MIRIAM

Lo guardava con curiosità mista a uno strano desiderio mentre lo ascoltava parlare della sua giornata lavorativa. Osservava in modo apparentemente distratto la sua bocca muoversi e seguiva ogni minimo movimento sentendo salire dentro di sè qualcosa di caldo che irradiava nel petto e saliva al collo e al viso. E pensava che aveva voglia di stendersi sul tavolo per raggiungere quelle labbra e baciarle fino a sentirlo sciogliersi…

Era lei quella che aveva quei pensieri? Sì, Miriam era anche quella e all’improvviso Andrea parve accorgersene e smise di parlare. Si avvicinò e la fissò con sfacciata provocazione allungando una mano sul suo tubino nero, sulla coscia, facendo scivolare il tessuto fino a scoprire il pizzo della calza mentre lei tratteneva il respiro. La carezzò e sentendo che Miriam era eccitata sfilò lentamente la mano, la fece alzare e la guidò verso l’uscita del ristorante sfiorando il suo fianco…..

Mano sulla coscia: che rischio?

DIVAGAZIONI

Scaricò velocemente la spesa dall’auto e la depositò nell’atrio del palazzo.

Di corsa riprese la guida del veicolo e andò a parcheggiare sul retro.

Lentamente ritornò verso casa e, quando giunse al cancello, si accorse della luna… luna piena che illuminava la serata buia.

Si fermò con il naso per aria, cominciò a contare le stelle ma s’interruppe subito di nuovo attratta dal disco color latte…

Immobile, inspirò profondamente, trattenne il fiato per qualche secondo e poi espirò con forza abbandonando le braccia e le spalle come a liberarsi di un grande peso. Quello della solitudine, sempre presente quando avrebbe avuto voglia di compagnia e ugualmente assente quando avrebbe desiderato di stare sola con sé stessa.

Destino di tutti gli esseri umani… forse anche degli animali, spesso costretti a colmare i vuoti dei padroni…

All’improvviso si ricordò della spesa, spinse il cancello, salì i gradini e cominciò a programmare mentalmente la cena… in fondo era un bel diversivo…

Una Serata All'osservatorio di Montarrenti Per Ammirare La Luna Piena | Valdelsa.net

MATILDE

La serata era calda, di quel caldo estivo che quest’anno non si era ancora avuto la fortuna di assaporare; le strade quasi vuote, troppo presto per la passeggiata serale.

Matilde camminava lentamente verso la parte vecchia del paese, quel rione pieno di case ristrutturate mantenendo lo stile originale e i materiali dell’epoca, quei mattoni che, interrotti dalle ringhiere delle terrazze, davano calore al quartiere accogliendo vasi di gerani rampicanti e surfinie multicolore. I lampioni in ferro battuto appesi ai muri della lunga e stretta strada contribuivano a creare l’atmosfera vacanziera illuminando i tavoli pieni di gruppi di amici che ridevano assaporando il cibo innaffiato da birre e vini locali all’esterno di pub e piccoli ristoranti.

A metà della strada che congiungeva i due archi che davano accesso al rione, un piccolo palco e una cinquantina di sedie in plastica per il pubblico. In sottofondo del jazz classico registrato, sul palco tre giovani uomini e un quarto con qualche anno in più accordavano gli strumenti: un violino, due chitarre classiche e un contrabbasso.

Matilde si sedette in quarta fila e attese che l’esibizione cominciasse rispondendo a qualche sms.

Quando i musicisti diedero inizio alla serata con alcune parole di presentazione del gruppo e del genere musicale, Matilde cambiò la modalità del cellulare in “vibrazione” e si lasciò trasportare dalla musica dixie magistralmente suonata.

Dopo il primo brano, qualcuno venne a sedersi alle sue spalle. Di sfuggita percepì che si trattava di due uomini, ma non poté vederli e si reimmerse nella musica. L’abito rosso che indossava non la rendeva certo invisibile, e del resto l’aveva indossato proprio per questo, ma la strana sensazione di essere invasa la mise un po’ a disagio. Non poteva girarsi, ma era certa che uno dei nuovi arrivati la stesse osservando, o meglio, probabilmente stava studiando il suo tatuaggio alla base del collo che destava sempre un po’ di curiosità. Era giunta a questa conclusione perché aveva sentito un calore particolare proprio in quel punto poco dopo l’arrivo dello sconosciuto.

