La rosa

 

DSC01055Un sorriso d’Amore

ANONIMO LATINO DEL III SECOLO

LA ROSA


Fu un sorriso d’Amore? oppur le fece
l’Aurora pettinando i suoi rossi capelli?
o Cipride fra i rovi s’impigliò,
lasciando il suo sangue sulle spine?


Aut hoc risit Amor aut hoc de pectine traxit
purpureis Aurora comis aut sentibus haesit
Cypris et hic spinis insedit sanguis acutis.

(da Poeti latini della decadenza, Einaudi, 1988 – Traduzione di Carlo Carena)

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La rosa è da sempre simbolo della bellezza e dell’amore, lo è anche della sensualità e dell’eros. Non stupiscono quindi le immagini scelte da questo anonimo poeta latino del terzo secolo dopo Cristo – anche se alcuni attribuiscono questi versi al retore Floro, celebre per un battibecco poetico con l’imperatore Adriano: la rosa nasce da un sorriso  di Amore o dai capelli dell’aurora o anche più facilmente dal sangue della dea Venere, graffiatasi tra i rovi.
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LA LUCE TOCCATA

 

Di vinco in vinco

PIERLUIGI CAPPELLO
LA LUCE TOCCATA

A Chiusaforte Silvio intrecciava canestri
con mezzo cuore e il cuore dei bambini intorno
io dico ti ho visto nella mia veglia
nel respiro acceso dell’alba
tra il fischio e il silenzio
e le dita andavano di vinco in vinco
come un’acqua nervosa, una spiegazione raccolta
nel tempo dietro questo tempo a mezza veglia
siamo venuti, io con le pupille di bimbo
e allora trattieniti adesso che torno
dentro il tuo odore di povero
nei boschi dove andiamo si dice con lo sguardo
le labbra un profilo chiuso, il passo un passo radicato
qui, dove sono ora, nel battito del giorno alla finestra
nel sonno lasciato, nel millesimo di me
dove ogni debolezza è stata offerta
la pietra aperta, la luce toccata.

(da Azzurro elementare, Rizzoli, 2013)

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“Silvio era un anziano che sbarcava il lunario intrecciando gerle e canestri. È mancato nel 1978, credo; due anni dopo il terremoto che ha colpito il Friuli. Le sue dita erano ritmo, un andare e tornare sul bianco del vinco che incantava i bambini”: lo stesso Pierluigi Cappello spiega i contorni di questo ritratto, quello di un artigiano che svolgeva con perizia il suo lavoro e che incarnava una società che è andata lentamente scomparendo. L’idea di Cappello attraverso questi versi era “di restituire una veglia, una possibilità d’incontro in quella terra solida e incerta che è il sogno” perché “ricordare significa fare ritorno in cuore”.

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https://cantosirene.blogspot.com/2019/04/di-vinco-in-vinco.htmlFOTOGRAFIA © CAROPAT/PIXABAY

Il vento purpureo di domani

 

JAN SKÁCEL

IN CIELO


In cielo si raccoglie il vento,
il vento purpureo di domani,
e di nuovo l’amore,
di nuovo da tempo immemorabile
da lontano impedisce la morte.

(da Il colore del silenzio. Poesie 1957-1989, Metauro, 2004 – Traduzione di Anna Cosentino)

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Il cielo del tramonto si riempie di colori, è la dantesca “‘ora che volge il disio / ai navicanti e ‘ntenerisce il core”, i pensieri si concentrano sulla bellezza del fenomeno e sul fatto che un’altra giornata si chiude. È tempo che lascia propensi alla malinconia, alla nostalgia, ma anche alla speranza, al futuro, al sogno, all’amore, che – come nota il poeta ceco Jan Skácel – aiuta a vivere.

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 LA FRASE DEL GIORNO
Sono solo  un poeta, un radar sotto i tigli. Non sta a me rispondere. Io domando.
JAN SKÁCEL
DIPINTO DI RICHARD BLU

Jan Skácel (Vnorovy, Moravia, 1922- Brno,1989), poeta ceco, fu costretto dal regime comunista a lasciare il giornale di cui era redattore. Dopo la Primavera di Praga, smise di pubblicare in Cecoslovacchia: la censura sovietica proibì i suoi libri, che apparvero sotto forma di samizdat.

Tra l’alba e il vento

MARIÀ MANENT

A UNA RONDINE CHE MI HA SVEGLIATO ALL’ALBA

Che ne sai tu, dolce amica di seta,
quando l’alba comincia a farsi d’oro,
che ne sai dello steccato scuro
e dell’insonnia umana?

Bagnato dall’ombra azzurra, il lichene:
vicino al nido, di certo è più chiaro:
il tuo canto lontano ha allontanato
il Sogno – uccello schivo.

Non conosci la palpebra inquieta,
né la fronte che brucia sul cuscino,
né il letto annerito dalle tenebre,
tu, tra l’alba e il vento.

(da Le acacie selvatiche, Edicions del Mall 1986)

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Il poeta catalano Marià Manent costruisce una poesia simbolista, che attraverso le sue visioni insinua l’importanza di ciò che non viene detto. Come scrive Enric Bou “ La necessità di stabilire uno schermo tra l’esperienza reale, il mondo sensibile e l’elaborazione letteraria di questo aneddoto iniziale, è fondamentale nella poesia di Manent”. Una considerazione che gli deriva anche dalle numerose traduzioni di testi orientali, che gli lasciano una trasparente eleganza, vicina alla filosofia degli haiku. Così la rondine che canta all’alba svegliando il poeta diventa un’interlocutrice con cui condividere le riflessioni.

