I POOH di PARSIFAL – TIMIDE STERZATE DI PROGRESSIVE by Jankadjstrummer

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I Pooh di Parsifal

Solo un paio di anni fa, a tutto avrei pensato tranne di dover scrivere un articolo sui Pooh, ma spesso accade che la nostalgia e le insistenze dei lettori tirano brutti scherzi; cosi ripesco un disco che bene o male ha accompagnato i giovinetti degli anni ’70 alle prese con i primi amori. Nelle feste in casa dei liceali era immancabile l’ LP Parsifal dei Pooh. La particolarità di questo disco sta nel timido tentativo, peraltro rimasto tale, di accostarsi alla nuova onda del  progressive. Questo album si compone di otto brani  melodici accompagnati dall’orchestra e da una suite di oltre dieci minuti che si ispira proprio a Parsifal, un dramma sacro di Wagner in cui la religiosità, il misticismo si coniuga con l’eroismo ma anche con i sentimenti. Proprio questa suite rappresenta per molti un bell’esempio di progressive proprio per la composizione ben articolata del  brano, in realtà non sono molto d’accordo con questa definizione perché ritengo che forse è più corretto parlare di pop-sinfonico con arrangiamenti ben costruiti che elevano la famosissima coppia “ Facchinetti-Negrini “, capaci di scrivere testi mistici e fantastici ed una buona musica pop. Ma Camillo Facchinetti detto Roby, Donato “Dodi” Battaglia, Stefano D’Orazio e Bruno Canzian in arte Red hanno sterzato solo per un attimo verso la sperimentazione, verso l’underground progressive scegliendo un itinerario molto più facile, che li ha portati ad un successo che dura da oltre 40 anni   ( è del 1968 “Piccola Katy” ). Ma veniamo alla suite Parsifal: dolci accordi di pianoforte danno il tempo alla narrazione del racconto che si diluisce fino alla ricerca dell’infinito. Il cavaliere senza macchia e senza peccato è alla ricerca del Sacro Graal, simbolo cristiano mistico che rappresenta  la ricerca del soprannaturale  e della vita eterna,  ma quando incontra la donna amata intesa come la vita terrena decide di rinunciare alla sua missione, e di concedersi definitivamente  alla sua amata (“le tue armi al sole e alla rugiada hai regalato ormai, sacro non diventerai“). L’amore terreno che si contrappone al sacro che in questo caso era la sua missione eroica. Torniamo però all’inizio del disco “L’anno, il posto, l’ora…” ha un testo direi epico, con una bella introduzione di chitarre arpeggiate acustiche ed elettriche molto ben congegnate. Il brano si compone di  due parti, la prima più eterea e sognante che è una metafora dell’amore irraggiungibile sfiorato solo per un attimo, con un lirismo straordinario che si fonde magnificamente con la musica , (“l‘anno il settantatrè il posto il cielo artico, l’ora che senso ha, d’estate è sempre l’alba, l’incontro di ogni giorno con l’immensità credo finisca qua) poi un crescendo di immagini che denota una prolungata attesa alla ricerca della bellezza da rivedere almeno per un istante in modo che possa imprimersi  e suggellarsi nella mente “suoni di vento e d’acqua che fermare vorrei… ma non c’è tempo ormai“, fino  a fondere in un crescendo corale sia con il suono che con la voce “e non dite a lei: non lo rivedrai, dite: non si sa, forse tornerà“, Ma come è accaduto per Parsifal la canzone, apparentemente semplice, è sempre in bilico tra il trascendente, il mistico e la vita reale, quella vera, quella vissuta, nella seconda parte infatti tornano le immagini nitide del quotidiano : “all’orizzonte là, il sole è un occhio immobile, è notte ma la notte qui d’estate è solo una parola” prima che un coro concluda con un bel fendente ben assestato affascinata e stanca la mia anima va, verso la libertà“.  Parlare degli altri brani che compongono questo lavoro diventa un pò superfluo: “Solo cari ricordi” è un branetto beat molto leggero che si ricorda per un assolo di chitarra finale., si ricorda ancora meno “Io per te per gli altri giorni”. Poi due ballate d’amore molto gradevoli in cui è ben in evidenza la chitarra e il piano “La locanda” e  “Lei e Lei”. La seconda facciata si apre con “Come si fa”  che si caratterizza per un bell’arpeggio di chitarra che apre il brano. “Infiniti noi” è un classico dei Pooh ben costruito per il successo di pubblico mentre in “Dialoghi” è molto bella la chitarra arpeggiata che poi diventa sottofondo del canto. Credo che le due perle del disco, l’apertura e la chiusura  valgano ad annoverarlo come l’unico lavoro dei Pooh meno commerciale, più di ricerca che la premiata azienda sia riuscita a sfornare. Un album romantico, epico che lavorando sulle immagini prova a descrivere emozioni e stati d’animo ancora sinceri.

