Senza Titolo

E l’uomo vive, si affanna, farfuglia,
prova ed è convinto, s’illude d’amare
e mette gli apostrofi.

S’arrampica sui monti e sprofonda negli abissi più neri,
nelle avventure più perverse, nella melma fino alla gola
nel marcio e poi risale leggero,
palloncino colorato verso il cielo
dove un gioco di pressione naturale lo inchioda.

Sparge seme nel vizio dell’immortalità,
sangue alla ricerca del perché della morte
e latte per vivere e nutrire speranze.
Per esse si muove come un pupo siciliano sul palco,
rigido e truccato sugli occhi e ancor più spesso nel cuore.

E poi affonda in lenzuola di seta profumate,
in un campo di fiori dorme profondo
con la natura che canta marcendogli la scocca.

Ed ecco un nuovo vagito che rompe l’aria,
coinvolge l’anima di chi lo ascolta
e due occhi e un sesso e gambe e braccia e linfa che scorre
forte e giovane ad alimentare la musica cosmica dell’essere

un nuovo giorno, una nuova vita, un passo in più

 

Sproloquio delirante n°4

un cielo azzurro dipinto con nuvole di cartone bianche e grigie sfumate come un Turner apocrifo sembra uno scenario cinematografico e forse lo è di sicuro traspare l’indifferenza di ciò che avviene in basso dove siamo costretti a strisciare insultandoci tra noi impauriti da questa vita e soprattutto dal fatto di perderla non avendo altro con cui farci compagnia e scaldarci le ossa cercando la mano più vicina tremante anch’essa in attesa dell’imbrunire fatale che ci aspetta sornione indifferente e cinico

Sproloquio delirante n°3

Che poi a volte ti siedi davanti un sole che cala e sali di quota come un pallone colorato il quotidiano da qualsiasi parte lo guardi affascina si d’accordo rischi sempre di perdere qualcosa ma in fondo chissenefrega l’insieme è la vita che ci porta ad esperire a mani nude raspando la terra senza una reale spiegazione e il voler cambiare le cose è solo una fase che finisce per modellare poi noi stessi curvi e piegati alla meta

Sproloquio delirante n°2

Sai della storia del barbiere nel primo delirio quello che non poteva radersi da solo perchè rade soltanto quelli che non si radono da soli è solo un riferimento al libro di wallace che poi l’ha preso direttamente da russell è un’antinomia e di cose così c’è solo da impazzire così come con le promesse di cambiare il mondo che da giovane usavo come autoflebo e poi si sono rivelate solo tossiche quanto un pomeriggio seduto a bordo strada e la fame nel mondo e l’inquinamento e la pace e la giustizia tutte cose morte crocifisse lungo la via principale affinchè funzionino da monito per gli esseri obsoleti di questa società che ormai sono solo carne da macello pronti allo scontro

Sproloquio delirante forse n°1

E lui le parla di stelle quando avrebbe voluto leccarla e lei che finge di capire stordita dal feromone e dal freddo un cane che piscia indifferente e un gioco di parole assurde sulla testa scoppiata di un barbiere che non può radersi da solo una sirena lontana con gente in divisa o in camice in fondo non cambia molto nemmeno per quel cielo indifferente che osserva e tossisce affumicato pure lui indeciso sul da farsi che tanto è uguale prima o poi tutto finisce anche sto sproloquio meglio prima d’accordo ma il fatto è che siamo uno scherzo di natura con una iper-coscienza di se che ci porta a credere di essere unici e importanti quando si tratta solo di molecole ben combinate ma non per questo meno insignificanti e basta un attimo un attimo solo, qualora il tempo esistesse.

