“Io sono Harvey Weinstein e lo sai di che cosa sono capace”

   L’ex produttore Harvey Weinstein è stato condannato per violenza sessuale di primo grado e stupro di terzo grado; rischia 25 anni di reclusione ma ne sapremo di più quando, il prossimo 11 marzo, sarà resa pubblica la sentenza. Intanto può dirsi certo di essere scampato a due dei capi di imputazione più gravi per i quali rischiava l’ergastolo. A dare inizio alla parabola discendente di Weinstein sono state la sua ex assistente di produzione Miriam Haley, costretta a una fellatio, e Jessica Mann, violentata in una camera di un hotel di Manhattan nel 2013.

   Subito dopo la sentenza, Ronan Farrow, autore di un durissimo reportage contro Weinstein, ha dichiarato:”Il risultato di oggi è il risultato della decisione di molte donne di venire allo scoperto con giornalisti e rappresentanti della giustizia, con un costo personale molto alto e rischioso. Tenete queste donne nei vostri pensieri oggi”.

   E così sia, caro Farrow, terremo queste donne nei nostri pensieri ma che nessuno cada nella trappola del moralismo edificante e, soprattutto, che nessuno creda che tutte le donne coinvolte nell’affair Weinstein erano delle sante.

La verità, vi prego, sull’amore

   “C’è chi ostenta di aver molto amato e chi si accusa di essere incapace di amare. Entrambe le dichiarazioni, anche se sincere, hanno spesso una teatralità sospetta. Ci sono tante storie d’amore al mondo – appassionate, struggenti, violente, pacchiane – ma forse pochi veri amanti. I più inaffidabili – quasi sempre in buona fede come tutti gli imbonitori, infervorati e immedesimati nella loro parte quando rifilano una patacca di qualsiasi genere, anche sublime – sono forse i cuori sempre in preda alla passione che li inebria e li strazia, coloro che sentono fortemente e poeticamente la seduzione di tutta la vita e il suo vorticoso fluire e s’innamorano di ogni fiore nella sua trascolorante fioritura, di ogni volto incantevole e di ogni sorriso fuggitivo, come ci si innamora della luce del meriggio, del canto delle cicale, dei primi bucaneve”.

Claudio Magris

La verità, vi prego, sull’amore

   Spesso nelle dinamiche amorose, o presunte tali, il luccichio della promessa surclassa ogni anelito al buon senso; ecco perché Magris paragona certi amanti a degli imbonitori, sottolineando la dinamica oltraggiosa sottesa in ogni loro parola e azione. Valga dunque come manifesto dell’amore il Sonetto 116 di Shakespeare, perché quando due amanti sono legati da quel vincolo possono dirsi certi d’essere destinati all’atemporalità.

Amai

Amai trite parole che non uno
osava. M’incantò la rima fiore
amore,
la più antica, difficile del mondo

Amai la verità che giace al fondo,
quasi un sogno obliato, che il dolore
riscopre amica. Con paura il cuore
le si accosta, che più non l’abbandona.

Amo te che mi ascolti e la mia buona
carta lasciata al fine del mio gioco.

Umberto Saba

 

Ode della gelosia

Mi sembra pari agli dei

quell’uomo che di fronte a te

siede, e da vicino ti ascolta

mentre tu dici dolci parole

 

e amorevole sorridi. Davvero a me questo

il cuore fa sussultare nel petto:

non appena per un attimo ti guardo

non ho più voce,

 

la lingua è rotta, fuoco sottile

subito è diffuso sotto la pelle,

con gli occhi nulla più vedo,

un rumore mi ronza nelle orecchie,

 

sudore freddo mi avvolge.

Un tremito tutta mi prende,

sono più verde dell’erba,

mi sento poco lontano dalla morte

ma tutto bisogna sopportare.

Saffo

Sonetto 116

Non sia mai ch’io ponga impedimenti
all’unione di anime fedeli; Amore non è Amore
se muta quando scopre un mutamento,
o tende a svanire quando l’altro s’allontana.
Oh no! Amore è un faro sempre fisso
che sovrasta la tempesta e non vacilla mai;
è la stella-guida di ogni sperduta barca,
il cui valore è sconosciuto, benché nota la distanza.
Amore non è soggetto al Tempo, pur se rosee labbra e gote
dovran cadere sotto la sua curva lama;
Amore non muta in poche ore o settimane,
ma impavido resiste al giorno estremo del giudizio.
Se questo è errore e mi sarà provato,
Io non ho mai scritto, e nessuno ha mai amato.

William Shakespeare

Anne Brontë la più pallida, la più facile da dimenticare

   Non solo Charlotte ed Emily ma anche Anne, finalmente rivalutata da buona parte della critica che aveva sempre storto il naso leggendo le sue opere, preferendo di gran lunga quelle delle due sorelle più celebri. Ciò che è saltato agli occhi, e che prima era inspiegabilmente rimasto nell’ombra, è l’atteggiamento poco convenzionale che Anne Brontë ha conferito ai suoi personaggi femminili, al punto che definirla femminista ante litteram è tutt’altro che un’eresia. Ad esempio, ne La signora di Wildfell Hall la protagonista lascia il marito violento e alcolizzato, si relaziona a un secondo uomo, pure lui un bastardo irredimibile, e infine s’allontana da tutti col figlio. Va da sé che il solo pensiero di scelte così radicali sarebbe risultato intollerabile nella società inglese di metà Ottocento, poiché le donne sposate non godevano di alcun diritto, e divorzio e affidamento della prole erano fuori discussione.

   Nella prefazione a La signora di Wildfell Hall, Brontë scrisse: “Quando abbiamo a che fare con vizi e caratteri malvagi, credo sia meglio mostrarli come sono veramente piuttosto che come spererebbero di apparire. Rappresentare un atto cattivo in luce poco offensiva è forse più facile per uno scrittore, ma è onesto e sicuro? Tutti i romanzi dovrebbero essere scritti per essere letti da uomini e donne. Non capisco come a un uomo possa essere permesso di scrivere di argomenti che per una donna non sono considerati dignitosi o perché una donna possa essere biasimata quando scrive di soggetti che per un uomo sarebbero considerati accettabili e appropriati”.

   Anne morì prematuramente, come prematuramente erano morti la madre, le due sorelle maggiori, il fratello e l’amatissima Emily, autrice di Cime tempestose. Manchester la ricorderà il 28 marzo con l’evento Brontë 200.