Valérie Perrin: 6,5 per Tre

Amicizia, amore e ricerca della propria identità in “Tre”, nuovo libro di Valérie Perrin – ilLibraio.it

A inizio articolo neppure il temibile Antonio D’Orrico sapeva risolversi ma poi, nella sua pagella, ha contrassegnato Tre di Valérie Perrin con un sei e mezzo che, leggendo tra le righe, suona più che altro come un omaggio a una scrittrice che per converso l’ha molto entusiasmato col libro precedente, quel Cambiare l’acqua ai fiori di cui, grazie a un inesausto passaparola, si continua a parlare nonostante sia uscito a luglio del 2019. Ora, a meno che D’Orrico non sia rimasto vittima di un colpo di sole, come può giustificare la piena sufficienza, portando all’attenzione dei suoi lettori un periodo come questo?

Lui si era riportato all’altezza della sua faccia, la sua bocca sapeva di sesso umido. Nina aveva desiderato scappare di corsa, tornare a essere una bambina di sette anni non più alta di una staccionata“.

E come se non bastasse, ha ritenuto degna di nota una frase che a me non sembra inedita: “La verità è volgare“; ma anche ammesso che lo sia, sarà di certo materiale di risulta perché della verità si è già detto tutto e il contrario di tutto e definire volgare la verità non mi sembra un concetto particolarmente illuminato. Per fortuna D’Orrico conclude l’articolo con un voltafaccia che lo riabilita: “Voto sei e mezzo di circostanza (lo so che suona come “Sentite condoglianze”, infatti ho il cuore scuro scuro).

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Per dimenticare tanta pochezza a cui arride però un immenso successo commerciale (questa settimana Tre è al primo posto dei libri più venduti, mentre Cambiare l’acqua ai fiori è al settimo), una pagina di Pia Pera che merita d’essere letta e riletta.

Non sono più la stessa persona. Alla diversa andatura, alla lentezza nel camminare, la circospezione con cui procedo di passo in passo, la cautela con cui considero se valga davvero la pena di muoversi o no, corrisponde una percezione nuova del mondo. Credo che adesso non proverei più lo stesso stupore misto a diffidenza di fronte alle opere di un’artista scandinava che, anni fa, venne a trovarmi nel mio podere. Mentre passeggiavamo, non faceva che chinarsi per raccattare frutti rinsecchiti, foglie appassite, baccelli anneriti dalle intemperie. Bah! avevo pensato tra me, al giorno d’oggi qualsiasi gesto passa per arte. L’avevo lasciata fare, per nulla convinta in cuor mio della qualità o anche solo del senso del suo lavoro. E del tutto indifferente alle sue «ruberie»; dopotutto, quello che raccattava era spazzatura: frutti marci, fiori sfatti, qualsiasi cosa non avesse più corso, uso di mondo.

C’è voluto tempo per cominciare a capire. Non immaginavo tuttavia che, ben presto, mi sarei percepita anch’io come quelle povere cose raccattate, al punto d’incontro tra due energie: conservazione e distruzione. Organismi in decadenza, in bilico tra essere e non essere. Chissà che un momento prima di venir meno non si manifestino, con intensità forse acuita, se non vera e propria bellezza, un pathos, un’espressività insospettati. Quasi che, rendendo l’anima a Dio, le cose sprigionassero, per un attimo e quell’attimo soltanto, una qualità che passa inosservata quando il corpo, godendo perfetta salute, è troppo turgido, troppo opaco, troppo spesso. Troppo materiale.

Adesso che mi sento come uno di quegli scarti, provo una serenità diversa, una serenità per la prima volta vera e profonda. Sprigiona adesso che il corpo ha perso un poco del suo spessore.

La leggerezza interiore nasce forse dal sentirmi libera dalla zavorra terribile del futuro, indifferente al cruccio del passato. Immersa nell’attimo presente, come prima mai era accaduto, faccio finalmente parte del giardino, di quel mondo fluttuante di trasformazioni continue“.

Pia Pera, Al giardino ancora non l’ho detto