Hermann

Siamo seduti in un locale un po’ confusionario e io sono già abbastanza stordito di mio.
Hermann parla parla e parla. Qualcosa starà dicendo, faccio solo finta di seguire il fiume torbido delle sue parole annuendo e soffiando aria dalla piega delle labbra atteggiate a ghigno.
Anvedi quella, che fica! praticamente urla costringendomi a seguire il suo sguardo che si scontra con un essere più basso che largo, privo di collo, con baffi neri, un occhio puntato sul soffitto e l’altro che ci scruta malizioso.
Ma chi? chiedo inorridito aspettandomi già il peggio.
Che patacca. continua lui con un luccichio strano all’angolo della bocca.
Ma che sta a sbavà?
Ho capito me stai a pià per culo. E abbasso lo sguardo sul mio piatto colmo di un qualcosa che non identifico. Cinese, Giapponese o frittata alle erbe multicolorata e senza dubbio bruciata?
Che cazzo ci faccio qui? E come ci sono arrivato?
Bevo che è meglio, birra artigianale Ritual Lab giù a fiumi. Forse c’è uno sbalzo di tempo, non so.
Lui riattacca. E quella? Mi volto e vedo una donna, più o meno piacente, diciamo passabile va.
Dico. Boh, si, niente di che. E butto giù liquido.
Come gnente de che? E’ bonissima oh. Che cià che nun te piace?
A Ermà nun o so, nun è er tipo mio.
Nun è er tipo tuo? E che cazzo vor dì? Daje! dimme na cosa che proprio nun te piace de questa.
Forzato torno a guardarla. Ehh bohh le caviglie.
Le caviglie??? Sbraita attirando l’attenzione di tutti gli altri avventori che ora vedo storditi anche loro. Oppure è l’effetto doppler della birra e di qualcosa che ho preso prima di entrare in quell’inferno.
E che cianno ste caviglie?
So un po’ grosse. Azzardo anche poco convinto e ormai rassegnato con la testa piegata sulla frittata.
Ma che cazzo te frega de cavije? Una gamba di qua e una gamba di là e vai. Bum Bum Bum Bum.
Accompagnando con il corpo il gesto di gettare le gambe della sventurata sulle rispettive spalle di lui e muovendo le pelvi sulla sedia di certo non progettata per sopportare quello sport sopra di lei.
Okay Ermà annamo! Scatto in piedi, metto soldi in modo spropositato in mano al ragazzo del posto che ci blocca l’uscita e mi fiondo fuori. Hermann mi segue bofonchiando qualcosa.
Lo convinco promettendogli pizza e mortadella da Roscioli. Intanto scandaglia intorno a noi alla ricerca di femmine da impalare mentalmente.
Dio che arsura, birra please.

Non lo leggete

Thomas Mann
La montagna incantata (1924).
Diviso in due volumi, è un romanzo pericoloso. Fa star male fisicamente.
La malattia, il tempo, il sentimento presunto, la bellezza e la rinuncia alla vita, il crogiolarsi nell’essere accudito, il far parte di una comunità, lo scontro di idee e ideologie, l’amore perso o peggio mai avuto, l’amicizia, il duello, la guerra.
Leggendo, vivi le stesse emozioni del protagonista. Stanchezza cronica e sonno che sfocia in incubi angoscianti e fastidiosi. Non ti fa pensare, lo fa per te.
Sentirsi male è meglio che stare bene, più completo.
Cosa c’è di più facile se qualcuno si occupa di te e ti accudisce come nell’infanzia? Quando tutti ti dicevano cosa fare  e come vedere le cose.
Accettarlo di buon grado era la cosa migliore, più comoda per tutti.
Ora però misuro la febbre anch’io.
E’ l’instabilità della vita e di quando il tuo umore dipende da un buongiorno smozzicato o da una nuvola che passa.
Sale la pressione, sale la temperatura quando sei in balia delle cose intorno a te e perdi stabilità.
Sei sferzato dal vento e dagli eventi e dalle persone che ti guardano le scarpe o ti carezzano con gli occhi salutandoti.
Continuo a leggere, da pag. 302 a 316 assoluto capolavoro.
Nel secondo volume la morte si fa viva, dalla minaccia alla concretezza.
I mille pensieri e le filosofie espresse dai protagonisti, tutto vero e tutto falso al tempo stesso.
Fatali illusioni  che dividono e minacciano la bolla del sanatorio del romanzo e il mondo intero.
Fino a farlo scoppiare.
E’ un bene?
E’ un male?
Poco importa, si resta lì ad ammirarlo.
Incantati.