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DA QUI, MESSERE, SI DOMINA LA VALLE……… LA STRAORDINARIA TRILOGIA DEL BANCO DEL MUTUO SOCCORSO by Jankadjstrummer

DA QUI, MESSERE, SI DOMINA LA VALLE………

LA STRAORDINARIA TRILOGIA DEL  BANCO DEL MUTUO SOCCORSO

Il Banco del Mutuo Soccorso è una delle formazioni di punta del rock progressive italiano, di quelli che hanno lasciato un segno tangibile nella  storia della musica pop italiana. Voglio ripercorrere con voi un periodo lontano della band che va dal 1972 al 1974  in cui Il Banco era all’apice della ispirazione e fece uscire 3 LP’s  che si possono tranquillamente definire dei piccoli capolavori del progressive italiano che proprio in quel periodo cominciava a prendere forma e ad affermarsi. Lo stile del gruppo è estremamente originale incentrato sul pianoforte classico di Gianni Nocenzi e sui suoni elettrici del fratello Vittorio e con la stupenda voce quasi tenorile di “ big” Francesco Di Giacomo, autore dei testi più belli e impegnati del prog italiano.

Banco del mutuo soccorso  (1)    (1972)
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Il disco è conosciuto come quello del “salvadanaio” , è il loro disco d’esordio e rappresenta in maniera chiara il percorso e lo stile che il gruppo vuole imprimere alla loro musica. L’introduzione è in perfetto stile medievale, Francesco di Giacomo immagina Astolfo che accompagnato dal fido scudiero e su un sottofondo musicale etereo apre pronunciando le celebri frasi “Da qui messere si domina la valle ciò che si vede, è, ma se l’imago è scarno al vostro occhio scendiamo a mirarla da più in basso e planeremo in un galoppo alato entro il cratere dove gorgoglia il tempo”; a  questo punto parte la prima suite  “R.I.P. – Requiscant in pace” una cavalcata rock in perfetto stile anni ’70 , un attacco deciso che crea tensione, c’è la descrizione della battaglia vista dagli occhi di un soldato che poi viene pugnalato “ cavalli,corpi e lancia rotte si tingono di rosso, lamenti di persone che muoiono da sole senza un Cristo che sia là “ puro lirismo ma senza nessuna retorica, la morte che avvolge tutto e che  resta nella mente del soldato  costretto ad uccidere senza saperne la vera ragione, la musica diventa quasi violenta nel suo incalzare ed anche il testo è più crudo e rabbioso fino all’ultima strofa prima che la musica si plachi e diventa più mesta,  parte la lunga e struggente voce di Di Giacomo accompagnata dal solo pianoforte, la battaglia è finita, è persa, il soldato è li  esanime e Di Giacomo riflette  sul tema della morte, bellissima l’immagine del vento che si siede e lo sguardo del soldato perso nel vuoto verso l’infinito nel vano tentativo di aggrapparsi alla vita (“e tu no, non scaglierai mai più/la tua lancia per ferire l’orizzonte/per spingerti al di là/per scoprire ciò che solo Iddio sa”).Già in un’altra occasione ho detto che la poesia del brano rappresenta uno dei più alti esempi di canzone  contro la guerra e che mi ha ricordato il magnifico affresco della “ Battaglia di Anghiari” di Leonardo da Vinci in palazzo Vecchio a Firenze, è uno dei brani che più preferisco del Banco.  Poi altre due suite prettamente strumentali “Metamorfosi” e “Passaggio” che traghettano verso la magnifica “Il giardino del mago”, qui c’è una bella metafora ambientata in un mondo fantastico, narra di un uomo che volendo fuggire dal mondo ormai crudele si rifugia  nel giardino di un mago potentissimo in cui poi  rimane intrappolato, un luogo in cui non valgono le leggi umane, un mondo sospeso dove la natura e il genere umano vivono in perfetta armonia. Di Giacomo si perde in questo mondo strano ma perfetto e non tornerà più alla realtà governata dai forti. “Coi capelli sciolti al vento/io dirigo il tempo/il mio tempo/là negli spazi dove morte non ha domini/dove l’amore varca i confini/e il servo balla con il re/corona senza vanità/eterna è la strada che va”). Dopo questa lunga suite il disco si chiude con “Traccia” un lieve divertissement tutto strumentale.

Tracklist:

