I sensitivity reader sono espressione di progresso o di censura?

The rise (or fall) of sensitivity readers — Harpy.

Con l’espressione “appropriazione culturale” si intende la pratica attraverso cui una cultura dominante si appropria, grossolanamente, di linguaggi artistici e credenze propri di gruppi etnici minoritari. Per scongiurare ulteriori scivoloni – cinema e letteratura ne sono già ricchi, ma non lo sarebbero se si contestualizzassero gli anni a cui le opere incriminate appartengono -, gli editori statunitensi assoldano i sensitivity reader, ovvero editor che analizzano i file dal punto di vista linguistico e culturale, segnalando poi all’editore espressioni e passaggi che potrebbero offendere le minoranze. In quest’ottica eticamente vigile il caso più emblematico risale al 2011, quando Alan Gribben riscrisse Huck Finn, sostituendo il vocabolo “nigger“, che nell’originale di Mark Twain ricorre 219 volte, con schiavo.

A febbraio il Times di Londra ha pubblicato un articolo che può essere considerato un campanello d’allarme per chi aborrisce la cancel culture; il lettore svogliato sarà risparmiato dalla fatica di leggerlo, perché già titolo fa il punto: Is the rise of sensitive readers progress or censorship?

Il repulisti è attivo in America da anni, soprattutto per quanto riguarda la narrazione young adult, tuttavia ora si sta estendendo alla fiction e ai saggi. Ed è quest’ultima deriva tentacolare a insospettire chi nel lavoro certosino dei sensitivity reader intravede il ghigno moralista del censore.