OFFLAGA DISCO PAX – COLLETTIVO NEOSENSIBILISTA CONTRARIO ALLA DEMOCRAZIA NEI SENTIMENTI.

 

OFFLAGA DISCO PAX – COLLETTIVO  NEOSENSIBILISTA  CONTRARIO ALLA DEMOCRAZIA NEI SENTIMENTI.

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E’ vero, bisogna combattere, bisogna fare un bel po’ di gavetta prima di ritagliarsi un po’ di popolarità e loro, con molta caparbietà, sono riusciti ad imporsi con uno strano modo di concepire la musica e in special modo la canzone. La storia del trio proveniente da Reggio Emilia parte da Firenze con la vittoria al Rock contest 2004 e  con il successivo album d’esordio del 2005  “Socialismo tascabile”  composto da 9 brani che si reggono su di una base musicale che richiama un po’ la new-wave e su testi recitati che affrontano tematiche quasi sempre legate alla loro Emilia: racconti, sensazioni, fatti reali che hanno un unico denominatore comune.: il socialismo  che in questa bassa padana ha rappresentato un modello vincente: Così si trova il busto di Lenin a Cavriago considerata la Berlino Est dell’Emilia Romagna rossa del secondo dopoguerra, ma anche la Praga post-comunista e le lotte della fine degli anni ’70. Sicuramente sono evidenti le analogie e le tematiche affrontate dai CCCP fedeli alla linea a cui gli Offlaga devono molto ( nel disco è inserito il brano Allarme dei CCCP) ma l’approccio è diverso, qui il cantante Max Collini che scrive i testi, è disilluso, non riesce a dare nessuna speranza anzi c’è quasi una sorta di rassegnazione di chi ha perso veramente tutto (“ c’hanno davvero preso tutto…..). Musicalmente le radici sono synthpop anni’80, le influenze sono i Depeche Mode ma anche i Kraftwork.. Quest’’album d’esordio,rimane tutt’ora un cult, una pietra miliare di una musica che privilegia i versi recitati piuttosto che il canto, che si fonda su di una ritmica elettronica inimitabile tanto da essere inserite nei primi 30 album più belli dalla rivista Rolling Stone . Nel 2008, la conferma con l’album  Bachelite, anch’esso mette la loro città, Reggio Emilia, al centro del mondo, qui, come sempre, amata ed odiata ed epicentro del bene e del male, una città  raccontata con il solito piglio ironico ma sempre con grande emozione e grande amore attraverso le storie quasi “non sense” che sono un toccasana per il malessere e per la tristezza che accompagna il tempo che scorre inesorabile. “Socialismo Tascabile” era un disco che parlava della politica e della vita mentre in“Bachelite” c’è tanto sentimento e  amore per la quotidianità vissuta in provincia. Nel 2012 esce questo “Gioco di Società” che forma un  perfetto trittico affrontando, per coerenza,  la nostalgia, i ricordi e gli intimi malesseri. La musica si fa ancora più gelida, Si abbandonano quasi completamente le chitarre per le tastiere, Enrico Fontanelli e Daniele Carretti, depositari del  sound, lavorano sull’essenziale senza tanti fronzoli, una sorta di suoni minimalisti che servono a Max Collini per recitare con molta naturalezza i suoi versi visionari.  Gioco di società, è un amarcord  evocativo del vissuto sociale storicamente morto e sepolto  ma che ha rappresentato per i non giovanissimi una meravigliosa  formazione politica e culturale. Gli Offlaga rifuggono qualsiasi  compromesso, rivendicando semmai uno stile divenuto maturo e personale. E’ una “elettronarrativa elettorale”, come l’autodefiniscono,la copertina del disco ricorda quarto stato di  Pelizza da Volpedo che si trasforma in un coro da stadio (Piccola storia Ultras). La grandezza di questa band sta appunto in questa  narrazione del vissuto, nella capacità di raccontare il senso di appartenenza ad una ideologia di sinistra  e la voglia di partecipazione attiva che ormai è solo nostalgia.  Con gli Offlaga non ci sono mezze misure o si amano o diventano noiosi, io dico che l’approccio all’ascolto deve essere incentrato sul valore da dare ai loro racconti, alle loro storie perché non c’è dubbio che riescono a cogliere delle sfumature che spiazzano l’ascoltatore quando creano quella commistione tra il politico e il privato o quando raccontano di storie vissute dolorosamente.

Formazione Max Collini – voce Daniele Carretti – chitarra, basso ed Enrico Fontanelli – basso, tastiere

Discografia ufficiale

Album

  • 2005 – Socialismo tascabile (Prove tecniche di trasmissione)
  • 2008 – Bachelite
  • 2012 – Gioco di società

LOU REED – L’ANIMALE DEL ROCK – recensioni di- Trasformer del 1972 e Rock & roll animal del 1974

LOU REED  – L’ANIMALE DEL ROCK  CI HA LASCIATO!    LouLou ha scelto proprio la domenica mattina ( Sunday morning) per lasciarci  “ sto cadendo, ho una sensazione che non voglio sapere, albeggia  presto, domenica mattina sono tutte quelle strade che hai attraversato”, quella domenica  del 1966 era iniziata la sua avventura con i Velvet Underground, Lou Reed uno dei  più grandi rocker degli ultimi cinquant’anni, tante volte dato per spacciato per quella vita segnata dalle droghe ma sempre rinato per l’eccessivo amore per la musica , questa volta non ce l’ha fatta , il grande chitarrista ed autore che ha influenzato  stuoli  di musicisti , ha scelto il giorno perfetto ( A perfect day ) per lasciare la sua  eredità  fatta di suoni scarni di chitarra e liriche spesso borderline. L’eroe maledetto era nato, 75 anni fa, a  New York e più precisamente in quella Coney Island  che fu fonte di tante canzoni diventate famose  e così  come la Coney Island baby  che il sabato pomeriggio si fa bella per raggiungere in metro  Manatthan, il centro del glamour, occasione per  una vita diversa anche lui cercò l’avventura con la musica ma senza percorrere strade comode ma percorrendo il lato selvaggio della strada «Walk on the Wild Side”. Un omaggio a Lou Reed e alla sua musica in bilico tra la melodia e  il rumore che ha portato  le sue liriche rock verso la poesia pura.  RIP lou Lou!  Come potete immaginare Lou Reed è sempre stato un faro nella mia formazione rock e spesso ho parlato di lui nelle pagine di www.friendsofpoplar.it  così vi ripropongo due recensioni di due pietre miliari della produzione reediana, l’album che lo ha reso universalmente conosciuto” Trasformer”  e un album dal vivo Rock& roll animal che rende bene l’idea  del personaggio.

DISCHI STORICI RIASCOLTATI PER VOI   LOU REED – TRASFORMER

  1. Vicious
  2. Andy’s Chest
  3. Perfect Day
  4. Hangin’ Round
  5. Walk on the Wild Side
  6. Make Up
  7. Satellite of Love
  8. Wagon Wheel
  9. New York Telephone Conversation
  10. I’m So Free
  11. Goodnight Ladies

Corre l’anno 1972 le nuove generazioni si sono lasciati alle spalle il movimenti hippie, i grandi ideali di “paece & love” per approdare nella frenesia del divertimento, del disimpegno, in  quello che viene indicata come l’era del rock decadente racchiuso nel motto “sesso droga e rock’n’roll”  A quel punto il rock diventa glam: sesso, ambiguità, eccessi, sfida alle convenzioni borghesi, rifiuto dei modelli dominanti, il gusto per il travestimento, l’ostentazione della bisessualità, il rock come teatralità, trucco, parrucche, abiti luccicanti di lustrini da dive anni ‘30

L’ Inghilterra è la patria del glam, Gary Glitter, Alice Cooper, Brian Ferry dei Roxy Music, Marc Bolan dei T-Rex e David Bowie reduce dal successo di Ziggy Stardust , in cui impersona un alieno androgino. E’ proprio il Duca Bianco che, affascinato ed ispirato dai Velvet Underground il gruppo più influente e importante della rock d’avanguardia,  non accetta che un talento così grande come l’ex chirarrista Lou Reed finisca nel dimenticatoio. Infatti il  primo album solista, di Lou Reed”, malgrado alcune buone canzoni, fu un flop  clamoroso. Bowie si propone di collaborare alla produzione del suo secondo album,Lou Reed non rifiuta questa opportunità e vola a Londra, subito affascinato dall’ambiguità sessuale, dalla intelligenza e dalla classe di David Bowie, tanto simile a quello di Andy Warhol. L’album che ne viene fuori “ Transformer” è da shock, rivoluzionario per il linguaggio usato, anticipa il cambiamento del costume e della morale. Già la copertina è provocatoria raffigura Lou Reed dai colori molto contrastati che sembra di assomigli ad un “Frankenstein del rock”, opera del fotografo Mick Rock mentre sul retro una doppia immagine dello stesso modello, in versione sia da travestito sexy, sia da maschio a cui infilano una banana nei pantaloni per simulare un’erezione. Pateticamente l’edizione italiana fu censurata e venne  coperto l’inguine del travestito ritratto.