  1. In volo
  2. R.I.P. Requiescant in pace
  3. Metamorfosi
  4. Passaggio
  5. Il giardino del mago
  6. Traccia

Darwin(1972)
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Sempre nel 1972 ritornano in sala di registrazione e sfornano un ambizioso concept album sulla teoria evoluzionistica: “Darwin!”, E’ la storia della vita sulla terra dall’ipotetico giorno in cui prese vita spontaneamente (Ah la madre è pronta partorirà/già inarca il grembo/vuole un figlio e lo avrà/figlio di terra e di elettricità.) fino al momento dell’ Apocalisse (Ed ora io domando tempo al Tempo ed egli mi risponde… non ne ho!) quando il destino schernisce  gli inutili sforzi dell’uomo per sottrarsi al suo destino (“Gloria a Babele/rida la Sfinge ancora per millenni/si fabbrichi nel cielo fino a Sirio/schiumino i cavalli sulla Via Lattea/ma…/Quanta vita ha ancora il tuo intelletto/se dietro a te scompare la tua razza?”). In quel periodo Darwin e la teoria dell’evoluzione non erano ancora entrati nel sapere e nella cultura di massa: ricordo che  nei libri di scienze delle scuole solo in poche righe veniva espressa la teoria dell’evoluzionismo darwiniano e il disco fu per me un motivo di approfondimento. Di Giacomo ha usato questa  teoria come una metafora per far riflettere sull’uomo, la sua storia, le sue debolezze, la voglia di fuggire ma  anche di socializzare, l’amore irraggiungibile, il senso dell’inesorabile correre del tempo. Il disco  è musicalmente vario e molto colorato, particolarissimi sono i ritmi e le variazioni della melodia, una ricchezza di suoni su cui nei primi anno ’70 era raro imbattersi, non c’era ancora il largo uso dell’elettronica per cui era necessario tirare fuori il pathos, l’anima per riuscire a fare musica straordinaria. E poi c’erano i momenti di intenso lirismo descrittivo, si riescono a vedere limpide immagini di “informi esseri che il mare vomita sospinti a cumuli su spiagge putride” così come si riesce a sentire l’urlo che “rintrona e sale fino ai vulcani” dell’uomo che, conquistata la posizione eretta, ha una visione del mondo eccezionalmente ampia. Una musica dalle atmosfere primordiali con suoni acerbi ma intensi che la voce e i testi di Francesco Di Giacomo esalta, testi che sembrano bozzetti di acquerelli tanto belli e veri che sembra di vedere la narrazione. Il terzo brano “La danza dei grandi rettili”, è un bellissimo intermezzo musicale prima di proseguire in un turbinio di emozioni con la quarta canzone “Cento mani,cento occhi” in cui l’uomo sente il bisogno di unirsi ai suoi simili per  proteggersi e condividere il cibo, sono le prime comunità di umani, da notare i cori e le voci polifonici che imprimono potenza;. “750000 anni fa…l’amore?” è una struggente canzone d’amore in cui il protagonista è un ominide tanto timido che la paura di palesarsi prevale sulla voglia di possedere il corpo dell’amata, lasciando spazio a fantasie e frustrazione. Poi c’è  “Miserere alla storia” in cui l’uomo rimane solo e non ha la possibilità far continuare la sua razza; l’album si chiude con “Ed ora io domando tempo al tempo (ed egli mi risponde:non ne ho!)”, canzone in cui viene affrontato il tema della morte, vissuta con rabbia e dolore. “Darwin!”, nonostante sia un album fondamentale ha qualche momento di debolezza specie se viene messo a confronto col disco d’esordio.

Tracklist:

1 L’evoluzione

2 La conquista della posizione eretta

3 La danza dei grandi rettili

4 Cento mani, cento occhi

5 750000 anni fa…l’amore?

