“Se vogliamo che tutto rimanga com'è, bisogna che tutto cambi.”
È il 1860, siamo nella bella Sicilia che accoglie, seppur non unanime, lo sbarco dei famosi “mille” guidati da Garibaldi. Questo è il clima con cui si apre uno dei libri divenuti capolavori nello scenario della letteratura italiana: "Il Gattopardo", di Giuseppe Tomasi di Lampedusa.
Protagonista indiscusso di queste pagine, don Fabrizio, principe di Salina, l’ultimo fiero baluardo della casata di cui il Gattopardo è il simbolo. Un animale fiero, bellissimo, regale, destinato a essere travolto dall’ondata di modernità che l’unità porta con sé, nella scia di cambiamenti che devono avvenire, come profetizza l’amato nipote Tancredi, affinché nulla cambi.
[caption id="attachment_485" align="aligncenter" width="200"]“Noi fummo i gattopardi, i leoni. Chi ci sostituirà saranno gli sciacalli, le iene. E tutti quanti, gattopardi, leoni, sciacalli e pecore, continueremo a crederci il sale della terra.”
E don Fabrizio si piega al nuovo regime per conservare ciò che è, uomo di mondo amante della matematica e delle stelle, amante di ciò che è radicato nelle viscere di quella terra che tanto dominatori stanno portando via alla sua gente. Protagonista, ma anche spettatore della vita altrui, del nascere della relazione fra suo nipote e la bella Angelica: un’unione passionale, ma giusta, che unisce ciò che è tradizione e ciò che è modernità. Sullo sfondo, personaggi minori, ma non meno importanti. Come padre Pirrone, la coscienza religiosa, per certi versi, del principe; l’ingenua moglie Maria Stella, quasi chiusa in un mondo effimero che ruota intorno al marito; e infine Concetta, la figlia che incarna il vero carattere dei Salina, colei che pur amando Tancredi sarà messa da parte sia dalle scelte passionali del giovane sia dai calcoli del padre.
Un libro, questo, che racconta una coralità vista dagli occhi di un principe che non vorrebbe vivere proprio in quegli anni di cambiamento, che vorrebbe che nulla cambiasse ma che si deve piegare per sopravvivere. Don Fabrizio è il cuore del libro, il suo sguardo si posa su ciò che umile e ciò che è nobile con lo stesso amore, con la stessa forza. È lui l’ultimo vero Gattopardo e ne è amaramente consapevole:
“Il significato di un casato nobile è tutto nelle tradizioni, nei ricordi vitali; e lui era l’ultimo a possedere dei ricordi inconsueti, distinti da quelli delle altre famiglie”
Giuseppe Tomasi di Lampedusa ci regala uno scorcio di Sicilia sublime, intatta, vera. Una Terra che vorrebbe dormire, dice il principe Fabrizio, un popolo fiero che pensa di essere simile agli Dei. I personaggi che popolano o si affacciano fra queste pagine sono lontani dall’essere perfetti, dall’essere esempi di virtù. Il lettore però li può ammirare, può scorgere nelle imperfezioni delle persone vere, gli ultimi attori di un mondo che sta cambiando.
Nel 1963 Luchino Visconti ci regalerà il film tratto dal libro, con attori come Burt Lancaster, Claudia Cardinale e Alain Delon: un lavoro superbo, che ha fatto sognare intere generazioni.
Un libro, quindi, che parla della guerra ma vista da lontano, che glorifica anche l’amore opportunista ai danni di quello genuino; un racconto che mette l’accento su questioni legate all’appartenenza a una terra fiera e bella qual è la Sicilia. Pagine che parlano anche del rimpianto, delle scelte sbagliate che cambiano le esistenze: tutto sotto lo stemma araldico di un felino che, regale, guarda il mondo con la stessa fierezza che aveva reso grandi i Salina.