Lou Reed canta le sue canzoni, accompagnandosi con la chitarra suonata con un pedale wah-wah premuto a metà ed impreziosite dai raffinati arrangiamenti di archi, fiati e delle parti di pianoforte che rendono il suono ben definito. Questo suono metropolitano coniugato benissimo con la melassa del glam ha partorito piccoli capolavori che mantengono nel tempo una freschezza incredibile  Ma riascoltiamo il disco, si parte  con “Vicious”, il cui testo fu suggerito da Warhol che gli chiese di scrivere una canzone sull’essere viziosi, lui ironicamente propose l’ambiguità, “ Vicious/ you hit me with a flower/ You do it every hour/ oh baby, you’re so vicious”. Il frustino sadomaso diventa un fiore. Assolutamente geniale anche negli arrangiamenti formati solo da un riff di chitarra distorta,  “Andy’s Chest”, una dolce canzone d’amore abbellita da splendidi cori e dedicata ad Andy Warhol che, nel 1968, rischiò di morire per mano di una folle che gli sparò nel petto. Poi parte  “Perfect Day” che esprime  la grandezza dell’opera di Reed la sublimazione di un “giorno perfetto” e lo fa con una semplicità e una poesia tali da lasciare interdetti. Sembra che l’abbia scritta per la moglie che aveva a quei tempi. Una dolce ballata arricchita da gli arrangiamenti per pianoforte e archi, una interpretazione sentita che ci dice, come può essere un giorno perfetto, senza i problemi e le angosce quotidiane. In “Hangin’Around” si mettono alla berlina coloro i quali pensano di essere trasgressivi ma sfiorano il patetico il ttuuto con un sound canzonatorio di pianoforte e chitarra. Poi parte lo swing e il famoso giro di basso di “Walk on the Wild Side”, un nostalgico ricordo dei personaggi che affollavano la Factory, il laboratorio artistico creato da Warhol, tutti alla ricerca dei 15 minuti di celebrità che non si negano a nessuno.

Ogni strofa della canzone rappresenta la vita e le caratteristiche di uno dei personaggi che affollano la New York trasgressiva, viziosa, mostrando con semplicità l’altra faccia della realtà perbenista. In “Walk On The Wild Side” si sprecano i riferimenti ad un mondo sommerso di chi vive sul lato selvaggio della strada, travestiti, prostituti, pratiche sessuali eccessive. “Make Up”, rappresenta il primo manifesto dell’orgoglio omosessuale celebrato con suoni molto melodici. Stiamo uscendo. Fuori dalle nostre tane, per le strade!  “Satellite of Love” è una ballata glam  accompagnata dalla splendida voce di Bowie, Lou Reed qui  si diverte a scherzare sulla gelosia. La base armonica è più aperta, costruita in gran parte da accordi in tonalità maggiore, e lo strumento principe è il pianoforte. C’è molto rock, invece in “Wagon Wheel”, che pare sia stata scritta da Bowie, in cui emergono i malesseri legati al suo rapporto di coppia.  “New York Telephone Conversation”, è accompagnato da un pianoforte stile belle èpoque, il testo è dedicato a Warhol a cui piace fare chiacchere e pettegolezzi. “I’m So Free” è pezzone rock tirato, in cui primeggia un bellissimo assolo di chitarra, forse il pezzo più gioioso dell’album, il testo è un inno a “Mother Nature” che in gergo è la marijuana e i suoi figli sono i consumatori.  L’album si chiude con  “Goodnight Ladies” in cui si parla di solitudine e amori finiti.  “Transformer”, ebbe una straordinaria forza: restituire fiducia e trasformare  Lou Reed da figura underground di culto in rockstar, è un album senza tempo una collana di perle scelte che lo rende un capolavoro del rock degli anni ’70.

Consiglio per chi volesse approfondire il libro di                                                Victor Bockris, Transformer – La vita di Lou Reed, Arcana Editrice, Roma, 1999, pag. 203

RIASCOLTATI PER VOI  – Lou Reed  – Rock N’ Roll  Animal ( 1974 )

  1. Tracce
  2. Intro/Sweet Jane – (Steve Hunter, Lou Reed) – 7:48
  3. Heroin – (Lou Reed) – 13:12
  4. How Do You Think It Feels – (Lou Reed) – 3:41 (*)
  5. Caroline Says I – (Lou Reed) – 4:06 (*)
  6. White Light/White Heat – (Lou Reed) – 4:55
  7. Lady Day – (Lou Reed) – 4:05
  8. Rock ‘n’ Roll – (Lou Reed) – 10:21
  9. (*) Tracce non presenti nella versione originale sul LP del 1974, inserite nella versione rimasterizzata del 2000.

 

Per recensire questo live, registrato  nel dicembre del 1973 alla “Academy of Music” di New York,  mi sono munito di una buona cuffia di quella che entrano completamente nell’orecchio che hanno una resa eccezionale, era il minimo per  l’ascolto di uno dei live più intensi della storia del rock   “Rock’n’roll  Animal”, quarto album solista di Lou Reed  uscito  dopo l’accoglienza tiepida ricevuta sia dalla critica che dal pubblico, per il concept-album  Berlin . Sul palco con Dick Wagner e Steve Hunter alle chitarre, Ray Colcord alle tastiere, Pentii Glan alla batteria e Parakash John al basso, Lou Reed dà vita ad un live memorabile, emozionante, eccitante e a tratti violento ma splendido.  Un concerto incredibile che a distanza di quasi 46 anni non ha perso la sua bellezza,  fatta di rock sanguigno,  viscerale, cinque brani ( che sono diventati 7 in questa  versione rimasterizzata che sto ascoltando) che la voce di Lou Reed e gli intrecci chitarristici hanno reso immortali.  In Rock N Roll Animal, Lou Reed  celebra e rivitalizza essenzialmente 4 brani degli ex Velvet Underground e li rende più fluidi ma nello stesso tempo più robusti musicalmente in versione live. Era il periodo della grande metamorfosi di stile, Lou Reed dapprima glam ora recitava la parte del personaggio  un po’ decadente e nichilista ma capace sul palco di offrire musica di gran classe. A questo punto non mi resta che far partire il disco che inizia con  una intro di oltre tre minuti dove le due chitarre si rincorrono e si intrecciano in un “duello ” tra Steve Hunter e Dick Wagner nell’attesa che entri il leader con il  riff inconfondibile di  “Sweet Jane”, con gli applausi che accompagnano l’entrata in scena di un Lou Reed magrissimo, con i capelli biondi cotonati e occhiali scuri, il quale si dimostra in gran forma, nonostante il suo periodo tormentato, e attacca con la voce distorta: “Standin’ on the corner, suitcase in my hand , Jack is in his corset, Jane is her vest / And me, I’m in a rock’n’roll band”. Gli assoli di chitarra si susseguono poi per tutto il pezzo con Dick & Steve che si scambiano i ruoli e fanno sentire la loro potenza, il suono mi riporta indietro di secoli e non possono non  chiudere gli occhi e dondolare la testa al ritmo della musica, una catarsi che dura oltre 7 minuti . Si continua con il tenue e delicato suono di “Heroin”, storica canzone già dei Velvet Underground che proviene direttamente dal personale inferno di Lou Reed, qui riproposta in una versione più dilatata (oltre 12 minuti ), con lunghi assoli di chitarra intervallati da tante pause, da acrobazie sonore e con la splendida voce di Reed che rende tutto ancora più magico anche quando descrive con tristezza la dipendenza da eroina  (“Don’t know just where I’m going / But I’m gonna try for the kingdom, if I can cause it makes me feel like / I’m a man / When I put a spike into my vein / And I tell you things aren’t quite the same”)“Non so proprio dove sto andando / Ma proverò per essere re, se posso farlo cosi mi fa sentire / Sono un uomo / Quando metto un ago nella mia vena / E lo dico le cose non sono più le stesse ”;  parte un organo che sembra placare lo stato d’animo, si sentono urla dal pubblico, poi sul palco, inizia nuovamente il canto di Reed, un viaggio interminabile tra i mille suoni in cui si  continuano ad alternare  suoni soffusi e violenti che terminano con una  esplosione musicale dirompente,una sorta di trance che si chiude con gli applausi del pubblico.                                                                                     “White light/White heat” è il terzo brano  dell’esperienza Velvet Underground  che parte subito con una batteria quasi ossessiva e la voce di Reed stravolta, intermezzata dalle chitarre in un rock’n’roll quasi violento che rende bene l’idea  del clima newyorkese  dei primi anni’70. (“White light / White light going messin’ up my mind / Don’t you know, it’s gonna make me go blind / White heat / White heat, it tickle me down to my toes / White light / Oh, have mercy, white light have it, goodness knows”) “Luce bianca / Luce bianca che mi rovina la mente / Non lo sai, mi renderà cieco / Calore bianco / Calore bianco, mi solleticherà fino alle dita dei piedi / Luce bianca / Oh, abbi pietà, bianco la luce ce l’ha, la bontà lo sa ”) . Poi “Lady Day”, l’unico pezzo del disco tratto da “Berlin”,  un brano che parte lento e riflessivo ma che diventa devastante  nella parte finale, direi che il brano che mi piace meno del concerto. Resta “Rock ‘n’ Roll”, ultimo brano del disco, già presente in “Loaded” dei Velvet Underground del 1970, qui acquista spessore per le continue rincorse di assoli di chitarra in cui si  alternano momenti di calma , con tastiere e leggere percussioni, ad energiche incursioni sonore.  E’ una interminabile versione  questa Rock ‘n’ Roll, con le chitarre in grande evidenza e con lo splendido assolo di basso Prakash John che conducono verso l’apoteosi finale in cui tutti gli strumenti  si scatenano in un ritmo e una potenza che non conosce uguali. Dopo aver ascoltato intensamente questi 5 piccoli gioielli  non si può non provare soddisfazione nel pensare che il disco calato nella realtà musicale degli anni ’70 sia ancora oggi capace di emozionare e di creare atmosfere appaganti. Un consiglio se vi approcciate per la 1° volta a questo disco fatelo con calma senza fretta, concedetevi 30 minuti di pausa chiudete gli occhi e gustatevi il vostro sogno rock!

