Riascoltati per voi – Laurie Anderson – big science. by Jankadjstrummer

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Uno dei maggiori pregi di Laurie Anderson è quello di essere riuscita a coniugare bene il rock con le arti visiveattraverso l’ utilizzo del corpo, della tecnologia e della musica pop. Certo l’originalità dell’artista rappresenta il punto di forza del suo lavoro ma bisogna dire che tante sono le influenze, da John Cage alle performance dei Fluxus oltre al forte sodalizio sia artistico che sentimentale con Lou Reed. I suoi video sono fortemente innovativi, una bella commistione di poesia metropolitana, suoni e musica sperimentale. La sua carriera parte a metà degli anni ’70 e culmina con un capolavoro “United States I-IV”, quasi otto ore di performance multimediale che vede la pubblicazione solo nel 1984 ( la bellezza di cinque album ). La performance vede infatti la Anderson recitare e suonare davanti a uno schermo su cui diversi proiettori riversano immagini, filmati e giochi di luce, illustrando un grande ritratto dell’America in quattro parti (trasporti, politica, soldi, amore) e concentrandosi sull’idea degli Usa come terra dell’utopia tecnologica.
Un altro tema del suo lavoro è l’ accettazione e la convivenza con la tecnologia, per lei non è “buona o cattiva”, dipende da come la si usa. Riferendosi a Internet ha dichiarato “ Molta gente crede che la tecnologia impedisca di comunicare e’ come dire che la matita e’ dannosa… Non e’ la matita che è dannosa, ma e’ il come la usi che può
renderla dannosa. Quindi il problema non e’ la tecnologia, ma come questa viene utilizzata.
Da questo lavoro, però, la Anderson aveva già estratto delle perle che avevano dato vita nel 1982 all’album “Big Science” che considero il suo
capolavoro. Anche gli ascoltatori meno attenti non hanno potuto fare a meno di ascoltare la hit dell’ album “O Superman (For Massenet)”, utilizzata alla fine degli anni ’80 nello spot per la campagna di sensibilizzazione sull’ “AIDS”, un filtro vocale sulla recitazione del brano, due accordi vocali che sembrano provenire da un freddo robot creano un brano ossessivo, inquietante che ben si adatta al clima della “ peste del xx° secolo.
Il pezzo si apre con un messaggio in segreteria telefonica (“Hello? This is your mother.”), poi prosegue con un testo ironico “Quando l’amore è perso c’è sempre la giustizia. Quando la giustizia è persa c’è sempre la forza. Quando la forza è persa c’è sempre la mamma”. il finale è inquietante ed apocalittico c’è un chiaro riferimento alla crisi USA-IRAN del 1979 ma anche una spaventosa invocazione “Così tienimi, Mamma, tra le tue braccia/ le tue braccia petrolchimiche/ le tue braccia militari/ le tue braccia elettroniche”. Questo pezzo è un misto di sinistra ironia dipinge
una America come una grande mamma che protegge i suoi figli ma li tiene soggiogati “Gli Stati Uniti aiutano, non danneggiano, fanno sviluppare nazioni usando le loro risorse naturali e materie prime” questo è l’ ammiccante slogan.
In “From The Air” la Anderson dichiara le sue origini rock con un bel duetto batteria e sax a cui segue però un recitativo, su una base di sintetizzatori, raccapricciante “This is your Captain/ and we’re going down”,.
Il brano “ Big science “ è pura elettronica, sorretto da synth e percussioni, qui alterna il canto alla recitazione, un dialogo padre e figlia sui grandi temi dell’ecologia e della filosofia , si tratta, insieme al singolo, del momento più alto dell’album.
Poi c’è la ludica “Sweaters” intrisa di cornamuse, “Walking & Falling” bel pezzo in cui l A riesce a creare tensione esclusivamente con la recitazione e pochissimi suoni sparsi. “Born, Never Asked” ricorda molto lo stile di Peter Gabriel peraltro molto legato alla Anderson con cui ha collaborato nell’album” So” e con un bel finale di assolo di violino.
Segue poi “Example # 22” pieno di vocalizzi e ma supportata da numerosi strumenti: violino, flauto, sax tenore e baritono, e clarinetti che dimostra come l’aspetto musicale non sia mai stato per lei secondario, anzi credo che peschi a piene mani dal rock per poterlo contaminare con le arti visive, creando un bellissimo spettacolo multimediale.
Anche “Let x =x” è allegra, tastiere, marimba e hand clap
e nel finale un bel virtuosismo di trombone.
Nell’ultimo brano “It Tango” continua il dialogo iniziato in “ Big science “ in cui i due personaggi dialogano ma non riescono a comunicare, un altro grande tema vissuto con un atteggiamento contraddittorio tra un approccio creativo ed umano alla tecnologia e la paura della propria alienazione. Credo che sia nella ricerca e nella sua dignità artistica la grandezza della Anderson, lei ha sempre mantenuto la barra dritta, non si è fatta condizionare ed ha rinunciato ai facili successi, per crearsi un immagine di artista globale, apprezzata e stimata dai grandi nomi del rock d’avanguardia, non ha caso il genio di Brian Eno ha realizzato nel 1994 con lei lo stupendo album “Bright Red”. Buon ascolto JANKADJSTRUMMER
1. From The Air
2. Big Science
3. Sweaters
4. Walking & Falling
5. Born, Never Asked
6. O Superman (For Massenet)
7. Example #22
8. Let x =x
9.It Tango
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DISCHI STORICI RIASCOLTATI PER VOI – THE SMITHS / THE QUEEN IS DEAD – by Jankadjstrummer

