Una volta c'era un mercante che doveva partire per un suo viaggio ma aveva paura a lasciar sola a casa la figlia, perché c'era un Re che le aveva messo gli occhi addosso. - Figlia mia, - le disse, - io parto, ma tu mi devi promettere che non metterai il naso fuori di casa e che non aprirai a nessuno, finché io non sarò tornato. Questa figlia aveva quel mattino visto su di un albero fuor della finestra un bel pappagallo. Era un pappagallo ben educato e la ragazza aveva preso a far con lui conversazione con gran divertimento. - Caro papà, - ella disse, - mi piange il cuore di restar a casa sola, ma almeno potessi avere un pappagallo che mi tenga compagnia. Il mercante, che non vedeva che per gli occhi di questa figlia, andò subito a cercarle un pappagallo. Trovò un vecchio che ne vendeva uno per poco. Così regalò il pappagallo alla figlia, e dopo averle fatto ancora mille raccomandazioni partì per il suo viaggio. Appena il mercante fu partito, il Re cominciò a studiare il modo di raggiungere la ragazza. E messosi d'accordo con una vecchia, la mandò a portarle una lettera. Ma intanto la ragazza aveva preso a discorrere col pappagallo. - Cosa mi racconti, pappagallo? - Ti racconterò una bella storia. C'era una volta un Re che aveva una figlia. Era figlia unica, senza fratelli né sorelle e non aveva con chi giocare. Allora le fecero una bambola grande quanto lei, col viso come lei, vestita come lei. Dappertutto dove andava si portava dietro questa bambola e non si capiva chi era lei e chi era la bambola. Un giorno mentre il Re con la figlia e la bambola andavano in carrozza per un bosco, li assaltarono i nemici e ammazzarono il Re e portarono via la figlia, e la bambola rimase nella carrozza abbandonata. La ragazza si mise a piangere così forte, che i nemici preferirono lasciarla andare e così lei se ne andò sola per il bosco. Arrivò alla Corte d'una Regina e ci si mise a servizio. Era tanto brava, che la Regina le s'affezionò. Le altre serve cominciarono a portarle invidia e per farla cadere in disgrazia le dissero: "Sai, la padrona ti vuol proprio bene e ti dice tutto; ma non t'ha detto una cosa che noialtre sappiamo e tu no: cioè che aveva un figlio che è morto". La ragazza allora andò dalla Regina e le disse: "Maestà, è vero che lei aveva un figlio che è morto?" A sentir quelle parole, la Regina quasi svenne; bisogna sapere che guai se lo sentiva ricordare, anzi aveva messo la pena di morte per chi le parlasse di quel figlio morto. Anche la ragazza doveva essere condannata a morte, ma la Regina ne ebbe un po' pietà e la fece rinchiudere in un sotterraneo. Chiusa nel sotterraneo, la ragazza si disperava: non volle toccar cibo e passò la notte a piangere. A mezzanotte stava lì piangendo, quando sentì rumor di catenacci e vide passare cinque uomini: quattro erano maghi e il quinto era il figlio della Regina loro prigioniero che lo portavano a fare quattro passi. In quel momento, il pappagallo fu interrotto da un servitore che veniva a portare una lettera alla figlia del mercante. Era una lettera del Re, che finalmente era riuscito a fargliela arrivare. Ma la ragazza voleva sentire il seguito del racconto che era proprio sul più bello e disse: - Non ricevo lettere finché non torna mio padre. Non mi disturbate. Pappagallo, continua la tua storia. Il servitore tornò via con la lettera e il pappagallo continuò: - Alla mattina i carcerieri videro che la prigioniera non aveva mangiato e lo riferirono alla Regina. La Regina la chiamò, e la ragazza le disse che suo figlio era vivo, prigioniero di quattro maghi nel sotterraneo, e ogni notte a mezzanotte lo portavano a far quattro passi. La Regina mandò giù dodici soldati armati di pali di ferro, che ammazzarono i maghi e liberarono il figlio della Regina. E la Regina lo diede come sposo alla ragazza che l'aveva salvato. Il servitore bussò di nuovo insistendo perché la padroncina leggesse la lettera del Re. - Bene, adesso la storia è finita; posso leggerla, - disse la figlia del mercante. - No che non è finita, ce n'è ancora un pezzo, - s'affrettò a dire il pappagallo. - Sta' a sentire: la ragazza