Buon ascolto da JANKADJSTRUMMER

DISCOGRAFIA  ESSENZIALE

Transformer (1972)

Berlin (1973)

Rock’n’Roll Animal (1974)

Sally Can’t Dance (1974)

Street Hassle (1978)

New Sensations (1984)

New York (1989)

Songs For Drella (1990)

Magic And Loss (1992)

The Raven (2002)

IL DECOLLO DEGLI U2 scritto da JANKADJSTRUMMER

 

 

Il DECOLLO DEGLI U2. Scritto da Jankadjstrummer

Propongo una biografia della ascesa dei mitici U2 con notizie ed aneddoti pescati di qua e la nel web e romanzati per rendere simpatica la lettura anche per i non amanti della musica rock. E’ un tentativo prendetelo come tale…e buon divertimento!

U2

“Dublino, ottobre 1976”. Fa un freddo cane, tanto è vero che fuori dal portone della Mount Temple School, si aggira solo un giovane liceale, mal vestito e chiaramente in preda ad una crisi di nervi. Si chiama Larry Mullen, ha appena perso il posto di batterista in una delle bande che girano per le vie della città con grancasse e tromboni, fatto fuori perchè non aveva il look giusto: questa la versione ufficiale del suo licenziamento. Sbollita la rabbia, Larry si avvia verso la bacheca degli annunci, per apporre il suo: “Batterista rock cerca musicisti per formare un gruppo”. Non bisogna attendere tanto, pochi giorni e si fanno vivi cinque allievi della stessa scuola: Paul Hewson, i fratelli Dove e Dick Evans, Adam Clayton e Neil Cormick. La formazione a sei, denominata “Feed back”, però, dopo pochi giorni di prove in una cantina di periferia, si rivela un disastro. Neil, infatti, decide di fare le valigie, senza aspettare che qualcuno gli dica di andarsene. I cinque rimasti, visto che non hanno più zavorra, decidono di continuare cambiando il nome in “The Hype”. Dove, che per via della forma a punta della sua testa, viene denominato “The Edge”, si aggiudica la chitarra solista, mentre il fratello Dick deve accontentarsi di quella ritmica; Adam continuerà a suonare il basso, mentre Paul, denominato “Bonovox” (dal nome di un negozio dublinese di cornetti acustici) viene eletto all’unanimità cantante. Bonovox, ancora sotto shock per la morte della madre Iris nel 1974, è un adolescente inquieto. Nella Mount Temple School si fa subito notare per i suoi improvvisi scatti d’ira che lo portano a distruggere tutto quello che gli capita sotto mano. Quando il punk non è ancora un fenomeno di massa, lui si presenta a scuola con capelli rossi sparati in alto, pantaloni viola attillati, giacca stile anni 60 e una catenella di acciaio che va dal naso all’orecchio. Tutto questo lo porta a qualche contrasto con The Edge, l’esatto contrario, un ragazzino timido, figlio di un ingegnere inglese, il cui suo unico interesse nella vita è quello di suonare la chitarra. L’unico vero musicista del gruppo è Adam, che però è il più vispo dei cinque, il ruolo del più figo del liceo gli va a gonfie vele; il suo vero obiettivo, più che a imparare a suonare il basso, è una vita spericolata a base di sesso droga e rock’n roll. Larry Mullen, che in questo periodo è il vero motore della compagnia, organizza la sala prove dove la band muove i suoi primi passi. Il luogo prescelto è un capanno per gli attrezzi nel giardino della casa di The Edge a Malahide, un sobborgo di Dublino. Nonostante il loro impegno ed il loro entusiasmo, i ragazzi si rendono conto, dopo poche settimane, che rifare le canzoni di Patty Smith e dei Talking Heads, è un’impresa superiore alle loro capacità. Decidono così di iniziare a scrivere canzoni. Dick Evans non ci sta e lascia il gruppo per raggiungere i Virgin Prunes. Dopo una bevuta colossale in un pub di Dublino tanto famoso quanto malfamato, un amico di Bonovox, Steve Averill, conia la magica sigla U2. La trasformazione del gruppo è definitiva. U2 può significare “you too” (anche tu), ma è anche il nome del piccolo aereo usato dagli americani alla fine degli anni 50 per spiare le postazioni militari sovietiche. Con una manciata di canzoni appena sfornate, gli U2 si buttano nella mischia e decidono di suonare ovunque ci sia un palco. Una scelta coraggiosa che li porta ad esibirsi in situazioni tragicomiche davanti ad ubriachi cronici. Esauriti i posti dove esibirsi dal vivo, gli U2 afferrano al volo la loro vera prima occasione, stravincendo un concorso per giovani band organizzato dal quotidiano “Evening Press” e dalla birra “Harp Lager”. In palio 500 sterline ed un’audizione presso la CBS. Con l’aiuto del manager Paul Mc Guinnes pubblicano il loro maxi singolo “U2-Three”, in tutto tre canzoni (“Out of Control”, “Stories for Boys” ,”Boy-Girl”) che fanno della band il gruppo di punta della nuova scena irlandese. In pochi giorni la sala prove nel giardino di The Edge viene preso da assalto da centinaia di ragazzine urlanti, costrette ad andarsene per via di una pioggia fastidiosa, provocata dallo scorbutico Larry e dal suo idrante. Il 19 marzo 1980 è il momento della svolta. Bono e compagni vengono arruolati dalla “Island” di Chris Blackwell, l’ uomo che ha fatto conoscere Bob Marley in tutta l’Inghilterra. Il sospirato contratto, però, ha l’effetto di una bomba. In vista delle registrazioni del primo album, la tensione sale alle stelle e gli incontri in studio si trasformano in risse. Gli ultimi giorni di marzo sono i più pesanti, e sono dedicati alla stesura di “I Will Follow”. The Edge è isterico. Ha appena litigato con i genitori, gli ha chiesto di rinviare di un anno l’ iscrizione all’università per concedere una chance agli U2. Alla tensione in sala si aggiunge quella in sala prove, ogni volta che parte con il giro di chitarra di “I Will Follow”, vede Bono scuotere la testa. La scena si ripete un’infinità di volte, si arriva al punto che Bono strappa dalle mani la chitarra di The Edge, ferendolo nel suo orgoglio e scatenando così la reazione di quest’ultimo. Tra liti furibonde, si arriva al 20 ottobre, quando “Boy” compare nei negozi di dischi del Regno Unito. “Finalmente un gruppo pop con il cervello!”: è il coro unanime della critica. Nella prima settimana di dicembre la band sbarca negli States, dove si esibisce al Ritz di New York. L’esperienza americana è devastante, il concerto funziona, ma Barry Ulead, primo manager del gruppo, è scomparso, lo ritroveranno più tardi in un commissariato di polizia dopo aver assistito ad un omicidio. Dopo due giorni viene ucciso John Lennon, a rivolverate, Bono ne rimane sconvolto. Dopo una breve esperienza in Europa, si ritorna in America, ai primi di marzo del 1981, dove quattro simpatiche “grampes” riescono ad introdursi nei camerini rubando una valigietta con 300 dollari ed i testi del nuovo album, “October”. Bono è sull’orlo della depressione, è costretto ad improvvisare in studio i testi delle canzoni. L’atmosfera è tesissima, Bono, Larry e The Edge sono in preda ad una crisi mistica, iniziano a dubitare che la fede cristiana possa sfasare la militanza in un gruppo rock. Nell’aria c’è l’ipotesi dello scioglimento, che a questo punti sembra sicuro, ma, fortunatamente, dopo giorni di riflessione, e forse grazie all’illuminazione divina, i tre si convincono che essere cristiani e suonare in una rock band, non è una contraddizione. Il 1983 è l’anno del terzo album, il quale grazie a pezzi mitici come “Sunday Bloody Sunday” proietta gli U2 nell’olimpo delle mainstream band. E’ l’anno frenetico che Bono e compagni vivono in tour, catapultandosi da un continente all’altro, i concerti sono delle vere e proprie maratone dove può succedere di tutto, ed infatti succede di tutto. Nel Massachuttes, arena di Worchester, scattano le manette per Bonovox. In una pausa tra un pezzo e l’altro, si accorge che due energumeni del servizio d’ordine schiaffeggiano una ragazzina intenzionata a salire sul palco, egli allora si avvicina e strappatala dalle mani dei due, la porta sul palco con lui e la invita a ballare. Appena Bono riprende a cantare, la fan, intrepida americana, si incatena alla sua caviglia con un paio di manette di cui, ovviamente, non ha le chiavi. Bono è costretto, così, a continuare buona parte del concerto con la ragazzina ai suoi piedi, fino a quando non riescono a liberarlo segando le manette. Nel Connecticut, a metà dello show, la batteria di Larry Mullen si spezza in due parti. A Bono saltano i nervi ed inizia ad inseguire il povero Larry ricoprendolo di insulti. Fortuna di Mullen, interviene The Edge che con un paio di cazzotti riporta Bono alla calma. A Los Angeles si arriva all’inverosimile, si sfiora la follia pura, il protagonista è ancora una volta lo scapestrato Bonovox. Verso la fine del concerto si scatena una rissa furibonda nelle prima file. Gli U2 cercano invano di ristabilire la calma, ma fallito ogni tentativo, Bono decide di a fare a modo suo. Sotto gli occhi increduli dei suoi compagni e nello stupore generale, si porta su una balconata e minaccia di lanciarsi nel vuoto. Visto che la folla non reagisce, Bono si tuffa. A salvare il cantante degli U2 sono le decine di persone che ne attudiscono la caduta. Nel 1984 con “The Unforgettable Fire”, gli U2 sono ufficialmente candidati a sostituire i “Police” nel ruolo di band più famosa del mondo. Per il passaggio di consegne si deve aspettare fino al 1986 in occasiona dell’ultima data del tour organizzato per beneficenza da “Amnesty International”. E’ la serata che mette fine all’avventura di Sting e soci. La folla del “Giants Stadium” lo sa bene e accoglie i tre inglesi con un boato assordante, lo show prosegue senza sorprese fino a “Invisible Sun” quando succede quello che nessuno si sarebbe aspettato: uno alla volta i membri degli U2 entrano sul palco e sostituiscno quelli dei Police. Larry si siede al posto di Copeland, Adam si infila il basso di Sting, The Edge la chitarra di Summers e Bonovox si impossessa del microfono, dopo alcuni attimi di silenzio da parte del pubblico incredulo, è il delirio. Da questo momento in poi lo scettro di band del pianeta è nelle mani dei quattro di Dublino. Gli U2, sull’onda dello strepitoso successo, continuano a stupire: addirittura finiscono sulla copertina del “Time”, prima di loro vi erani riusciti solo i Beetles. Le riprese del videoclip di “Where the streets have no name”, girato sul tetto di un negozio di liquori a Los Angeles, paralizzano la città. Migliaia di persone prendono d’assalto l’edificio costringendo la polizia a chiudere il traffico per parecchie ore. Il concerto all’ “Olimpic Stadium” entra direttamente nella storia: in onore della band viene accesa la fiaccola olimpica. Era accaduto solo per l’inaugurazione delle Olimpiadi e per l’arrivo del Papa. A questo punto non li può fermare più niente e nessuno. Non riesce a fermarli neanche il sindaco di San Francisco che trascina Bono in tribunale, dopo che quest’ultimo aveva imbrattato una statua con la frase: <>. Il risultato: Bono viene assolto, mentre il sindaco non viene riconfermato al rinnovo dell’am/ne cittadina. Non riescono a fermarli neanche la minaccie di morte, che li costringono ad esibirsi, per qualche anno, su di un palco protetto dalla polizia in borghese. Sono gli anni di “The Joshua tree”. Gli U2 sono ormai consolidati al punto di trasformare in oro tutto quello che toccano. Dopo lo sgretolamento del muro, mentre la DDR scompariva dalle carte geografiche, Bono e soci si muovevano per le strade di Berlino, cercando ispirazione dall’atmosfera di cambiamento che si respirava. La base operativa sono gli studi Hansa dove David Bowie ha inciso i suoi tre album più rappresentativi. Nascono qui i pezzi di “Actung Baby”(1991): il disco che cambia volto al sound di Bono e compagni. Musica elettronica, ritmi “industrial”, noise rock ed il solito grande gusto melodico sono gli ingredienti della nuova avventura. Più del disco, però, quello che lascia a bocca aperta è la scenografia dello “Zoo TV Tour”, fatta di schermi giganteschi, televisori dappertutto, macchine Trabant sospese nel vuoto, e cellulare a disposizione di Bono per chiamare durante i concerti gli uomini politici più rappresentativi. Non c’è mossa degli U2 che non finisca in prima pagina, figurarsi quando Bono e compagni manifestano insieme a Green Peace contro l’installazione di un impianto nucleare a Sellafield nel nord-ovest dell’Inghilterra. Intanto Bono da “The Fly”, la famelica rockstar con gli occhiali neri protagonista dello “Zoo TV Tour”, si trasforma in Maephisto, un piccolo diavolo con tanto di corna. Il cambio di look avviene in contemporanea con la pubblicazione di “Zooropa”(1993), insieme a “The Joshua Tree”, uno degli album più belli in assoluto. “Zooropa” è l’ultimo album in studio prima di “Pop”, uscito nel marzo del 1997. Dopo il grande spettacolo di Reggioemilia, che è di quelli che mozzano il fiato, con più di 150mila fans scatenati, dove Bono arriva agridare sul palco:<>, gli U2 sembrano volersi prendere un po’ di riposo. Rimangono comunque sulla cresta dell’onda, restando sulla scena per il loro impegno sociale. In occasione del Giubileo, infatti, sperano la richiesta del Papa di eliminare, per questo evento, il debito dei paesi del terzo mondo, verso quelli più industrializzati. Bono si fa portavoce in tutto il mondo di tale richiesta, (chiamata “Jubilee 2000”) arriva addirittura in Italia in occasione del Festival di San Remo, dove insieme a Jovanotti si esibisce sul palco dell’Ariston, dopo aver avuto un colloquio con il Presidente del Consiglio, Massimo D’Alema, il quale, oltre a cancellare il debito che tali paesi hanno con l’Italia, si impegna anche a far si che le altre nazioni seguano l’esempio italiano. Segue qualche mese di lavoro in studio, e finalmente ritornano con “All that you can’t leave behind”. Il resto è storia recente.