Giorgio ascoltava la musica con piacere, ma il tatuaggio alla base del collo della donna seduta davanti a lui lo attraeva e lo distraeva. Chissà com’era, che lineamenti aveva il suo viso, se era carina o no. Troppo timida no, non avrebbe indossato un abito rosso, e poi era da sola, la sedia accanto a lei era libera. Le piaceva la musica ed era selettiva, altrimenti non sarebbe venuta a un concerto così particolare, ci voleva del gusto. E doveva saper ballare, perché man mano che la musica si diffondeva, lei si muoveva leggermente seguendo il tempo. Sempre più attratto da lei, Giorgio pensava a come attaccare bottone con la donna. Chissà come si chiamava. Dal tatuaggio i suoi occhi risalirono lungo il collo sottile fino alla nuca, lasciata scoperta dal taglio corto dei capelli scuri. Accidenti, un certo calore lo stava pervadendo; quel collo, la nuca, Dio come avrebbe voluto baciarli! Ma cosa gli stava succedendo? Sembrava un ragazzino ai primi turbamenti e non riusciva a togliere gli occhi da lei.

Luca gli stava dicendo qualcosa, ma Giorgio era distratto e dovette chiedergli di ripetere. Il suo amico lo guardò con aria interrogativa e, seguendo lo sguardo di Giorgio fisso su Matilde, rinunciò a ripetere il commento di apprezzamento per il gruppo musicale. I due amici si conoscevano da anni e Luca sapeva bene cosa avesse passato Giorgio mesi prima quando Laura lo aveva lasciato dopo cinque anni di convivenza, e sorrise al vedere l’amico riemergere dal suo periodo nero; era evidente che Giorgio cominciava a prendere in considerazione un cambio di vita e forse quella sera Luca sarebbe tornato in albergo da solo…

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MARIANNA

Era così, stasera l’aveva capito e in qualche modo non era sorpresa, in fondo l’aveva sempre saputo che non era ancora pronta a rischiare di nuovo. Aveva bisogno di tempo per dimenticare e chissà se avrebbe avuto abbastanza tempo per dimenticare e poi ricominciare. Marianna non aveva mai sentito il peso dell’età fin quando Renato non l’aveva lasciata scappando, come aveva già fatto un anno prima. Se era onesta con se stessa, si era sempre sentita precaria, tutte le volte che avevano discusso e ammesso che erano completamente diversi, per carattere, interessi e idea di un rapporto sentimentale, e si era chiesta per quanto tempo avrebbero potuto andare avanti. 

Ogni volta però aveva scacciato quella sensazione e si era detta che in fondo non esistono rapporti perfetti, perchè le persone non sono perfette, e quindi andava bene così. Le risate, gli sguardi, le battute, le notti d’amore e le canzoni che avevano accompagnato i momenti condivisi e avevano dato un senso a tutto l’avevano convinta che sarebbe durata a lungo, forse anche per sempre.

Ma non era stato così e adesso i ricordi facevano male e tornavano ogni volta che Fulvio partiva alla carica e la bloccavano. Le ricordavano che le relazioni fanno soffrire e lei non ce la faceva, non poteva, non ci riusciva. Era stanca di vivere con la paura di dover affrontare l’ennesimo fallimento.

Eppure c’era qualcosa in fondo da qualche parte che sorprendentemente e inaspettatamente ogni tanto si faceva spazio e usciva dandole il coraggio di rischiare e buttarsi avanti. Una sorta di desiderio incosciente di scoprire che non era sempre così, che non necessariamente le cose dovevano finire male, c’era anche la possibilità che qualcosa nato per caso si rivelasse meglio del previsto.

“Io rimango qui, io rimango qui
che non ho ancora paura
di dare via la pelle, vivere come stelle,
vivere per me”
(da “Vertigine”, Levante)

Paura di amare? – Il Golfo 24

 

IRENE

La voce… questo l’aveva colpita, la voce di lui al telefono. Una voce calda, pacata, rassicurante ma allo stesso tempo intrigante… e le pause, quelle pause che lui faceva in attesa che lei si esprimesse, che dicesse qualcosa, che commentasse nel bene o nel male. Lui aspettava, paziente, curioso, sicuro che prima o poi lei si sarebbe sbilanciata… e si divertiva…

Ma lei l’aveva capito, eccome se l’aveva capito, e faceva lo stesso gioco, aspettava… In verità lei non parlava facilmente, o meglio, parlava sempre tanto, forse a volte persin troppo, ma non in quei momenti. No, quei momenti se li godeva fino in fondo, a occhi chiusi, i sensi tesi a captare ogni minima sensazione, ogni cambio d’intonazione, ogni vibrazione di quella voce ormai familiare… accoglieva ognuna di queste cose dentro di sè nel profondo, le custodiva gelosamente in attesa di un incontro che chissà se sarebbe avvenuto e fantasticava…

FEDERICA

Federica, perplessa, sorseggiava una tazza di tè e smangiucchiava un pezzo  di focaccia. Sì, perchè lei preferiva fare colazione con qualcosa di salato piuttosto che dolce. Era sempre stato così, fin da bambina, le dava la carica per affrontare la giornata. E oggi aveva proprio bisogno di carica.

