AFFABULAZIONI

Quell'italiano pseudo-anglofonizzato


Scrive Stefano Massini: "Ricordo, circa vent'anni fa, un illuminante intervento di Luca Ronconi sull'influenza dei telefilm americani sul ritmo interno del nostro parlato italiano: Ronconi spiegava che la struttura fonetica stretta dell'inglese obbligava i doppiatori a sincopare continuamente e inzeppare di interiezioni il passo voluminoso di lingue che non sdegnano le proparossitone, come l'italiano o lo spagnolo. Si trattava di un espediente tecnico, per rendere più plausibile il labiale, ma la dilagante diffusione dei telefilm doppiati sui nostri canali televisivi aveva di fatto ingenerato nell'uso comune un italiano 'pseudo-anglofonizzato', in cui si ricalcava quella gabbia fonetica".

Io di questa egemonia, che non si limita soltanto all'ambito televisivo, mi dolgo, perché se dalla scrittura esigo raffinatezze scevre da anglismi (e le trovo con una certa facilità), dal parlato mi aspetterei almeno un riverbero che possa dirsi figlio della stessa ricercatezza che alberga nella prosa cui alludo. Invece, devo vedermela continuamente con un uso gergale della lingua, diventata specchio del piattume di tempi che lodano la serialità del pensiero a scapito di ogni segno di elezione. Ma tornando all'italiano pseudo-anglofonizzato, non ci vorrà molto prima che qualcuno mi giudichi "originale", giacché resto la sola a perpetuare l'uso dell'articolo la quando, congedandomi, auspico un "ci vediamo la settimana prossima". Che qualcuno mi aiuti a sentirmi meno novecentesca.