6 Misere alla storia

7 Ed ora io domando tempo al tempo (ed egli mi risponde: non ne ho!)
Io sono nato libero (1973)

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Con questo disco ritornano alle sonorità del primo album con risultati eccellenti in particolare negli arrangiamenti delle chitarre acustiche e del pianoforte oltre che l’uso massiccio del sintetizzatore di Vittorio Nocenzi che diventa il loro segno distintivo e la voce perfetta e maestosa del over-size Francesco di Giacomo che si conferma interprete e paroliere di raffinata maestria forse la migliore voce nel panorama del rock nostrano.  Qui non si può parlare di concept-album anche se tutti i brani hanno come filo conduttore la ricerca della libertà nelle sue varie forme. L’album si apre con una lunga suite “Canto nomade di un prigioniero politico” che è il loro capolavoro, 15 minuti di progressive ad altissimi livelli, liriche di denuncia politica, che raccontano la disperazione  di un condannato che aspetta l’esecuzione e che affida al suo canto una sorta di testamento ideologico (“Almeno tu che puoi fuggi via canto nomade / questa cella è piena della mia disperazione / tu che puoi non farti prendere. […] Voi condannate per comodità / ma la mia idea gia vi assalta. / Voi martoriate le mie sole carni / ma il mio cervello vive ancora”). E’ un inno malinconico alla libertà di pensiero, a coloro che decidono di seguire i propri ideali senza compromessi e ne pagano le conseguenze.  Una tema universale sempre attuale che viene trattato senza troppi isterismi perché nasce dalla consapevolezza della miseria dei giudicanti e dalla volontà di riaffermare le proprie idee. La sofferenza del prigioniero è una forte ispirazione ad inventare soluzioni sonore veramente nuove in quel periodo: i tenui assoli di pianoforte che si intrecciano al sintetizzatore, chitarre acustiche che duettano con percussioni quasi tribali, divagazioni di tastiere che fanno da base alle stupende qualità canore di Di Giacomo sono gli ingredienti di uno dei brani più riusciti del rock italiano. Poi c’è il brano più famoso del Banco “Non mi rompete” una struggente ballata sorretta da doppie chitarre acustiche in cui viene rivendicato il diritto di avere dei sogni , il ritmo tenue quasi allegro del brano è un momento di rilassatezza prima del brano più ostico e surreale del disco:  La città sottile. Si descrive una città città-fantasma dove tutto è senza senso e gli abitanti ne sono ingabbiati. Un brano difficile, sia per i contenuti che per l’impostazione musicale, caratterizzata dalla esclusività del suono del pianoforte e da versi onirici ai limiti del non-sense. Il disco prosegue con “Dopo… niente è più lo stesso” , un’altra traccia di riflessione, questa volta sull’inutilità della guerra che, anche quando finisce, lascia ferite indelebili in coloro che hanno combattuto e sono sopravvissuti. Racconta del dramma di un soldato che ritorna al suo paese, un accenno a Stalingrado,  trova la sua terra ridotta a rovine, ma con la sua gente pronta a ricominciare.  il ritorno del combattente,invece,  è tragico , non riesce a festeggiare la fine della guerra, non riesce a tornare quello di prima è un guscio vuoto senza sentimenti se non quelli di maledire coloro che lo hanno costretto ad imbarcarsi in una guerra che non gli apparteneva. (“Lingue gonfie pance piene / non parlatemi di libertà / voi chiamate giusta guerra/ciò che io stramaledico”) La voce di Di Giacomo, ancora una volta, riesce ad esprimere il senso di sofferenza di colui che ha perso la propria individualità, la musica segue passo dopo passo la storia, suoni tristi per rimarcare l’inquietudine e suoni giocosi per descrivere i festeggiamenti per la fine della guerra. L’ultimo brano, Traccia II,  è uno strumentale, ed è il seguito ideale del brano contenuto nel primo album,  ritmo vorticoso ed in continuo crescendo fino alla conclusione epica nel giro di tre minuti. Epilogo, dunque glorioso, di un grande album.Con ogni probabilità il Banco ha raggiunto con questo album l’apice della sua capacità compositiva: dopo i primi tre capolavori, infatti, continuerà con delle produzioni buone ma non certamente all’altezza delle precedenti sino alla fine degli anni Settanta. Il decennio successivo sarà caratterizzato da una ricerca di sonorità più orecchiabili e da un generale abbandono dell’impostazione progressive.

Tracklist:

  1. Canto nomade per un prigioniero politico
  2. Non mi rompete –
  3. La città sottile –
  4. Dopo… niente è più lo stesso
  5. Traccia II Vostro
  6.                                                      JANKADJSTRUMMER

Formazione:

Vittorio Nocenzi – organo, clarino, voce

Gianni Nocenzi – pianoforte, clarinetto piccolo mib, voce

Marcello Todaro – chitarra elettrica, chitarra acustica, voce

Renato D’Angelo – basso elettrico

Pierluigi Calderoni – batteria

Francesco Di Giacomo – voce

Rodolfo Maltese – chitarra acustica

 

IL PERIGEO: QUANDO LA FUSION INCONTRA IL PROGRESSIVE – recensione dei primi 4 album a cura di Jankadjstrummer

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IL PERIGEO:  QUANDO  LA  FUSION  INCONTRA  IL PROGRESSIVE

Il Perigeo rappresenta a tutt’oggi uno dei più brillanti e geniali tentativi di fondere  musica jazz, classica e rock progressive. Il progetto musicale, ideato da  Giovanni Tommaso, uno dei migliori contrabbassisti italiani, prende forma all’inizio degli anni ’70 con una formazione composta da grandi jazzisti italiani: Bruno Biriaco alla batteria,Tony Sydney alla chitarra, Franco D’Andrea al piano e Claudio Fasoli al sax. La band propone un sound elettrico che ricorda la fusion di Miles Davis e come spesso accade viene subito bollata come “eretica” dai puristi del jazz ma è proprio questa miscela che attira il pubblico, siamo nel periodo di massimo splendore del “progressive” e il sound del Perigeo ne è infarcito, cosi la fama del gruppo varca i confini con tournèe trionfali in Francia, Inghilterra, Germania e poi successivamente negli Stati Uniti dove viene stampato e distribuito anche il loro album del 1976 “Non è poi così lontano”, il successo è tale che diventano il gruppo spalla nel tour dei Weather Report e sono osannati dalla stampa specializzata. Il Perigeo si sciolse nell’agosto 1976, dopo il concerto d’addio tenuto a Pescara. Di seguito le schede dei primi 4 album pubblicati fino al 1976 perché le vicende che poi hanno accompagnato il loro ritorno come gruppo New Perigeo dal 1981 in poi in realtà non hanno lasciato nessuna traccia, si tratta di album mediocri che viravano verso il pop.