smithsTHE SMITHS  / THE QUEEN IS DEAD

The Queen Is Dead  degli Smiths viene pubblicato nel giugno 1986; siamo in Inghilterra in piena epoca Tachteriana, il disco doveva originariamente intitolarsi “Margaret On The Guillotine”  e doveva essere l’ennesima bordata alla Lady Thatcher che finisce al patibolo, con tanto di colpo di lama finale – questa storia costerà a Morrissey una visita a casa con perquisizione da parte della polizia. Il disco mette in risalto la forte insofferenza nei confronti di un paese decaduto sia dal punto di vista morale che da quello politico. Qualcuno ritiene che è  riduttivo interpretare il titolo e l’opera nel suo insieme in una chiave esclusivamente anti-inglese, la crisi a cui gli Smiths fanno riferimento riguarda le illusioni, le speranze collettive di cui sono nutriti i grandi movimenti libertari dei decenni precedenti ridotte a macerie e solitudine. Musicalmente il disco è in perfetto stile  smithsiano ed entra di fatto nella storia del rock britannico più degli altri perchè qui sono nate le perle più pure e convincenti della coppia Morrissey/Marr vere anime della band. Da questo punto di vista il lavoro è perfetto la voce di Morrissey è ai suoi apici interpretativi: i brani sono “Cemetery Gates” un country-rock dal sapore antico su cui ruota un bel giro di basso, “Bigmouth Strikes Again” e “The Boy With The Thorn On His Side”, sono dolci melodie vocali sulla quali Morrissey  tesse le sue trame, due pezzi leggeri ma intensi ed ancora “There Is A Light That Never Goes Out” una canzone senza fine, al tempo stesso elegante ed essenziale che ricorda vagamente la migliore canzone francese Anche i pezzi della prima metà del disco catturano l’ascoltatore: “The Queen Is Dead” è una composizione di oltre sei minuti è rappresenta il pezzo più sperimentale dell’album. “Frankly, Mr. Shankly” è un ritornello scanzonato mentre “I Know It’s Over” è un altro pezzo interessante di soul  leggero e malinconico.                   Il clamoroso successo del disco è accompagnato dalle inevitabili polemiche sulle sortite anti-monarchiche di Morrissey che in un’intervista va giù pesante: “Disprezzo la famiglia reale. L’ho sempre disprezzata. E’ un non-sense fiabesco, l’idea stessa della loro esistenza in giorni come questi, durante i quali la gente muore quotidianamente perché non ha abbastanza denaro per pagarsi il riscaldamento, tutto ciò è immorale”.                           Devo dire che ho riascoltato con attenzione l’album e mi sento di affermare che gli anni ’80 senza gli Smiths sarebbero stati monchi.

