizza gli occhi, come se volesse mettere in scena, lì per lì, una riuscita imitazione di un animale molto miope, e ci guarda fino a che la porta, descritto il suo arco, si chiude e ci esclude.

Ciao, chicca. Ciao, cipolla.

Sii buona. Sii chicca, sii cipolla.

Esisti buonamente.

Probabilmente Gina è ancora sincera, qualche minuto dopo. O almeno, non vuole uscire troppo presto da quel ruolo così intonato al suo carattere. Sa di avere tempo, sa che quando usciamo, di sera, non è per poco. Inoltre, aggiungo io, che la conosco bene, Gina sa pure che, in quei primi minuti di solitudine, conviene comunque non muoversi molto. Spesso, in quel breve lasso di tempo, ci capita di tornare sui nostri passi. Ad arraffare il portafoglio, le chiavi della macchina, una sciarpa. Farà bene, in tal caso, a lasciarsi trovare ancora lì, immersa nella sua inguaribile tristezza di animaletto abbandonato in un grande appartamento pieno di ombre. Non è ancora il momento di muoversi. Bisogna avere pazienza, bisogna che i due fessi siano chiusi in un cinema, imbottigliati nel traffico, immersi nella conversazione in un remoto appartamento di amici, per agire.

Perché l’animaletto triste sulla soglia si trasformi in una presenza malefica, infantilmente crudele, odiosa a sé prima ancora che agli altri, non è dato sapere. Il Dottor Gina e Mister Hyde, dico io, tra me e me. Lo sdoppiarsi della personalità, abbiamo constatato fin dai primi giorni di forzata coabitazione, produce in lei un terribile malessere. La troviamo, al ritorno a casa, in condizioni pietose – e difficilmente descrivibili. Acquattata vicino alla porta, o sotto un tavolo, rinuncia all’uso delle zampe, in tale circostanza, limitandosi (è una cosa da vedere) a strisciare nella nostra direzione, sottoponendo il suo corpo a una specie di ondulazione motoria da lombrico appena emerso dalla terra. Come ad accentuare l’aspetto verminoso, tiene gli occhi chiusi, desiderando in qualche modo annullare, o almeno mettere tra parentesi, le tristi evidenze della realtà circostante. Sacchi della spazzatura smembrati. Avanzi di rapine in cucina. Inspiegabili atti di sabotaggio: pile di libri e sedie rovesciate, panni sparsi sul pavimento, vasi di piante svuotati della terra.

Così, nel fango della vergogna, e nell’incarnazione contrita di questo ruolo da verme, si concludono molte serate di Gina la Triste, spiacevolissimo – a sé e al prossimo – tra gli animali”.

Emanuele Trevi, I cani del nulla

Qui un estratto

I cani del nullaultima modifica: 2022-01-05T16:13:42+01:00da VIOLA_DIMARZO

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