UN BREVE INCONTRO CON GLI AREA – Arbeit Macht Frei – scritto da Jankadjstrummer

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UN BREVE INCONTRO CON GLI AREA

“Arbeit Macht Frei”, Il lavoro rende liberi, questa era la scritta che primeggiava sul cancello del campo di concentramento di Aushwitz e questo il titolo scelto dagli Area per il loro debutto discografico. Per capire le alchimie che stanno alla base della loro musica è necessario contestualizzare il momento storico del loro percorso artistico, segnato dalle ideologie marxiste e caratterizzato dal forte impegno politico e umano. Musicalmente ondeggiavano dall’improvvisazione free jazz al rock, senza peraltro tralasciare la  musica etnica, l’avanguardia e la tradizione popolare, come fonte di ispirazione. A contribuire alla originalità artistica degli Area era la presenza di Demetrio Stratos, una delle voci più importanti e tecnicamente progredite del panorama italiano. Le interpretazioni di Demetrio erano caratterizzate da un’estensione vocale notevole e da un’emissione altrettanto potente. Il suo studio sulla voce lo accompagnerà nell’arco di tutta la sua breve carriera. La loro musica è assolutamente innovativa affidata quasi tutta al vulcanico Patrizio  Fariselli. Le combinazioni di stili di cui si parlava, saranno sviluppate e trovano posto nelle incursioni elettroniche dell’album ’ “Caution Radiation Area” (’74) e al confronto con la canzone tipo “Gioia e rivoluzione” (da “Crac”, ’75) –       ” …il mio mitra e’ un contrabbaso che ti spara sulla faccia cio’ che penso della vita; con il suono delle dita si combatte una  battaglia che ci porta sulle strade, dalla gente che sa amare.”  fino al  jazz-rock più attento e maturo degli ultimi album senza Demetrio Stratos. Anche per loro si parla di musica progressive ma nella sua  accezione più  evoluta, riferita al superamento degli schemi tradizionali e contaminando gli stili classici del rock. Per quanto riguarda invece l’impegno contenutistico del progetto Area basta prendere i testi per capire che siamo in presenza di testi più colti, ermetici, pieni di metafore e tutti firmati da Frankenstein alias Gianni Sassi il loro produttore. Nella prima formazione degli Area compare anche il bassista Patrick Djivas che però lasciò il gruppo per entrare nelle file della PFM, fu sostituito già dal secondo LP Ares Tavolazzi considerato il miglior bassista e contrabbassista italiano. Gli Area, ben presto diventano il  fenomeno musicale e sociale degli anni ’70  identificato con le  utopie e desideri della generazione che si colloca nell’area della protesta  extraparlamentare, senza nascondere simpatie per un certo “folklore” filo arabo, “International Popular Group” campeggiava sotto  la sigla AREA, perché forte era la loro affinità con il “Movimento” , tanto da  allegare come gesto provocatorio, all’uscita del primo album ARBEIT MATCH FREI, una minacciosa pistola  di cartone metafora per alludere alla cultura e non alla violenza. L’attività concertistica era alla base del loro progetto, suonarono a fianco dei NUCLEUS, dei GENTLE GIANT, in concerti in solidarieta’ con il Cile, con JOAN BEAZ favore del Vietnam, hanno partecipato per tre anni di seguito al FESTIVAL DI RE NUDO, AL PARCO LAMBRO  di MILANO fino ad  un concerto  terapeutico presso l’ Ospedale Psichiatrico di Trieste e alla partecipazione al FESTIVAL MONDIALE DELLA GIOVENTU’ a CUBA. Una delle ultime occasioni di vedere gli AREA, purtroppo senza DEMETRIO fu quella del 14 giugno 79 all’ Arena di Milano. Li quella sera, tantissima gente, tutti i migliori musicisti italiani e gruppi erano presenti al grande raduno, organizzato per  raccogliere fondi per sostenere l’operazione chirurgica di DEMETRIO STRATOS, ricoverato in ospedale a causa di un fulminante tumore al midollo spinale che lo stronco’ tragicamente la sera prima del Concerto. Il prosieguo dell’attività degli Area è segnata da alcuni album pubblicati negli anni ’80, interessanti dal punto di vista musicale ma privi di quella originalità e di estro di cui solo Demetrio era capace di far venire fuori.

FORMAZIONE :  Patrizio Fariselli: Tastiere  Giulio Capiozzo: Batteria Demetrio Stratos: Voce,  Paolo Tofani: Chitarra  Ares Tavolazzi: Basso

Discografia di Demetrio Stratos Solista
METRODORA 1976 (Cramps)
O’TZITZIRAS O’MITZIRAS 1978
CANTARE LA VOCE 1978 (Cramps)
RECITARCANTANDO 1978 live con LUCIO FABBRI (Cramps)
ROCK and ROLL EXHIBITION 1979 (Cramps) con Mauro Pagani, Paolo Tofani
CONCERTO ALL’ELFO (1997) (Cramps)
SUONARE LA VOCE (VHS)
LE MILLEUNA (Cramps 1980)
con I  RIBELLI : “Pugni Chiusi” (Ricordi 1967)
con ALBERTO RADIUS: RADIUS (Numero Uno 1972)
con JOHN CAGE: JOHN CAGE ( Cramps 1974)
con GAETANO LIGUORI – GIULIO STOCCHI Cantata Rossa per Taal El Zaatar 1976
con ARTISTI VARI : POESIA SONORA (Futura Cramps 1978 / 7Lp, Artis 1989 / 5cd)
con MAURO PAGANI : “MAURO PAGANI” (Ascolto 1978)
“Poesia Sonora” (Cramps /Futura 1978)
con il Gruppo dei CARNASCIALIA : “Carnascialia” (Mirto/Phonogram 1979)
DISCOGRAFIA  – AREA ( INTERNATIONAL POPULAR GROUP )
 Arbeit macht frei Luglio,Agosto,Settembre (nero)
Arbeit macht frei
Consapevolezza
Le labbra del tempo
240 chilometri da Smirne
L’abbattimento dello Zeppelin
 Caution radiation Area Cometa Rossa
ZYG (Crescita Zero)
Brujo
MIRage?Mirage
Lobotomia
 

CRAC!