JANKADJSTRUMMER

RIASCOLTATI PER VOI – THE CURE “The Head On The Door” by Jankadjstrummer

“The Head On The Door”cure

Siamo a metà degli anni ’80 e i Cure si trovano ad affrontare un dilemma, un dubbio amletico che riguarda il loro futuro: continuare nella deriva delle ossessioni quasi apocalittiche dell’album “Pornography” o abbracciare definitivamente la pura sperimentazione come avevano fatto con il deludente “ The top”, la scelta è chiaramente affidata a Robert Smith che tiene ben saldo il timone del comando rinnovando per l’ennesima volta la line-up del gruppo, l’ex batterista Lol Tolhurst, infatti, passa alle tastiere, rientra il bassista Simon Gallup dopo la parentesi solista, rientra anche Porl Thompson, chitarrista della prima stagione Cure mentre a Boris Williams vengono affidate le drums. Con questa nuova formazione viene alla luce  “The Head On The Door” un disco che possiamo definire una rinascita dopo anni in cui i Cure erano scesi negli inferi dell’animo umano ma riuscendo comunque a rimanere a galla, una rinascita sulla strada del pop-rock melodico che vuole strizzare l’occhio alle classifiche e ai passaggi radiofonici ma senza perdere i propri connotati di band post-punk dalle sonorità dark. Una scelta coraggiosa che avrebbe fatto gridare all’eresia, allo scandalo per qualunque altra band ma che è diventata, per loro, quasi una metamorfosi per uscire da un clichè che li stava spegnendo. Dieci brani che hanno la pretesa di chiarire che Robert Smith e soci hanno ancora qualcosa da dimostrare: possono ancora lavorare per creare qualcosa di alternativo che non sia necessariamente tristezza e depressione ma che sia piacere di creare e divertirsi nel suonare insieme. Il disco parte in maniera travolgente con “In Between Days”, in cui una chitarra ritmica e la batteria prepara una base ritmica eccezionale su cui ben si poggiano le tastiere e il basso, non più suoni tenebrosi, ma dolci e solari, una dimostrazione tangibile che i Cure sono cambiati anche se resta il contrasto tra l’apparente spensieratezza della musica e la tensione del testo. La successiva “Kyoto Song” è più distesa ma intensa, malinconica, ricorda i primi Cure , con un testo all’altezza della situazione e dotata di un fascino irresistibile (“The trembilng hands of the trembling man hold my mouth to hold in a scream”) (“Le mani tremanti dell’uomo tremante tengono la mia bocca per trattenere in un urlo”). Qui il suono dark è magico non racchiude solo incubi ma anche alcune riflessioni di Smith sull’Oriente. Ancora variazioni sul tema in “The Blood” una rilettura spagnoleggiante delle sue ossessioni religiose, bellissime chitarre acustiche in versione da flamenco moresco dagli echi arabeggianti. Molto più vicina al tipico stile Cure è “Six Different Ways”, forse il brano in cui meglio convergono le due esigenze stilistiche del gruppo. Una piacevole favola affollata di animaletti elettronici che saltellano in un bosco fatato. “Push”, uno dei momenti migliori dell’album in cui si fondono alla perfezione gli strumenti e con le chitarre ben in evidenza, un vero brano da arena del rock che potremmo definire epico anche quando la batteria di Boris Williams segna il battito del cuore e la voce di Robert grida senza esitazione “Go, go, go!”. La seconda facciata dell’album si apre con“The Baby Screams” in cui il basso di Gallup intrigante ed al tempo stesso affascinante fa da tappeto sonoro ad una canzone cantata con energia.  “Close To Me” è il manifesto dei Cure di questo periodo, un capolavoro dall’attacco indimenticabile che si regge su di una dolcissima ritmica, su una sovrapposizione di pianole e sulla voce a tratti addolcita da languidi sospiri e sussurri di Smith, una grande interpretazione e un ritornello che si insinua nella testa per non uscirne più. Il suono delle chitarre è un bel marchio di fabbrica per “A Night Like This”, un brano squisitamente dark carico di energia e ipnotismo che sale piano per chiudere, poi, in un crescendo che sfiora la perfezione.
“Screw”, è, invece, un selvaggio pezzo dance che parte da un riff di basso
per diventare a poco a poco quasi un pezzo hard. Il disco si chiude con  “Sinking”, un brano per i nostalgici del sound degli esordi, mai rinnegato dai Cure, ma che in questa fase vogliono solo rigenerarlo, un brano costruito in maniera magistrale in cui c’è una perfetto percorso nei meandri dei sogni dark di Robert Smith. Con “The Head On The Door” credo si sia raggiunta la perfetta alchimia tra il pop e il dark, un risultato ottenuto con sofferenza da Robert Smith che ha avuto la capacità di capire che essere fragile e sensibile non sempre è l’anticamera della depressione ma a volte fa scoprire che c’è sempre un’altra faccia della medaglia e che spesso possa esserci una               “ tristezza allegra”.  Jankadjstrummer