Azimut     (1972)

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“Azimut” è il disco di esordio del gruppo, si tratta di un lavoro in perfetto stile jazz-rock, con le sonorità del piano fender in netta evidenza, con perfetti  assoli di chitarra e con il sassofono di matrice jazz che si rincorrono, retti da una ritmica incalzante e precisa, marcata dal grande contrabbasso di Giovanni Tommaso e dalla batteria di Bruno Biriaco.
Incipit magistrale e dalle atmosfere misteriose e rarefatte mentre il pianoforte di Franco d’Andrea segna la strada che tutto il disco percorrerà. Magnifico il brano “Posto di non so dove “ in cui una nenia cantata di Giovanni Tommaso fa da base ad una intrigante incursione di basso e pianoforte mentre il lungo brano “Grandangolo” è un bel crescendo di ritmo e strumenti portati fino all’esasperazione, sono i 9 minuti più belli del disco. “Aspettando il nuovo giorno” è, invece, un gradevole intermezzo che pone le basi al secondo brano più rappresentativo dell’album “ Azimut” in cui è in grande evidenza il contrabbasso e un bell’assolo di pianoforte.  Altro breve intermezzo e poi il brano “36° parallelo”, che chiude il disco  caratterizzato da un sassofono squisitamente jazz e dalla batteria di Biriaco che si cimenta in un assolo molto ampio e variegato, un perfetto virtuosismo per un gigante delle percussioni. Un grande disco che mette il luce le radici jazz dei 5 musicisti ma che non riesce ad essere particolarmente dinamico, il sound risulta un po’ acerbo  ma la  musica e gli arrangiamenti di Giovanni Tommaso creano una magica atmosfera onirica.

 

Track list:

  1. Posto di non so dove
  2. Grandangolo
  3. Aspettando il nuovo Giorno
  4. Azimut
  5. Un respiro
  6. 36° Parallelo

Abbiamo Tutti un Blues da Piangere (1973)

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E’ il disco che sta facendo emergere la maturità stilistica dei musicisti impegnati in virtuosismi complessi che dimostrano, se ce ne fosse bisogno, una grande  preparazione tecnica. E’ un lavoro che ha un’impronta nettamente rock anche se non mancano alcuni accenti jazzati che toccano il loro punto massimo in “Vento, pioggia e sole” un approccio che mette le basi di quel suono originale voluto da Tommaso, il jazz rock progressive. Si apre con un brano cantato sempre con una timbrica eterea “ non c’è tempo da perdere” accompagnato da un bellissimo pianoforte contrapposto alla batteria e ad un lunga coda di chitarra. Molti i pezzi dalle atmosfere meste, la title track  “Abbiamo tutti un blues da piangere” che gioca con pochi accordi e un tranquillo arpeggio di chitarra. Un  pianoforte ed uno strano violino danno il via a “Déja Vu” che prosegue con l’inserimento di un sax  tra le pieghe di una dolce chitarra acustica. Ottimi brani  sono anche “Country” e “Nadir” dolci melodie segnate da ottimi interventi di sax e chitarra elettrica. Un disco un po’ meno immediato e se vogliamo un po’ più ostico per vie dei numerosi assoli e delle improvvisazioni di cui è ricco.

Track list:

  1. Non c’è tempo da perdere
  2. Déjà vu
  3. Rituale
  4. Abbiamo tutti un blues da piangere
  5. Country
  6. Nadir
  7. Vento, pioggia e sole

Genealogia (1974)

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Premetto che il disco mi piace molto ma non posso non constatare che dal punto di vista musicale si tratta di una battuta d’arresto rispetto ai precedenti lavori, c’era negli album precedenti più ricerca del suono e più raffinatezza nel proporre melodie jazz particolarmente innovative mentre in questo lavoro forse si lasciano sorprendere dal successo e vogliono forse piacere a tutti i costi quando cercano suoni più orecchiabili, più puliti e con meno improvvisazioni. Sono lontane le atmosfere  di “Abbiamo tutti un blues da piangere”, nel disco prende probabilmente il sopravvento in sinth che sbroglia i temi complessi a cui ci avevano abituati.  Siamo nel 1974, ed il gruppo è ormai un punto di riferimento della musica jazz-rock italiana e non solo. Oltre ai componenti storici del gruppo, troviamo in aggiunta, alle percussioni in “Polaris” e alla batteria conga in “Via Beato Angelico”, il grande percussionista brasiliano Mandrake. Il titolo, “Genealogia”, vuole sottolineare il background personale che si riflette sul fatto musicale e compositivo, con un recupero cauto e discreto (e comunque immerso nella realtà contemporanea) di echi e tradizioni vissute in prima persona. In effetti, in tutto il disco si ritrovano riferimenti ai luoghi di origine o di vita degli artisti (le montagne e la vecchia Vienna di D’Andrea; la Torre del Lago e la via Beato Angelico del toscano Tommaso, Fasoli riprende i grandi spazi della sua laguna, ecc.). Significativo, inoltre, che in copertina, sotto il titolo di ogni brano, i componenti del gruppo abbiano voluto inserire una frase di un celebre poeta o scrittore, che dovrebbe compendiare il senso della canzone presentata (ne cito una per tutte, secondo me la più bella, che si trova a margine del titolo “Grandi Spazi”, ed attribuita a Bertold Brecht: “Fra le cose sicure, la più sicura è il dubbio”).La perla del disco è la splendida “Polaris”, anche se una menzione particolare merita il brano “Torre del Lago”, con echi che ricordano “After the rain” di Coltrane (un pianoforte molto Tyneriano), in un brano poco jazz senza struttura e senza tema. Straordinario l’assolo di Claudio Fasoli, che si incrocia con quello di Tony Sidney nel brano “(in) vino veritas”. Orecchiabile e famosa, “Via Beato Angelico” potrebbe definirsi la “hit” del disco. Da ascoltare anche con attenzione “Old Vienna”, altro autentico capolavoro del disco. Per concludere, cito le parole di copertina di Franco Fayenz, che così auspicava: “… i cinque componenti del Perigeo hanno concretato un vero gruppo stabile, ben cementato sotto il profilo ideologico e umano, che nel futuro dovrebbe dare frutti sempre migliori.” Bellissima, infine, la copertina realizzata da Ren Pearson .