L’Elefante Bianco
La mela di Odessa
Megalopoli
Nervi Scoperti
Gioa e Rivoluzione
Implosion
Area 5
  AREAZIONE Luglio,Agosto,Settembre (nero)
La mela di Odessa
Cometa Rossa
Area(A)zione
L’Internazionale
 

MALEDETTI

Evaporazione
Diforisma Urbano
Gerontocrazia
Scum
Il massacro di Brandeburgo numero tre in sol maggiore
Caos (parte seconda)
 

AREA  IL MEGLIO

CD1
Evaporazione
Arbeit Macht Frei
Luglio,agosto,settembre (nero)
L’abbattimento dello Zeppelin
ZYG
Cometa Rossa
Lobotomia
Il massacro di Brandeburgo numero tre in sol maggiore
L’Elefante Bianco
Gerontocrazia
CD2
La Mela di Odessa
Gioia e Rivoluzione
Scum
Giro,Giro Tondo
L’Internazionale
Boom Boom
Improvvisazione
 

Antologicamente

L’Elefante Bianco
Megalopoli
La Mela di Odessa
Lobotomia
Presentation Concerts Lisboa
Arbeit Macht Frei
Cometa Rossa
Luglio,agosto,settembre (nero)
L’Internazionale
L’Abbattimento dello Zeppelin (1973)
Arbeit Macht Frei (1973)
ZYG (1973)
Citazione da George L.Jackson (1974)
Nervi Scoperti (1975)
Gerontocrazia (1976)
Il Bandito del deserto
Interno con figure e luci
Return from Workuta
Guardati dal mese vicino all’aprile
Hommage a’ Violette Nozieres
Ici on Dance!
Acrostico in memoria di Laio
“FFF”(Festa,Farina e Forca)
Vodka Cola
 

Event 1996

registrato dal vivo all’UNIVERSITA’ DI MILANO
Caos II parte1
Caos II parte2
Event ’76
Il CONCERTO (Arena Civica,Milano 14 giugno 1979)(Cramps 1980)
per ricordare demetrio
morto il 13 giugno 1979
La Torre dell’Alchimista
Danza ad Anello
A.S.A.
Lectric Rag
La Luna nel Pozzo
TIC & TAC
Quartet
Sibarotega
Chantee d’Amore
Antes de Hablar Abra la B
Si sciolgono dopo poco per riformarsi nel 1997, esce l’album dal titolo:
 

 

1991 Chernobyl

15.000 umbrellas (part 1)
15.000 umbrellas (part 2)
Liquiescenza
Wedding day
Chernobyl 7991
Fall Down
Il Faut Marteler
Efstrations
Mbira & Orizzonti
Colchide
Deriva (sogni sognati vendesi)
Sedimentazioni

THE CLASH Something about England – Con la Brexit sempre più soli! scritto da Jankadjstrummer

 

 

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THE CLASH – SOMETHING ABOUT ENGLAND 

Questo  non è sicuramente una hit  dei Clash ma  è un brano un pò insolito inserito nel loro capolavoro più maturo che è  “SANDINISTA” del 1980.

Di questo brano JOE STRUMMER disse:
“There are some stupid tracks, there are some brilliant tracks. The more I think about it, the happier I am that it is what it is.”

“Ci sono alcune tracce stupide, ci sono alcune tracce brillanti. Più ci penso, più sono felice che sia quello che è ”.

Il brano venne composto come al solito da Joe Strummer e Mick Jones, e  cantato in coppia,  Mick Jones al piano, Topper Headon alla batteria, ed è  cantato come una sorta  di botta e risposta da Strummer e Jones  e arricchito da una sezione fiati in grande stile Gary Barnacle ( poi utilizzato da David Bowie, Elvis Costello e Jamoroquai ), suo padre Bill  e David Yates,  un brano che non mi risulta sia stato mai suonato dal vivo.

Un brano intenso e non minimale  perché ricco di suoni e sfumature che lo rendono avvolgente, si regge su  una immaginaria conversazione tra Mick Jones e un vecchio avvolto in un soprabito sporco (Joe Strummer) che racconta la storia dell’Inghilterra dalla prima guerra mondiale al 1980 dal punto di vista dei perdenti di ogni epoca,  un racconto  impietoso in cui prevalgono  le ingiustizie, le storture e le disgrazie. Un testo politico, lucido, lirico  che si conclude con una frase che calza benissimo con quello che sta succedendo in Inghilterra in questo periodo, a dimostrazione che gli errori quasi sempre si ripetono inesorabili ” An’ old England was all alone ( e la vecchia Inghilterra rimase sola) come ora del resto sta succedendo con la Brexit.

 

QUALCOSA SULL’INGHILTERRA

Dicono che gli immigrati rubano le borchie
alle macchine dei rispettati gentiluomini
Dicono che sarebbero rose e fiori
se l’Inghilterra fosse di nuovo degli inglesi

Beh ho visto un soprabito sudicio
ai piedi del pilastro della strada
c’era appoggiato un vecchio
di quelli che il tempo non logora
Mentre la notte era lacerata dalle sirene
I lampeggianti blu giravano veloci
Dalla discoteca una chiamata a un’ambulanza
I bar chiusero tutti in fretta

Il mio silenzio fissava il soffitto
vagando per la stanza singola
Pensai che il vecchio mi avrebbe potuto aiutare
spiegandomi la sua malinconia
“Credi davvero che sia una novità?
Ci credi davvero?”
mi schernì il vecchio
“ti dirò un paio di cose.”

“Mi sono perso la guerra del 14-18
ma non il dolore che ne è seguito
Mio padre morto, mia madre fuggita via
i miei fratelli presero una brutta strada
Gli anni 20 passarono, il nord era stremato
lo sciopero della fame marciò verso sud
Non se ne fece parola al ricevimento in giardino
Le signore si portavano la torta alla bocca
v Cominciò l’altra guerra e la mia nave partì
con ordini di battaglia scritti in rosso
Nei cinque lunghi anni di pallottole e granate
Abbiamo lasciato dieci milioni di morti
I pochi superstiti tornarono alla vecchia Picadilly
noi ciondolavamo zoppicando intorno a Leicester Square
Il mondo era occupato a ricostruire
E gli architetti se ne fregavano

Ma come potevamo sapere quando ero giovane
tutti i cambiamenti che ci aspettavano?
Tutte le foto nei portafogli sui campi di battaglia
E adesso il terrore del sole scientifico
C’erano padroni e servi, e servi e cani
Vi hanno insegnato a fare il saluto militare
Ma tra scioperi e carestie e guerra e pace
L’Inghilterra non ha mai colmato quel divario

Allora lasciami adesso, la luna è alta nel cielo
Ma ricorda le storie che ti racconto
I ricordi che hai rivangato
Sono su lettere inoltrate dall’inferno.”
Le strade erano ormai deserte
Le gang si trascinavano verso casa
Le luci si spensero nelle camere
E la vecchia Inghilterra rimase sola.

They say immigrants steal the hubcaps
Of the respected gentlemen
They say it would be wine an’ roses
If England were for Englishmen again

Well I saw a dirty overcoat
At the foot of the pillar of the road
Propped inside was an old man
Whom time would not erode
When the night was snapped by sirens
Those blue lights circled fast
The dancehall called for an’ ambulance
The bars all closed up fast

My silence gazing at the ceiling
While roaming the single room
I thought the old man could help me
If he could explain the gloom
You really think it’s all new
You really think about it too
The old man scoffed as he spoke to me
I’ll tell you a thing or two

I missed the fourteen-eighteen war
But not the sorrow afterwards
With my father dead and my mother ran off
My brothers took the pay of hoods
The twenties turned the north was dead
The hunger strike came marching south
At the garden party not a word was said
The ladies lifted cake to their mouths

The next war began and my ship sailed
With battle orders writ in red
In five long years of bullets and shells
We left ten million dead
The few returned to old Piccadily
We limped around Leicester Square
The world was busy rebuilding itself
The architects could not care
v But how could we know when I was young
All the changes that were to come?
All the photos in the wallets on the battlefield
And now the terror of the scientific sun
There was masters an’ servants an’ servants an’ dogs
They taught you how to touch your cap
But through strikes an’ famine an’ war an’ peace
England never closed this gap

So leave me now the moon is up
But remember all the tales I tell
The memories that you have dredged up
Are on letters forwarded from hell
The streets were by now deserted
The gangs had trudged off home
The lights clicked off in the bedsits
An’ old England was all alone

 

 