Sogno da Bar

Sul tavolo una tazza sporca di cappuccino schiumato, un piattino con su un cornetto alla marmellata mezzo smozzicato, un bicchiere non proprio limpido con acqua e tovagliolini di carta buttati alla rinfusa.
Mi raccontava di lei e di lui e del giorno che discussero sulla felicità.
Di quando lei avrebbe voluto imporla o quantomeno preteso un maggior impegno nella ricerca di essa e di come lui, incazzato, che inveiva contro di lei, pavoneggiando una sorta di serena rassegnazione nell’accettare i casi della vita, traendo conforto da attimi del quotidiano fuggenti ed unici come un frullar d’ali.
Qual è l’approccio migliore? La ricerca o la rassegnazione?
L’accontentarsi o è la speranza attiva che ci deve muovere?
Con gli occhi fissi su me cerca una risposta, un appoggio morale, un’alleanza solidale e concreta. Poggia la sua mano sulla mia, il busto in avanti come attratta da un magnete con epicentro il mio petto, in speranzosa attesa.
Che dirle?
La osservo cercando di frenare l’ormone in agguato, inspiro il suo lieve profumo, butto gli occhi sulla scollatura del seno che si divide con decisione e promesse. Cerco di concentrarmi sull’argomento ma mi viene da ridere.
Complimenti al tuo amico che si incazza serenamente, che vuoi che ti dica?
La felicità è  una droga pesante che solo a sprazzi trascina in alto e …
blatero in un ridicolo slancio pindarico.
Mi guardi come avessi un brutto male, il magnete deve aver invertito la polarità e di scatto il tuo retro-spalle impatta lo schienale della sedia rigida, apri la bocca e scandalizzata urli in falsetto.
Dai ragione a luiii?!!
Ma no, che dici? Volevo dire…
Ho capito benissimo quello che volevi dire, allora anche tu hai rinunciato.
Ma di che cazzo parli?
E’ leggermente rossa in viso, le vene del collo evidenziate. E’ realmente pazza!
Cerca qualcosa nella borsa, mica starà per piangere?
Senti devo proprio andare, ne parliamo un’altra volta
Ho capito che non è aria.
Mi si aggrappa all’avambraccio, cerca di impedire il mio decollo.
Sei uno stronzo!
Da sempre, non faccio per vantarmi!
Sfodero il mio sorriso da ictus e in contemporanea lascio a malincuore un raro biglietto rosa con barra metallica sul tavolino metalloplastico.
Ciao, ci sentiamo…
maddechè!
So che sta osservando il mio culo che si allontana rapidamente, so che bastava poco e il sesso avrebbe sopito i tormenti di quell’anima in pena, so che (cazzo!) avrei proprio voluto trombarla.

Ma la felicità fa davvero paura, meglio, molto meglio scappare!
Come un antilope nel bosco, come un evasore davanti la finanza, come un dracula in ritardo che coglie il primo baglior di sole.
Mi sveglio?
Uno dei miei soliti sogni da bar.

Riaffiorano fossili

Cerco di spiegarmi tutto.
Riassumo nella testa l’insieme raccattando pezzi sparsi e sensazioni vissute che,
come macchie di sudore sotto le ascelle lasciano un alone duro a smaltire e orribile da raccontare.

E passo passo, mollica a mollica cerco di contenere nelle mani tutto il contenibile.
Qualcosa sfugge, cade attratto dall’oblio vorticoso del tempo famelico, filtra tra le dita
e cola negli spazi più infimi, nelle cantine più buie.

E perdo il tutto!

Ricominciando ancora da capo nella raccolta con la consapevolezza e la forza della sconfitta.

Ricordo un tuo ciao ciao ciao ciao sbaciucchiandomi.
Una lacrima calda in quel silenzio folle di un orgasmo.
Quelle scale dietro il Campidoglio dove rincorrevo le tue natiche dure.
Le bugie. Le gioie, la vergogna e la follia.

Polline e fiori svolazzano, l’aria calda di un’estate rovente ammorba i ricordi.
Vedo mamme correre trascinando bambini attoniti e rassegnati, cani ben vestiti in cerca di un osso da mordere e soprattutto da mostrare, belle donne profumate che non possederò mai, occhi persi e gesti consumati dal tempo e dalla noia.

Volo in alto, forse troppo. Sento il fruscio del vento tra i capelli e le piume, l’aria ora è frizzante,
la visione del tutto è completa, la dimensione delle cose quella giusta… respiro bene.

Si lo ammetto, è una fuga ma da quassù il relativo è legge e le sfumature addolcendo i contorni
rendono le cose più belle.