  1.             Genealogia
  2.             Polaris
  3.             Torre del lago
  4.             Via beato angelico
  5.             (In) vino veritas
  6.             Monti pallidi
  7.             Grandi spazi
  8.             Old Vienna
  9.             Sidney’s call

 

La Valle Dei Tempi (1975)

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Credo che sia questo il disco più conosciuto ed amato del Perigeo, ricordo di averlo registrato in cassetta da un amico e l’ascoltavo negli ultimi anni del liceo, il suono era lieve e forse molto indirizzato verso la fusion, per questo mi accompagnava spesso anche durante lo studio. Un disco molto romantico nell’accezione più nobile del termine, la copertina che raffigura la valle dei templi di Agrigento illuminata era di per sé evocativa e sognante. Il suono è ricco di chitarre e di incursioni di sax che creano quella magia che li ha resi unici nel genere. La caratteristica principale del disco è che è completamente strumentale  ma dinamico, già dal primo brano “Tamale” si denota la carica di energia che pervade tutto questo lavoro anche la sezione ritmica è particolarmente vitale grazie all’intervento del percussionista napoletano Toni Esposito, gli altri brani “La Valle dei templi” e “Cantilena” sono particolarmente intense, nella prima il basso detta il ritmo del piano mentre il sax disegna un tema orecchiabile mentre la chitarra spicca il volo per condurci nell’iperspazio; in “cantilena”, invece, le atmosfere si addolciscono con un bel connubio tra sax e piano, intercalato da lunghi accordi di chitarra. Anche qui viene fuori un buon disco che testimonia la grande abilità dei componenti che affascina per la modernità e per la sua completezza anche se è evidente che guardavano forse un po’ troppo al mercato.

  1.             Tamale
  2.             La valle dei templi
  3.             Looping
  4.             Mistero della firefly
  5.             Pensieri
  6.             Periplo
  7.             Eucalyptus
  8.             Alba di un mondo
  9.             Cantilena
  10.             2000 e due notti
  11.             Un cerchio giallo

Formazione:

Claudio Fasoli: Sax Bruno Biriaco: Batteria Franco D’Andrea: Tastiere  Tony Sidney: Chitarra Giovanni Tommaso: Basso

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Alan Sorrenti già figlio delle stelle i suoi 2 primi album progressive di Jankadjstrummer

Alan Sorrenti già figlio delle stelle di jankadjstrummer.

Prima di diventare il più conosciuto ” Figlio delle stelle” Alan Sorrenti era un ispirato cantautore rock…

Si può tranquillamente affermare che Alan Sorrenti, artisticamente, ha vissuto due vite parallele segnate da uno solo spartiacque: la sua svolta disco/dance. Ma prima che diventasse il più famoso “Figlio delle stelle” Alan Sorrenti, nei primi anni settanta, era un raffinatissimo cantautore rock di chiara matrice psichedelica/progressiva.

Il suo talento è stato sempre accostato ai lavori sperimentali di Tim Buckley o alle complesse armonie di Peter Hammill dei Van Der Graaf Generator, il suo primo disco  “Aria”, concepito nel 1972, rappresenta uno dei lavori più raffinati del progressive italiano, uno di quei dischi fuori da ogni etichetta di tempo e di spazio che ti conduce verso un immaginario fantastico.