LA PREMIATA DITTA BRUNORI SaS – Recensione dei primi 3 album da Jankadjstrummer

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BRUNORI SAS   VOLUME 1

Dario Brunori, cantautore, imprenditore mancato, ha costituito una società, la “ Brunori Sas” ed è con questa ragione sociale che ha pubblicato il suo primo disco “ Vol. 1”, con cui ha incassato l’ambito Premio Ciampi  2009 come miglior disco d’esordio.  Questo giovane cantautore calabrese colpisce per la sua semplicità, per le sue canzoni pop, cantabili da tutti oltre che per la  ricerca musicale fatta con spontaneità e sincerità. Lui si definisce ”un  neo-urlatore italiano”, con questo lavoro esorcizza le paure e i drammi legati ad una precarietà lavorativa ormai irreversibile che tocca i 30enni di oggi  “E’ il mutuo il pensiero peggiore del mondo. Tasso fisso, con l’euribor c’è chi sta impazzendo da un anno. Cosa vuoi che scriva? Di cosa vuoi che canti?” (“Come Stai”). Si sprecano le citazioni riguardanti il vissuto e la quotidianità della nostra Italia degli anni ’80 e ’90  trattata con molta ironia, palloni arancioni “super Santos” sulla spiaggia,  la Fenech, Novella 2000 tutta una carrellata di personaggi che hanno fatto la storia italiana, canzoni popolari in cui lo spirito di Rino Gaetano rivive. Ottimo il brano “Guardia 82”, uno spaccato della provincia calabrese dove i ricordi estivi sono legati ai primi amori e alle inquietudini giovanili, i rimpianti di una spensieratezza adolescenziale ormai svanita.   Molto carina la stralunata e qualunquista “ Paolo” che richiama alla memoria in grande Ivan Graziani, “Nanà” pezzo in cui se la prende con la retorica degli artisti mediocri e  “stella d’argento” una cover degli anni ‘60 cantata, se non ricordo male, da Fred Buongusto qui riproposta molto melodica ed originale che starebbe bene intonata in compagnia e con un bel bicchierone di vino fresco, intorno ad un falò sulla spiaggia di Guardia Piemontese. La grandezza di Brunori sta nel fare proprie le esperienze dei cantautori italiani  e rileggerli con un suo stile se vogliamo canzonatorio, graffiante ma anche diretto ed essenziale. Sono delle coloratissime foto “Polaroid” che colgono le nostre inquietudini e la nostra pura quotidianità. Musicalmente Vol. 1 si presenta come un lavoro cantautorale, chitarra, voce e minimo accompagnamento fatto di lievi incursioni di fiati, l’essenziale che rende il cantato anzi l’urlato pungente ed impertinente, impertinenza che viene richiamata anche nella copertina del disco che ritrae un adolescente in canottiera anni ‘70 che  fa la faccia buffa all’obiettivo, quasi una foto autobiografica. Dario Brunori è senz’altro un artista da seguire con attenzione perché sono sicuro che presto avrà il successo che si merita.

  1. Il pugile
  2. Italian dandy
  3. Nanà
  4. Paolo
  5. Come stai
  6. Guardia ’82
  7. L’imprenditore
  8. Di così
  9. Stella d’argento

BRUNORI  SaS  VOL. 2°   “ POVERI CRISTI”

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TRACKLIST

  1. Il giovane Mario
    2. Lei, lui, Firenze
    3. Rosa
    4. Una domenica notte
    5. Il suo sorriso (con Dente)
    6. La mosca
    7. Bruno mio dove sei
    8. Animal colletti (con Dimartino)
    9. Tre capelli sul comò
    10. Fra milioni di stelle

Aspettavo il disco che confermasse il valore della premiata Ditta Brunori Sas, dopo 2 anni, finalmente, è arrivato, il 17 giugno 2011 uscirà il secondo Volume dell’irriverente cantautore calabrese. Ho avuto, in anteprima, il disco ed è sorprendente constatare la sua crescita e la sua maturità raggiunta, Dario con questo lavoro si lascia tentare dalla tradizione del cantautorato italiano vedi De Andrè di Storia di un impiegato o il Guccini di Stanze di vita quotidiana per proporre una sorta di concept album sui “poveri cristi” nostrani. Dieci storie di tutti i giorni che scavano nelle vicende semplici ma al tempo stesso tragiche di personaggi che fanno i conti con i problemi quotidiani e con le piccole e grandi vicende umane che li attanagliano. La leggerezza con cui tratta questi temi è la chiave di volta di tutto l’album, i drammi umani raccontati si trasformano spesso in paradossali tragicomiche come nel brano” Il giovane Mario” che sogna di risolvere i problemi economici familiari con le slot-machine, sente il peso di una vita di stenti e la sua sconfitta umana diventa malessere interiore, tragedia, cerca di farla finita legandosi al lampadario con un cappio al collo, senza tener conto, però, della  fragilità del solaio; questo è un esempio dei 10  poveri cristi che affollano questo lavoro del Brunori, storie semplici vissute da persone semplici e trattate con profonda ironia. Storie di normale quotidianità, in cui si fondono sentimenti contrapposti leggiadria e crudezza nei racconti o la rabbia e i buoni sentimenti dei personaggi.  Le canzoni di Brunori sfiorano sempre il grottesco ma sono densi di malinconia,  commuovono ma con il sorriso sulle labbra, in questo, come ebbi a dire nella recensione del 1° volume, trovo il suo punto di riferimento, il suo nume tutelare, nella poetica di Rino Gaetano. In brani come Rosa o Tre capelli sul comò risulta evidente il richiamo alle sonorità e al modo di approccio lirico tipico del cantautore crotonese tuttavia questo non mi sembra per niente un limite anzi ritengo che sia un elemento caratterizzante di una ritrovata vena nel panorama dei nuovi cantautori che la dice lunga sulla rinascita della poesia italiana. In poveri cristi si urlano le debolezze, le gioie ma anche la voglia di vivere, la rabbia, l’indignazione delle persone comuni a cui Brunori riesce a dar voce. Vi segnalo una dolce e commovente “ Bruno dove sei” dedicata al suo padre morto in cui emergono i valori della famiglia e del rispetto ma senza nessuna retorica, e “Il suo sorriso”, in duetto con Dente, brano carico di ironia, un tentativo ben riuscito di fare una canzone pop fuori dai clichè tipici della canzone italiana. Questo Vol 2° mette un po’ a nudo i sentimenti personali, non c’è più tempo per la nostalgia dell’estate passata al mare di Guardia Piemontese o per i primi impulsi amorosi adolescenziali, è il tempo di far emergere le contraddizioni di una società instabile partendo dalle persone comuni, dalle storie personali non rinunciando mai agli insegnamenti dei grandi cantautori italiani.

Un disco che consiglio con forza! Buon ascolto da Jankadjstrummer

 

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BRUNORI SaS  – vol. 3° – Il cammino di Santiago in taxi “…. passando da Belmonte Calabro.

E’ uscito da qualche giorno il terzo capitolo o volume del cantautore calabrese “il cammino di Santiago in taxi“, sono già al 4° ascolto e sto scoprendo che ci sono molte novità rispetto ai suoi primi due album, non fosse altro che per la purezza del suono che Dario Brunori ha affidato  al tecnico giapponese  Taketo Gohara considerato ormai il deus ex machina del sound alternativo e alla location scelta per registrare il disco: un ex convento seicentesco di frati Cappuccini a Belmonte Calabro, una scelta – afferma il cantautore- capace di rompere la routine di una classica sala di registrazione ma che dà a  lui e la sua band stimoli nuovi che solo  la tranquilla campagna calabrese è capace di offrire.  Altro elemento caratterizzante  di queste undici tracce scelte è quel duplice risultato di scrivere testi e musica di ispirazione cantautorale ma nello stesso tempo adattarlo ad una band come la sua già ben rodata e con l’aggiunta di strumenti nuovi ( batteria elettronica ,basso, tastiere), un buon supergruppo che ha acquistato sempre più quote nella sua società in accomandita semplice.  Anche l’approccio alle canzoni è cambiato, non più ballate accompagnate con la chitarra acustica ma l’utilizzo del piano che, per certi versi, addolcisce e rende più intimo il suono. I testi sono sempre pieni di semplicità e forse di un pizzico di ingenuità anche quando con fervida ironia scava nella quotidianità delle famiglie o nella deriva della società italiana. Non si tratta di un disco di rottura perché c’è molto del Brunori del passato: la malinconia, le storie, la religione, le abitudini ma anche la nostalgia del falò sulla spiaggia o della gita scolastica in pulman, ma  in questo vol.3° si ritrova una forte dimensione interiore dell’artista preso com’è dalle sue paure e dalle angosce comuni a tutta una generazione di disillusi sempre in conflitto tra impegno  e voglia di evasione. In questo, secondo me, sta l’essenza nel cammino di Santiago in taxi, la voglia di lottare, soffrire di raggiungere la meta agognata ma con comodità senza quella esigenza frenetica che sono lo stereotipo delle nuove generazioni. I brani sono molto belli ma richiedono un ascolto continuo e più concentrazione perché sono un caledeoscopio di storie diverse, citazioni, immagini cinematografiche che si assaporano solo con un po’ di decantazione. Siamo in presenza di un Brunori molto maturo e cresciuto artisticamente a cui va perdonata la mancanza di quella sana rabbia che è patrimonio della gente del sud  ma che viene compensata con una lucida analisi spesso canzonatoria della società italiana alle prese con una crisi epocale.

Track By track

1)      Arrivederci Tristezza:  un pianoforte lieve e un intenso testo vive nella eterna lotta tra ragione ed intelletto che  sfocia nel finale  in una liberatoria  vittoria del sentimento in una apoteosi di archi e vibrofono.

2)      Mambo Reazionario: ha il giusto ritmo e le atmosfere alla Rino Gaetano, testo pungente contro il conformismo di chi alla lotta, agli ideali oggi cedono alla famiglia come nido tranquillo e alla  voglia di benessere “ colui che si piega alle leggi del mercato e compra il divano cammellato, accostando Che Guevara a Pinochet che ballano felici sulle basi di Beyoncè”

3)      Kurt Cobain: lo spunto è la breve vita del cantante dei Nirvana: una profonda riflessione su come la popolarità  spinga a vivere una vita di eccessi e come questa spesso diventa frustrazione in soggetti deboli che non sopportano di interpretare il ruolo del mito.