  1. “Inbetween Days”
  2. “Kyoto Song”
  3. “The Blood”
  4. “Six Different Ways”
  5. “Push”
  6. “The Baby Screams”
  7. “Close To Me”
  8. “A Night Like This”
  9. “Screw”
  10. “Sinking”

 

 

RIASCOLTATI PER VOI DEEP PURPLE IN ROCK 1970 by Jankadjstrummer

 

 

 

deep purple

DEEP PURPLE  “ IN ROCK

 tracklist

  1. Speed king
  2. Bloodsucker
  3. Child in time
  4. Flight of the rat
  5. Into the fire
  6. Living wreck
  7. Hard lovin’ man

Il disco esce nel 1970 ma viene nelle mie mani solo nel 1973 quando nei pomeriggi di studio a casa di un mio compagno di scuola saccheggiavamo la discoteca fornitissima di rock dei suoi fratelli maggiori ed ascoltavamo questo Deep Purple in rock con uno scassatissimo giradischi Lenco. Già la copertina faceva volare l’immaginazione, era raffigurata la Band scolpita nella famosissima montagna di Rushmore  al posto dei  volti dei 4 presidenti americani quasi a voler significare che con questo disco veniva scolpito  per sempre nella roccia il loro rock aggressivo che miscela tanto blues con influenze sinfoniche che la voce di Ian Gillan rende maestosa. Riascolto per intero questa pietra miliare del rock questa volta senza il gracchiare della puntina sul giradischi ma in versione rimasterizzata con la cuffia dell’I-Phone che rende il suono limpido ed avvolgente. Partono le prime note incendiarie di “Speed King “ chitarra ed organo che svisano in un suono grintoso quasi  assordante, tutto scema per lasciare il posto ad un dolce organo che tranquillizza prima di far ripartire le note veloci ed agguerrite che ti scuotono anche fisicamente. Ian Gillan si lascia andare ad un vocalizzo hard che diventerà il suo biglietto da visita il suo marchio nel prosieguo della carriera della band.  Il secondo brano  “Bloodsucker” è anch’esso un esempio di hard rock che farà scuola, un blues viscerale ma nello stesso tempo elegante dove i virtuosismi di Blackmore e Lord si intrecciano. Questi primi due brani danno il polso della loro grandezza: suoni hard, chitarre strazianti che fanno da contraltare ad melodia raffinata, ricercata. La prima facciata termina con uno dei loro capolavori di sempre “Child in Time”: un blues in crescendo che esonda in urli disperati di Gillan e in progressioni strumentali che toccano tutta la band, batteria, basso, tastiere e che conducono in un finale di gran classe che si ascolta inevitabilmente ad alto volume. Oltre dieci minuti di musica ben costruita che rimarrà nella storia del rock. E’ necessario un attimo di tregua, le mie orecchie e il mio stomaco sono in subbuglio, prima di far partire la seconda facciata affidata a “Flight of the rat” un classico brano hard rock in cui viene messa ben in evidenza la coralità, il gruppo. E’ un brano semplice in cui ogni musicista entra in scena con un suo assolo, chitarra, basso, tastiere per poi stringersi attorno alla melodia principale.  Seguono poi due brani “Into the fire” e “Living wreck” che non sono dei gran capolavori ma che tuttavia sono classici hard rock  suonati sempre ad un certo livello. Il disco si chiude con un brano particolarmente rovente “Hard lovin’ man”, che parte in maniera quasi psichedelica per sfociare in un suono energico, violento  non frequente nel 1970. I Deep Purple, con questo lavoro, hanno raggiunto alte vette compositive elevandolo a disco manifesto dell’hard rock. E’ un grande disco,imprescindibile e fondamentale per tutti gli amanti del rock che ne dovrebbero tenere una copia a ‘mo di cimelio.                                                        Buon ascolto o riascolto da JANKADJSTRUMMER