La prima facciata è interamente occupata da una suite
di venti minuti che dà il titolo all’album, in cui il cantautore di origini
gallesi intraprende un viaggio onirico che tocca più mete legate tra loro; le
ambientazioni sono molto dark, castelli, monasteri, foreste e ampie distese
d’erba, l’amore fra un cavaliere e la sua principessa, il sogno accompagnato da una musica che cattura sin dai primi arpeggi di chitarra, dai vocalizzi
free-jazz e dalle stupende incursioni del violino di Jean Luc Ponty . Aria è al
tempo stesso la donna amata e l’aria che si respira, questa ambiguità lo porta lo conduce all’ossessione, al delirio, verso il caos finale “sono io il tuo
corpo/sono io l’universo/nel tuo fiume sto scivolando/aria sto impazzendo io
sento che io io io io/io ti sto/ io ti sto perdendo”
.. La voce di Sorrenti
entra ed esce dalla melodia del brano come uno strumento, regalandoci anche esercizi di stile, vocalizzi e vibrati che sanno di pura sperimentazione. Le ossessive percussioni tribali di Tony Esposito segnano una disperata volontà di non staccarsi dall’amante perfetta appena trovata. La seconda facciata si apre con la ballata, voce e chitarra acustica,“Vorrei Incontrarti”, una carezza preludio ai sogni e alle speranze, ‘Vorrei incontrarti sulle strade
che portano in india…Forse un giorno io canterò per te. Vorrei conoscerti, ma
non so come chiamarti, vorrei seguirti, ma la gente mi sommerge…’
Semplicemente stupenda!. Il lisergico brano “La mia mente” e il “Un fiume
tranquillo”, che concludono questo lavoro sono riconducibili ad uno stile
sinfonico più tradizionale ma molto ardito.

Come un vecchio incensiere all’alba di un villaggio deserto del 1973 è il secondo disco di Alan Sorrenti, che vede Tony Esposito alla batteria e percussioni e David Jackson dei Van Der Graaf Generator al flauto. L’album è poco ispirato, i testi sono più equilibrati ma con poco mordente, fa eccezione la bellissima canzone d’amore “Serenesse” forse il suo pezzo migliore e la ballata psichedelica “Angelo”. La suite che dà il titolo al disco si apre con una lunga introduzione (10 minuti)
psichedelica/free jazz, con improvvisazioni vocali e cantilene lunghe e noiose
veramente deludenti. Certo per cogliere in pieno la musica e le atmosfere di
questi primi due album di Alan Sorrenti dovete lasciarvi trasportare per cogliere momenti indimenticabili.

Serenesse

Ti ho salutata un giorno di caldo stringendomi al letto girando le spalle al tuo ultimo sguardo. Volevo strisciare, baciare i tuoi piedi e chiedere a un altro di prendere il mio posto per essere libero di venire con te Serenesse, Serenesse, ritorna. Il sole è di troppo per un uomo solo che ti cerca illuso e si ritrova straniero in cento strade diverse con il desiderio di avere il tuo viso il giovane corpo che gioca con il mio sorriso Serenesse, Serenesse, ritorna. Odio le cose, le strade, la gente che ti vedono vivere in questo momento e contro il mio odio e la mia paura io provo a tagliare un esile tronco sul quale passare dall’altra sponda dove sei tu ad amare Serenesse, Serenesse, ritorna