4)      Le quattro volte : sono il susseguirsi delle stagioni della vita che si ripetono sempre uguali tanto da produrre forti frustrazioni ma Brunori concede una via d’uscita: “si può nascere un’altra volta e poi rinascere ancora un’altra volta, se ti va”.

5)      Il Santo Morto è il  classico brano di Brunori, un brano che è un collage di frasi, citazioni che vanno dalle immagini pubblicitarie ( Pulcino Pio, Nonna Pina e le sue tagliatelle ) ad altre messe in bocca a personaggi famosi, “Giordano Bruno  disse “come on baby Light my fire and Stand by me”  esercizi che rimandano allo stile Battiato.

6)       Il manto corto è un brano strumentale in cui è ben in evidenza un sax quasi jazzato che ricorda le sonorità afro- beat della Ju-Ju music nigeriana anni ’70. Gradevole riempitivo.

7)      Maddalena e Madonna è una delle più belle canzoni del disco, una storia romantica, che gioca sul nome dell’”amica” e della Madonna, carica di nostalgia per tempi passati “davanti al Bibò” e  ”  la voglia di andare ancora e c’era l’amore che cambiava il colore del cielo, il sapore del vino, l’odore dell’aria al mattino era solo per te che scrivevo cazzate su un foglio a quadretti”,  qui Dario Brunori  rivela di aver sotto mano da qualche anno questa lirica, ma di essere riuscito a ‘chiuderla’ solo ora “perché dentro di me si agita un ‘Dario’che detesta l’attitudine nostalgica e passatista e un ‘Dario’ che ci starebbe a mollo dalla mattina alla sera”.

8)      In “Nessuno” viene fuori il  Brunori più profondo, più intimo, emergono le sue debolezze anche quando cerca di nascondersi e si cruccia sia per sua mancanza di personalità ed anche per quando si commuove “solo se non c’è nessuno”, una sorta di autoanalisi dei suoi comportamenti  pubblici e privati.

9)      In Pornoromanzo c’è una forte allusione alla “Lolita” di Nabokov, una sorta di storia d’amore tra un professore e la giovane studentessa, brano rockeggiante caricato volutamente di spavalda sessualità.

10)  La vigilia di Natale è una sorta di riflessione sulla normalità familiare,sulla piatta quotidianità e la voglia di fuggire dalla mediocrità della vita sognando “ancora quella casa al mare”. E’ qui che si nota la bravura del Brunori autore, scrivere un testo, se vogliamo, crudo, amaro in cui la nostalgia prevale ma che regale forti emozioni.

11)  Sol come sono sol:  è una canzone d’amore che tratta dell’amore infelice, a ritmo di valzer ,di un promesso sposo lasciato all’altare. Brunori si diverte nel titolo a giocare con le note e con le parole e forse prende in giro Jovanotti e quel suo “io lo so che non sono solo anche quando sono solo”,  in un pezzo drammaticamente ironico che raccontare il fallimento di un matrimonio.

TRACKLIST

  1. Arrivederci tristezza
  2. Mambo reazionario
  3. Kurt Cobain
  4. Le quattro volte
  5. Il santo morto
  6. Il manto corto
  7. Maddalena e Madonna
  8. Nessuno
  9. Pornoromanzo
  10. Vigilia di Natale
  11. Sol come sono Sol

JANKADJSTRUMMER

The FINISTER “ Suburbs of mind” Red Cat Records

The FINISTER “ Suburbs of mind” Red Cat Records

I’m the dream the eternal vision of a passive wakeful man

the truth that talks with false I’m a vertigo around the void,

a bore without the walls

Io sono il sogno, l’eterna visione Sono una vertigine intorno al vuoto

un pozzo senza le pareti di un passivo uomo senza sonno.

La verità che parla con il falso.

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Un pomeriggio d’estate ho ricevuto una telefonata di una amica, che non vedevo da tempo, dal passato punk che, tra i convenevoli, mi ha parlato di una band di giovanissimi fiorentini  che stava promuovendo   il loro disco d’esordio e che ci teneva a farmi ascoltare l’album appena stampato, abbiamo fissato un incontro e davanti ad un bel aperitivo, ha messo su il disco, parte il brano d’apertura “The morning star” e mi sono sentito travolto dal suono  energico  e carico di forza dirompente, siamo sicuri che si tratta di una band agli esordi, ho pensato, ho preso la copertina del disco,The Finister  “ Suburbs of mind “, il libretto con  in copertina una pennellata molto evocativa, all’interno testi in inglese ed una bella foto   dei 4 ragazzotti forse anche under 21 che rimanda alla psichedelia americana, sono loro, una giovane band che, a dispetto dell’età, ha assimilato e fatto propri gli insegnamenti dei grandi gruppi. Nelle dieci tracce che compongono il disco è facile scorgere le molteplici   influenze musicali ma è tanto difficile fonderle in un suono originale, personale che abbia corpo e anima. Non è per niente scontato amalgamare elettronica, suoni progressive, sonorità psichedeliche senza cadere nel vortice del deja-vu, i Finister ci sono riusciti, giocando coi suoni classici del rock, riuscendo a sfornare brani moderni, intensi, corposi e capaci di toccare i sentimenti e ad emozionare, qualcosa di molto raro nel nostro panorama musicale dove è facile cadere nella tentazione di suonare un pop- rock stereotipato adatto alle radio e ai talent musicali televisivi.  Al gruppo, dicevo, è facile accostare l’elettronica di ispirazione tedesca, il progressive dei Pink Floyd o dei Van der Graaf Generator o il new rock dei Muse e dei Radiohead ma lo ritengo un giochetto riduttivo utile solo per dargli una etichetta ma che non rende merito a questi ragazzi che dimostrano molta competenza tecnica, puro talento musicale e compositivo. Ci sono brani del disco che mi hanno veramente impressionato, quello d’apertura  The Morning Star, la stella del mattino, quasi a voler profetizzare l’inizio di questo viaggio al centro della musica che i 4 ragazzi si accingono ad intraprendere, un brano variegato in cui le incursioni del sax, il magistrale accompagnamento delle tastiere ad opera di Orlando Cialli e la voce e la chitarra nel crescendo conclusivo di Elia Rinaldi, si rivelano veramente convincenti e maturi. Ma il loro biglietto da visita è  “Bite The Snake”, pubblicato anche come singolo e da cui è stato tratto un video promozionale, in cui ci si può sbizzarrire nella ricerca dei loro fari musicali: tastiere psichedeliche che si intrecciano con un assolo di chiara matrice progressive mentre basso e batteria affidati a Leonardo Brambilla e Lorenzo Burgio  fanno da padroni e  seguono un riff classico di chitarra squisitamente rock, qui è sorprendente la voce di Elia che spazia nei vari stili  canori: indie, blues psichedelico creando una tensione perenne nel brano.  The Way (I Used to Know) è un brano lieve, un blues alternativo che viene fuori nella parte finale  in un crescendo sofferto di chitarra e voce  e sax che ricordaJeff  Buckley. Segue A Decadent Story, un brano dalla forte personalità perché azzarda nella costruzione del brano e nelle sonorità, che crea un suono pungente, energico, con un finale che colpisce come una lama tagliente per poi adagiarsi su suoni prog. più solenni. My Howl nasce come una ballata delicata, sofferta, ma come spesso accade, i FINISTER divagano e dirottano verso altri lidi a loro più congeniali fatti di energia e passione che rendono il brano quasi un trip lisergico.  I due brani che seguono     Levity e Ocean of Thrills hanno una costruzione simile, fatta di rock indie intriso di elettronica e psichedelia in cui non è difficile scorgere le atmosfere pinkfloydiane ma stravolte e personalizzate con grande maestria dal gruppo che le modella a proprio piacimento e le arricchisce di soluzioni parecchio innovative dimostrando le indubbie capacità della band.

Segue The Key che sembra un brano riempitivo, un riff di chitarra avvincente ma ripetitivo ma che convince man mano che va avanti ed entra il resto della band e in particolare con l’intervento possente del sax che rende corale il suono, semplicemente grandioso! Anche Here the Sun parte in sordina quasi una ballata come tante ma che ben presto riesce a avvolgere e condurre nei territori FINISTER intrisi di passioni ed inquietudini giovanili. Il disco si chiude con un altro grande pezzo Everything Goes Black che ha un incipit che sembra una appendice del leggendario Atom Heart Mother dei Pink Floyd, dolcezza, suono onirico fino al crescendo vocale e strumentale che è ormai diventato il loro punto di forza e che conferma che siamo al cospetto di una band matura capace di sorprendere e potenzialmente aspirare a vette ben più alte a livello internazionale. Disco fortemente consigliato e un ringraziamento particolare alla mia amica Viviana London che mi ha passato il disco.   JANKADJSTRUMMER

TRACKLIST

  1. The Morning Star
  2. Bite the Snake
  3. The Way (I Used To Know)
  4. A Decadent Story
  5. My Howl
  6. Levity
  7. Oceans of Thrills
  8. The Key
  9. Here the Sun
  10. Everything Goes Back

 