RIASCOLTATI PER VOI – THE BLACK KEYS – EL CAMINO – 2012 by Jankadjstrummer

EL CAMINO

THE BLACK KEYS –  EL CAMINO –

Da queste pagine avevo già decantato le gesta di questo formidabile duo proveniente da Akron all’indomani dell’uscita del loro album “Brothers”, peraltro pluripremiato con i  Grammy e gli MTV Award, ma, a questo punto, mi sento di confermare che i Black Keys con questo nuovo disco “ El camino”, sono la band più cool del mainstream alternativo di questo inizio di 2012, sono, ormai,  al 4°/5° ascolto del disco e mi sono convinto che si tratta di un vero gioiello perché coniuga con perizia un certo tipo di rock & roll rumoroso, randagio, una musica immediata, viscerale, che ben si concilia con la vera natura del rock americano fatto di lunghe strade che tagliano in due il deserto, motel che i Black Keys percorrono a bordo di quel furgone Chrysler della copertina del disco. Un viaggio rock attraverso gli Stati uniti che Dan Auerbach alla chitarra e Patrick Carney alla batteria hanno voluto musicare durante il loro tour dell’anno scorso. Il disco è tiratissimo veloce ma questa volta non esplora il soul e il funk come avvenne per “brothers” ma vira invece sul rock’n’roll di maniera di quello che si lascia ascoltare, direi cullare, un rock che dà poco importanza ai testi che diventano, solo, un ausilio della musica.

Metto, virtualmente, il disco sul piatto è sono spiazzato da un brano geniale che parte con riff di chitarra irresistibile Lonely Boy, pezzo azzeccatissimo come è azzeccato il divertente video che gira in rete, un mix esplosivo di blues e di funk anni ’70. Si procede con “Dead and gone”, che non risparmia accenni pop in stile Motown, mentre “Gold on the ceiling” con un bel ritornello, è ricco di cori che starebbero benissimo in un film di Tarantino, un bel colpo di acceleratore di quel sgangherato furgoncino che percorre le polverose strade americane. Dopo questo trittico adrenalinico bisogna fermarsi un attimo a riprendere fiato, cosi parte una dolce ballata che per un certo modo di arpeggiare con la chitarra acustica che ricorda molto “Stairway to heaven” dei Led Zeppelin, si tratta di  “Little black submarines”, che parte leggera e struggente per proseguire poi con un crescendo in stile garage-rock che funziona alla perfezione. La sosta all’Autogrill è brevissima perché “ el camino”  riparte alla grande con il ritmo incalzante e  con la chitarra rabbiosa di  “Money maker”, poi la seducente carica funk di “ sister “ rapisce ai primi accordi con il suo avvolgente ritornello, una canzone, forse la più bella dell’album,  che mette in mostra la splendida voce quasi black del bianco Dan Auerbach in cui si sente la mano magica del produttore e musicista  Danger Mouse che sin dall’album ai tempi di Attack & Release del  2008 è divenuto il terzo elemento dei Black Keys

Poi c’è “Stop stop” un bel brano di soul farcito di bellissimi fraseggi di slide-guitar che dimostrano, se non ce ne fosse bisogno, che parliamo di un duo di inguaribili e sentimentali nostalgici del blues, gli altri brani “Hell of a season” e “Nova baby”  come spesso accade non eccellono, sono un po’ “per far ciccia “ tuttavia abbastanza gradevoli. L’album si chiude con un bel brano Mind Eraser che parla di un amore perduto e ci conduce alla fine di questo meraviglioso viaggio “on the road” con ancora la polvere in bocca.  I Black Keys con questo disco ci dimostrano che è ancora possibile suonare un rock’n’roll genuino non edulcorato in cui ci si lascia sopraffare dalla carica rivoluzionaria, la grandezza di questo lavoro sta in questo: mentre la musica pop va verso altre direzioni è ancora possibile innamorarsi di quella maledetta musica rock che molti danno per spacciata. Rock&roll never die!

TRACKLIST:
“Lonely boy”
“Dead and Gone”
“Gold on the ceiling”
“Little black submarines”
“Money maker”
“Run right back”
“Sister”
“Hell of a season”
“Stop stop”
“Nova baby”
“Mind eraser.

Dal vostro Jankadjstrummer