Buon viaggio da   JANKADJSTRUMMER

GONG – radio gnome invisible – la trilogia di Jankadjstrummer

 GONG
THE GONG –  LA TRILOGIA DI RADIO GNOME INVISIBLE
Part 1: Flying Teapot
(Virgin, 1973)
Part 2: Angel’s Egg
(Virgin, 1973)
Part3: You
(Virgin, 1974)
Il momento di massimo splendore e se vogliamo di massima ispirazione per i Gong è il biennio 1973/1974 quando prende forma il progetto Radio Gnome Invisible, 3 album separati “Flying Teapot”, “Angel’s Egg” e”You” accomunati da un filo conduttore musicale e da un storia surrreale ai limiti della demenzialità. Lanascita del gruppo, però, risale a 4 anni prima quando David Allen, un hippie australiano già membro dei Soft Machine è costretto, per problemi burocratici a stazionare per un lungo periodo a Parigi, qui incontra lapoetessa Gilli Smith con cui inizia una collaborazione che diventerà anche una storia d’amore. Coadiuvati dal sassofonista Didier Malherbe e dal chitarrista Christian Tritsch danno alle stampe un album sorprendenteper l’epoca, un misto di rock e tanta improvvisazione che sconfina nel free-jazz. Dicevo di questo trittico che
diventa un concept album esasperato perché oltre che alla storia si punta a costruire un opera rock dai connotati molto raffinati e ricercati da essere definita quasi una provocazione. La storia che viene raccontata
è alquanto bizzarra: narra di una flying teapot (una teiera volante) proveniente dal pianeta Gong che atterra sulle montagne del Tibet, qui tre personaggi che dovrebbero essere i portavoce degli umani dai nomi
improbabili, Mista T Being, Fred The Fish e Banana Ananda incontrano i Pot Head Pixies alieni verdi muniti di piccole antenne sintonizzate su Radio Gnome Invisible che devono portare a termine un’ardua missione:
preparare il pianeta Terra all’invasione pacifica dei Gonghiani che avverrebbe nel 2032, il tutto sotto la supervisione di saggi dell’intelligenza sovraumana (gli Octave Doctors), due occhi giganti che proteggono il
pianeta GONG. I personaggi sono buffi ed estrosi come il terrestre Banana Ananda un orso Yogi che vive in una caverna nel Tibet che per cadere in trance usa la frase “banana nirvana manana” o Zero The Hero che
rappresenta il pianeta terra sul planet Gong dove regna l’Anarchia intesa come autogoverno fluttuante. Dal punto di vista musicale Radio Gnome Invisible rappresenta un mix di suoni ben amalgamati una sorta di
world music ante litteram in cui si potevano notare influenze classiche, musiche balcaniche ma anche psichedelia americane e scuola di Canterbury. Ho sempre trovato ostica, difficile la musica dei Gong dove si
trova tutto e il contrario di tutto, un rock inetichettabile intriso di misticismo e di cultura Hippie, sicuramente mai stabile ma sempre protesa verso la ricerca di nuovi suoni e di un nuovo modo di intendere l’arte. Il
riascolto di questi giorni della trilogia è sorprendente mi sono accorto di come la band avesse le idee chiare sul percorso che stava tracciando. Ma veniamo ai singoli lavori, abbiamo detto di:
Flying Teapotche si apre con una perla che sarà il marchio di fabbrica del suono Gong “Radio Gnome Invisible”, una filastrocca psichedelica arrangiata in un modo sublime, orecchiabile che dimostra di come la
band sia avanti una spanna rispetto a quanto si ascoltava all’epoca. Anche una cantilena come “Pot Head Pixies” diventa una bella canzone. “Zero The Hero And The Witch’s Spell” è un piccolo capolavoro con repentini cambi umore, dal malinconico al mistico che la voce quasi orgasmica della strega Gilli Smithinietta di mistero, eros ed eteree visioni in un sensazionale crescendo che apre alle note “Witch’s Song/ I Am Your Pussy”, altro brano memorabile. Ma il pezzo forte del disco è Flying teapot dodici minuti di
complessità sonora, si parte da un ritmo di lieve jazzato addolcito dal flauto di Malherbe per raggiungerevette espressive con un ritornello esplosivo dagli effetti quasi ipnotici, un autentico capolavoro che non avevo mai apprezzato. Nel secondo capitolo della saga
Angel’s Eggdel 1973,
la struttura musicale cambia, diventa più matura, c’è molto più spazio per le parti strumentali affidate alla chitarra di Steve Hillage e alle tastiere di Tim Blake, mentre Allen si dedica ai testi. In “Other Side Of The Sky” la voce di Gilli e le tastiere fanno rivivere l’ atmosfera del viaggio interstellare di Zero the hero per il pianeta GONG . Nel disco i brani assumono i connotati di vere e proprie canzoni come in “Sold The Highest Buddha” e “Prostitute Poem”,
“Givin My Luv To You” e “Selene”, quindi composizioni brevi e ben curate, musica fluida ma solenne. Le armonie nella voce intergalattica della Smyth si fonde con il suono del sax e delle percussioni, la lingua francese ed inglese usata a sua piacimento tra gemiti e parole la rendono, come dice qualcuno, una sirena spaziale . “Prostitute Poem” è il capolavoro del disco, ma anche, “Outer Temple/Inner Temple”, non è da meno perché in bilico tra i suoni cosmici e quelli del surf americano.Poi Arriva
You del 1974 ,
 ultimo capitolo della trilogia, forse il disco più lineare e classico del rock quindi il meno innovativo, quello più carente di intuizioni stilistiche. Vengono ripresi materiali di lavori precedenti eresi più corposi da accompagnamenti più sontuosi e solenni si ha, quindi, la sensazione che ci sia un calo di idee e di originalità “Thought Four Naught”, “A Pot Head Pixie Advice”, “Magick Mother Invocation” e”Master Builder” sono pezzi ben eseguiti ma privi di quella creatività a cui Dave Allen ci aveva abituato.
L’ascolto dei tre dischi in contemporanea aumenta questa sensazione, questo squilibrio, questo divario tra i 3 lavori, tuttavia i GONG con Radio Gnome Invisible sono riusciti a coniare uno stile inconfondibile, grazie a
quel pozzo di idee creative che stava nella mente di Daevid Allen, personaggio istrionico, eclettico che ha dato vita a una delle saghe più estrose e importanti della storia della musica rock.
FORMAZIONE nei 3 dischi che comprende anche i nomignoli utilizzati dai componenti:
· Daevid Allen alias Bert Camembert (chitarra, voce )
· Gilli Smyth alias Shakty Yoni (voce – space wisper )
· Steve Hillage alias The Submarine Captain o Stevie Hillside (chitarra solista – slideguitar, )
· Tim Blake alias High Tea Moonweed o Francis Bacon (organo e tastiere )
· Didier Malherbe – Bloomdido Bad de Grasse (sax e flauto )
· Mike Howlett – Mista T Being (basso )
· Pierre Moerlen – Dierre de Strasbourg o Lawrence the Alien (batteria, percussioni)
BUON ASCOLTO DA JANKADJSTRUMMER