FORMAZIONE

ELIA RINALDI Chitarra & Voce

ORLANDO CIALLI Tastiere & Sax & Cori

LEONARDO BRAMBILLA Basso & Cori

LORENZO BURGIO Batteria & Cori

La Factory di Andy Warhol e il rock di Velluto di Jankadjstrummer

La Factory  di Andy Warhol e il rock di Velluto

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Quando si parla di rock e di band seminali la mente vola alla fine degli anni ’60 e a quel primo album dei Velvet Underground acquistato, come disse Brian Eno, da un centinaio di persone diventati poi a loro volta musicisti o critici musicali. La musica dei Velvet fu una meteora di breve durata, un paio di album e qualche brano proposto come singolo e suonato in qualche performance dal vivo, un rock psichedelico influenzato dalla musica indiana, dalla poesia decadente e da quel desiderio di intendere la musica fuori dagli schemi, che sapeva cogliere quello spirito dirompente e se vogliamo parecchio eversivo. La grandezza della loro musica sta nella intuizione e nella invenzione di quelle atmosfere autodistruttive, malate, tipiche della letteratura metropolitana intrisa di nichilismo che spesso sfociava in paranoia. Atmosfere alienanti che guardavano alla degradazione del vivere moderno fatto di violenza, disperazione e tanta solitudine esistenziale di cui i Velvet Underground, con la loro musica, erano artefici ma che ne somministravano l’antidoto. I loro testi, quasi mai urlati, erano un inno all’ambiguità, alla promiscuità sessuale e alla droga come ricerca del proprio “io” ma mai come pratiche edonistiche o ludiche. La loro musica dava quel senso di squallore tipico della metropoli degradata ma capace di spaziare tra inni trionfali e elegie funebri di un mondo terribile ma seducente. La grandezza innovativa dei Velvet sta nella capacità di richiamare un rituale tipico delle popolazioni primitive in cui gli individui sono partecipi e protagonisti della tribù di appartenenza. I Velvet Underground furono estranei alla canzone di protesta, furono estranei al movimento “flower children” e al divismo dei Beatles e degli Stones. Le loro canzoni erano arrangiate in un modo che non era mai stato tentato prima, un puro caos sonoro, inquietante e visionario avvolto nella nebbia che a poco a poco si diradava per scoprire quel miraggio di speranza in un mondo migliore. Canzoni pop ma che rappresentavano la colonna sonora di una metropoli come New York iper-realista ma deformata da musicisti le cui menti erano offuscate dalle droghe e da fantasie perverse. Musiche e liriche decadenti che ben si compenetravano con la pop art di Andy Warhol che fu uno dei primi a rimanere impressionato dalle loro prime performance al Cafè Bizzarre. Warhol consapevole della loro carica innovativa li tiro” fuori dai sottoscala sottoculturali in cui si esibivano” e li inseri` nei suoi spettacoli totali. Uno dei primi film in cui comparvero s’intitolava “Venus In Furs”. Dell’entourage del suo “Exploding Plastic Inevitable” faceva anche parte l’attrice e cantante tedesca Nico, giunta in America come compagna di Brian Jones, cantante bella ma algida che inietta in quegli show un’atmosfera da cabaret espressionista, tracciando in tal modo un’ inquietante parallelo fra la Berlino anni ’30 e la New York anni ’60. Al complesso viene invece affidato il compito di suonare la colonna sonora per le allucinanti coreografie e gli spettacoli di luce. Fu fu cosi` che i Velvet Underground impararono a produrre il loro stile originale. Alla corte di Warhol alla metà degli anno ’60 c’era tutto il popolo dei borderline pescati dai bassifondi Newyorchesi, un popolo di teppisti, prostitute, gay, drag queen , artisti, tossici che diventa il protagonista delle storie cantate dai Velvet Underground. L’esordio dello show multimediale di Andy Warhol con Nico avvenne nella primavera del ‘66 al “DOM Theatre” a cui seguì una tournèe che attraversò gli Stati Uniti fino alla West coast. Un carrozzone formato dai Velvet ma anche da attori, cineasti, ballerini della Factory di Warhol che portarono nei teatri off americani le esibizioni globali carichi di perversione. Sulla scena, la musica fini per essere un caleidoscopio e una fusione di generi, ogni membro del gruppo portava con sè la propria ispirazione e la propria esperienza, l’avanguardia di John Cale, il tribalismo, il rock, il free jazz e le storie metropolitane di Lou reed. I Velvet Underground furono fra i primi gruppi che concepirono la musica rock come arte creativa e non come prodotto commerciale da vendere nel formato del disco a 45 giri. I Velvet Underground furono fra i primi complessi che mostrarono totale disinteresse per le classifiche di vendita. La loro missione era di trasmettere emozioni, esprimere disagio, comunicare all’interno del proprio ambiente. I primi album dei Velvet Underground erano innanzitutto esempi di libertà creativa: il complesso scriveva quello che voleva, lo arrangiava come voleva e lo suonava come voleva, quindi canzoni d’atmosfera ma anche lunghi e deliranti incubi sonori eccessi che si rivelarono antesignani dell’improvvisazione e della dissonanza rock.

Seguirà recensione del loro primo disco “ The velvet Underground and Nico” del 1967 .

JANKADJSTRUMMER

ALESSANDRO MANNARINO IL CIRCO DELLA VITA di jankadjstrummer

IL CIRCO DELLA VITA di ALESSANDRO MANNARINO

(“arzà un dito pe’ esse diverso fa più fatica che
spostà tutto l’Universo”.)

ALESSANDRO MANNARINO, romano, stornellatore e moderno cantastorie compone musiche senza tempo e senza terra, ispirate ai personaggi, ai luoghi e ai suoni popolari di quella Roma ormai diventata luogo contaminato, multietnico in cui la tradizione popolare italiana è fusa e trae linfa vitale dalla cultura gitana e balcanica.

Le storie raccontate da Mannarino sono intrise di folklore e scavano nei sentimenti di personaggi molto spesso dimenticati perché la nostra società li ritiene reietti, emarginati, storie di zingari innamorati, ubriachi avventori di osterie, pagliacci che vagano in un Roma fiabesca e surreale, lui, con leggerezza, riescea renderli vivi e carichi di umanità. Nonostante la sua giovane età, Mannarinoha maturato molta esperienza da musicista e da cantautore, ha iniziato come ama definirsi come ” dj con la chitarra” esibendosi nelle periferie della capitale, presto matura la decisione di formare una band i ” Kampina “, con questa formazione inizia il periodo roseo, ha la possibilità di esibirsi e far valerele sue doti in tutti i clubs della capitale e come ospite fisso nel programmaRai della Dandini, su RADIO 2 con Fiorello. L’esordio discografico lo consacra come astro nascente tra gli artisti emergenti perché la sua musica è viscerale, condita da tante influenze, una sorta di patchanka mediterranea che fa da base musicale e ritmica ad un mondo immaginato carico di malessere, prevaricazione e razzismo strisciante. Il “Bar della rabbia” ( titolo del suo primo album)immagino sia il suo mondo dove i vari personaggi riescono ad avere dignità, possono riscattarsi delle loro pene ed avere un loro momento. AlessandroMannarino, con la sua chitarra, l’eterno cappello ed i baffi da gitano, fa rivivere queste strampalate storie raccontate dagli avventori mentre sorseggiano un liquore o un vino scadente in questo bar d’estrema periferia. Lui con la musica ci sa fare, riesce a creare l’ambiente soffuso, denso di fumo e dialcool imbracciando la sua chitarra acustica, facendosi accompagnare da musicisti che conoscono bene la “partitura”. E’ facile per l’ascoltatore farsi guidare in questo viaggio tra i ricordi di gente rassegnata, disillusa che è convinta della vacuità della propria vita, ascoltare grandi uomini convinti di avere il sapere nel proprio cervello, personaggi che non si sono mai spostati da li ma che raccontano viaggi straordinari ed immaginari che ti insegnano come va il mondo, mentre la musica va, con ritmo lieve e con una chitarra sfiorata da
dita sapienti che scivolano sulle corde. E’ facile quindi farsi rapire da un racconto d’amore impossibile fra una ragazza e un vecchio ubriacone in La strega e il diamante, dagli strani effetti che produce annusare uno sconosciuto fiore tropicale in Elisir d’amor oppure dalla malinconia di un pagliaccio a cui non è consentito piangere per non turbare il pubblico né  Il
pagliaccio
. Storie romanzate probabilmente inventate per far intenerire ma
scritte con sincero trasporto che fanno emergere una autentica poesia. Nel suo secondo disco uscito a fine marzo 2011 dal titolo ” supersantos” (come il pallone di gomma arancione compagno di tante partitelle di calcio nei campetti delle borgate della capitale ) c’è la conferma
del valore del personaggio, anche qui una carrellata di personaggi che
raccontano il loro viaggio , dal tramonto all’alba, in attesa che arrivi la
fine del mondo, storie che si intrecciano tra loro, come lui stesso dichiara,
tra “ritmi forsennati, gonne al vento, vino e lanterne, feste a crepacuore,
ballate struggenti, lamentazioni funebri e sciarade” raccontate in undici braniben costruiti. Un personaggio da tenere d’occhio non fosse altro che perl’originalità dei suoi lavori e per capacità di insinuare un tarlo nella nostratesta che ci induce a pensare e a riflettere sul senso della vita.

(“la cosa più sfortunata e pericolosa che m’è
capitata nella vita è la vita…
” da il Bar della Rabbia )

Jankadjstrummer

 

 

o troveremo la strada o ne costruiremo una

Annibale, Annibale grande generale nero
con una schiera di elefanti attraversasti le alpi e ne uscisti tutto intero a quei tempi gli europei non riuscivano a passarle neanche a piedi ma tu Annibale, Annibale grande generale nero tu le passasti con un mare di elefanti.
Lo sapete quanto sono grandi, grossi e lenti gli elefanti?…….
FIGLI DI ANNIBALE ALMAMEGRETTA

L'immagine può contenere: il seguente testo "troveremo una strada o ne costruiremo una. ANNIBALE (247-182 A.C.)"