Ogni volta che restava sola, che una relazione finiva, faticava a mettere un  punto. Si faceva un esame di coscienza e cercava di capire perchè non avesse funzionato, era il suo lato razionale che le faceva cercare i suoi errori,quello che non avrebbe dovuto ripetere in futuro. Come una garanzia per non soffrire ancora.

Ma quale garanzia può esistere contro il rischio di vivere in pienezza i propri sentimenti?

Eppure Federica non si rassegnava e per questo era preoccupata, perchè quella sera sarebbe uscita per la prima volta con Guido, che le piaceva. E come le piaceva! L’aveva conosciuto al supermercato, facevano entrambi la spesa con porzioni per single e i carrelli si erano scontrati. Uno sguardo, qualche parola di scuse e una risata imbarazzata eavevano finito per scambiarsi i numeri di cellulare. Qualche chiacchierata serale e ieri lui l’aveva invitata a cena e lei aveva paura di rovinare tutto per paura, paura di mettere quel famoso punto e provare a ricominciare…

Ma poi perchè si agitava tanto? In fondo era solo una cena informale in un bistrot di specialità umbre. E poi Guido le piaceva, almeno a pelle e per quel poco che l’aveva conosciuto: era semplice, rilassante. Lei invece era troppo contorta e non riusciva a godersi le cose man mano che accadevano, come se la tragedia fosse sempre incombente. Eppure era una donna intelligente, in gamba sul lavoro, una vera amica, di quelle che piantano lì tutto se qualcuno ha bisogno. Appunto, tutto questo altruismo era certo molto bello ma sotto sotto diventava un alibi per non occuparsi di sè e a volte per scappare dalle nuove esperienze sentimentali, troppo impegnata, poco tempo.

Ma il brivido che provava quando sentiva la voce di Guido, quando lui la guar-dava con quel sorriso aperto ma un po’ malizioso, era qualcosa che le dava la scossa, le annebbiava la mente e le toglieva il fiato…

Ok, ce la poteva fare! Poteva cominciare a rilassarsi per godersi la serata e chissà, lasciarsi andare…

GIADA

Giada guardava fuori dalla finestra e rifletteva sulla serata. La cena era andata bene e tutti si erano amalgamati e divertiti, ma nonostante tutto lei era irrequieta. Leo l’aveva tenuta d’occhio tutto il tempo con aria incuriosita e a tratti sfacciata, quasi a spogliarla con lo sguardo. Aveva poi approfittato di ogni occasione per passarle accanto e sfiorarla, facendola rabbrividire ogni volta.

Era sfrontato e sicuro di sè,  mentre lei di certezze non ne aveva più, si sentiva confusa e smarrita, ma non voleva che lui se neaccorgesse, gli avrebbe lasciato troppo vantaggio e lei ancora non sapeva decidere se lasciarsi andare o restare sulla difensiva. Aveva troppa paura di soffrire perchè lo sapeva, lei non era fatta per le relazioni mordi e fuggi, finiva sempre per coinvolgersi anima e corpo. Ma Leo dava l’impressione di non voler sapere cosa fosse il coinvolgimento emotivo.

Giada ci doveva pensare bene… o forse doveva chiudere gli occhi, non pensare e buttarsi senza paracadute…

Giada era spaventata ed elettrizzata dalle sensazioni fisiche che ultimamente scopriva in sè. Per una vita aveva tenuto tutto sotto controllo, anche i sentimenti, ma adesso basta, non ce la faceva più e rischiava di scoppiare. Voleva uscire allo scoperto, essere libera di sentire ed esprimersi, ma aveva paura di essere fraintesa, di essere presa per una superficiale. Come se tutto quanto è fisico non avesse relazione con l’anima! Sciocchezze, come potrebbe la fisicità rendere felici e farci sentire liberi se non fosse un unico con l’anima? Se così non fosse, come potremmo sentirci appagati e in pace con il mondo?…