La biblioteca del boss

Inside mafia boss Matteo Messina Denaro's secret Sicilian hideout - English - www.abdpost.com Amerika'dan Haberler

Invece di fare illazioni pecorecce sul Viagra ritrovato nel covo di Campobello di Mazara, sarebbe stato più avvincente, per chi prova a capire cosa nasconde un cervello umano, disquisire dei libri di Matteo Messina Denaro, perché la cinquantina di titoli che hanno sorpreso in primis gli investigatori avrebbero fatto luce su un mafioso lontano, almeno in parte, dagli stereotipi a cui ci hanno abituato figure come quelle di Riina e Provenzano.

Dal libro sulla vita di Vladimir Putin alla biografia di Andre Agassi, passando per il racconto che l’ex pm di Milano Ilda Boccassini fece della sua l’amicizia con Giovanni Falcone, Messina Denaro ha letto o perlomeno comprato non solo i best-seller contemporanei, ma anche classici come Baudelaire, Dostoevskij, Bukowski, Mario Vargas Llosa, Céline, Levi, Orwell.

Ora, piaccia o meno, anche il Male ha una sua complessità che solo per paura o superficialità non amiamo scandagliare. La si può liquidare, quella complessità, come un dettaglio che non arricchisce la nostra vita, eppure, se l’intento è andare oltre i meri dati della cronaca, le sue sfaccettature offrono più chiavi di lettura, un po’ come accade nei film in cui si dà la caccia al serial killer. Ma se Messina Denaro resterà in eterno una delle incarnazioni del Male, noi, che siamo stati più fortunati, con Pessoa ragioneremo in questi termini:

Tutti noi abbiamo

una vita che è vissuta

e un’altra che è pensata,

e l’unica vita che abbiamo

è quella che è spartita

tra la vera e l’immaginata.

Quale sia però quella vera

e quale l’equivocata

non potrà dirlo nessuno;

noi viviamo in tale maniera

che la vita che ci è data

è quella che si deve pensare.

Il montone è di moda se è come quello del boss

Rita De Crescenzo e il montone "di" Messina Denaro

Il romanzo non è morto. Anzi. Persino un insospettabile come Matteo Messina Denaro ne sta scrivendo uno. Certo, a favore di telecamere, ma questo è un dettaglio e ognuno fa come gli pare. Tra le altre cose, il boss ci tiene a far sapere di non essere soltanto l’assassino spietato arcinoto alle cronache, ma di conoscere bene il sentimento per eccellenza, l’amore. Quell’amore che lo lega alla figlia mai vista: “Il destino ha voluto così. Spero che la vita si prenda tutto da me per darlo a lei. Non conoscere i propri figli è contro natura“. Peccato che dei figli degli altri non ha avuto nessuna pietà, derubricando le loro esecuzioni a incidenti di percorso, tant’è che dal carcere,  per quei reati come per tutti gli altri, ha fatto sapere che non si pentirà. Chissà se nel libro che, vogliamo sperare, non avrà mai sembianze cartacee, Messina Denaro parlerà di quando si rapportava al personale medico con gentilezza ed educazione, se dirà delle chemio durante le quali si mostrava affabile e garbato, o se magari accennerà al profilo basso che lo accompagnava da anni, mentre si aggirava per le vie di Campobello di Mazara.

Ora, “u siccu” può  parodiare se stesso o per assurdo raccontare la verità, ma nei suoi riguardi è importante non indulgere in sentimentalismi perché idealizzare il male è un attimo. E andrebbe altresì ricordato che pure buttarla in caciara è un atto empio, come ha fatto la tiktoker Rita De Crescenzo che si è filmata con un montone simile a quello del boss, ironizzando: “Me l’ha mandato lui dal carcere”. La signora si inserisce a pieno titolo nel trend social che richiede di mostrarsi fieri di indossare un montone simile a quello di Matteo Messina Denaro al momento dell’arresto a Palermo lo scorso 16 gennaio.

Molti cittadini ci hanno segnalato un video dell’ormai nota tiktoker che indossa il montone simile a quello del boss Matteo Messina Denaro al momento della cattura facendo ironia su una moda infame e vantandosi addirittura, ironicamente, che glielo avrebbe mandato il boss dal carcere. Da settimane segnaliamo questa assurda nuova moda diffusasi anche nel Napoletano di emulare l’outfit di un criminale sanguinario. In tanti, approfittando della “moda”, hanno messo in vendita questi capi anche qui a Napoli. Uno schifo. E di certo la De Crescenzo non poteva farsi sfuggire una roba simile, spiegando pure dove andare a comprarlo. È l’ennesima vergogna di una tiktoker che, non dimentichiamolo, ha un passato legato ai clan. Inaccettabile continuare ad idolatrare boss e criminali vari, basta con queste azioni indegne che infangano la morte delle tante vittime della mafia“. Francesco Borrelli

Il leone malato non si ammanetta

Arrestato Matteo Messina Denaro - DIRETTA - Cronaca - ANSA

Trent’anni e un giorno fa veniva arrestato Totò Riina. In manette. Oggi è stato assicurato alle patrie galere (espressione vetusta ma che dovrebbe piacere alla premier) Matteo Messina Denaro. Senza manette. Si trovava  presso la clinica Maddalena per essere sottoposto a cure chemioterapiche. In quel di Palermo, ovvero nella sua città d’adozione che, a quanto pare, non ha mai abbandonato se non per lassi di tempo insignificanti. E proprio in virtù di questo dettaglio, a che pro tutte le esternazioni di giubilo che riecheggiano da stamattina? Ovviamente, un delinquente di tal fatta non più in libertà farà tirare un sospiro di sollievo a qualche povero diavolo che aveva motivo di temerlo ma, fatto salvo l’applauso ai carabinieri da parte di coloro che si trovavano nei pressi della clinica al momento della cattura, c’è poco da festeggiare. Come si possono giustificare trent’anni di indagini infruttuose prima di arrivare ad arrestare l’illustre esponente di Cosa nostra?

A tal proposito, il generale Mario Mori, ai vertici dei carabinieri del Ros quando venne arrestato il boss Totò Riina, ha detto:

Totò Riina da me è stato arrestato in 5 mesi, senza pensare ai superiori, ai magistrati, ai condizionamenti. Ci voleva un gruppo di venti persone che dovevano fare solo quello. E allora quando ti metti a cercare il latitante, ci vorranno cinque mesi, un anno e mezzo, ma lo prendi. Trent’anni è ingiustificato, è la dimostrazione che il sistema di polizia italiano è falloso“.

La finta polemica è servita. Finta perché sappiamo tutti che il generale Mori ha ragione.