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Rondine

IMMAGINE DA PINTEREST

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Un treno all’alba

SANDRO PENNA

LA VITA… È RICORDARSI DI UN RISVEGLIO

La vita… è ricordarsi di un risveglio
triste in un treno all’alba: aver veduto
fuori la luce incerta: aver sentito
nel corpo rotto la malinconia
vergine e aspra dell’aria pungente.

Ma ricordarsi la liberazione
improvvisa è più dolce: a me vicino
un marinaio giovane: l’azzurro
e il bianco della sua divisa, e fuori
un mare tutto fresco di colore.

(da Poesie, 1939)

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Il pregio principale delle poesie di Sandro Penna è certamente quella semplicità che è capace di rendere l’emozione con immediatezza: quella sete di vita e d’amore che emana dai suoi versi è qui ancora più densa, amplificata con il gusto impressionistico delle immagini marine, nel risveglio su un treno all’alba. La malinconia del momento si stempera subito nella visione del marinaio, che conduce attraverso i rimandi dei colori bianco e azzurro all’azzurro e al bianco del mare che splende dietro il finestrino.https://cantosirene.blogspot.com/
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FOTOGRAFIA DAL WEB
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Buon San Valentino

Joverllustrazione di Loui Jover

La ferita dell’amore

JACQUES PRÉVERT

PERICOLOSO E TENERO IL VOLTO DELL’AMORE

Pericoloso e tenero
il volto dell’amore
m’è apparso la sera
d’un lunghissimo giorno.
Forse era un arciere con l’arco
o un musicante con l’arpa.
Non so più, non so niente.

La sola cosa che so è che mi ha ferita,
forse con una freccia.
Forse con una canzone.

La sola cosa che so
È che mi ha ferito
Ferito al cuore
E brucia come brucia
La ferita dell’amore.

(da Storie e altre storie, 1963)https://cantosirene.blogspot.com/2019/02/la-ferita-dellamore.html

Autunno mansueto

Autunno mansueto

SALVATORE QUASIMODOClose-up of the Italian poet Salvatore Quasimodo, winner of the Nobel Prize in literature in 1959, while smiling during an interview in his study. Milan (Italy), 1959.

AUTUNNO

Autunno mansueto, io mi posseggo
e piego alle tue acque a bermi il cielo,
fuga soave d’alberi e d’abissi.

Aspra pena del nascere
mi trova a te congiunto;
e in te mi schianto e risano:

povera cosa caduta
che la terra raccoglie
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(da Oboe sommerso, 1932)

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La similitudine tra l’autunno e la propria condizione – nella sua concezione di vita – viene facile al Premio Nobel siciliano Salvatore Quasimodo (1901-1968): è la solita pena già espressa non solo dallo stesso autore nella celeberrima “Ognuno sta solo sul cuor della terra / trafitto da un raggio di sole. / Ed è subito sera”, ma cantata nel corso dei secoli da Omero a Leopardi, da Mimnermo a Ungaretti.

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Autunno

FOTOGRAFIA © STOCKSNAP/PIXABAY

CHIUDO IL TUO LIBRO

Musico cuore

 

SIBILLA ALERAMO

CHIUDO IL TUO LIBRO

a Dino Campana

Chiudo il tuo libro,
snodo le mie trecce,
o cuor selvaggio,
musico cuore…

con la tua vita intera
sei nei miei canti
come un addio a me.

Smarrivamo gli occhi negli stessi cieli,
meravigliati e violenti con stesso ritmo andavamo,

liberi singhiozzando, senza mai vederci,
né mai saperci, con notturni occhi.

Or nei tuoi canti
la tua vita intera
è come un addio a me.

Cuor selvaggio,
musico cuore,

chiudo il tuo libro,
le mie trecce snodo.

Mugello, 25-7-1916

(da Un viaggio chiamato amore, Feltrinelli, 2000 – a cura di Bruna Conti)

Addentriamoci ancora nella tormentata storia d’amore tra Dino Campana e Sibilla Aleramo (1876-1960): la poetessa si trova a passare quindici giorni di villeggiatura in una casa di campagna prestata da amici a Borgo San Lorenzo, “La Topaia” e tiene un serrato scambio epistolare con il poeta toscano, che non ha ancora incontrato: “Volevate un mio ritratto, e invece vi mando delle parole, stampate! Mah, le fotografie non mi somigliano. Ci vedremo, una volta”. La poesia, scritta a inchiostro, su una sola facciata, è una sorta di dicotomia tra vita e cuore, tra poesia e realtà, e venne inviata a Campana qualche giorno prima dell’incontro dei primi di agosto a Marradi: da allora nell’epistolario passeranno dal “voi” al “tu”: “Tremo aspettando che tu mi scriva, M’hai amato, quei giorni. T’ho avuto tutto nel primo sguardo, così interamente”.

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Aleramo

SIBILLA ALERAMO RITRATTA DA MARIO NUNES VAIS

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da https://cantosirene.blogspot.com/2017/07/