E il bello si sa…

Si si

Si si, penso di si, annuisco enfatizzando come un coglione, che in fondo ci sono portato.
E poi mettersi di nuovo a pensare lo trovo troppo faticoso e soprattutto inutile se non per contribuire al surriscaldamento generale.
Meglio barcollare così durante il giorno e soccombere la notte sotto il ticchettio forte del meccanismo temporale, in balia dei sogni che ti prendono per mano e ti sgrullano come un panno alla finestra.
Il paesaggio con la nebbia, la vecchietta in bici con le mollette sui pantaloni alle caviglie, quel pelo fulvo umido tra le cosce, un bavero alzato, un bacio smozzicato, le cime di una nave in partenza, il rombo di un jet a doppio compressore con camera di combustione e vista sul mare.
E il vento in spiaggia, il caldo, la pioggia, le corse nel bosco, l’affanno e il pianto soffocato.
Riecco Lupa che ulula al cielo coperto con una velatura di zucchero filato…

Mò basta.

Stasera Stadio

Sai, nel cammino a volte ti perdi non riesci più a mettere  a fuoco le cose se mai lo hai fatto e continui a guardare  il tuo piede avanti che supera l’altro e aggiungi un sasso e ancora un sasso fino a farne una torre che arriva in cielo sulla quale ti arrampichi sfiorando la luna per vedere dall’alto lo sfacelo di questo mondo nelle valli piene di nebbia e nei boschi che cercano il sole e sulle sponde di un fiume lontano che scivola ignaro verso una fine incombente in un mare vigliacco

Il mio canto libero

Mi sparo un mix di Pergolesi, Corelli, Gentle Giant e sono pronto per il Canto nomade per un prigioniero politico del Banco.
Certo dopo le inalazioni o ti sballi o fai sesso.
Un po’ di tip tap mi ci vorrebbe ma l’inquilina di sotto non apprezza l’arte anche se mi guarda in basso. Forse ha un principio di cataratta.
Lo so, lo so, non riesco più a scrivere qualcosa di sensato, ma cosa lo ha?
Forse la vigilessa che mi rimprovera scuotendo il dito in aria perchè non porto la cintura?
O il vecchietto che sprinta alla bilancia del supermercato rubandomi la posizione e un sorriso amaro?
O anche i tuoi occhi che vengono da lontano e mi trapanano ancora il cervello?
Grandi, con le pupille dilatate, verdi screziati, intelligenti e vogliosi che quando ti vengo a cercare nel posto giusto già c’è un lago umido e placido nel quale annego soffocando felice.
Tutto è passato, strugge solo quando il tempo è brutto e le corde di qualche chitarra vibrano malinconicamente scordate, spostando aria e sentimenti inutilmente.

Ok Ok Tè nero alla vaniglia

P.S.
Dopo un’ora altro grave errore
Aria di Alan Sorrenti
sconfitto, addento la pizza ancora calda

Dino Buzzati

Il deserto dei Tartari (1940).

Recensito migliaia di volte, quindi non porto nulla di nuovo se non sensazioni strettamente personali.
Ipnotico, non vorresti mai finire di leggerlo. Siamo un po’ tutti Giovanni Drogo, bloccati in un ufficio o in una fabbrica, davanti un televisore o a fianco della persona sbagliata, con un telefonino in mano pieno di luce e di nulla, fermi ad aspettare la fine consumando le ore e i giorni, gli anni e le stagioni bruciate nel forno famelico del tempo che passa. Inesorabile, corre verso una fine incognita solo nelle modalità, peraltro sempre drammatiche. Così il finale del romanzo. Quando sembra arrivato il momento atteso da una vita, arriva l’infamia dell’impossibilità, l’ingiustizia rappresentata dai nuovi arrivati, la presa di coscienza della sconfitta e infine della resa. Sul volto un sorriso, forse non troppo amaro.