non volle sposare il figlio della Regina. Si contentò d'una borsa di monete e d'un vestito da uomo e andò in un'altra città. Il figlio del Re di questa città era malato e nessun medico era buono a guarirlo: da mezzanotte fino al mattino, stralunava e straparlava come un dannato. Arrivò la ragazza vestita da uomo e disse che era un medico forestiero; e che lo lasciassero una notte col malato. Prima cosa, guardò sotto il letto, e vide che c'era una botola. Scese giù per quella botola e si trovò in un lungo corridoio, con un lume in fondo. In quel momento, bussò il servitore e disse che c'era una vecchia che voleva esser ricevuta e diceva d'esser sua zia. (Non era zia niente affatto, ma era la vecchia che veniva da parte del Re). La figlia del mercante, però, non vedeva l'ora di sapere come finiva il racconto e disse che non riceveva nessuno. - Continua, pappagallo, continua a raccontare. E il pappagallo continuò: - La ragazza andò fino a quel lume e vide una vecchia che faceva bollire in una caldaia il cuore del figlio del Re; perché quel Re aveva fatto morire il figliolo di quella vecchia. La ragazza le portò via il cuore dalla caldaia, lo fece mangiare al figlio del Re e lui guarì. Il Re disse: "Avevo promesso metà del mio stato al medico che avrebbe guarito mio figlio, tu sei una donna, sposerai mio figlio e diventerai regina". - È una bella storia, - disse la figlia del mercante, - adesso che è finita posso ricevere quella donna che dice d'essere mia zia. - No che non è finita, - disse il pappagallo. - Ce n'è ancora un pezzo. Sta' a sentire. La ragazza vestita da medico, non volle sposare neanche quel figlio di Re e tornò a andar via, e andò a un'altra città dove c'era il figlio del Re stregato che non poteva parlare. La ragazza si nascose sotto il letto e a mezzanotte vide che entravano due streghe dalla finestra, gli toglievano una pietruzza di bocca e allora lui parlava; prima di andarsene gli rimettevano in bocca la pietruzza e lui restava muto. Bussarono alla porta, ma la figlia del mercante, tutta intenta al racconto, non sentì nemmeno. Il pappagallo continuò. - La notte dopo, quando le streghe posarono la pietruzza sul letto, lei tirò le lenzuola, la fece cadere e se la mise in tasca. Alla mattina le streghe non trovarono più la pietra e dovettero scappare. Il figlio del Re era guarito. La ragazza fu nominata medico di Corte. Continuavano a bussare, la figlia del mercante stava per dire: "Avanti!" ma prima chiese al pappagallo: - Continua ancora la storia o è finita? - Continua, - disse il pappagallo. - Sta' a sentire: la ragazza non volle restare come medico di Corte e andò in un'altra città. Là dicevano che il Re di questa città era impazzito. Aveva trovato una bambola in un bosco e se n'era innamorato: stava chiuso nella sua stanza a contemplarla e piangeva perché non era una donna viva. Si presentò la ragazza: "Questa è la mia bambola!", esclamò. "E questa è la mia sposa!", disse il Re vedendola identica alla bambola. Bussarono ancora alla porta e il pappagallo non sapeva più come continuare la storia. - Aspetta, aspetta, ce n'è ancora un pezzo, - diceva, ma non sapeva andare avanti. - Apri, apri, sono tuo padre, - disse la voce del mercante. - Ah, ecco, la storia è finita, - fece il pappagallo. - Il Re sposò la ragazza e vissero insieme felici e contenti. La ragazza finalmente corse ad aprire la porta e ad abbracciare suo padre, di ritorno dal viaggio. - Brava la mia figlia che non s'è mossa da casa, - disse il mercante. - E il pappagallo? Andarono per vedere il pappagallo ma al suo posto trovarono un bel giovane. - Mi perdoni, signor mercante, - disse il bel giovane, - io sono un Re che s'era travestito da pappagallo perché innamorato di sua figlia. Sapendo che un altro Re mio rivale voleva rapirla, mi sono presentato sotto le spoglie d'un pappagallo per intrattenerla onestamente e impedire al mio rivale di tessere i suoi intrighi. Credo d'esserci riuscito e di poter chiedere la mano di sua figlia. Il mercante acconsentì. La figlia sposò il Re che le aveva raccontato la fiaba e l'altro Re morì di rabbia.
@Italo Calvino.