molliccio

Cingerti la vita che non so più se è un gesto di protezione oppure sono io che mi aggrappo disperatamente all’ultimo scoglio guardando l’orizzonte a quattrocchi perchè non ci sfuggisse nulla poi mi distraggo un attimo sentendo il calore del tuo culo sul sesso che sembra autonomo e bizzoso come il cavallo di brancaleone e altrettanto coraggioso e spavaldo nonostante l’età e i chilometri in salita cieco da un occhio e molliccio come un mollusco di acqua dolce d’un tratto si fa buio ma è solo un movimento celeste che sposta e promuove le ombre a tempo determinato domani è un altro giorno che ne inghiottirà un altro finchè non sarà sazio e brucerà sviluppando energia in una danza entropica

un delirio come un altro

è un caso che siamo qui? lo siamo tutti in fondo eppure ci guardiamo in faccia attoniti tra sorrisi scontati e atteggiamenti corporali volti all’abbandono di sensi e di spazi che ci separano nonostante la forza aggregante che gestisce l’universo tutto fin nell’infinitesimo dove i  gluoni fanno il loro sporco lavoro finchè morte non ci separi per sempre come se il sempre esistesse

caldo e testa non vanno d’accordo

parlano tutti e sanno quel che dicono e non sto lì a contraddirli scazzato come sono al momento che è lungo come la muraglia cinese e come i buoni cinesi annuisco e sorrido tipo paresi facciale mentre contraggo l’ano a pulsazioni una vecchia pratica taoista che favorisce la resistenza all’eiaculazione e sollecita le ghiandole surrenali per mantenersi più giovani e morire con meno rughe sai per avere un bell’aspetto sulla foto della lapide comunque dicevo hanno molto da dire e lo fanno davvero bene con tanto di moine e gesti delle mani che sembrano pizzardoni sotto coca mischiando sproloqui su una delle guerre attuali con strafalcioni di storia che neanche il lorenzo di guzzanti è riuscito mai a partorire e su virus e batteri di scimmie e pipistrelli e di extracomunitari con i rolex e il pisello lungo che le nostre donne potrebbero desiderare rubandoci il lavoro che nessuno di noi vorrebbe mai fare a quel punto fingo un malore mio o di parenti stretti e corro veloce sotto la cappa di calore che spero mi sciolga lì sul marciapiede lasciando una macchia indelebile da monito a futura memoria

Approdi armonici

gli approdi sono quelli che ci mancano di più il cammino per se stesso stanca le muscolature più allenate e l’orizzonte che gira gira è sempre lo stesso in forme diverse schiacciate dal quel cielo indifferente che tutto sovrasta osservando amorfo le nostre follie scuotere gli animi e i corpi a perdere consumati dall’uso e dalle vane speranze nelle chiese e nelle fabbriche nelle scuole e nei bordelli negli ospedali e nelle discoteche nelle bevande e nelle droghe basterebbe poco in fondo un approdo armonico nel quale fondersi e sfumare dolcemente perdendo coscienza e acquistando sostanza evaporando come particelle mano nella mano

Delirato molto anni fa. Giuro, non facevo uso di droghe.

un respiro lieve e una piega del viso atteggiata a sorriso…
il traffico mi coinvolge e mi conta tra le sue fila inconsapevolmente arruolato…
stringo lievemente il volante e fisso il retro della strana cosa davanti a me fatta di cristallo, ferro, plastica, con fluidi che la percorrono e un cuore caldo che brucia aria e trasforma una semplice idea in moto…
di lato dei campi, sono offuscati dalla bruma come un dipinto leonardesco e come esso sfuggono via senza che si riesca realmente ad afferrarli…
si, afferrare realmente qualcosa, quello stupido attimo che mi sta trasportando lontano da me e dalle cose tutte come un pallone aerostatico al quale resto appeso, colorato fantoccio, assurdamente fiducioso della mano che mi agita…
e il vento spazza l’aria e confonde le idee agli sparuti passanti ancora assonnati e già avvelenati dagli impegni del giorno…
e volo via in un eterno spazio nel quale sono leggero, etereo finalmente completo…
e mentre sono lì che svolazzo su tutto il paesaggio e vedo case piccole e il mare e il fiume e il nastro grigio delle strade e gli alberi verdi e i campi sfumati…
un rumore insistente, provocante, cattivo mi getta a terra, mi richiama follemente a quella che in modo ridicolo chiamiamo realtà e l’immagine sullo specchietto retrovisore mostra un signore sconvolto dalla mia presente assenza, è molto agitato si muove e credo che urli attraverso i vetri che ci separano…
sorrido furbescamente, innesto la prima marcia, sollevo lentamente il piede sinistro, spingo il destro, sento stridere le gomme, ecco sono in marcia insieme a tutti gli altri e insieme a loro vado alla ricerca della fine di questa giornata che mi sta aspettando con perfida pazienza…

Ancora Guerra

E di guardar le stelle mai mi stancai
finché in ciel vidi strisce filanti
messager di  morte cadenti a terra
stridi alti e boati disumani

Crani schiacciati
macchie di sangue
membra dilaniate
ombre sui muri di pelli ustionate

Ancor non basta alla brama nefasta
divorar corpi strade e palazzi
mostrando al creato che siamo ancora pazzi

Bramo Bellezza

Sai quando ridi e con gli occhi sei oltre?

Quando parli e intuisci cosa vogliono sentire?

Quando cammini e non senti il terreno sotto i piedi?

I palazzi sono di  zucchero filato

le donne angeli meravigliosi dotati di artigli

i bambini putti svolazzanti

la luna lassù sbircia curiosa

divertita da tanto inutile fracasso

e mi sollevo

e svolazzo oltre il sistema solare

oltre le stelle sfavillanti

oltre le forze attraenti  come colla appiccicosa

come melassa nella quale mi avvolgo

chiudendo gli occhi in attesa

sognando un domani

lontano irraggiungibile sospeso

Sogno lucido

apro gli occhi
la mia testa poggia sulla tua mammella
respiri tranquilla
osservo la pancia un po’ tonda
il monte di venere che s’innalza sulle gambe affusolate

non so come sono arrivato qui nè perchè
non è certo il momento di chiedermelo
preferisco godere di questo afrore di femmina
che sale ignaro delle conseguenze
stordisce e ristora
illude e stravolge

sapevo di averne bisogno
poco importa se realtà o sogno

Buon San Valentino

A volte è dura svolgere i propri compiti in modo perfetto ed ordinato sapendo di non poter evadere da luoghi e persone che opprimono nei modi e negli intenti atti al possesso e al controllo ammantato d’amore solo per se stessi e per i propri modi di essere che escludono gli altri come un dente permanente che scalza uno da latte senza rimorsi e con l’arroganza del potere perchè è così che si fanno le cose è così che va il mondo e ci ridevamo fingendo che tutto non fosse a scadenza anche se l’orologio aveva lancette affilate come una mannaia e la pietà di un boia in arretrato con l’affitto.

Mi godo un interludio

Sono stato all’inferno a spalar tonnellate di merda inghiottita a forza con su un falso sorriso tipo ictus e voce calma a placar le offese e le visioni pazzoidi intorno e dentro la tua testa bella e folle come una giostra perversa che gira all’infinito rovesciando lo stomaco nel vuoto di accuse e colpe mai commesse eppur bramate in uno sfinimento psicofisico mascherato di benessere apparente.

in giro mi prendo in giro

lontano da me mi nascondo sempre più negli anfratti profondi nelle grotte buie dell’anima e a volte grido nel rimbombo feroce dell’eco e poi attraverso le strade di questa città fingendomi vivo con la corazza scintillante d’argento dei generali romani con gli addominali finti e i pettorali glabri e la tempesta mi coglie impreparato così corro verso quel bus che sembra proprio il mio in un giallo sfumato di muri antichi e vecchi intenti che mi incitano nella corsa che attira i curiosi e i mostri di pietra dei palazzi con facce di grifo e di leone e le scritte fasciste incise con orgoglio farsesco ancora lì a prenderci in giro grondanti di sangue sbiadito e dimenticato

cazzo il biglietto…

JB e vecchi ricordi

Mi osservo le scarpe, sono bianche e nere del tipo sportivo, il nuovo capo continua a parlare, sembra un fiume in piena che gongola dei flutti e dei mulinelli creati dalle proprie parole.

I miei colleghi muovono la testa ritmicamente un po’ verso su e un po’ verso giù, forse fanno qualche esercizio per la cervicale che dovrei imitare per non incorrere in problemi prossimo-futuri.

D’un tratto il suono monocorde cambia, smette il tono amichevole e mi spara una domanda come una volta facevano i professori con gli alunni un poco disattenti, per vedere se stanno seguendo la lezione. Alzo lo sguardo, sfodero uno dei miei irresistibili sorrisi e inizio a parlare.

Vomito parole come un vulcano incontinente, come la folla all’uscita dallo stadio dopo una sconfitta, come milioni di spermatozoi lanciati a bomba per raggiungere l’agognato ovulo.

Ora i colleghi sono fermi. Bloccati. Hanno smesso gli esercizi. Trattengono il respiro a mo’ di pranayama e il capo è lì, attonito. Sapeva che ci sarebbero stati problemi e che sarei stato io l’angelo infedele a portare la cattiva novella.

Sembra smarrito, all’angolo, in balia dei colpi a salve… ma è un combattente esperto, lo avevo intuito, incassa perché sa che la fine del round è vicina e non potrò reggere a lungo quel ritmo.

Si sfila gli occhiali, li pulisce con una cravatta color oro che non avevo notato fino a quel momento
e poi mi invita in un prossimo incontro a quattr’occhi.

Che posso fare? Accetto, mi zittisco e ricomincio ad osservare le mie scarpine belle belle.

Neanche a dirlo, ho avuto problemi prossimo-futuri ormai vecchi e stanchi anche loro.

Lo ammetto

Spezzo il pane che smollica sul tavolo liscio come una selce levigata,
la vita scorre all’esterno, dentro un tubo che ne attutisce il clamore.

Ascolto il ticchettio della vecchia pendola
che svogliatamente compie il suo ottuso lavoro
tic tac tic tac tic in un circolo vizioso e viziato
ci porta dal calore uterino sin nella tomba fredda ad ogni richiamo.

E ancora vita che succhia la morte e riproduce se stessa in mille e mille forme
energia vibrante che appare e scompare nella materia e nella probabilità di esistere.

Seduto ad ascoltar storie con scarso inizio e ancor meno fine
smuovo le molliche con un dito,
tra poco saranno secche,
ossidate,
inutilmente in attesa.

Fermo la pendola, con quel rumore è impossibile dormire
“na pisciatina, na sarvereggina e me ne vado a letto”

Sono il primo a non capire

Ti spogli tranquilla, da donna, coprendo l’imbarazzo con un sorriso accennato che ti riga il viso.

mi strappo i vestiti di dosso come chi ha fretta di fare una doccia,
li getto sulla sedia di fianco il letto,
lascio su le mutande non sapendo se ho fatto bene.

chiudo gli occhi, sei vicina, ti bacio, mi baci
sento il calore del tuo corpo liscio
riapro gli occhi tra le tue gambe,
soffoco un po’ schiacciato sul tuo sesso umido, succoso, profumato.

mi vuoi nella bocca, nel corpo, nella testa

ti lamenti stringendomi così forte da sentirti il cuore attraverso le ossa
esplodo dal ventre urlando come un maiale al macello

sulla schiena, il soffitto, il sudore, la tua mano, il respiro, le non barriere, il sonno, la fiducia, il piacere… l’amore?

Semplicemente piove

piove a raffiche come fosse una punizione meritata bagna testa spalle ossa e occhi socchiusi
la pozzanghera di fronte riflette l’immagine del mio corpo distorto dai colpi delle gocce
il buio è trafitto dalle luci artificiali grondanti anche loro lacrime lente
tutto è sospeso e indefinito

 

Brutto trip

Sbatto gli occhi per prender tempo, scuotendo un po’ la testa come dovessi soppesare qualcosa d’importante.
So che sei concentrata sulla mia risposta…

ma cosa cazzo mi hai chiesto?

Non sai che vorrei soltanto morire, in modo civile, senza rumore e senza sporcare troppo.

Butti fuori aria, le pieghe intorno la bocca accennano ad un sorriso, le spalle arcuate e protese in avanti.
Forse sono salvo.

“Eeeeehmmmm… posso avvalermi della facoltà di non rispondere?”
“Ma sei scemo?” urli forte.
“Si” taglio corto, così me la tolgo dalle palle.

Peccato sia andata via, avremmo potuto giocare al dottore.

Looprigioniero

Avrei voluto vederti accoccolata ad ascoltare i miei silenzi con gli occhi aperti di bimba che meraviglia all’orizzonte di un tramonto rosso sfumato degradante nei colori e negli intenti pre-morte del giorno andato e sepolto che lascia spazio al buio di una notte partoriente a sua volta nuova luce in un loop disperato di chiari e di scuri fino alla fine essa stessa nuova madre di un nuovo inizio

siamo fuori di testa

i respiri che fai sono una benedizione per te e per chi ti sta vicino non li trasformerei in un parametro di valutazione con il mio di valore che è pari a quello di qualsiasi altra persona finita su questo mondo per un tempo relativamente breve e con il solito triste finale